giovedì 13 marzo 2008

Un coup de théatre anche per Prodi


5 Dicembre 2007

Non bastavano le continue fibrillazioni e i veti incrociati su ogni provvedimento da prendere, né le dichiarazioni di Dini, Bordon e Boselli sulle mani libere; adesso si sono aggiunte anche le spietate frasi del Presidente della Camera Bertinotti "Dobbiamo prenderne atto: questo centrosinistra ha fallito. La grande ambizione con la quale avevamo costruito l'Unione non si è realizzata... in questi ultimi due mesi tutto è cambiato, una stagione si è chiusa…Un governo nuovo, riformatore, capace di rappresentare una drastica alternativa a Berlusconi, e di stabilire un rapporto profondo con la società e con i movimenti, a partire dai grandi temi della disuguaglianza, del lavoro, dei diritti delle persone: ecco, questo progetto non si è realizzato. Abbiamo un governo che sopravvive, fa anche cose difendibili, ma che lentamente ha alimentato le tensioni e accresciuto le distanze dal popolo e dalle forze della sinistra. Ma se si vuole tentare una nuova fase della vita del governo, vedo due terreni irrinunciabili: i salari e la precarietà".

Tutto ciò è la naturale conseguenza di un’azione di governo obbligata al galleggiamento e all’indecisione perenni.
Ma Bertinotti ha voluto dare un’ultima chance al governo evidenziando i temi dei bassi salari e dell’imperante precarietà, che si legano inoltre all’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e non solo, come obiettivi primari dell’esecutivo nel prossimo futuro e a cui va data assolutamente risposta.

Si potrebbe però continuare aggiungendo altre questioni da risolvere subito e che a suo tempo erano state inserite nell’ormai dimenticato Programma di governo con cui l’Unione si era presentata alle elezioni.
Ad esempio, l’approvazione di una nuova legge sul conflitto d’interesse, sul riordino del sistema radiotelevisivo, su ulteriori e concrete liberalizzazioni in campo economico (telecomunicazioni ed energia in primis), sui diritti civili delle coppie di fatto, sull’immigrazione, sulle sostanze stupefacenti e l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sui fatti di Genova

Si tratta in fin dei conti di pochi ma fondamentali punti che se affrontati di petto, tenendo semplicemente fede alle promesse fatte in campagna elettorale, potrebbero dare ossigeno al governo e soprattutto ridare un po’ di fiducia ai suoi elettori, ma anche ad una parte di cittadini che non ha votato per il centrosinistra.

Certo, le cose da fare sarebbero anche altre: per esempio, interrogarsi seriamente sul significato e il futuro della presenza italiana in Afghanistan, dove ormai i guerriglieri taleb sono sempre più incisivi, controllano più di metà del Paese e la popolazione li sostiene apertamente.
Ma d’altronde come potrebbe essere altrimenti, quando continuano incessantemente i bombardamenti indiscriminati di aerei NATO che uccidono centinaia e centinaia di civili inermi, quando a Kabul c’è un governo corrotto infarcito di signori della guerra e trafficanti di droga, incapace di garantire una piena sicurezza neanche nella capitale.

Ormai la semplice enunciazione di una Conferenza di Pace non basta più, ci vogliono i fatti. E se non si è in grado di far valere le proprie posizioni, bisogna prenderne atto e agire di conseguenza.
E’ risaputo poi che negli ultimi tempi i soldati italiani sono sempre più impegnati in azioni di combattimento, dal momento che i guerriglieri taleb hanno esteso i loro attacchi anche nella zona sotto controllo italiano.
Inoltre un recente rapporto del Senlis Council, un think-tank inglese di politica internazionale, ha affermato che “Il livello di sicurezza ha raggiunto una crisi senza precedenti. La domanda adesso è non se i talebani torneranno a Kabul, ma quando e in quale forma”.

A questo punto non c’è molta scelta: o si aumentano le truppe NATO fino ad almeno 300.000 unità e si combatte una guerra totale a 360 gradi oppure si prende atto che l’unica via di uscita è organizzare al più presto questa benedetta Conferenza di Pace, concedere agli afghani il diritto di scegliere liberamente chi vogliono al governo del Paese e ritirare tutti i soldati NATO.

Ma ritorniamo in Italia e a ciò che il governo Prodi si troverà di fronte dopo l’approvazione della Finanziaria.
Si è già detto precedentemente di alcuni punti importanti su cui il governo deve legiferare al più presto per ripristinare un rapporto di fiducia con il proprio elettorato, ormai quasi ai minimi termini.
Ma la domanda sorge spontanea: può questo governo nella sua attuale ed elefantiaca composizione realizzare quei provvedimenti?
Si parla di “verifica” a gennaio ma già un anno prima c’era stata la tre giorni nella Reggia di Caserta e non ha portato molta fortuna visto che un mese dopo si è “verificata” la crisi di governo, subito rientrata.

Quindi più che di “verifica” si auspica una mossa decisa e determinata del premier Prodi che, approfittando della nascita del PD sulle ceneri di due partiti e della costruzione in fieri della federazione della Sinistra-Arcobaleno, introietti fin da subito nel governo la futura alleanza che si presenterà alle prossime elezioni politiche applicando già a gennaio la legge Bassanini sul numero massimo dei ministeri, senza che si debba aspettare la prossima legislatura.
L’auspicata mossa perciò è formare a gennaio un nuovo governo guidato da Prodi, di soli 12 ministri e che non superi il totale di 60 unità con i viceministri e sottosegretari.

Un governo agile e snello, capace non solo di offrire una nuova immagine dinamica e fresca ma soprattutto di realizzare concretamente il Programma nella sua interezza.
Questo è il coup de théatre che potrebbe dare slancio e vigore al governo, e farlo durare fino alla naturale scadenza della legislatura.

Altrimenti il tirare a campare tra fibrillazioni e ricatti continui che non permettono di rispettare il Programma con cui si è chiesto il voto nel 2006 non serve proprio a nessuno, se non a scaldare inutilmente delle vuote poltrone e a perdere le prossime elezioni.