martedì 16 febbraio 2010

Grecia-UE: default o lacrime e sangue?

Torniamo a parlare della pesante situazione in cui versano i conti pubblici della Grecia e di ciò che si sta muovendo alle sue spalle.

Ieri il commissario UE agli affari economici Olli Rehn ha ribadito che la Grecia deve "prendere in tempo misure aggiuntive per raggiungere l'obiettivo della riduzione del suo deficit di 4% del Pil nel 2010".

Affermazione confermata dal presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker che ha dichiarato "Saranno chieste misure addizionali per la Grecia se i rischi legati al disavanzo si concretizzeranno, vanificando l'obiettivo della riduzione del 4% del deficit nel 2010. Una prima valutazione sarà fatta il 16 marzo 2010''.

Mentre dal suo canto il premier greco George Papandreou ha sottolineato ancora una volta che "La Grecia non ha chiesto aiuti nè all'Ue nè alla comunità internazionale, perchè intende risolvere da sola i suoi problemi. Quello che cerchiamo è un appoggio politico dall'Europa e un fermo impegno all'unità europea".

Un po' come chiedere la luna...


"Wall Street ha aiutato a truccare i conti pubblici"
di Federico Rampini - La Repubblica - 15 Febbraio 2010

Inchiesta del New York Times sul ruolo giocato da Goldman e JP Morgan. Ombre anche sull'Italia

La Grecia ha truccato i conti pubblici e ha ingannato per anni l'Europa con l'aiuto dei "soliti noti": Goldman Sachs e altri colossi di Wall Street. Lo rivela il New York Times in un'ampia inchiesta che getta nuove ombre sulla credibilità della Grecia, proprio mentre l'Eurozona è alle prese con i piani per il suo salvataggio.

L'inchiesta dimostra che gli stessi metodi usati da Wall Street per creare la bolla speculativa dei mutui subprime sono stati replicati con le finanze pubbliche della Grecia e di altri paesi europei, Italia inclusa.

Grecia e Italia vengono citate fra quei Paesi i cui governi hanno fatto ricorso alla consulenza delle grandi banche americane (Goldman Sachs e JP Morgan Chase) per delle operazioni di "chirurgia estetica" che hanno dissimulato la vera entità dei deficit pubblici.

Un ruolo perverso spetta ai titoli derivati: quanto hanno nascosto, e quanto nascondono tuttora, dell'indebitamento di alcuni Stati sovrani?

Il caso greco domina le rivelazioni, creando un serio imbarazzo al governo di Georgios Papandreou ma anche ai suoi interlocutori di Bruxelles, Berlino e Parigi alle prese col rischio di crac sovrano di uno Stato membro dell'Eurozona.

Decine di interviste documentano un inganno andato avanti a lungo, "dieci anni di menzogne della Grecia" che hanno gettato fumo negli occhi della Commissione europea e hanno consentito ad Atene di aggirare il Patto di stabilità.

Uno dei "montaggi finanziari" escogitati da Goldman Sachs "ha nascosto alle autorità di Bruxelles miliardi di debiti". Fino all'ultimo, poco prima che le convulsioni della crisi greca esplodessero alla luce del sole, sull'asse Atene-Wall Street si è tentato di barare.

A novembre una delegazione di altro livello della banca americana è arrivata ad Atene per discutere una nuova possibilità di guadagnare tempo. La missione era guidata da Gary Cohn, presidente di Goldman Sachs.

I maghi della finanza avevano in mente un nuovo dispositivo per far scivolare i costi attuali della sanità pubblica greca "sui bilanci di anni molto lontani". Un po' come, in America, le banche rifilavano dei nuovi mutui ai proprietari di case sommersi dai debiti. Il trucco aveva funzionato in precedenza.

Nel 2001, subito dopo l'ammissione della Grecia nell'Unione monetaria, la stessa Goldman Sachs aveva assistito il governo di Atene nel reperire miliardi sui mercati. Quel finanziamento del debito pubblico fu nascosto nei bilanci, grazie a un montaggio che la trasformava in un'operazione sui cambi anziché un prestito.

