martedì 2 febbraio 2010

L'invasione militare americana di Haiti

Una serie di articoli sulla situazione post-terremoto di Haiti, ovverossia sulla caotica e disastrosa "assistenza" internazionale e sull'efficacissima invasione/occupazione militare da parte degli Stati Uniti.

E tra poco arriverà lì anche la "nostra" portaerei Cavour...


Il sequestro di Haiti
di John Pilger - www.johnpilger.com - 28 Gennaio 2010
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da Gianni Ellena

Il sequestro di Haiti è stato rapido e grossolano. Il 22 gennaio gli Stati Uniti hanno ottenuto il “formale beneplacito” delle Nazioni Unite di impossessarsi dei porti ed aeroporti di Haiti, e di “mettere in sicurezza” le strade.

Nessun Haitiano ha firmato questo accordo, che non ha niente di legale. Regna l'egemonia, col blocco navale americano e l'arrivo di 13.000 marines, forze speciali, spie e mercenari, nessuno di questi addestrati ai soccorsi umanitari.

L'aeroporto della capitale Port-au-Prince è adesso una base militare americana e i voli di soccorso sono stati dirottati sulla Repubblica Dominicana. Per tre ore, tutti i voli sono stati sospesi all'arrivo di Hillary Clinton.

I feriti gravi haitiani hanno dovuto aspettare mentre 800 residenti americani di Haiti venivano sfamati ed evacuati. Sei giorni sono trascorsi prima che l'aviazione statunitense paracadutasse bottiglie d'acqua alla gente assetata e disidratata.

Le prime notizie televisive sono state fondamentali nel dare l'impressione che ci fosse un diffuso caos criminale. Matt Frei, l'inviato della BBC da Washington, sembrava sul punto di soffocare mentre sbraitava circa la “violenza” e il bisogno di “sicurezza”.

Nonostante la manifesta dignità delle vittime del terremoto e il visibile sforzo di gruppi di persone che da sole cercavano di soccorrere la gente, e persino nonostante l'opinione di un generale americano secondo cui gli episodi di violenza ad Haiti erano notevolmente diminuiti dopo il terremoto, Frei affermava che “il saccheggio è la sola attività” e che “la passata dignità di Haiti è ormai dimenticata”.

In questo modo la provata storia di aggressione e sfruttamento degli USA ad Haiti è passata alle vittime. “Non c'è dubbio”, asseriva Frei dopo l'invasione americana dell'Iraq nel 2003, “che il desiderio di portare il benessere, di portare i valori americani al resto del mondo, e in questo particolare momento in Medio Oriente... è ora sempre più legato al potere militare”.

In qualche modo aveva ragione. Non era mai successo che durante un periodo di cosiddetta pace, le relazioni umane fossero militarizzate da un potere così rapace. Mai prima d'ora un presidente americano e il suo governo erano stati così subordinati all'establishment militare dei suoi screditati predecessori com'è successo a Barack Obama.

Nel proseguire la linea politica di guerra e dominio di George W. Bush, Obama ha ottenuto dal Congresso un budget militare senza precedenti, superiore ai 700 miliardi di dollari. Di fatto Obama è diventato il portavoce per un golpe di tipo militare.

Per il popolo di Haiti i risvolti sono chiari, benché grotteschi. Con i militari USA che controllano il loro Paese, Obama ha designato George W. Bush come “coordinatore dei soccorsi”; una facezia certamente presa dal libro “The Comedians” di Graham Greene, ambientato nell'Haiti di “Papa Doc” Duvalier.

Quand'era presidente, i soccorsi che Bush predispose dopo l'uragano Katrina del 2005 si sono trasformati in una sorta di pulizia etnica di molti abitanti neri di New Orleans.

Nel 2004 Bush ordinò il sequestro di Jean-Bertrand Aristide, il primo ministro di Haiti, eletto democraticamente, e lo esiliò in Africa. Aristide aveva avuto la temerità di promulgare modeste riforme, come il salario minimo per i lavoratori sfruttati nei laboratori di Haiti.

L'ultima volta che mi trovai ad Haiti, vidi giovanissime ragazze prone davanti a sibilanti e ronzanti macchinari dello stabilimento Superior Baseball di Port-au-Prince. Molte avevano occhi gonfi e braccia lacere.

Estrassi la macchina fotografica e venni buttato fuori. Haiti è dove l'America produce l'occorrente per il suo sacro sport nazionale, a costi irrisori. Haiti è dove la Disney fabbrica i suoi Mickey Mouse pigiama, a costi irrisori. Ad Haiti gli USA controllano lo zucchero, la bauxite e la sisal.

Alla coltivazione del riso è subentrato riso americano d'importazione, così la gente dei campi ha dovuto traslocare nelle città in case fatiscenti. Anno dopo anno Haiti è stata invasa da marines con l'infame nomea di specialisti in atrocità dalle Filippine all'Afghanistan.

Un altro comico è Bill Clinton, dopo aver ottenuto di rappresentare le Nazioni Unite ad Haiti. Un tempo il preferito della BBC, “Mr Nice Guy... portatore di democrazia ad una triste e tribolata terra”, Clinton è il più famoso filibustiere di Haiti; impose la deregolamentazione dell'economia a beneficio dei baroni dello sfruttamento. Di recente ha promosso un accordo di 55 milioni di dollari per trasformare il nord di Haiti in un parco-giochi per turisti americani.

