sabato 20 febbraio 2010

La Nuova Alba irachena...

In Iraq mancano ormai circa due settimane alle elezioni per il rinnovo del Parlamento.

E ieri, consolidando la tradizione USA di conferire alle operazioni militari nomi di volta in volta persuasivi, altisonanti o rassicuranti, il presidente Barack Obama ha deciso di dare un nuovo nome alla guerra in Iraq che rifletta il disimpegno e il graduale ritiro delle truppe americane dal teatro iracheno: Operazione Nuova Alba, che sostituirà Iraqi Freedom - il nome scelto da Bush nel 2003.
Entro la fine di agosto infatti il contingente USA presente nel Paese dovrebbe essere di "soli" 50.000 uomini.

Intanto proseguono in Iraq le attività pre-elettorali con annessi i soliti attentati come quello del 5 Febbraio scorso a Kerbala che ha fatto 20 morti tra i pellegrini sciiti che festeggiavano l'Arbaeen.


A Baghdad, il sogno di unità del Paese è solo sui checkpoint
di Hamza Hendawi - Associated Press - 17 Febbraio 2010
Traduzione di Ornella Sangiovanni per www.osservatorioiraq.it

Gli slogan esprimono il sogno di unità del Paese: "L’Iraq è per tutti". A rivelare la realtà tuttavia è il posto in cui sono attaccati e dipinti con lo spray: sulle centinaia di checkpoint che suddividono la capitale.

A tre settimane da un voto nazionale decisivo, Baghdad non appare molto diversa da com'era quando il Paese si trovava sull’orlo della guerra civile, nel 2006: divisa, in preda alla paura, e sezionata da muri di cemento anti-esplosione.

La campagna elettorale non sta facendo altro che alimentare le tensioni: migliaia di manifesti e striscioni in giro per la città stimolano risentimenti confessionali potenzialmente esplosivi, con gli sciiti che dipingono i sunniti come fedeli a Saddam Hussein o ad al-Qaida, e i sunniti che raffigurano gli sciiti come oppressori della loro comunità.

Le elezioni del 7 marzo per il rinnovo del Parlamento produrranno un governo che si accollerà il compito di guidare la nazione dopo che l’ultimo soldato americano se ne sarà andato, entro la fine del prossimo anno. Dovrà mantenere la sicurezza di fronte a una rivolta che va sempre più alzando il tiro, e negoziare un accordo duraturo per la condivisione del potere fra i principali gruppi del Paese: sciiti, sunniti, e kurdi.

Fallire in uno o in entrambi i compiti farebbe precipitare di nuovo il Paese nel caos e nell’anarchia degli anni passati, e riaccenderebbe il conflitto confessionale sanguinoso del 2006-2007 che lo aveva lacerato.

Nonostante il numero degli attacchi degli insorti sia diminuito in modo spettacolare, la Baghdad di oggi offre poche rassicurazioni per il futuro.

"Le cose stanno andando di male in peggio per quanto riguarda sicurezza e servizi, perché i funzionari si preoccupano delle elezioni e dei loro interessi", dice Ali Mohsen, un impiegato statale sciita che vive nella parte est.

Dall’altra parte della città, nel distretto sunnita di A’adhamiya, Salem Khatab Mohammed, uno studente universitario, si lamenta: "Non mi sento sicuro da nessuna parte a Baghdad, con esplosioni o sparatorie che potrebbero verificarsi in qualunque momento".

Dopo una serie di devastanti attentati che a partire da agosto hanno colpito obiettivi di alto profilo nel cuore di Baghdad, le autorità hanno aggiunto altri muri anti-esplosione e checkpoint alle migliaia già esistenti. Strade principali situate nei pressi di edifici governativi e altri potenziali obiettivi sono state chiuse.

Alcuni checkpoint hanno assunto una natura permanente, con aree in cui dormono i soldati costruite accanto. Uno di questi, a sud della zona da cui si entra a Kadhimiya, un distretto sciita in cui si trovano un santuario venerato e mercati di generi alimentari e oro molto frequentati, adesso ha un’area per la perquisizione dei veicoli grande quasi quanto una piscina olimpica.

Migliaia di soldati e poliziotti pattugliano le strade 24 ore su 24, in furgoncini pick up e fuoristrada.