Nel novembre 2009 il tentativo fallì: troppo tardi, forse. L'attenzione dei mercati e della Commissione europea deve aver sconsigliato l'ennesimo trucco.

Il New York Times specifica che i derivati hanno svolto un ruolo chiave in questa vicenda. Scrive che "gli strumenti finanziari elaborati da Goldman Sachs, JP Morgan Chase e altre banche, hanno consentito ai leader politici di mascherare l'indebitamento aggiuntivo in Grecia". E con "l'aiuto della JP Morgan l'Italia ha fatto di più. Nonostante persistenti alti deficit, un derivato del 1996 ha aiutato l'Italia a portare il bilancio in linea".

In decine di montaggi finanziari, rivela l'inchiesta, "le banche fornivano liquidità immediata ai governi in cambio di rimborsi futuri, e questi debiti venivano omessi dai bilanci pubblici". Un esempio: la Grecia rinunciò ai proventi della lotteria nazionale e delle tasse aeroportuali per anni a venire, in cambio di una liquidità immediata.

Questo genere di operazioni non sono state contabilizzate come dei prestiti. Ingannando così sia le autorità di Bruxelles, sia gli investitori in titoli del debito pubblico greco, che ignoravano la vera dimensione dell'indebitamento e quindi il rischio d'insolvenza. Come un tocco di ironia alcuni dei montaggi finanziari furono battezzati coi nomi di dèi dell'Olimpo, come Eolo.

Secondo l'economista Gikas Hardouvelic "i politici vogliono passare la patata bollente a qualcuno, se un banchiere gli dimostra come farlo, lo fanno". Sulla stessa lunghezza d'onda Garry Schinasi, esperto della task force di vigilanza sui mercati all'Fmi: "Se un governo vuole imbrogliare, ci riuscirà".

Le banche hanno fornito il know how, e si sono fatte compensare: per il montaggio del 2001 Goldman Sachs ricevette una commissione di 200 milioni di dollari dalla Grecia. Quell'operazione fu un "swap sui tassi d'interesse": uno strumento che può servire a coprirsi da un rischio di variazione dei tassi, ma può anche essere usata a fini speculativi.

Essa consente a un investitore o a uno Stato di convertire un debito a tasso variabile in uno a tasso fisso, o viceversa. Analogo è lo "swap di valute" che serve a proteggersi contro una variazione nei tassi di cambio, oppure a speculare su futuri scossoni tra le monete. Infine la "chirurgia estetica" sui conti greci ha ipotecato aeroporti e autostrade, mettendo i loro proventi nelle mani dei creditori per molti anni futuri.

Il problema che emerge dalle rivelazioni del New York Times riguarda i danni alla trasparenza dei bilanci pubblici. "Il peccato originale dell'Unione monetaria - conclude l'inchiesta - è che Italia e Grecia vi entrarono con deficit superiori ai livelli consentiti dal Trattato di Maastricht. Anziché ridurre la spesa, però, i governi tagliarono artificialmente i deficit con l'uso di derivati. E i derivati, in quanto non appaiono ufficialmente nei bilanci, creano un'ulteriore incertezza". I campanelli d'allarme non sono mancati.

Già nel 2008 Eurostat, l'istituto statistico di Bruxelles, aveva attirato l'attenzione sulle operazioni di "cartolarizzazione" dei debiti pubblici "montate ad arte per ottenere un certo risultato sui conti pubblici".

Ancora prima, nel 2005, l'allora ministro delle Finanze greco Georgios Alogoskoufis, avvertì che l'operazione fatta con l'assistenza di Goldman Sachs avrebbe "appesantito i conti pubblici con pagamenti fino al 2019".

In un giro perverso di transazioni, alcuni di quei titoli sono stati perfino usati dalla Grecia come "garanzie" in deposito alla Bce. Per il contribuente tedesco, che adesso dovrebbe finanziare il salvataggio, la diffidenza è più giustificata che mai.


Il fattore G
da http://bamboccioni-alla-riscossa.org - 13 Febbraio 2010

I tempi cambiano, e i tormentoni pure. Una volta si diceva: speriamo di non fare la fine dell’Argentina. Oggi gli italiani fanno corno e bicorno, e ripetono: speriamo di non finire rovinati come la Grecia.