Ma la costruzione dell'edificio della quinta più grande ambasciata statunitense a Port-au-Prince non è per turisti. Decine di anni fa, nelle acque di Haiti è stato trovato il petrolio, e gli USA lo stanno tenendo di scorta per quando i pozzi del Medio Oriente cominceranno ad esaurirsi. Ma nell'immediato un'Haiti occupata ha un'importanza strategica per i progetti di Washington in America Latina.

Lo scopo è di rovesciare le democrazie popolari di Venezuela, Bolivia ed Ecuador, controllare le abbondanti riserve di petrolio del Venezuela e sabotare il crescente consenso e la cooperazione che in quelle zone ha dato a milioni di persone il loro primo assaggio di una giustizia economica e sociale a lungo negata dai regimi sponsorizzati dall'USA.

Il primo vantaggioso successo arrivò lo scorso anno con il golpe ai danni del presidente dell'Honduras, Jose Manuel Zelaya, che aveva “osato” introdurre il salario minimo e la tassazione dei ricchi. Il sostegno segreto di Obama per il regime illegale è un chiaro monito per i governi vulnerabili dell'America centrale.

Lo scorso ottobre il regime colombiano, da tempo sul libro paga di Washington e protetto da squadoni della morte, ha consegnato agli USA sette basi militari che, secondo documentazioni dell'aviazione americana, servirebbero per “combattere i governi anti-USA sul territorio”.

La propaganda dei mezzi di comunicazione ha già preparato il terreno per quella che potrebbe benissimo essere la prossima guerra di Obama. Il 14 dicembre 2009, alcuni ricercatori della UWE di Bristol hanno pubblicato per la prima volta uno studio sui documentari della BBC sul Venezuela.

Su 304 servizi della BBC, soltanto tre indicavano le riforme storiche introdotte dal governo Chavez, mentre la maggior parte screditava lo straordinario record democratico di Chavez, al punto da paragonarlo ad Hitler.

Queste falsificazioni e una servile attitudine nei confronti del potere occidentale abbondano tra le corporazioni mediatiche anglo-americane. La gente che lotta per una vita migliore, o per la vita stessa, dal Venezuela all'Honduras, ad Haiti, merita il nostro sostegno.


Haiti, Bertolaso e gli Stati Uniti
di Sergio Romano - Il Corriere della Sera - 2 Febbraio 2010

A mio avviso, il capo della Protezione civile Guido Bertolaso ha sbagliato, soprattutto se le sue osservazioni erano fondate. Il suo compito è di dirigere gli aiuti, quelli italiani, dato che nessuno aveva proposto che dirigesse quelli degli altri e nessuno degli altri lo aveva accettato come capo.

Ciò non significa che non dovesse farle, ma che dovesse rivolgersi ai suoi mandanti, non alla stampa. Spettava a chi gli ha dato l’incarico— cioè il governo italiano per bocca di chi è preposto alla politica estera — decidere se, quando e come trasmettere le sue osservazioni agli americani.

È stato controproducente: Silvio Berlusconi ha dovuto chiedere scusa per siffatta rottura delle norme che regolano i rapporti tra Stati e per il principio, invocato da grandi e piccini, di non ingerirsi nelle questioni interne altrui.

Ammesso che ne abbia voglia, oggi il nostro governo si trova impossibilitato a farlo o a sollevare la questione con la giusta efficacia nelle giuste sedi: Onu, Bruxelles, Ambasciate. Ha nuociuto all’efficacia della missione umanitaria italiana: non potremo certo ottenere con entusiasmo l'appoggio, anche solo logistico, degli Stati Uniti.

Pensi all’attracco delle navi, ai trasporti e alla sicurezza. Si è messo da solo un bastone tra le ruote. Purtroppo a subirne le conseguenze saranno gli haitiani e la serietà dei nostri rappresentanti. Chissà se Bertolaso se ne rende conto. Temo di no.

Vittorio A. Farinelli

Caro Farinelli,
Le sue considerazioni sono formalmente impeccabili. Ma io continuo a pensare che Guido Bertolaso, come il bambino della favola di Andersen («l’imperatore è nudo!»), abbia avuto il merito di stracciare il velo dì ipocrisia e correttezza che i governi occidentali (con qualche eccezione a Parigi) avevano steso intorno alla vicenda haitiana.

Parecchi giorni dopo l’intervista di Bertolaso a Lucia Annunziata, Bill Clinton, incaricato da Obama di coordinare insieme a George W. Bush l’opera di salvataggio e assistenza, ha detto a un gruppo di imprenditori americani che le scuole sono ancora chiuse, che i centri per la distribuzione di cibo sono 15 (ne occorrono altri 100) e che il sistema ha un urgente bisogno di mezzi di trasporto: «Se qualcuno sa dove posso trovare camioncini o camion, me ne servono 100 ieri».

Ha detto in altre parole ciò che tutti noi abbiamo potuto constatare guardando la televisione. Non mancano soltanto le scuole, i centri di distribuzione, i camion. Mancano anche e soprattutto le tende dove alloggiare il popolo che ha perduto la casa.

È permesso chiedersi se fosse utile e necessario, in questa situazione, mandare nell’isola dodicimila soldati? I vertici delle forze armate degli Stati Uniti ci hanno spesso spiegato che le truppe americane non sono addestrate per dirigere il traffico ed esercitare funzioni di polizia: sono educate a combattere.

