giovedì 13 marzo 2008

Libano: lo spettro di una nuova guerra civile

25 Maggio 2007

Il Libano, dopo mesi di relativa calma apparente, è ripiombato improvvisamente nel caos in seguito ad un’ondata di violenza - la peggiore dalla fine della guerra civile nel 1990 - che in tre giorni di combattimenti tra l’Esercito regolare libanese e miliziani del gruppo Fatah al-Islam ha provocato almeno 81 morti nel campo profughi di Nahr al-Bared, che secondo stime Onu ospita circa 40.000 profughi ed e' solo uno dei 12 campi profughi palestinesi in Libano che danno rifugio a un totale di 200.000 persone (la metà dei 400.000 rifugiati presenti nel Paese).

Ma contemporaneamente si sono registrati anche due attentati dinamitardi a Beirut e uno nella città drusa di Aley, un miliziano si è fatto esplodere in un appartamento di Tripoli e l'Unrwa (l'agenzia dell'Onu per l'assistenza ai rifugiati palestinesi) ha sospeso la distribuzione degli aiuti a Nahr al-Bared dopo che un suo convoglio e' stato bersagliato dai colpi di cecchini, che hanno causato almeno due morti tra i palestinesi che stavano ricevendo gli aiuti.

Sono state annunciate una serie di tregue che però all’inizio hanno retto solo per poche ore, ma quantomeno sono servite a circa 10.000 profughi palestinesi di Nahr al-Bared per lasciare il campo e spostarsi nel vicino campo di Beddawi e verso Tripoli; ma anche l'esercito libanese e i miliziani di Fatah al-Islam hanno approfittato della tregua per rafforzare le rispettive posizioni, lasciando presumere che gli scontri potrebbero riprendere in qualsiasi momento.

Se per il premier libanese Siniora sono evidenti i legami di Fatah al-Islam con la Siria ed Al Qaeda, rimangono comunque molti interrogativi e dubbi sull’effettiva natura di questo gruppo che secondo varie fonti disporrebbe di circa 200-300 miliziani e che sin dallo scorso novembre ha fondato il proprio quartier generale a Nahr al-Bared, dopo la scissione da un'altra formazione armata (Fatah al-Intifada) apertamente legata a Damasco.

I membri del gruppo si definiscono salafiti e ideologicamente vicini ad Al Qaeda, ma negano qualsiasi legame operativo con questo movimento, come ha più volte ripetuto il leader di Fatah al-Islam Shaker al Absi. Inoltre pochi giorni fa un portavoce del gruppo ha affermato ad Al Jazeera che “Abbiamo missili e attentatori suicidi, possiamo combattere per i prossimi nove mesi ed estendere i combattimenti in tutto il Libano e in tutto il Levante”, aggiungendo poi di aver dato il via ai combattimenti per rispondere alle “provocazioni” delle forze dell’ordine libanesi che avevano appena assaltato un edificio di Tripoli dove si erano asserragliati degli attivisti sospettati di avere attaccato delle banche.

In realtà, la situazione era già molto tesa da marzo e i militari avevano intensificato la sorveglianza sul campo in seguito all’arresto di quattro membri del gruppo, accusati di aver compiuto il 13 Febbraio scorso un attentato contro due autobus vicino alla cittadina cristiana di Bikfaya, in cui morirono tre persone e 22 altre rimasero ferite.

Damasco, dal canto suo, nega che Fatah al Islam abbia legami con i propri servizi segreti. Lo stesso ambasciatore siriano all'Onu, Bashar Ja'afari, ha dichiarato che il gruppo è legato ad Al Qaeda e che diversi membri di Fatah al-Islam trascorsero “tre-quattro anni” nelle carceri siriane per i loro legami con Al Qaeda. Ja’afari ha inoltre aggiunto che i capi del gruppo sono in gran parte palestinesi, giordani, sauditi e solo un paio sarebbero siriani; e una volta usciti dalle galere di Damasco, hanno cominciato ad addestrare i giovani del campo profughi alle pratiche di Al-Qaeda. Il diplomatico non ha escluso che la motivazione politica degli scontri sia da ricondurre al tentativo di mettere in piedi il tribunale internazionale per l'omicidio dell' ex primo ministro libanese Rafik Hariri, dandone però una spiegazione speculare a quella del fronte libanese antisiriano.

Gli scontri, secondo Ja'afari, sarebbero stati organizzati per “tentare di influenzare il Consiglio di Sicurezza ad andare avanti con la risoluzione franco-americano-britannica” che prevede l'insediamento del tribunale internazionale. Ovviamente per il governo libanese dietro gli attacchi di Fatah al-Islam vi sarebbe proprio Damasco, ritenuta coinvolta nella strage che il 14 Febbraio 2005 uccise Hariri e altre ventidue persone.

Comunque sia, il futuro libanese sarà legato a ciò che succederà subito dopo l’insediamento del tribunale internazionale, la cui creazione è stata decisa con la risoluzione ONU 1595. La convenzione tra l’Onu e il governo è stata firmata ma manca ancora la ratifica del Parlamento libanese a causa della crisi politica in corso fin dallo scorso novembre, quando cinque ministri sciiti si sono dimessi dal governo.

Nel frattempo il 17 Maggio è stato depositato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU un progetto di risoluzione che mira a consentire ugualmente la nascita di questo tribunale speciale. Naturalmente il governo di Fuad Siniora è favorevole a questa iniziativa, mentre l'opposizione è decisamente contraria. Il tribunale entrerà in vigore dal momento dell’adozione di questa risoluzione - redatta da Parigi, Washington e Londra – che però dipenderà soprattutto dalla volontà di Mosca, tradizionale alleata di Damasco.

Il pericolo di una nuova guerra civile interconfessionale è perciò sempre più all’orizzonte, visto il continuo degradarsi delle relazioni tra sunniti e sciiti che già nel gennaio scorso hanno dato vita a violenti combattimenti di strada, anche se di breve durata.
La prima frattura tra le due comunità risale all’assassinio di Hariri, quando i sunniti si erano da subito schierati in massa nel campo antisiriano, mentre gli sciiti di Hezbollah avevano organizzato manifestazioni in favore di Damasco.

Oggi le due comunità si guardano come avversari, il dialogo tra i due campi è diventato praticamente inesistente e alcuni sunniti dicono di non tollerare più che Hezbollah sia il solo partito a disporre di una milizia e si stanno armando per “potersi difendere”.
Quindi gli scontri tra Fatah al-Islam e l’esercito libanese nel Nord del Paese distolgono per il momento l’attenzione, ma il principale motivo di inquietudine a Beirut è proprio il rischio di una terribile guerra civile interconfessionale.

Intanto il Dipartimento di Stato Usa ha giustificato le azioni delle forze libanesi contro i miliziani islamici e sono già atterrati a Beirut tre aerei militari carichi di varie tonnellate tra munizioni, armi leggere, missili anti-tank e sensori infrarossi per la visione notturna. Gli Stati Uniti infatti nei giorni scorsi avevano avvertito che avrebbero inviato aiuti militari al governo libanese per aiutarlo a combattere contro Fatah-al Islam e hanno prontamente mantenuto la promessa.

Ma nelle prossime settimane si comprenderà meglio contro chi saranno usate effettivamente queste armi “Made in USA”, se questo sarà solo il primo passo per un futuro coinvolgimento di truppe USA in territorio libanese su richiesta del governo Sinora e se i soldati dell’Unifil dislocati nel Sud saranno colti in mezzo a più di due fuochi.