Grecia che, in effetti, si ritrova in un mare di guai: ad Atene, il debito pubblico sta letteralmente esplodendo; e con i debiti stanno esplodendo anche le proteste di piazza. Una situazione caotica.

Tanto caotica, che questa settimana i giornali di mezzo mondo - dal blasonato “New York Times” al nostrano “Corriere della Sera” - si chiedevano in coro se e quando sarebbe arrivato il momento del “sipario”, cioè del fallimento. Dubbio, per carità, atroce e legittimo. Ma che sarebbe stato bene accompagnare con una domanda davvero indispensabile.

Ovvero: chi - e soprattutto come - sta “scomettendo” sul fallimento della Grecia?

Una domanda fondamentale. Perché - per dirla con una metafora - se non si conoscono i giocatori, è impossibile capire a che gioco si stia giocando.

Spieghiamoci ancora meglio. Il premier greco, George Papandreou, con toni da tragedia greca, giorni fa ha gridato al complotto. Dicendo urbi et orbi che chi colpiva il suo Paese, mirava più in alto: voleva - in realtà - distruggere l’euro.

Addirittura? Addirittura. E chi è che aveva in mente ’sto po’ po’ di piano? “Interessi politici e finanziari”. Parola di Papandreou. Nomi e cognomi? Ovviamente, nessuno.

Ma il riferimento era ad ambienti della Finanza anglosassone (Londra e agli Stati Uniti), notoriamente euroscettici (pro domo eorum). Finanza anglosassone che starebbero appunto complottando contro la moneta unica.

Ah, i complotti. Sempre dannatamente intriganti. Sempre affascinanti.

E allora - visto che sono così intriganti e affascinanti - perchè non proviamo a disegnarne più d’uno? Partiamo sempre da alcuni fatti accaduti nelle ultime settimane. Settimane in cui l’interesse sui titoli di stato greci sono saliti (rendendo più difficile alla Grecia finanziare il proprio debito); le voci sul fallimento di Atene si sono moltiplicate; e l’euro è crollato (rispetto al dollaro).

Bene. Cui prodest?

Per esempio potrebbe essere stata - così, tanto per dire - non la Finanza anglosassone, ma la Germania ad architettare tutto. Perché? Perché Berlino vive di esportazioni (fino al 2009 era il primo Paese esportatore al mondo); e con un euro debole, può esportare meglio. Non solo. Ma Berlino - che è la prima economia europea - è anche in pole position per pagare i debiti accumulati da Atene.

E allora che fa? Spaventa a morte i greci con la spada di Damocle del default e li convince, con le cattive, ad accettare tagli alla spesa pubblica draconiani. Risultato: due piccioni con una fava: ci si guadagna di più (con le esportazioni) e non si pagano i debiti altrui. E vissero tutti (i tedeschi, s’intende) felici e contenti. Un piano perfetto.

Sta (più o meno) in piedi, no? Ma si può fare anche di meglio. Perché il complotto potrebbe essere stato ordito - udite udite - anche da Atene, dove il povero Papandreou si trova ad avere a che fare con un’opinione pubblica furibonda che non ne vuol sapere di tagli e sacrifici. E allora?

E allora Papandreou - che tra l’altro è nato negli Stati Uniti e ha studiato ad Harvard e Londra - è una vecchia volpe. E così pensa bene di farsi dare una mano da “amici” dell’Alta finanza anglosassone che mettono in giro voci di un imminente default della Grecia, e cominciano a produrre numeri su numeri per dimostrare che un crac di Atene potrebbe minare la salute dell’intera economia europea.

Tutti i giornali ripetono questa storiella (cosa che di fatto è accaduta). E i tedeschi si spaventano talmente tanto che alla fine mettono subito mano al portafoglio. E pagano senza fiatare i conti più urgenti della Grecia. I banchieri ci guadagnano il loro. E la Grecia può evitare di tagliare tutto il tagliabile. Per la gioia di Papandreou.

E si potrebbe andare avanti, formulando ipotesi e scenari ancora più fantasiosi. Per la semplice ragione che non sappiamo esattamente chi ha fatto cosa. Cioè non sappiamo esattamente chi ha “scommesso” contro la Grecia.

