martedì 31 marzo 2009

I 60 anni della NATO

Il prossimo 4 Aprile si svolgerà a Strasburgo l'annuale Vertice NATO che quest'anno però riveste una particolare importanza dovuta non solo al 60esimo anniversario della sua nascita ma anche al fatto che si dovranno affrontare i suoi futuri assetti, alla luce anche del cambio di Amministrazione USA e della crisi economica globale in corso con i conseguenti e mutati rapporti di forza che ben presto ne deriveranno.

Se ne parla qui di seguito.



La NATO compie sessant’anni e flirta con la UE
di Antonio Mazzeo - Megachip - 31 Marzo 2009

È divisa un po’ su tutto: sui tempi e le modalità di una sua ulteriore espansione ad est; sull’atteggiamento da assumere nei confronti di Russia, Cina ed Iran; sul programma di escalation militare dell’amministrazione Obama in Afghanistan e Pakistan; sui futuri piani di ammodernamento dei sistemi militari, ritenuti fortemente pregiudiziali per le industrie europee. Ma quando poi si decide d’intervenire e bombardare - così com’è stato nei Balcani o in Medio oriente - o d’intraprendere nuove avventure nucleari e spaziali, le frizioni interne scompaiono e si confermano unità d’intenti e di azione tra i paesi membri. Si presenta così la NATO alla vigilia del suo sessantesimo compleanno: con qualche ruga di troppo ma comunque entusiasta di affrontare le nuove sfide del XXI secolo, forte del ritorno del figliol prodigo francese e delle solide partnership con Giappone, Corea del Sud e Australia e con i paesi-prigione stile Colombia ed Israele.

Abbattute le barriere ideologiche che dalla sua fondazione avevano relegato l’azione alla mera “difesa” della regione nord-atlantica, la NATO ha fatto dell’intervento “out-of-area” l’asse strategico su cui re-inventare operazioni, esercitazioni, logistica, sistemi d’arma, centri di comando, controllo e comunicazioni. Dopo i massacri di civili in Kosovo, Serbia e Montenegro e la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan, la NATO aspira a penetrare in Pakistan e a seguire le avventure nel continente africano del nuovo comando delle forze armate USA “Africom”. In Africa, del resto, l’alleanza militare due piedi ce li ha messi già: unità militari NATO operano a sostegno dell’ambigua missione dell’Unione Africana in Darfur o nel pattugliamento delle coste somale in funzione anti-pirati.

Ma tutto questo non basta, i governi che contano chiedono sempre di più. “ La NATO ha bisogno di adeguare le sue strategie alle nuove sfide”, ha dichiarato la prima ministra tedesca Angela Markel. “Dobbiamo sviluppare un nuovo concetto strategico a partire dal summit che si terrà il 3 e 4 aprile 2009, per dare risposta alle odierne e future minacce. In quest’ottica la NATO ha bisogno di definire e rafforzare le sue relazioni con le organizzazioni partner, come le Nazioni Unite, l’Unione Africana e le organizzazioni non governative, e di cooperare più strettamente con l’Unione europea”. Una NATO che sia sempre più “organismo politico” oltre che militare e che “proietti stabilità” in aree di crisi, “favorisca il dialogo, promuova la democrazia e contribuisca alla ricostruzione e al consolidamento istituzionale”, come aggiungono i massimi vertici dell’alleanza da Bruxelles.

Un’organizzazione dunque estremamente flessibile e capace di affrontare qualsivoglia minaccia che possa minare la “sicurezza” dei paesi membri e dei liberi mercati.
Le sfide che saranno affrontate dalla “nuova” NATO sono elencate dal Segretario generale, Jaap de Hoop Scheffer: all’antico ritornello sul terrorismo internazionale, la proliferazione delle armi di distruzione di massa e gli stati “canaglia”, si aggiungono adesso le guerre cibernetiche, il crimine organizzato, le carenze di fonti energetiche, il degrado ambientale, le calamità naturali, gli attacchi bio-terroristici e le pandemie.

L’Hague Centre for Strategic Studies, centro ultraconservatore olandese di studi strategici, prevede “sfide” ancora più complesse per la NATO. “I paesi dell’Alleanza dovranno riconciliare il loro ruolo tradizionale con le necessità strategiche rappresentate dalle crisi economiche, dalla competizione per le risorse dell’Artico e dal risorgere di Russia e Cina”, scrive in un rapporto presentato il 27 marzo a Bruxelles nel corso di un incontro con oltre 300 ricercatori e studiosi sui temi della “sicurezza transatlantica”. “Una possibile dissoluzione della zona euro, un grande evento speculativo nei circoli finanziari, potrebbero avere un impatto significativo sulla sicurezza e la difesa europea”.