Temendo per la propria incolumità, molti abitanti di Baghdad sono restii ad azzardarsi a uscire dai loro quartieri dopo che fa buio, e la maggior parte delle strade si svuota entro le 9 o le 10 di sera al più tardi.

Per molti aspetti, è un ritorno ai giorni bui del massacro confessionale, quando la maggior parte dei residenti usciva di casa solo in caso di assoluta necessità, temendo gli squadroni della morte e i miliziani che prendevano di mira le persone a seconda della confessione religiosa.

Fino a oggi, interi quartieri che un tempo erano zone a rischio di esplosioni di violenza rimangono recintati da muri anti-esplosione alti quasi due metri, accessibili per lo più attraverso un solo ingresso controllato dalle forze di sicurezza. Per entrare, i conducenti delle auto sopportano tortuosamente lunghe attese, e in alcuni casi devono mostrare i documenti di identità.

Attorno alla moschea dell’Imam Abu Hanifa, nella zona nord di Baghdad, il sito più sacro per i sunniti iracheni, recentemente sono stati collocati muri anti-esplosione su cui sono scritti versetti del Corano. "Abbiate fede: solo ciò che Dio ha voluto per noi ci farà del male", dice uno dei versetti, in modo significativo.

"Quanto ancora di questa tragedia dobbiamo sopportare?", si lamenta Saleh Omran, un pensionato sunnita del distretto di al Mansour. "Abbiamo perso la nostra umanità", dice, e ammette che dopo che fa buio sta alla larga dalle zone sciite.

Ironicamente, sono i checkpoint – fra i simboli più potenti di Baghdad dall’invasione Usa del 2003 – a offrire una visione di un Paese unito, libero dalla corruzione e dal settarismo confessionale. Gli slogan messi su da soldati e poliziotti proclamano: "Fedeltà solo alla patria e al popolo", oppure: "Nessun favoritismo a spese del dovere".

In contrasto, il messaggio che arriva dai manifesti elettorali provoca divisione, e, in alcuni casi, equivale a un incitamento. Ciascuna delle parti – gli sciiti che ora dominano il governo assieme ai kurdi, e la minoranza sunnita – si descrive come oppressa dall’altra.

"Oh, Hussein, arriviamo in tuo aiuto", dichiarano i manifesti affissi dal candidato sciita Ibrahim al-Ja’afari, un ex Primo Ministro. Il riferimento è all’Imam Hussein, una figura venerata dagli sciiti, che subì il martirio nel VII secolo, in una battaglia che consolidò la scissione fra sunniti e sciiti.

Un altro dei manifesti di Ja’afari ammonisce: "Non c’è posto per il Ba’ath": un riferimento ai membri dell’ex partito di governo di Saddam Hussein. Gli sciiti spesso avvertono che il Ba’ath sta complottando per tornare al potere, mentre i sunniti accusano gli sciiti di sfruttare queste paure per tenerli fuori da qualsiasi ruolo politico.

Altri manifesti mostrano un candidato del blocco del Primo Ministro Nuri al-Maliki che punta il dito in modo minaccioso, ammonendo: "Chi vuole vedere umiliati i tiranni deve votare per il giudice Mahmoud Saleh al-Hassan" .

A oltre 440 candidati, per la maggior parte sunniti, fra i quali l’influente politico Saleh al-Mutlaq, è stato vietato di presentarsi alle elezioni da un organo di controllo guidato dagli sciiti, per sospetti legami con il partito Ba’ath. L’aspra disputa che ne è derivata ha avvelenato i rapporti fra sciiti e sunniti, sollevando interrogativi riguardo alla credibilità del voto.

Mutlaq, in una frecciata sottile diretta ai rivali sciiti, due giorni fa scherzava che i manifesti elettorali dei "ladri" erano più di quelli degli "uomini onesti". Più tardi, nella stessa giornata, il portavoce governativo Ali al-Dabbagh, che si presenta anche lui alle elezioni, ha lanciato a sua volta commenti aggressivi verso i politici sunniti, dicendo a una manifestazione elettorale che alcuni deputati del Parlamento uscente lavorano per al-Qaida.