E a ben vedere, il problema sta tutto lì. Ossia nell’opacità dei mercati. Opacità che di fatto non permette di conoscere il nome e cognome degli operatori finanziari che stanno facendo tremare Atene (il quotidiano “La Stampa”, per esempio, ha riferito boatos su “molti hedge fund ma anche grandi banche americane ed europee”; ma non è riuscita ad andare oltre).

Opacità che - a volte - maschera pesanti conflitti di interessi. Opacità che ha a lungo tenuto nascosto, in questa tragedia greca, anche “il fattore G”. Come Goldman Sachs.


Grecia, Goldman e...Prodi. Le domande che nessuno pone
di Marcello Foa - www.ilgiornale.it - 15 Febbraio 2010

Grazie al New York Times ora sappiamo che dietro la crisi greca, ci sono ancora una volta le grandi banche di Wall Street, secondo le stesse modalità che hanno provocato il terremoto dei subprime e il fallimento della Lehman: una truffa contabile realizzata con i derivati (potete leggere una sintesi della notizia in italiano qui .

E chi sono le banche coinvolte? La solita Goldman Sachs, vera regina di Wall Street, da cui ranghi sono usciti ben due segretari al Tesoro (Rubin e Paulson) e JP Morgan Chase, che come spiega Massimo Gaggi, è da sempre la banca più vicina al governo americano ed è, ricordiamolo, l’istituto del banchiere più potente della storia degli Usa, David Rockefeller, nonché cantore della globalizzazione finanzaria.

Mi chiedo: quand’è che le autorità di controllo si decideranno ad indagare a fondo su Goldman e Jp Morgan Chase? Se esaminiamo la storia recente della finanza internazionale, scopriamo sovente Goldman e lo stesso Rockfeller hanno avuto un ruolo importante, talvolta di lobby per orientare leggi in una certa direzione, talaltra a fini di lucro, come dimostra la vicenda greca.

L’impressione è che questi stessi protagonisti abbiano creato un sistema di alleanze e connivenze che gli permette di esercitare un’influenza enorme, evitando contestualmente guai giudiziari. E forse, anche controlli e indagini credibili sulle loro attività.

Anche in Italia. Dall’articolo del New York Times emerge che anche il nostro Paese nel 1996 è ricorso a trucchetti contabili simili a quelli greci. E chi era a Palazzo Chigi allora? Romano Prodi, ex consulente di Goldman Sachs. E chi era il direttore generale del Tesoro? Mario Draghi, che di Goldman Sachs è diventato consulente qualche anno dopo.

E forse sarebbe il caso che lo stesso Prodi chiarisse finalmente i suoi rapporti con lo stesso Rockefeller, che oltre ad essere un banchiere, ha fondato il Club internazionale dei potenti, il Bilderberg. Prodi divenne a sorpresa presidente della Commissione Ue un anno dopo essere stato ammesso nel Bilderberg. Solo una coincidenza ?

E che ruolo hanno avuto Tommaso Padoa Schioppa, nonché lo stesso Draghi, nello scandalo Easy Credit, che consentì a, guarda caso, Goldman Sachs, Jp Morgan Chase e Citigroup, una truffa ai danni dello stato per 600 milioni di euro?

Di quell’inchiesta non si è più saputo nulla… ma a Goldman Sachs il governo italiano ha continuato ad affidare l’emissione di global bonds per miliardi di euro

Sono queste le domande a cui bisognerebbe dar risposta. E che invece vengono ignorate. E credo che, in Italia, i primi a pretendere un chiarimento debbano essere gli elettori di sinistra che, in buona fede, hanno dato fiducia proprio a Prodi, a Padoa Schioppa e che oggi, con una certa ingenuità, si commuovono ascoltando Draghi.

O sbaglio ?


Si salvi chi può, anche l'Italia è avvertita. Euro a rischio crac
di Moreno Pasquinelli - http://sollevazione.blogspot.com - 13 Febbraio 2010

A quale prezzo la Banca centrale europea potrà salvare la Grecia

Giovedì 11 febbraio si è svolto a Bruxelles un “anomalo” Summit dell’Unione Europea con all’ordine del giorno la questione della gravissima crisi greca. Anomalo, visto che, a parte il primo ministro ellenico Papandreu, mancavano quasi tutti i capi di governo.

