giovedì 13 marzo 2008

La Cooperazione Internazionale da ricostruire: il caso libanese

8 Gennaio 2007

Sul quotidiano Il Manifesto del 6 Gennaio scorso tra i vari articoli ce n’era uno molto interessante firmato da Giuliana Sgrena - inviata a Tiro in Libano - che ha dipinto in modo chiaro l’ennesimo fallimento in vista della cooperazione internazionale e dei suoi attori principali, le ONG.
La Sgrena non ha voluto infierire più di tanto, ma è stata ugualmente efficace nel far comprendere quello che sta succedendo in Libano da settembre ad oggi sul fronte dell’impegno civile italiano.

Il Governo italiano ha stanziato per la cooperazione 30 milioni di euro per un anno – contro i 180 milioni in 4 mesi a partire dal settembre scorso per la missione militare.
Di questi 30 milioni, 10 sono stati destinati alla cooperazione multilaterale – cioè per il sostegno finanziario alle attività in loco delle agenzie ONU, per la partecipazione agli aiuti allo sviluppo forniti dall’UE e per la Croce Rossa. 5 milioni sono andati invece al Governo libanese per la ricostruzione di infrastrutture e i restanti 15 sono stati stanziati per la cooperazione diretta e le ONG italiane.

E’ stata poi promossa dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri l’iniziativa di “Emergenza per la Riabilitazione, Occupazione, Servizi, Sviluppo” (ROSS) con un ufficio tecnico a Beirut, il cui responsabile Paolo Bonomi “dopo essere stato impegnato nell'emergenza tsunami, ha fatto ricorso al modello sperimentato in Sri Lanka. Naturalmente il «modello Sri Lanka» necessitava di un adattamento alla diversa situazione libanese, dove non si tratta di emergenza determinata da una catastrofe naturale ma di emergenza provocata dalla guerra……….. Il «modello» prevedeva la costituzione di un ufficio tecnico in loco con vari esperti o «tutor» - che in alcuni momenti avrebbero raggiunto la ventina - incaricati di seguire la fase di costruzione dei vari progetti già nel corso dello studio di fattibilità”.

Ma già dopo 4 mesi sono emersi i soliti problemi che purtroppo accadono nel mondo della cooperazione internazionale, anche se finora si sta parlando solo di quelli legati alle procedure di finanziamento dei progetti. Ma, come sempre, se il buon giorno si vede dal mattino……

Poichè la situazione era emergenziale “15 milioni sono stati trasferiti subito in Libano per essere utilizzati entro la fine dell’anno, oppure perché fossero quantomeno approvati i progetti.”
Solo che non è ancora chiaro quanto di questi 15 milioni sarà destinato alla cooperazione diretta e quanto alle ONG. Inoltre la stessa Sgrena ammette che non è riuscita a capire quanto costa con precisione l’ufficio tecnico del ROSS a Beirut, “dove sei tecnici resteranno fissi per un anno per seguire i progetti fino al loro esaurimento, con varie missioni degli altri esperti, a caccia di progetti da promuovere direttamente, non si sa se interessati più al futuro del Libano o alle loro consulenze. C'è chi parla di due milioni di euro di spese previste per il Ross, altri di molto meno, ma sicuramente con una percentuale rilevante in rapporto al finanziamento totale. Il procedimento messo in moto è risultato alla fine piuttosto macchinoso, anche se senz'altro motivato da buone intenzioni”.

Il Viceministro degli Esteri con delega alla Cooperazione Internazionale, Patrizia Sentinelli, fin da subito ha scelto “una gestione partecipata” coinvolgendo “tutti gli interlocutori, non solo funzionari della cooperazione ma anche associazioni e movimenti, che insieme hanno concordato le linee guida dell'intervento civile in Libano”.
E su questo approccio della Sentinelli nulla da obbiettare ma “«c'è stato un progressivo scollamento tra le impostazioni politiche di Roma e l'applicazione dei tecnici in Libano», sostiene Sergio Bossoli”, dell’ONG Progetto Sviluppo della CGIL.

L’intenzione di questo Tavolo di consultazione voluto dalla Sentinelli era infatti quella di favorire la decina scarsa di ONG italiane operanti in Libano già da prima della guerra della scorsa estate, in modo da facilitare consorzi tra queste e le nuove che sarebbero arrivate, per evitare frammentazioni nei progetti. Anche perché “secondo le linee guida non era stato stabilito un tetto massimo per ciascun progetto, che invece il Ross ha fissato in 500.000 euro - favorendo così l'intervento a pioggia. L'obiettivo era evidentemente quello di accontentare tutti. E visto che non è stato rispettato l'approccio consortile, tutte sono andate in ordine sparso. Peraltro la verifica degli esperti era spesso più legata a criteri tecnici che a una reale conoscenza del terreno. E non sempre le loro indicazioni coincidevano. Tutto questo ha contribuito ad alimentare una notevole confusione”.

Ecco un altro dei problemi tipici della cooperazione nei casi di emergenza, in seguito a catastrofi naturali e/o guerre: alle ONG già presenti in loco da anni se ne aggiungono molte altre che cercano di accaparrarsi i finanziamenti, con la ovvia conseguenza di sovrapposizioni e duplicazioni dei progetti, solitamente concentrati anche nelle stesse aree del paese in questione. Cosa che sta avvenendo anche in Libano, e la Sgrena infatti aggiunge “La commissione incaricata di verificare i progetti e presieduta dall'ambasciatore italiano in Libano, Gabriele Checchia, non ha quindi avuto compito facile, anche se la presenza dei «tutor» che monitoravano i progetti avrebbe dovuto rendere più facile l'esame finale, garantendo la qualità e la distribuzione geografica delle varie proposte. Invece i progetti presentati alla fine sono risultati ben 35 e tutti concentrati in tre zone (Tiro, Nabatiye e valle della Bekaa); non a caso, visto che erano quelle indicate dai tecnici come «aree di emergenza», a causa delle distruzioni o della povertà latente. Anche i settori di intervento si sovrappongono: sanità, educazione, agricoltura. «E ora ci chiedono di coordinarci!», esclama Sergio Bassoli. Che lamenta per di più la pretesa dei tecnici di monitorare i progetti anche in fase di realizzazione, al posto di un capoprogetto delle ong, «per giustificare le spese spropositate dell'ufficio tecnico». A causa di queste difficoltà non si conosce ancora il risultato dell'esame della commissione che doveva essere noto a fine anno”.
Quindi a monte c’è l’utilizzo irrazionale delle risorse finanziarie e a valle l’ovvio sperpero delle stesse che naturalmente va ad incidere sull’efficacia finale a lungo termine dei progetti in questione.
Questa però non è una peculiarità dell’intervento civile in Libano, né tantomeno un’esclusiva tutta italiana; succede infatti in tutti i Paesi del mondo in cui agiscono le ONG internazionali e le agenzie ONU – e non solo nei casi di emergenza - a conferma del fatto che la cooperazione internazionale deve profondamente riformarsi al suo interno e chiedersi se ha senso proseguire ancora con queste modalità d’intervento, puntando invece solo sulla cooperazione diretta attraverso piccoli progetti richiesti e attuati da partner locali, naturalmente ben selezionati e monitorati da chi finanzia attraverso missioni sul campo specifiche e di breve durata.

Ma puntare in futuro tutto sulla cooperazione diretta significa che la stragrande maggioranza delle ONG internazionali dovrà chiudere baracca e burattini e che molti funzionari delle agenzie ONU e della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo della Farnesina dovranno cambiare lavoro. Quindi……