Le abbiamo viste da allora presidiare l’aeroporto e il palazzo del capo dello Stato; molto meno, se non sbaglio, nelle vie e nelle piazze della città distrutta. Era opportuno fornire a Hugo Chavez, ai fratelli Castro e a Evito Morales l’occasione per affermare che l’America è sbarcata a Port-au-Prince con un corpo di spedizione che assomiglia a una forza d’occupazione molto più di quanto non somigli a una missione umanitaria?

È scorretto osservare che l’America sta ancora trattando i Caraibi con i metodi di un colonialismo sussultorio? Manda le sue truppe quando un territorio le sta scappando di mano, le ritira quando il pericolo è passato; e quello che accade fra una crisi e l’altra le interessa soltanto fino a un certo punto.

Riconoscere la sua leadership, come ha fatto il ministro Frattini a Washington per calmare i furori di Hillary Clinton, significa semplicemente riconoscere che ha il diritto di invadere Haiti a suo piacimento.


Haiti, voci da Port au Prince
di Alessandro Grandi - Peacereporter - 1 Febbraio 2010

Polvere, calcinacci, strade inagibili. Questa la situazione nella capitale haitiana Port au Prince, nonostante migliaia di uomini e donne giunti sull'isola per dare aiuto alla popolazione stremata.

E' impossibile che la vita torni alla normalità velocemente. Le messe molto partecipate e la minima riapertura delle scuole (pochissime e solo nella zona non devastata dal sisma) creano la falsa illusione che tutto possa tornare come prima, meglio di prima.

I feriti continuano a ammassarsi nei campi allestiti dalla comunità internazionale. Gli edifici semidistrutti sono ancora al centro delle attenzioni degli sciacalli che cercano qualsiasi cosa che possa essere rivenduta o riutilizzata.

Le guardie private ingaggiate per difendere i pochi magazzini rimasti in piedi sparano ad altezza uomo. Insomma, una situazione che sembra far sprofondare in un baratro senza fine il Paese.

In più, si aggiungono notizie agghiaccianti come quella relativa a dici cittadini statunitensi che sono stati arrestati mentre tentavano di oltrepassare la frontiera con la Repubblica Dominicana insieme a 33 bambini.

Nessun minore aveva documenti e la cosa ha insospettito le guardie. Morale: i dici statunitensi sono stati arrestati e si trovano in un carcere non lontano dalla capitale. Per loro si profila l'accusa di traffico di minori. Probabilmente i giovani erano destinati al mercato degli organi. Forse, cose de genere sono già successe.

"La situazione che abbiamo trovato è terribile. Questo è un popolo poverissimo. Non aveva niente prima e non ha niente adesso. Obiettivamente la situazione è terribile. Tutto è completamente distrutto. E' difficile anche immaginare come si dovrà fare per smaltire quest'enorme montagna di macerie che si sono accumulati per le strade. Ci sono campi nati spontaneamente. Ed è molto complicato riuscire a coordinare tutte le forze, tutti gli aiuti" dice al telefono con PeaceReporter Emerico Laccetti, team leader della Croce Rossa a Haiti.

"Forse la questione è anche culturale, politica. Noi nel frattempo abbiamo già montato un campo, Campo Italia, un campo per operatori della Croce Rossa provenienti da tutto il mondo e presenti in Haiti" aggiunge Laccetti.

Ad ogni modo la situazione sembra complicarsi sempre più con il passare delle ore e la condizione sanitarie è una delle maggiori preoccupazioni per il personale medico e paramedico presente sull'isola. Il rischio di epidemie è molto alto.

"In effetti ci sono ancora molti cadaveri sotto le macerie. Quelli che erano stati ammassati lungo i marciapiedi sono stati sgombrati e dati alle fiamme. Inoltre, essendoci una carenza di servizi igienici la popolazione si mette a fare i proprio bisogni nel primo luogo a disposizione. Questo non fa altro che aumentare il rischio di epidemie" dice Laccetti.

Infine un pensiero va anche al futuro di questa popolazione. Il tremendo sisma ha causato morte e distruzione, ha distrutto tutto quello che era possibile distruggere e lascerà anche nel futuro il suo segno. Le strade e gli edifici verranno ricostruiti, forse quello è l'ultimo problema.

Ma ci si ritroverà davanti a una generazione mutilata. "Abbiamo dovuto ridurre molte fratture. Ma la cosa peggiore sono le amputazioni. Questo sisma avrà ripercussioni molto forti che proseguiranno per i prossimi decenni" conclude Laccetti.


Haiti, il giallo dei bambini "rapiti". Gli americani promettevano una vacanza
di Daniele Mastrogiacomo - La Repubblica - 2 Febbraio 2010

Restano ancora in carcere, con l'accusa di sottrazione di minorenne, i nove cittadini Usa sorpresi mentre cercavano di varcare la frontiera tra Haiti e la Repubblica dominicana con 33 bambini tra i 3 mesi e i 12 anni di età.

Il gruppo umanitario, legato alla chiesa battista dell'Idaho, continua a proclamarsi innocente e vittima di un gigantesco equivoco. Ma l'assenza di qualsiasi documento che giustifichi la presa in possesso dei bambini rende la loro posizione ancora più complicata.

Molti sono convinti della buona fede dei quattro uomini e delle cinque donne statunitensi anche se con il passare delle ore, con la raccolta delle testimonianze e la reazione dei parenti dei bambini si capisce che il gruppo ha agito con molta disinvoltura, grande superficialità, approfittando del caos che continua a regnare nella capitale di Haiti.