Presenti invece i soci di maggioranza di Eurolandia Spa, quelli che contano davvero, i carolingi Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, ovviamente accompagnati dali loro cani da guardia, il capo della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet e il presidente della Commissione Barroso.

I convenuti al capezzale di Atene, con grande disappunto di Papandreu, hanno deciso che L’Unione Europea, malgrado la situazione di pre-default della Grecia, non tirerà fuori un soldo per salvare questo paese. Decisione apparentemente sorprendente, visto che l’eventuale default di Atene non solo è imminente, ma rischia di travolgere l’Euro.

Al contrario è tutto molto chiaro: i padroni dell’Europa aiuteranno il moribondo capitalismo ellenico solo a condizione che il governo, entro l’anno in corso, riduca il disavanzo (rapporto deficit-Pil) di 4 punti rispetto all’attuale 12,7%.

Cioè a condizione che venga applicata una impressionante cura da cavallo di cui a farne le spese saranno ovviamente le masse popolari. Non bastano affatto, a tedeschi e francesi, le misure di tagli alla spesa prontamente annunciate da Atene. Lo ha fatto chiaramente capire Jean-Claude Juncker: “...non potremo stanziare denaro sino a che il piano greco non apparirà credibile”, ovvero sufficientemente draconiano.

Mario Draghi, che non era presente al Summit, ha condiviso queso ricatto. Nel suo discorso al convegno di Napoli del 13 febbraio ha fatto eco ai suoi compari d’oltralpe: “La Grecia deve tirarsi da sola fuori dai guai; lo possiamo dire noi italiani, che nel 1992 eravamo in condizioni molto più drammatiche e da soli ne siamo usciti”.

Draghi non dice però che l’Italia la scampò sì dal rischio default, ma solo differendolo nel tempo, predispondosi a pagare un dazio enorme all’ingresso nella zona Euro, e ammucchiando nuovo debito.

Non dice che la “piccola” differenza tra la Grecia di oggi e l’Italia del 1992 è, essendoci adesso l’Euro, Atene non ha alcuna sovranità monetaria, non può svalutare la moneta, né gli è consentito rivolgersi ad esempio alla Cina, che si è detta infatti pronta a salvare il moribondo in cambio di una equivalente porzione del sistema bancario nazionale.

Una extrema ratio a cui i greci non possono non pensare (una decisione che implicherebbe di fatto l’uscita dalla zona Euro e il ripristino della Dracma come cometa nazionale), dato che le condizioni cinesi sembrano meno capestro di quelle europee e consentirebbero di evitare il rischio serissimo di precipitare il paese in un periodo di scontro sociale dalle incalcolabili conseguenze.

L’asse carolingio o renano non ha infatti fatto altro che ricattare il governo greco. L’eventuale aiuto europeo è vincolato non solo al massacro sociale, ma ancor più alla capacità dello Stato di tenere testa alla rivolta popolare e se necessario schiacciarla senza pietà. Altrimenti che la Grecia vada pure in malora, che esca pure dall’Euro zona.

Questa posizione, apparentemente avventurista, è in realtà la scelta del “male minore”. Dove il male maggiore in agguato, ove non si tenesse duro, sarebbe il default dei “PIIGS”, e quindi il crac della traballante moneta europea.
Non siamo noi a dirlo, ma i cervelloni della finanza.

Ci riferiamo all’ultimo report di Société Generale, una delle più grandi banche dell’area Euro. Riunitisi a Parigi il13 febbraio, essi hanno detto che qualunque piano di salvataggio dell’economia greca saranno solo “cerotti” per coprire le debolezze strutturali della moneta europea. Albert Edwards, stratega di Soc. Gen. ha detto senza peli sulla lingua che il crac dell’euro ci sarebbe anche in caso di aiuto alla Grecia.

Peter Mandelson, ministro britannico dell’economia, ha detto che “Qualsiasi aiuto dato alla Grecia non farà che ritardare la rottura all’interno dell’Eurozona”. Stessa la tesi sostenuta da Mats Persson, direttore del think thank "Europe Open" . (La Stampa del 14 febbraio).