Ad aumentare la tensione, questa settimana centinaia di sunniti infuriati sono scesi in piazza a Baghdad e nella città di Falluja per protesta, dopo che un influente parlamentare sciita, Bahaa al-Aaraji, aveva fatto commenti ritenuti offensivi verso un compagno del Profeta Maometto che i sunniti venerano ma è diffamato dagli sciiti estremisti.

I manifesti elettorali dei partiti sciiti e sunniti si trovano solo nei quartieri in cui domina l’una o l’altra confessione: un’indicazione del fatto che gli iracheni restano legati a un modello di voto confessionale.

Nei manifesti dei candidati sunniti l’asprezza non è minore.

"Non perdonerò coloro che vi hanno oppresso", promette Mahmoud al-Mashhadani, un ex presidente del Parlamento: uno slogan che i suoi sostenitori sunniti capiranno facilmente che si riferisce agli sciiti.



Chalabi: I ba'athisti come i nazisti
da Press TV - 14 Febbraio 2010
Traduzione di Ornella Sangiovanni per www.osservatorioiraq.it

Press TV: Perché ritiene che i ba’athisti siano come i nazisti?

Chalabi: Il partito Ba’ath iracheno è un partito totalitario, razzista, che ha praticato la dittatura sulla base di tattiche proprie delle società segrete, ed è basato sulla cospirazione e sulla presa del potere con la forza. Inoltre, proprio come il partito nazista, esso ha praticato il genocidio, e ucciso centinaia di migliaia di iracheni, e, proprio come il partito nazista in Germania, ha promosso la guerra come modo per risolvere le crisi e i problemi internazionali, e a causa dei crimini che esso ha commesso in Iraq.

Press TV: Secondo lei, perché Washington è stata dietro le numerose pressioni sul governo iracheno affinché venisse permesso a questi individui che sono stati affiliati al partito Ba’ath di presentarsi alle elezioni?

Chalabi: E’ spiacevole che gli Stati Uniti abbiano anteposto interessi di politica estera assai gretti alla volontà del popolo iracheno nei loro rapporti con l’Iraq. Ritengo che ciò che li muove a questo riguardo è il conflitto nei confronti dell’Iran, che continua. Pensano che la presenza dei ba’athisti nel governo e nel parlamento iracheni sarebbe una carta importante nelle loro mani per fermare il cosiddetto diffondersi dell’influenza iraniana in Iraq.

Press TV: Che giudizio dà dell’affermazione secondo cui questa mossa di escludere individui che sono legati al partito Ba’ath sarebbe stata politica?

Chalabi: Respingo questa affermazione – che l’eliminazione di quei candidati dalla corsa elettorale abbia avuto motivazioni politiche: la “Commissione di giustizia e responsabilità” applica la legge secondo la Costituzione.

Press TV: Per quanto riguarda il ruolo degli sciiti nel governo iracheno, non era questa l’intenzione degli Stati Uniti. Non hanno previsto esattamente dove sarebbe andato questo governo, vista la composizione della popolazione dell’Iraq? E, se è così, sia Stati Uniti che Arabia Saudita hanno appoggiato la mossa di rovesciare Saddam Hussein: perché quella mossa allora, e perché il cambiamento adesso?

Chalabi: Quando gli Stati Uniti decisero di dichiarare l’occupazione dell’Iraq, o di appoggiare la formazione di un governo iracheno provvisorio, [pensavano] di poter fare manovre politiche nel Paese. E io credo che gran parte di quella decisione sia stata determinata, da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna, dato che i Paesi arabi sarebbero stati contrari a un controllo provvisorio dominato dall’opposizione irachena, composta per la maggior parte dagli sciiti e dai kurdi.

Tuttavia, è stato un errore. Gli Stati Uniti non potevano cambiare la visione politica del popolo iracheno, solo perché avevano occupato il Paese, e l’unità degli iracheni ha costretto il processo di ritorno verso la sovranità e la piena indipendenza, prima attraverso la risoluzione 1546 delle Nazioni Unite, e poi attraverso accordi che sono stati fatti in seguito, ponendo fine al ruolo statunitense nella sicurezza in Iraq.