Fronteggiare queste minacce “globali” richiederà partenariati di vasta portata ed una forte sinergia tra la NATO e l’Unione Europea, conclude il centro di studi olandese. E la posta in gioco non permetterà né tentennamenti né astensioni di sorta. Per questo a Bruxelles si lavora per emendare la Carta costitutiva dell’Alleanza Atlantica che ha consentito sino ad oggi agli stati membri di dissociarsi dal partecipare alle guerre con cui si è in disaccordo.

La decisione di festeggiare il sessantesimo anniversario dell’organizzazione militare proprio a Strasburgo, sede del Parlamento europeo, punta a simbolizzare la conclusione del primo atto del processo di condivisione di programmi, strategie ed interventi in campo politico e militare della NATO e dell’Unione europea. Quello che è stato sino ad oggi un fidanzamento, il 4 aprile 2009 si trasformerà in vero e proprio matrimonio, ospiti d’onore gli alti comandi di Washington e Bruxelles e buona parte dei capi di stato dei 27 paesi dell’Unione, 21 dei quali fanno già parte della NATO, mentre cinque dei sei che ne restano fuori (Austria, Finlandia, Irlanda, Malta e Svezia) sono membri del programma “Partenariato per la Pace ” dell’Alleanza Atlantica.

Per il secondo atto del connubio NATO-UE è già pronta una sceneggiatura. “ La NATO e l’Unione europea dovrebbero focalizzarsi sul rafforzamento delle loro capacità fondamentali, sull’incremento dell’interoperabilità e sul coordinamento di dottrina, pianificazione, tecnologie, equipaggiamento e addestramento”, scrive su Nato Review, Adrian Pop, decente della National School for Political Studies di Bucarest, Romania. Per il professore Pop la cooperazione NATO-UE deve divenire “la spina dorsale di una forte comunità euro-atlantica”, per “combattere il crimine organizzato, il traffico di droga, delle armi leggere e di piccolo calibro, come pure quello di esseri umani”.

I Balcani possono essere il teatro dove sperimentare nuove pratiche interattive. Del resto è questa la regione dove è più antica la partnership NATO-UE. Nel febbraio 2001, al culmine del conflitto scoppiato nella ex repubblica jugoslava di Macedonia tra la comunità albanese e le forze di sicurezza interne, furono proprio la NATO e l’Unione a coordinare i negoziati tra le parti che sei mesi più tardi sfociarono nell’accordo di Ohrid. Contemporaneamente la NATO avviò una vasta operazione per disarmare gli insorti albanesi che si protrasse sino al marzo 2003, quando le truppe dell’alleanza militare furono sostituite da una task force battente bandiera UE (“Operazione Concordia”). A Skopje continuò ad operare un piccolo quartier generale della NATO per assistere le autorità macedoni e i militari dell’Unione.

Nel dicembre 2004, un passaggio di consegne similare si è verificato nella vicina Bosnia Erzegovina: dopo nove anni di presenza IFOR-SFOR, la NATO passò il testimone all’Unione europea, che immediatamente dette avvio all’operazione Althea, forte di 6.000 uomini. Lo stesso sta accadendo in questi ultimi mesi nel Kosovo tutt’altro che pacificato: la Kosovo Force (KFOR), la sola autorizzata dalle Nazioni Unite con la risoluzione 1244 del 1999, sta trasferendo il comando delle fallimentari operazioni di controllo del territorio alla missione europea denominata EULEX.

Altra area geografica dove NATO ed UE fanno coppia fissa e si scambiano le flotte armate è il Golfo di Aden, nell’ambito della crociata mondiale contro i pirati che minacciano mercantili e petroliere (per la task force “EUNAVFOR Atalanta”, si tratta del primo intervento “out-of-area” dell’Unione).

“Anche l’Afghanistan rappresenta un’opportunità per un’accresciuta cooperazione NATO-UE”, scrive ancora il rumeno Adrian Pop. “Il paese ha disperatamente bisogno di più polizia, giudici, ingegneri, operatori umanitari, consulenti per lo sviluppo ed amministratori. L’Unione europea dispone di tutte queste risorse, non altrettanto avviene per i soldati della pace della NATO”.