Il ministero degli Affari sociali ha affidato i 33 piccoli a Sos villaggi dei bambini, una ong italiana presente da anni sull'isola dove ha allestito due case di accoglienza, a Santo, pochi chilometri dalla capitale, e a Cap Haitien, l'estrema punta ad est del paese.

"Io non sono un'orfana", ha subito protestato una ragazzina di 12 anni appena sbarcata dal bus. "Sono stata raccolta vicino al mio quartiere e mi è stato promesso che sarei andata per un periodo in un villaggio di vacanze".

I volontari dell'ong hanno pensato a rifocillare i ragazzi. "Nella maggioranza", ci dicono al telefono, "erano denutriti e disidratati.
Non sappiamo i motivi che hanno spinto i nove americani a prendere i piccoli. Avevano solo un documento, pare rilasciato dalle autorità dominicane, in cui si attestava che erano i gestori di un centro di vacanza infantile. Ai parenti, convinti con diverse scuse ad affidare i propri figli, era stata promesso un periodo di distrazione e di svago lontano da tanto dolore e precarietà".

L'arrivo dei bambini nelle case di Sos villaggi ha attirato moltissimi haitiani. Tre persone si sono presentate nella struttura di Santo asserendo di essere i padri e i fratelli di alcuni di loro.

Ma i dirigenti della Ong non hanno accettato di consegnarli, avviando una puntugliosa verifica dell'identità e dei legami di parentela: un processo non certo facile in una città sconvolta dal terremoto, senza più ministeri, anagrafe e piena di facili occasioni per turpi traffici di adozioni o, peggio, di organi.

"I bambini", aggiungono i responsabili di Sos villaggi per bambini, "resteranno nel loro paese d'origine. Stiamo facendo di tutto per favorire il ricongiungimento familiare. Siamo tornati nei quartieri dove si presume vivevano per tentare di identificarli o di rintracciare i parenti. Sappiamo che molti hanno ancora qualcuno in vita e che forse li stanno cercando. Esiste un grave problema di sicurezza. Abbiamo chiesto un rinforzo alla Minustah, la missione delle Nazioini Unite ad Haiti, per garantire un'adeguata protezione".

Ogni bambino dei due centri possiede ora un braccialetto che lo identifica e ogni operatore gira con un documento di identità ben esposto sulla pettorina. "Il numero di bambini che aiutiamo anche fuori dal villaggio di Santo aumenta ogni giorno di più", ricordano i volontari della Ong, "anche in questo caso il problema della consegna del cibo non è completamente risolto". L'incubo di nuovi sequestri o sottrazioni forzate continua. Mai come in questo momento di grande mobilitazione e di interventi convulsi.


Donazioni per pagare un debito abietto?
di Eric Toussant e Sophie Perchellet - www.rebelion.org - 20 Gennaio 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Marisa Cruzca

Una delle più grandi operazioni di soccorso della storia potrebbe essere molto simile a quella fatta dopo lo tsunami del 2004, tranne che il modello di ricostruzione adottato è radicalmente diverso.

Haiti è stata parzialmente distrutta in seguito ad un terremoto di magnitudo 7. Tutto il mondo la compiange e i mezzi di comunicazione, offrendo immagini apocalittiche, continuano a riproporci modi e maniere in cui i generosi Stati si prodigheranno.

Ci viene detto che bisogna ricostruire Haiti, quel paese vinto dalla miseria e dalla “catastrofe”. Ci ricordano impetuosamente che è uno dei Paesi più poveri del mondo, ma senza spiegarci il motivo di tutto ciò. Ci lasciano credere che questa povertà è un fatto irrimediabile, senza motivo plausibile: “Sono colpiti dalla sfortuna”.

E’ fuor di dubbio che quest’ultima catastrofe naturale ha causato danni umani e materiali tanto enormi quanto inaspettati. Siamo tutti d’accordo nell’ affermare che misure d’aiuto urgenti siano d’obbligo.

Tuttavia la povertà e la miseria che contraddistinguono questo Paese non sono dovuti a questo terribile terremoto. Bisogna ricostruire il Paese perché già prima era stato privato dai mezzi necessari per farlo. Haiti non è un paese né libero né sovrano.

Negli ultimi anni la sua politica interna è guidata da un governo costantemente sotto pressione da influssi esterni e manovrata da gruppi di potere locali.
Haiti è stata tradizionalmente denigrata e spesso descritta, nel migliore dei casi, come un paese violento, povero e repressivo.

Non ci sono note che ci ricordino la conquista dell’indipendenza avvenuta nel 1804 dopo una crudele lotta contro le truppe napoleoniche. Anziché sottolineare il profilo umanitario e la lotta per i diritti umani, saranno la barbarie e la violenza le caratteristiche attribuite agli haitiani.

Eduardo Galeano parla della “maledizione bianca”: “Al confine di stato, dove finisce la Repubblica Dominicana ed inizia Haiti troviamo un grande cartello che avverte: 'Il varco maledetto. Dall’altra parte troverete l’inferno. Sangue e fame, miseria e pestilenze'”[2]

È essenziale ricordare la lotta di liberazione condotta dal popolo haitiano, perché in rappresaglia a questa doppia rivoluzione, anti-schiavista ed anti-coloniale, il paese ebbe ad affrontare "il salvataggio francese di indipendenza”, corrispondente a 150 milioni di franchi in oro (ovvero il bilancio annuale della Francia all'epoca).