Non credo che l’Arabia Saudita appoggiasse molto il rovesciamento di Saddam. Lei deve ricordare che non ha permesso agli Stati Uniti di utilizzare il proprio territorio per ammassarvi le truppe, e per organizzare l’azione militare contro le forze di Saddam. I sauditi hanno detto che non difendevano Saddam, ma erano preoccupati per quello che sarebbe venuto dopo di lui, e credo che continuino a essere preoccupati, immotivatamente a mio giudizio, per l’attuale situazione in Iraq e le prospettive del prossimo governo.

Press TV: Guardiamo alle conseguenze, per l’Iraq e per i Paesi della regione, di un eventuale ritorno dei ba’athisti, o di un loro attivo coinvolgimento nella politica irachena: lei quale scenario prevederebbe?

Chalabi: Io vedo tornare oppressione, genocidio, e conflitto, in Iraq e nella regione, vedo una notevole perdita di vite umane in atti di oppressione politica all’interno dell’Iraq, e vedo un ulteriore spreco delle risorse irachene, e un ulteriore declino nella qualità della vita degli iracheni.



Muqtada al Sadr pubblica la "Carta d'onore" per le elezioni
da www.osservatorioiraq.it - 16 Febbraio 2010

Una “Carta d’onore” per le prossime elezioni legislative irachene. Arriva da Muqtada al Sadr, che l’ha promulgata oggi, dando a ogni candidato che si presenta un ultimatum di 10 giorni per sottoscriverla.

Nel documento viene data priorità all’indipendenza e alla libertà dell’Iraq.

“Un candidato dovrebbe impegnarsi a servire il popolo iracheno”, si legge in un comunicato pubblicato sul sito Internet dell’ufficio del leader sciita iracheno – l”Ufficio del martire al Sadr”.

Il comunicato sottolinea che i candidati non devono opporsi ai movimenti di resistenza e di liberazione: “Un candidato non dovrebbe essere strumento per promuovere ‘agende’ straniere”.



Mutlak: non boicotteremo le elezioni
da www.osservatorioiraq.it - 16 Febbraio 2010

Gli arabi sunniti non boicotteranno le prossime elezioni legislative irachene, malgrado la decisione di escludere centinaia di candidati, accusati di legami o simpatie “ba’athiste”.

L’ha detto Saleh al Mutlak, il più famoso degli esclusi, che ha sottolineato la necessità di soluzioni politiche, e si è rivolto alla comunità internazionale perché garantisca la correttezza del voto.

Parlando ieri, a un congresso di tribù convocato a Baghdad per rifiutare la decisione che lo esclude definitivamente dalle elezioni, assieme a molti altri candidati, il leader politico nazionalista (che si presentava nelle liste di Iraqiya, la coalizione che si è formata attorno all’ex premier Iyad Allawi) ha ammesso che le circostanze spingerebbero verso il boicottaggio – che tuttavia non è la soluzione, ha affermato, sottolineando che “la soluzione è un’altra”, ovvero quella politica.

Mutlak ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire. “Alla comunità internazionale dico: se non potete offrire un monitoraggio reale delle elezioni, saranno manipolate da adesso”, sono state le sue parole.

Nel suo discorso, il leader nazionalista ha scelto di utilizzare toni concilianti. “Oggi tendiamo la mano ai nostri fratelli nel processo politico”, ha detto, nonostante tutto quello che ci è successo – “e ciò affinché viva l’Iraq”.

Ha poi sottolineato che la decisione di escludere i candidati, presa dalla cosiddetta “Commissione di giustizia e riconciliazione” (la vecchia Commissione suprema di de-ba’athificazione, che ha solo cambiato nome) non serve gli interessi del processo politico, in quanto rischia di indebolire l’Iraq.

Ha inoltre messo in guardia contro l’eventualità di una reazione forte. “Tutte le opzioni difficili sono possibili”, ha detto, “se avremo la sensazione che l’Iraq sia in pericolo”.



L'Iran domina l'economia irachena
da AsiaNews.it - 16 Febbraio 2010

Il governo iracheno chiede all’Iran di rispettare con urgenza gli impegni presi nel settore della ricostruzione post-conflitto e che da un anno aspettano di essere realizzati. I progetti riguardano grandi opere: alcuni ponti, tre strade ad alto scorrimento, e una nuova città.

Il ministro per la Ricostruzione e l’edilizia, Bayan Dazaai, ha detto che l’Iraq aspetta che le ditte iraniane aprano i cantieri come previsto nel memorandum d’intesa siglato l’anno scorso tra le due nazioni a maggioranza sciita.