Nel novembre 2006 la Commissione europea ha approvato 10,6 milioni di euro per favorire la distribuzione in Afghanistan di “servizi e una migliorata governabilità attraverso i Gruppi di ricostruzione provinciale (PRT), guidati dalla NATO”. Analoghe forme collaborative starebbero per essere avviate in Iraq, paese dove la NATO è l’attore principale nella gestione dei “programmi di formazione” delle nuove forze armate locali, avvalendosi in particolare del “Defence College” di Roma.

Il 12 giugno 2008, l’ex ministro della difesa britannico e Segretario generale della NATO dal 1999 al 2004, George Robertson, e l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina dal 2002 al 2006 ed oggi braccio destro di Javier Solana alle Politiche estere e di difesa dell’Unione Europea, Paddy Ashdown, dalle colonne del Times hanno chiesto un colpo di acceleratore in vista della formazione di “gruppi di combattimento” e di pronto intervento UE, che siano “compatibili con la forza di risposta rapida della NATO” e facciano da base “di una nuova struttura europea di contro-guerriglia capace di operare negli Stati in dissoluzione ed in teatri post-bellici”.

La NATO Response Force (NRF) - con più di 25.000 uomini appartenenti alle forze terrestri, di mare e aree dell’Alleanza - è stata attivata per la prima volta a fine 2005 per intervenire “umanitariamente” in Pakistan dopo un violento terremoto. Nell’estate 2006, d’avanti agli osservatori di mezzo mondo, la NRF ha realizzato la prima grande esercitazione di dispiegamento a Capo Verde ( Africa occidentale). Oggi uno dei suoi maggiori centri operativi funziona da Solbiate Olona (Varese).

A Bruxelles si lavora adesso per rendere il più possibile complementari l’organizzazione e le azioni delle due grandi forze di pronto intervento e “first strike”. Il primo passo sarà quello di standardizzare tecnologie e apparati di guerra di NATO e UE, tema all’ordine del giorno del summit di Strasburgo che però potrebbe generare causare nuove tensioni tra gli Stati partner.

Una insanabile frattura si è consumata in ambito NATO solo qualche mese fa con la scelta d’insediare nella base siciliana di Sigonella il centro di comando AGS (Alliance Ground Surveillance), il nuovo sistema di sorveglianza terrestre alleato che per imposizione di Washington vedrà l’utilizzo di aerei senza pilota Global Hawk di esclusiva produzione USA.




Il grande gioco geopolitico: la Turchia e la Russia si avvicinano
di F. William Engdahl - www.globalresearch.ca - 26 Febbraio 2009
Traduzione di Manuel Zanarini

Nonostante i problemi del rublo e il ribasso del prezzo del petrolio, che hanno colpito l’economia russa nei mesi scorsi, il governo russo continua a essere molto attivo nell’attuare strategie di politica estera. I suoi sforzi sono concentrati nel controbattere i tentativi della NATO di accerchiamento, strategia centrale nella politica di Washington, attraverso operazioni diplomatiche attorno ai confini europei della Russia. Approfittando del raffreddamento delle relazioni tra gli Stati Uniti e la Turchia, storico membro della NATO, Mosca ha invitato il presidente turco, Abdullah Gul, a un incontro di quattro giorni per discutere di future cooperazioni strategiche, sia economiche che politiche, tra i due paesi.

In aggiunta alle aperture verso la Turchia, una zona di transito cruciale per il gas naturale diretto verso l’Europa Occidentale, la Russia sta anche lavorando alla firma di un accordo economico con la Bielorussia e altre ex repubbliche sovietiche, per rinforzare l’alleanza tra le parti. Mosca aveva già inflitto un grosso colpo al tentativo di accerchiamento militare, messo in atto da parte degli Stati Uniti in Asia Centrale, quando, all’inizio di febbraio, ha convinto il Kirghizistan, dietro l’erogazione di ingenti aiuti finanziari, a chiudere la base militare statunitense nel Manas, cosa che ha inciso pesantemente sui piani di Washingotn per l’espansione del conflitto in Afghanistan. In pratica, Mosca si sta mostrando molto attiva nel nuovo “grande gioco geopolitico” in atto per il controllo dell’Eurasia.

Relazioni più strette con la Turchia


Il governo del Primo Ministro Recep Erdogan ha mostrato una crescente insoddisfazione non solo nei confronti della politica di Washington nel Medio Oriente, ma anche verso i continui ritardi da parte dell’Unione Europea di considerare seriamente l’adesione ad essa della Turchia. In questa situazione, è ovvio che la Turchia cerchi di trovare un contrappeso all’influenza che gli Stati Uniti hanno esercitato sulla sua politica, fin dai tempi della Guerra Fredda. La Russia di Putin e Medvedev non ha alcun problema a intavolare trattative a riguardo, tra la preoccupazione di Washington.