I padroni dell’Euro, ritenendo in cuor loro che il governo Papandreu non ce la farà a resistere alle pressioni e alla rivolta popolari, e che il paese balcanico entrerà in un periodo di turbolenza sociale e politica senza precedenti, hanno insomma messo nel conto l’inevitabilità del default greco e l’uscita di Atene dall’Eurozona.

Un prezzo che ritengono minore di quello che, proprio per salvare la Grecia ( e altri PIIGS) la Banca centrale si dissangiui e l’Euro ci lasci le penne.

Una vera e propria capitolazione alla speculazione finanziaria. E un minaccioso avvertimento ai paesi denominati PIIGS: se volete restare nell’Eurozona, sbrigatevi e, costi quel che costi, approntate drastici piani di riduzione del disavanzo e del debito pubblico, altrimenti farete la fine della Grecia. Anche l’Italia è stata avvertita.


Caro Tremonti, ecco cosa fare per non fallire come la Grecia
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 16 Febbraio 2010

Un po’ di chiarezza appare necessaria. Quello che sembrava un salvataggio ormai annunciato, ovvero il sacrificio dei partner europei per venire incontro alla Grecia e al suo rischio di default e contagio dell'intera eurozona, assume giorno dopo giorno sempre più i contorni di un giallo. O, peggio, di una sonora presa in giro.

Difficile che la stampa italiana, ad esempio, abbia raccontato di quanto avvenuto nello scorso fine settimana in Olanda, dove alla Tweede Kamer del Parlamentro è passata una mozione in base alla quale «non un centesimo delle tasse degli olandesi dovrà essere stanziato per salvare la Grecia». Questo anche attraverso l'Ue o altri organismi bilaterali. La Germania, poi, non dimostra maggiore apertura, nonostante Angela Merkel sia stata di fatto l'artefice dell'iniziativa europea.

Il Bundestag ha di fatto definito “illegale” il salvataggio di Atene e un sondaggio della Frankfurter Allgemeine Zeiting ha evidenziato come la quasi totalità dei contribuenti tedeschi sia contraria a ogni ipotesi di bail-out, salvataggio, poiché «appare inaccettabile l'innalzamento dell'età pensionabile per i tedeschi a fronte del finanziamento a fondo perso della Grecia, quasi i suoi cittadini possano godersi la pensione anticipata grazie alle nostre tasse». Evviva l'Europa unita!

A far capire che i guai potrebbero essere solo all'inizio ce lo fa capire l'atteggiamento della SAFE, il mega-fondo riserva cinese, che non sta scommettendo un solo yuan del suo capitale di 2,4 trilioni di dollari sulla Grecia o sul Club Med e il suo debito. SAFE è lo stesso player che scaricò bellamente le azioni di Fannie Mae e Freddie Mac quando pareva che Washington stesse per dire addio alle politiche di semi-nazionalizzazione.

Una cosa è certa: il mercato finanziario guarda affascinato a quanto sta accadendo in Europa. Anche perché, lentamente, emergono particolari allarmanti. È di ieri infatti la notizia che i partner Ue intendono chiedere chiarezza alla Grecia riguardo le sue pratiche di swap per rifinanziare il debito negli scorsi anni, rese possibili dal lavoro di Goldman Sachs, JP Morgan Chase e Morgan Stanley, i cui emissari si sono recati a più riprese ad Atene per offrire consulenze sulle meravigliose sorti e progressive degli strumenti di finanza derivata per rifinanziare quel buco nero chiamato debito.

Grazie a quei giochini, simili in parte a quelli che hanno inquinato i conti di tre quarti degli enti locali italiani, il debito greco appariva molto sotto il livello reale, permettendo quindi di non incorrere nella mannaia né delle agenzie di rating - che invece sapevano benissimo come stavano le cose, essendo pappa e ciccia con le banche d'affari che offrono quei prodotti - né dell'Unione Europea.

A denunciare l'accaduto ci ha pensato il New York Times, raccontando come l'ultima visita di emissari di Goldman Sachs, guidata nientemeno che dal presidente in persona, si sia tenuto lo scorso novembre, insomma quando i buoi erano ormai fuori dal recinto e servivano misure d'emergenza.