Ditte della Repubblica islamica sono molto attive in Iraq, dove il regime iraniano esercita una forte influenza, che non è solo politica. L'obiettivo di condizionare gli sviluppi in Iraq è motivato da un certo numero di fattori strategici, ma anche da interessi culturali e religiosi.

L’Iran è il primo partner commerciale dell’Iraq, con un volume di scambio che, secondo le previsioni per il 2010, supererà i 5 miliardi di dollari. L’influenza economica di Tehran si è tradotta in questi anni con l'invasione del mercato iracheno di merci a basso costo (soprattutto materiali per l’edilizia e macchinari). Il governo iraniano ha sostenuto il suo export pagando alle ditte esportatrici il 3% del valore del prodotto che smerciavano all’estero.

Questo ha permesso la vendita di beni iraniani al di sotto del prezzo di mercato, schiacciando la concorrenza locale e soffocandone lo sviluppo. Il settore agricolo, una volta centrale nell’economia irachena, si è impoverito proprio per l’aggressiva attività economica iraniana.

Il settore edilizio è comunque quello in cui Tehran è più attiva. Numerose società di Stato hanno investito in modo consistente nella ricostruzione post-conflitto. Nel 2008 l'Iran ha offerto un prestito di un miliardo di dollari per progetti che utilizzino in Iraq contractor e mano d'opera iraniani.

Nel febbraio 2009 l'Iran si è aggiudicato l'appalto per un progetto da 1,5 miliardi di dollari per la costruzione di un complesso di case, scuole, hotel, e negozi a Bassora.

L'edilizia in alcuni casi è strettamente legata al turismo religioso, altro campo in cui l'influenza del regime islamico è fortissima.

Diverse compagnie a partecipazione pubblica hanno investito nelle città sante di Najaf e Karbala, mete di pellegrinaggio per la comunità sciita mondiale. Il governatore di Najaf parla di 20 milioni di dollari all'anno per progetti volti a migliorare le infrastrutture. I pellegrini che ogni anno arrivano dall'Iran sono centinaia di migliaia.

Le ditte statali iraniane che operano nel settore scelgono con quali compagnie irachene entrare in affari per il trasporto, la protezione, e l'alloggio dei loro clienti. La scelta è dettata per lo più dall'affiliazione politica: quasi tutte le ditte partner sono legate a partiti iracheni molto vicini agli interessi di Tehran.

L'Iran ha investito molto anche nel settore bancario: nel 2007 ha aperto a Baghdad una filiale della banca Melli. Questa, secondo il Dipartimento Usa del Tesoro, è uno degli strumenti finanziari attraverso cui il regime islamico raccoglie materiale per il suo programma nucleare e missilistico. La banca offre anche servizi finanziari alla famigerata divisione “Quds” dei Guardiani della rivoluzione, che fornisce addestramento alle milizie irachene.

A sette anni dall'invasione americana, Tehran ha più influenza sugli sviluppi dell'Iraq del dopo Saddam di quanta mai ne abbia avuta in precedenza.


Sciopero della fame nel carcere di Bassora
da www.osservatorioiraq.it - 19 Febbraio 2010

I detenuti del carcere di Bassora hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le ''condizioni disumane'' in cui sono costretti a vivere.

La notizia arriva da Hussein Ali Hussein, seguace di Muqtada al Sadr e consigliere provinciale di Bassora, che spiega che la protesta ha preso il via ieri nella prigione di al-Minaa.

''Tutti e 600 i detenuti della prigione al-Minaa, tra cui 200 sadristi, stanno portando avanti uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di detenzione disumane'', ha detto, aggiungendo che “i detenuti chiedono la sostituzione dell'amministrazione, e l'ispezione della Croce Rossa''.

Il carcere da cui è partita la protesta è sotto il controllo del ministero degli Interni. Il sistema carcerario iracheno è attualmente diviso per competenze fra i ministeri di Giustizia, Interni, Difesa, e Lavoro e affari sociali - quest’ultimo per quel che riguarda la custodia dei minori.

Secondo una stima della Missione di assistenza all’Iraq delle Nazioni Unite (UNAMI), ci sono oltre 44 mila detenuti nelle carceri irachene.