Il Presidente turco Abdullah Gul ha effettuato un viaggio di 4 giorni nella Federazione Russa, tra il 12 e il 15 febbraio scorso, nel corso del quale si è incontrato col Presidente russo Dmitry Medvedev e col Primo Ministro Vladimir Putin; inoltre, si è recato anche a Kazan, la capitale della Repubblica russa del Tatarstan, per discutere di affari da realizzare in quella zona. Il presidente Gul era accompagnato dal Sottosegretario al commercio estero, dal Ministro dell’energia e da un’ ampia delegazione di uomini d’affari turchi. Successivamente, si è unito alla delegazione anche il Ministro degli Esteri, Ali Babacan.

Visita allo Tatarstan


Il fatto che il viaggio di Gul a Mosca abbia incluso una tappa nello Tatarstan, la più estesa repubblica autonoma della Federazione Russa, la cui popolazione è composta per la maggior parte da Tartari turchi musulmani, è un segnale di quanto le relazioni tra Ankara e Mosca si siano fatte più strette negli ultimi mesi, in corrispondenza del raffreddamento di quelle con Washington. Negli anni passati, Mosca era convinta che la Turchia volesse diffondere il “panturanismo” nel Caucaso, nell’Asia Centrale, e all’interno dei confini della Federazione Russa, cosa che le creava grosse preoccupazioni. Oggi, evidentemente, le relazioni tra la Turchia e le popolazioni di origine turche che si trovano all’interno della Federazione Russa, non sono più viste con sospetto, come prima, dato che conferma un nuovo sentimento di fiducia reciproca.
La Russia ha elevato lo status del viaggio di Gul da “visita ufficiale” a “visita di stato”, il grado più alto del protocollo ufficiale, indicando la nuova considerazione che Mosca riserva alla Turchia.

Gul e Medvedev hanno firmato una dichiarazione congiunta, con la quale si impegnano ad approfondire l’amicizia reciproca e la cooperazione multi-dimensionale tra i due paesi. La dichiarazione rispecchia una precedente “Dichiarazione unitaria di intensificazione di amicizia e collaborazione multidimensionale”, siglata nel 2004, durante una visita dell’allora Presidente Putin.
Le relazioni economica tra Russia e Turchia si sono molto espanse nel corso dei decenni passati, con un volume di affari che ha raggiunto i 32 miliardi di dollari nel 2008, facendo diventare la Russia il primo partner commerciale della Turchia.

Partendo da tali precedenti, l’intensificazione della collaborazione economica si trova al centro dell’agenda di Gul, ed entrambi i leaders hanno espresso soddisfazione per l’aumento degli scambi commerciali tra i due paesi.
La parte principale dei rapporti è rappresentata dalla collaborazione in tema energetico. Le importazioni turche di gas e di petrolio dalla Russia costituiscono la maggior parte degli scambi tra i due paesi.

La stampa russa riferisce che entrambe le parti sono interessate a intensificare la cooperazione per quanto riguarda il trasporto di gas russo verso i mercati europei, facendolo passare dalla Turchia, secondo il progetto denominato “Blue Stream-2”. Originariamente, Ankara era piuttosto fredda rispetto tale idea; ma il recente completamento del gasdotto russo “Blue Stream”, che corre sotto il Mar Nero, ha aumentato la dipendenza della Turchia dal gas naturale russo, portandola dal 66% al 80%; inoltre, la Russia sta cominciando a guardare alla Turchia come a una zona di transito per le proprie risorse energetiche, piuttosto che solo come a un mercato dove esportare prodotti, e da qui nasce la volontà di realizzare il progetto “Blue Stream-2”.


Alla Russia preme anche svolgere un ruolo importante nella politica turca volta a diversificare i suoi approvvigionamenti energetici. Un consorzio a guida russa ha recentemente vinto un appalto per la costruzione della prima centrale nucleare in Turchia; ma, dato che il prezzo offerto fosse più alto di quelli standard a livello mondiale, il destino del progetto, in attesa dell’approvazione parlamentare, resta oscuro. Prima del viaggio di Gul in Russia, il consorzio aveva presentato una nuova offerta, abbassando la cifra del 30%. Se la nuova proposta fosse considerata valida, a norma del bando di appalto, questo significherebbe che il governo turco ha ora la volontà di procedere col progetto.