I contratti, estremamente complessi, si basavano di fatto su un criterio molto semplice: denaro contante a fronte di un promessa di ripagare, con gli interessi garantiti dallo swap, in futuro.

Swap è un termine inglese (letteralmente baratto, scambio) utilizzato per identificare quei contratti finanziari in cui due controparti si impegnano a scambiarsi flussi monetari in entrata o in uscita, e a compiere l'operazione inversa a una data futura predeterminata.

Il caso di scuola è quello di un ente locale, che ha contratto un mutuo di 100 miliardi tasso fisso (10%) con la Cassa depositi e prestiti, e che deve quindi pagare periodicamente degli interessi (10 miliardi l'anno).

L'operazione si rivela onerosa in seguito alle mutate condizioni di mercato, e l'ente decide quindi di legare il mutuo a un parametro di indicizzazione (un tasso del 5%) maggiorato di uno spread (un differenziale) del 5%, scommettendo su un ribasso dei tassi di interesse. Stipula così un contratto di swap con una banca, la quale garantisce il tasso fisso contro quello variabile.

Se il tasso variabile aumentato dello spread è inferiore al tasso fisso, e scende ad esempio attorno all'8%, l'ente ne ottiene un vantaggio, può ridurre le sue spese e di conseguenza il suo deficit.

Viceversa, se il mercato fa salire i tassi e l'onere complessivo schizza sopra il 10%, sarà la banca a incassare di più, e l'ente vedrà salire le sue spese e il suo deficit. Il caso può essere traslato dagli enti locali agli Stati, che si indebitano sui mercati internazionali con emissioni obbligazionarie in valuta locale o estera, sulle quali sono costrette a pagare dei tassi di interesse.

A cosa abbiano portato queste continue pratiche, è ora sotto gli occhi di tutti. Insomma, Wall Street non ha creato la crisi del debito greco ma l'ha coperta per mesi: e il timore, almeno così si paventa a Londra, è che altri paesi si siano fatti sedurre da questi contratti swap per tenere sotto controllo il debito pubblico galoppante. I nomi che circolano sono quelli di Spagna, Portogallo e Italia: ovvero, gli altri tre membri dei Pigs.

Tremonti farebbe bene a dare un'occhiata, visto che è noto a tutti che nel 1996 l'Italia ha stipulato un contratto swap con JP Morgan, un'operazione sui derivati che permise di riportare il budget in linea attraverso uno swap monetario con la banca d'affari a un tasso di cambio favorevole.

Il problema è che quel tipo di contratto, che permise al governo italiano di ottenere denaro fresco, aveva come clausola il fatto che i futuri pagamenti effettuati dall'Italia non sarebbero stati messi a bilancio come liabilities, ovvero fonte di perdita.

I derivati sono strumenti straordinari, peccato che bisogna saperli utilizzare. Ed evitare le scatole cinesi dei derivati sui derivati. Ripeto, Tremonti dia una bella occhiata a quanto fatto e pattuito in passato, a New York non mettono la mano sul fuoco sulla stabilità del debito italiano e anche l'uscita di Jean-Claude Trichet di domenica non dovrebbe farci stare troppo sereni.

La crisi greca, nei fatti, non rappresenta la fine dell'eurozona ma certamente l'inizio della fine: troppo difficile mantenere insieme economie così differenti in tempi difficili come questi, troppo forte ancora la spinta egoistica e sovrana dei vari governi a fronte di un'inconsistenza politica totale di Bruxelles. Occorre coraggio, a partire da casa nostra.

Tremonti butti l'occhio, i continui stop-and-go sull'abbassamento delle tasse, l'ipotesi di contro-finanziarie e altri allarmi - come quello di Baldassarri a Ballarò, «In cassa non c'è più una lira» - fanno pensare che a New York abbiano ragione.

Occhio a come si muoveranno i fondi e come varierà il numero di contratti contro euro e debito di Pigs e Italia al Chicago Merchantile Exchange: le prossime settimane, forse, ci diranno la verità. Non potrebbero non essere cose piacevoli da sentire.