Nel 1825, la Francia decise che "gli attuali abitanti della parte francese di Santo Domingo versassero alla cassa federale erariale della Francia, anno dopo anno in cinque rate annue, il primo a scadenza 31 dicembre 1825, la somma di centocinquanta milioni di franchi, come riscatto d’indennizzo agli antichi coloni che chiedevano un risarcimento”[3].

Oggi si parlerebbe di 21.000 milioni di dollari. E cosi che dall'inizio della sua indipendenza Haiti parte con un debito molto alto, debito che sarebbe lo strumento neocoloniale per facilitare l’accesso alle numerose risorse naturali del paese.

Il pagamento del riscatto è stato quindi un elemento fondante dello Stato haitiano. In termini giuridici ciò significa che esso è stato contratto da un regime dispotico e usato contro gli interessi della popolazione.

La Francia e poi gli Stati Uniti, la cui area di influenza si consolida ad Haiti dal 1915, sono interamente responsabili. Anche se sarebbe stato possibile affrontare le dolorose responsabilità del passato nel 2004, la Commissione Régis Debray [4], scelse di scartare l'idea di una restituzione della somma, sostenendo che era "priva di fondamento giuridico” e che avrebbe potuto aprire un "vaso di Pandora”.

Le richieste del governo di Haiti furono respinte dalla Francia: non c'è posto per le riparazioni. La Francia non ha riconosciuto il suo ruolo nel dono infame che fece al dittatore "baby doc" Duvalier [Jean-Claude Duvalier, figlio di Francois Duvalier,”papa doc”] nel suo esilio, offrendogli l’immunità e lo status di rifugiato politico.

Il regno dei Duvalier iniziò nel 1957 con l’aiuto degli Stati Uniti, e finì nel 1986 quando il figlio “baby doc” fu rovesciato da una rivolta popolare. La violenta dittatura, ampiamente sostenuta dall'Occidente, governò per quasi 30 anni ed è stata caratterizzata da una crescita esponenziale del debito.

Tra il 1957 e il 1986, il debito estero aumentò del 17,5%. Al momento della fuga di Duvalier, ammontava a 750 milioni di dollari. Successivamente aumentato, con gli interessi e le sanzioni, arrivò a più di 1.884 milioni di dollari [5].

Questo debito, lungi dal servire per la popolazione, che continuò a impoverirsi, aveva lo scopo di arricchire il regime. Quindi si tratta di un debito abbietto.

Recenti ricerche hanno dimostrato che le fortune personali della famiglia Duvalier (ben protette in conti bancari occidentali) ammontavano a circa 900 milioni di dollari, ovvero un importo superiore al debito totale del paese al momento della fuga di “Baby Doc “. Vi è un processo in corso presso la giustizia svizzera per la restituzione allo Stato haitiano dei beni mal amministrati durante la dittatura dei Duvalier.

Tali beni sono però, attualmente, congelati dalla banca svizzera UBS, che impone condizioni intollerabili per la restituzione di quei fondi [6]. Jean Baptiste Aristide, in un primo momento eletto con molto entusiasmo dal popolo, fu in un secondo tempo accusato di corruzione e deposto.

A costo di diventare un fantoccio degli Stati Uniti è stato riportato al potere solo per essere, infine, catturato ed espulso dalle truppe di coloro a cui doveva il potere. Aristide, purtroppo, non è stato immune all’uso improprio e alla malversazione dei fondi stabilito da Duvalier.

Inoltre, secondo la Banca mondiale, tra il 1995 e il 2001, il servizio del debito, cioè gli interessi più l'ammortizzamento del capitale, ha raggiunto la notevole quantità di 321 milioni di dollari.

Tutti gli aiuti finanziari proclamati fino a questo momento a causa del terremoto sono già compromessi per il pagamento del debito estero.

Secondo le ultime stime, oltre l'80% del debito estero di Haiti è di proprietà della Banca Mondiale e della Banca Interamericana di Sviluppo [Inter-American Development Bank (IDB)], ciascuna con il 40%. Sotto il loro controllo, il governo ha applicato i "piani di aggiustamento strutturale" camuffati sotto il nome di "Piani strategici per la riduzione della povertà” (DSRP).

In cambio del rilancio dei prestiti, vennero concesse ad Haiti delle riduzioni o annullamenti del debito, insignificanti in sé, ma mirati ad edulcorare l’immagine di “buona volontà” dei creditori. L’inclusione di Haiti nella Iniciativa Paises Pobres Muy Endeudados (PPME) [Paesi Poveri Molto Indebitati] è una tipica manovra di riciclaggio del ripugnante debito, come egualmente è avvenuto nella Repubblica Democratica del Congo[7].

Così facendo si rimpiazza l’esecrabile debito già esistente con altri nuovi, che si presumono legittimi. CADMT ritiene tali nuovi prestiti sempre parte dei vecchi odiosi debiti, giàcche servono sempre per estinguere a monte; c’è per tanto una continuità del delitto.

Nel 2006, quando il FMI, la Banca Mondiale e il Club di Parigi decisero che Haiti dovesse far parte dell'iniziativa PPME, il totale complessivo di debito pubblico estero era di 1.337 milioni di dollari. Nel momento clou dell’iniziativa (giugno 2009), il debito era 1.884 milioni di dollari. Fu deciso l'annullamento del debito per un importo di 1.200 milioni di dollari per far si che questo “fosse sostenibile”.