Il mercato russo, inoltre, svolge un ruolo molto importante per gli investimenti e le esportazione turche oltremare; infatti, la Russia rappresenta il mercato principale per le aziende costruttrici e per le esportazioni turche. Al contempo, milioni di turisti russi portano annualmente denaro fresco nelle casse turche. Cosa ancora più importante, i due paesi potrebbero decidere di cominciare a usare la “lira turca” e il “rublo russo” per i commerci tra di loro, riducendo fortemente la loro dipendenza dal dollaro.

Ridotte le tensioni post-Guerra Fredda


Il messaggio principale lanciato dalla visita di Gul è stato la volontà di intensificare le relazioni politiche tra i due paesi; infatti, entrambi i leaders hanno dichiarato che essendo la Turchia e la Russia i maggiori paesi della regione, una cooperazione tra loro è fondamentale per la pace e la stabilità dell’intera area. Questo nuovo atteggiamento segna una svolta notevole rispetto alla situazione degli anni ’90, successivamente al collasso dell’Unione Sovietica, quando Washington faceva pressioni su Ankara affinché agisse sulle regioni storicamente appartenute all’Impero Ottomano dell’area, per contrastare l’influenza della Russia.

Durante gli anni ’90, in palese contrasto con la calma della Guerra Fredda, era normale parlare di rivalità o di scontri regionali, rianimando il “Grande Gioco” in Eurasia, all’interno del Caucaso e dell’Asia Centrale.
La Turchia era diventata la naturale rivale geopolitica della Russia nel corso del XIX Secolo. La quasi alleanza tra Turchia, Ucraina, Azerbaijan e Georgia, spingeva Mosca, fino ai tempi recenti, a vedere Ankara come un formidabile avversario. L’equilibrio militare regionale volse a favore della Turchia nelle zone del Mar Nero e del Caucaso Meridionale; infatti, dopo la disintegrazione dell’ URSS, il Mar Nero divenne “de facto” un “lago della NATO”.

Come dimostra la soluzione della controversia tra Russia e Ucraina riguardo la divisione della flotta del Mar Nero e lo status di Sebastopoli, il Mar Nero è diventato una zona per le esercitazioni della “Alleanza per la Pace” della NATO.
Invece, al termine della sua ultima visita a Mosca, Gul ha dichiarato che “Russia e Turchia sono paesi vicini, i quali stanno sviluppando le reciproche relazioni sulla base della mutua fiducia. Spero che la mia visita contribuisca a instaurare questo genere di rapporto”; mentre, la Russia ha lodato le iniziative diplomatiche messe in atto dalla Turchia nella regione. Lo stesso Medvedev ha apprezzato la proposta della Turchia, durante la guerra russo-georgiana della scorsa estate, volta a dar vita ad un “Patto di stabilità e cooperazione per il Caucaso”.

Il Presidente russo ha detto che la crisi in Georgia ha mostrato che la situazione nell’area è già in grado di degenerare senza l’intromissione di forze esterne, riferendosi ovviamente a Washington. La Turchia ha proposto il “Patto” bypassando Washington, senza cercare il consenso transoceanico sulla questione russa; da allora, ha manifestato l’intenzione di perseguire una politica estera più indipendente.

L’obiettivo russo è di sfruttare le risorse energetiche per contrastare l’accerchiamento in atto da parte della NATO, partito dalla decisione di Washington di posizionare postazioni missilistiche e basi radar in Polonia e in Repubblica Ceca, minacciando Mosca.

Anche l’amministrazione Obama ha dichiarato di voler proseguire con la “politica difensiva missilistica” di Bush; tanto che Washington ha installato missili Patriot in Polonia, ovviamente non rivolti verso la Germania, ma verso la Russia.
Subito dopo il viaggio di Gul, alcuni giornali turchi hanno descritto la relazione russo-turche come una “collaborazione strategica”, termine solitamente usato per i rapporti tra Turchia e Stati Uniti.

Per ricambiare la visita di Gul, Medvedev si recherà in Turchia per proseguire concretamente sul percorso della cooperazione. Le nuove relazioni tra Russia e Turchia sono la dimostrazione che la maggior parte del peso degli Stati Uniti in Eurasia è stato perso a causa delle recenti scelte statunitensi in politica estera, riguardo quella regione.
Washington sta vivendo il “peggiore degli incubi” descritto da Sir Halford Mackinder. Il padre della geopolitica britannica del XX Secolo, ha più volte sottolineato l’importanza per la Gran Bretagna, e per gli Stati Uniti dopo il 1945, di impedire la cooperazione strategica tra le grandi potenze dell'Eurasia.