giovedì 13 marzo 2008

L’articolo 11 e il suo tallone d’Achille

16 Marzo 2007

In Afghanistan è in corso ormai da qualche giorno l’offensiva della NATO/ISAF nel sud del Paese, denominata Operazione Achille, una vera e propria guerra combattuta con mezzi aerei e terrestri dai contingenti americani, canadesi, britannici e olandesi. In una settimana i raid aerei di appoggio alle truppe impegnate a terra sono stati già più di 300 e naturalmente hanno mietuto vittime tra i civili in quanto distinguere le cosiddette “postazioni nemiche” dalle case con dentro donne, bambini e anziani è impossibile quando si bombarda dall’alto; ma purtroppo è sempre successo così, fin dalla nascita dell’aviazione militare, in quanto non è mai esistito un bombardamento aereo chirurgico. Né mai potrà esistere.

Ma da pochi giorni anche le truppe italiane si sono mosse nell’ovest dell’Afghanistan in appoggio all’Operazione Achille. A darne notizia è stata un’agenzia di stampa spagnola dal momento che insieme agli italiani sono in azione anche gli spagnoli, membri della Forza di reazione rapida comandata dal generale italiano Antonio Satta.

Dopo poche ore dal lancio d’agenzia i partiti della cosiddetta sinistra radicale sono sembrati cadere dalle nuvole e hanno chiesto lumi al governo che per bocca del sottosegretario Forcieri ha confermato che spagnoli e italiani sono impegnati a “impermeabilizzare” la frontiera tra le province occidentali (Farah, Herat, Ghor e Badghis) e quella meridionale di Helmand, dove appunto si sta svolgendo l’Operazione Achille. Quindi, anche se sono nelle retrovie, i nostri soldati hanno un ruolo di copertura e supporto all’attacco con il chiaro obiettivo d’impedire che gruppi di guerriglieri afghani possano scappare dalle zone di combattimento del sud.

Tutto ciò a pochi giorni dal voto al Senato sul rifinanziamento della missione militare e con gli immancabili e rituali dibattiti fuori e dentro il Parlamento sull’articolo 11 della Costituzione. Non è stato rispettato, è stato tradito, non è stato tradito, è un baluardo contro ogni guerra, non è un baluardo ecc. ecc.

L’articolo 11 è da sempre oggetto di aspre discussioni e delle più svariate interpretazioni. Nel suo testo integrale afferma: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

E’ un testo che può sembrare chiaro e netto a prima vista, ma leggendolo bene contiene una seconda parte molto fumosa che si presta a varie interpretazioni. Nella prima parte è categorico il rifiuto della classica guerra offensiva, quella cioè di un Paese che ne invade un altro per conquistarne i territori. Ma la seconda parte dell’articolo che recita “…consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, può essere invece interpretata e utilizzata a proprio piacimento; partecipando per esempio a missioni militari ONU e/o NATO in cui sia contemplato anche l’uso delle armi per “assicurare la pace”.

Ecco perché ormai si abusa, e quindi non proprio del tutto a sproposito, dei termini “missione di pace” e “missione umanitaria” che possono comportare appunto anche l’utilizzo delle armi senza contraddire con ciò la seconda parte dell’articolo 11.
Inoltre tra le “limitazioni di sovranità necessarie” ci sono anche tutte le basi USA e NATO presenti nel nostro territorio. Perciò il problema vero su cui riflettere, quando si affronta l’argomento spinoso della presenza militare italiana nel mondo, sta proprio nella formulazione ambigua della seconda parte dell’articolo 11.

Lo stesso Ministro della Difesa Parisi, in una recente intervista televisiva, ha dichiarato che l’articolo 11 contiene “un velo d’ipocrisia, e forse anche più di un velo….L’articolo va rispettato integralmente, sia nella parte che ci chiama a rifiutare la guerra e quindi ad esercitare la nostra azione solo in termini di difesa, sia in quella che ci chiama ad impegnarci attivamente per la pace, nel quadro delle organizzazioni internazionali che la ricercano e la propongono….le truppe italiane impegnate in Afghanistan possono fare dunque uso delle armi in quanto la loro missione è una missione volta a stabilire la pace”. E sinceramente non ha tutti i torti a rappresentare in questo modo l’articolo 11.

Perciò, visto il presente che viviamo e soprattutto il futuro che ci aspetta, forse è il caso di cominciare - movimenti pacifisti e partiti della sinistra radicale in primis - a leggere bene tutto il testo dell’articolo 11 prima di usarlo come stendardo da portare in piazza o nelle aule del Parlamento per testimoniare la propria contrarietà alle missioni militari italiane.

Ma sarebbe ora anche di iniziare a chiederci se quella parte del testo così sfumata e polivalente vada ancora bene dopo 60 anni o se sia arrivato il momento di renderla chiara e netta una volta per tutte, modificandola o cancellandola in toto.