Nel frattempo, piani di adeguamento strutturale distruggevano tutto il paese, in particolare il settore agricolo, i cui effetti portarono alla crisi alimentare del 2008. L'agricoltura contadina haitiana fu succube dello smaltimento dei prodotti agricoli americani.

"Le politiche macroeconomiche sostenute da Washington, l'ONU, il FMI e della Banca mondiale non si preoccupano per nulla del bisogno di sviluppo e di protezione del mercato interno. L'unica preoccupazione di queste politiche è la produzione a basso costo per l'esportazione verso il mercato mondiale "[8]. È quindi sconvolgente sentire che il FMI si dice “pronto ad esercitare le proprie funzioni con un adeguato sostegno nei settori di competenza".[9]

Come espresso nel recente appello internazionale, “Haiti ci chiama alla solidarietà e al rispetto per la sovranità popolare": "Negli ultimi anni, insieme a molte organizzazioni haitiane, abbiamo denunciato l'occupazione militare da parte delle truppe ONU, l'impatto della dominazione imposta dal debito esterno, il commercio senza regole, il saccheggio della natura e la propagazione di interessi globali. Le condizione di vulnerabilità del paese di fronte ad eventi naturali - causate in gran parte dalla devastazione dell'ambiente, dalla assenza di infrastrutture di base, dalla impossibilità dello Stato ad agire - non sono lontane dalle azioni che storicamente attentano contro la sovranità popolare.”

"È giunto il momento per i governi che fanno parte della MINUSTAH [“United Nations Stabilization Mission in Haiti “ N.d.r.], le Nazioni Unite e in particolare la Francia e gli Stati Uniti, i governi fratelli di Sudamerica, di rivedere le politiche che lavorano contro i bisogni fondamentali della popolazione haitiana. Noi sollecitiamo questi governi e le organizzazioni internazionali a sostituire l'occupazione militare con una vera missione di solidarietà, così come la urgente cancellazione del debito estero che altro non è che una illegittima azione che Haiti sta ancora pagando sulla sua pelle”[10].

Al di là della questione del debito, si teme che gli aiuti facciano la stessa fine che fecero nella triste tragedia dello tsunami del dicembre 2004 in diversi Paesi dell'Asia (Sri Lanka, Indonesia, India e Bangladesh)[11], oppure dopo l’uragano Jeanne nella stessa Haiti nel 2004. Le promesse non sono state soddisfatte e una gran parte dei fondi sono stati utilizzati per arricchire le società straniere o cupole locali.

Queste “generose donazioni” provengono soprattutto da parte dei creditori del paese. Piuttosto che fare donazioni, non sarebbe preferibile l’annullamento dei debiti che Haiti ha con loro, immediatamente senza indugi e senza obblighi?

Possiamo veramente parlare di aiuti, sapendo che la maggior parte di questo denaro servirà a coprire il debito estero o ad accrescere “progetti di sviluppo nazionale”, in conformità agli interessi dei creditori e di quelle stesse oligarchie locali? È chiaro che, senza queste donazioni sarebbe impossibile esigere il rimborso immediato di un passivo la cui metà, almeno, corrisponde ad un ripugnante debito.

Le grandi conferenze internazionali di qualsiasi G8 o G20 ampliato alle IFI [“International financial institutions”, istituzioni finanziarie internazionali N.d.r], non contribuiranno a far progredire lo sviluppo di Haiti, bensì serviranno per ricostruire gli strumenti a loro necessari per ristabilire solidamente il controllo neocoloniale del Paese.

Cercheranno di garantire il proseguo del rimborso del debito, sul quale si basa la sottomissione, come è già successo negli ultimi tentativi di ridimensionamento del debito.

Al contrario, è la sovranità nazionale la condizione fondamentale per far sì che Haiti possa ricostruirsi degnamente. La completa ed incondizionata cancellazione del debito haitiano dovrebbe essere il primo passo di una politica più generale. Un modello nuovo di sviluppo alternativo alle politiche delle IFI e agli accordi finanziari (APE firmato nel dicembre 2008, Collaborazione Hope II, ecc.) è necessario ed urgente.

I Paesi industrializzati che sistematicamente sfruttarono Haiti, iniziando dalla Francia e dagli Stati Uniti, devono elargire riparazioni attraverso un fondo per il finanziamento della ricostruzione controllato dalle organizzazione popolari haitiane.

Eric Toussaint è il presidente del CADTM Belgio (Comitato per l’ Annullamento del Debito del Terzo Mondo, www.cadtm.org). E’ l’ autore di “Banca del Sur y Nueva Crisis Internacional”, Viejo Topo, Bcn, Gennaio 2008; “La Bolsa o la Vida”, Clacso, Buenos Aires, 2004; coautore con Damien Millet di “60 preguntas/60 respuestas sobre la Deuda, el FMI y el Banco Mundial”, Icaria/Intermon Osfam, Bcn,2010.

Sophie Perchellet è vicepresidentessa del CADTM-Francia.

[2] Eduardo Galeano, “La Maldicion Blanca”, pag. 12, Buenos Aires, 4 aprile 2004.

[3] http://www.haitijustice.com/jsite/images/stories/files/pdfs/Ordonnance_de_X_de_1825.pdf

[4] haiti.pdf http://www.diplomatie.gouv.fr/fr/IMG/pdf/rapport

[5] http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2009/cr09288.pdf (pagina 43)

[6] http://www.cadtm.org/Le-CADTM-exige-que-la-restitution

[7] Si veda la pubblicazione CADTM, audit Pour audit de la dette congolaise, Liegi, 2007, sul sito http://www.cadtm.org/spip.php?page=imprimer&id_article=2599

[8] Cfr. http://www.cadtm.org/Haiti-Le-gouvernement-mene-une

[9] http://www.liberation.fr/monde/0101613508-haiti-l-aide-internationale-se-mobilise-apres-le-seisme

[10] http://www.cadtm.org/Solidaridad-y-respeto-a-la

[11] Cfr. Damien Millet e Eric Toussaint, “Gli Tsunami dei debiti”, Editorial Icaria, Barcelona, 2006


Diario da Port au Prince. Acqua

di Federico Mastrogiovanni - http://radicalshock.wordpress.com - 23 Gennaio 2010

Mi piacerebbe ora soffermarmi sul concetto di acqua. mi pare uno dei temi centrali della situazione. Innanzi tutto va detto che apprezzo il modo dei centomilioni di marines, atterrati tra un hercules e l’altro all’aeroporto occupato militarmente di Port au Prince, di affrontare la questione. La gente ha bisogno di damangiare e dabere e te arrivi coi carrarmati e i fucili da guerra.

Un po’ come se a uno che c’ha la dissenteria, per dargli una mano, gli dai una sega a nastro. che cazzo ce fa non si sa, però è una risposta creativa, questo tocca ammetterlo. Lungi da me voler fare polemica coi “corpi di peacekeeping” che sono i buoni e vengono a portare la pace.

Lo dice la parola stessa. L’unica cosa è che mi sa che non si so accorti, nella loro immensa solidarietà, che ad Haiti non ci sta la guerra, ma una tragedia umanitaria, ma ovviamente non è nemmeno il caso di spaccare il capello in quattro.

Tornando all’acqua, diciamo che già di per sé qua in Haiti non è che abbondasse l’acqua potabile pulita, dato che è pratica abbastanza comune, sciocchi selvaggi, direte voi, bere un liquido grigiastro di dubbia provenienza, che non definirei proprio potabile a una prima occhiata.

Ecco, ora con quei 40 gradi belli umidi e un terremoto sul groppone che ti ha sbragato via tutto si pone abbastanza imperativo il problema di dove cazzo andare a prendere l’acqua.

Mi pongo la questione sorseggiando acqua potabile dei lavandini del centro operativo dell’ONU, che cià pure le docce, circondato da funzionari di tutte le possibili agenzie dell’ONU che bevono il tè e fanno importantissimi briefing su come fare la distribuzione, mentre intanto i giaigió americani gli scippano l’aeroporto e fanno sbarcare miliardi di militi per dare aiuti umanitari ai disgraziati.

Dopo sei briefing viene fuori che la gente ha bisogno di acqua. è proprio un fatto accertato. Tocca fare qualcosa. Ora si prepara un briefing per capire come affrontare l’emergenza. Ieri avevamo incrociato un’autobotte anarchica che è partita nottetempo da Santo Domingo. Oh, noi non abbiamo chiesto il permesso a nessuno, dice il trasportatore, siamo partiti perché qua se morono de sete, poi se quelli dell’ONU ce dicono qualcosa sticazzi, intanto j’amo portato l’acqua, o sbaglio?

Nono non sbagli per niente. Noi moschettieri con la nostra razione d’acqua da mezzo litro in borsa ci aggiriamo come cani per le strade affollate e imbattendoci nell’autobotte ci rendiamo conto che tra qualche giorno, se gli aiuti non si sbrigano, sarà una tragedia. Tanto per cambiare.

Parlando con un’amabile e bionda dottora americana della Florida che è venuta a amputare arti ad Haiti, la pratica più comune tra i suoi colleghi che si trovano davanti fratture esposte incancrenite come se piovesse e hanno a disposizione solo cartone e garza per ingessare o le seghe circolari di prima per amputare, discuto sul problema malattie, e lei sostiene che no, non c’è un vero pericolo epidemie.

Certo, a meno che la gente non si metta a bere l’acqua infetta inquinata da monnezza e liquidi corporei fuoriusciti dai cadaveri. La guardo basito. Ma cosa cazzo credi che stia facendo la gente lì fuori? Ah, dice lei, magari gli haitiani lo fanno che c’entra? Ah, scusa infatti sono una minoranza gli haitiani che stanno terremotati ad Haiti. Scusa, so stronzo io!

Proseguiamo il nostro giro turistico accompagnati dall’instancabile Vi, che guida come un forsennato suonando il clacson e dicendo cose incomprensibili. Di ritorno alla base a casa di Fiammetta ci fermiamo a salutare la numerosa famiglia di Vi, che sta accampata al buio pesto della sera su dei materassi fuori di casa, che non è venuta giù. Loro cantano stasera.

E Roberto, un parente di Vi che ha vissuto a Santo Domingo e parla spagnolo, ci invita a cantare con loro. Tira fuori una chitarra e una tastiera a batteria coi tasti che si illuminano quando li suoni. Si esibisce nei pezzi che ha scritto. Inni pop a dio e a gesù, contro satana. Ha una bella voce e ricorda un po’ un Ben Harper haitiano. Noi cantiamo insieme a lui e alla sua famiglia.

Ci viene chiesto di suonare pure noi qualcosa per loro. Sguardo fuori campo. L’unico che sa suonare è il Principe, uomo pieno di risorse. Quindi je partimo col repertorio classico dell’italiano all’estero: Battisti, De Gregori, Paolo Conte e Rino Gaetano. Io e il Cuttica ci esibiamo come duo vocale degno di Amici di mariadefilippi. Unica pecca i testi delle canzoni, mai completi, quindi daje de nananananana, ma gli haitiani sembrano non accorgersene e apprezzano lo sforzo.

La notte torna a calare sulle calde giornate haitiane e noi ci buttiamo di nuovo sul pavimento duro ma antisisma del giardino di Fiammetta. Sognamo fiumi in piena e haitiani che fanno briefing su come salvare l’anima del personale ONU e dei marines.


Diario da Port au Prince. Occupazione (o le ali della libertà)
di Federico Mastrogiovanni - http://radicalshock.wordpress.com - 24 Gennaio 2010

Dell’approccio creativo dei marines alle tragedie umanitarie si è già detto. Quello su cui vorrei tornare è l’immagine che si è data del popolo haitiano negli ultimi giorni. Gente che fa sommosse, che tira fuori i machete, che minaccia la sicurezza propria e altrui. Bestie di satana che si avventano sui poveri stranieri che cercano di aiutarli. Tanto da giustificare una presenza molto massiccia di militi prevalentemente della U.S. Army.

E dunque Haiti è occupata. Mentre le Nazioni Unite fanno briefing uno appresso all’altro, ti ritrovi soldati su mezzi blindati che girano per le strade di Port au Prince come se si trattasse di Saigon, fucili spianati e sguardo molto maschio e molto cattivo.

La gente da parte sua se li rimira come se fossero matti. Ma che cazzo andate in giro armati così?

Annosa questione. Ma ste famose sommosse popolari ci sono state? Dunque per rispondere facciamo un po’ di cucina. Prendiamo centinaia di migliaia di persone rimaste senza nulla (mi pare che il concetto, a questo punto, sia abbastanza chiaro) che stentano a trovare del cibo e dell’acqua. Aggiungiamo frustrazione e risentimento verso una comunità internazionale che non è in grado di organizzare la distribuzione dei viveri che quotidianamente atterrano all’aeroporto e rimangono stipati lì.

A parte aggreghiamo i marines che come tutti sanno sono esperti di distribuzione di aiuti umanitari, che senza avvertire nessuno né coordinarsi ad esempio col World Food Programme decidono di lanciare a pioggia col paracadute a casaccio (tecnicamente a cazzo di cane) razioni k, cioè quei simpatici pacchettini con dentro sorprese alimentari, senza alcun criterio.

Se io sono un capo banda armata e mi vedo piovere viveri dal cielo senza nessun controllo è ovvio che mi lancio a pesce ad arraffare, e se posso a rubare anche ai miei compatrioti. E dunque lo faccio. E minaccio gli altri di morte. E se non si tolgono dalle palle li faccio proprio fuori.

Ripetere l’operazione finché non si scatena una sommossa e servire a temperatura ambiente.

Viaggiando come i cani sulla fuoriserie di Vi non ci è capitato mai di vedere le violenze raccontate e gridate dai media di tutto il mondo. Parlando con gli operatori sul campo, con i volontari, con i gendarmi francesi, che pattugliano le strade con quei loro adorabili vestitini celesti, nessuno ha confermato l’efferatezza delle violenze. Non più di quanto ci si possa aspettare in una situazione del genere.

Ma se non c’è violenza sommossa, spargimento di sangue, come si giustificano le migliaia di soldati? Come si giustifica il colpo di mano dell’esercito?

Per capirlo io e Sciacallo cogliamo l’occasione al volo e ci facciamo invitare su un Seahawke, un elicottero della U.S. Navy, che tiene parcheggiate le portaerei al largo della città.

Dopo due ore a farsi esplodere le orecchie all’aeroporto tra elicotteri cargo militari, hercules, aerei civili della American Airlines, è il nostro turno di salire su questo attrezzo cafonissimo e molto maschio.

Il marine che si occupa del rapporto coi giornalisti è amabilissimo, sorride, fa battute. Cesare Lombroso lo avrebbe sicuramente tacciato di criminale a giudicare dai suoi tratti somatici leggermente “ottusi”, ma a noi ce fa tanto ride, che sagoma!

Dunque i due moschettieri si preparano a un pomeriggio da embedded. scattiamo foto ai robusti soldatini che davanti a telecamere, instancabili, caricano razioni k e bottigliette d’acqua sui mirabolanti seahawkes che vanno e vengono sul pratino dell’aeroporto. Ci tengono proprio a far vedere che sono indispensabili.

Arriva il nostro turno dopo un’attesa interminabile. Ci forniscono di due caschi con copriorecchie e saltiamo agilmente sui potenti mezzi dell’aviazione americana. Stipati in mezzo a decine di scatoloni di cibarie che, a quanto dicono i marines, devono servire a sfamare 10mila persone per 5 giorni. me cojoni!

Si sorvolano i paesaggi haitiani per 15 minuti. Montagne semi deserte, fino ad arrivare a Jacmel, a sud di Port au Prince. Va detto che sti elicotteri dentro so tutti sgarrupati e mezzo sfonnati, non è che stiamo proprio viaggiando con la tecnologia di punta. Ma in ogni caso per dei giovani freelance italiani, temporaneamente embedded, che devono essere sedotti, fa comunque la sua porca figura.

Si atterra. Si scarica la merce. Foto ricordo. Poi risalite al volo se no vi lasciamo qua. E risaliamo… Di nuovo in volo su valli e colline. Finché non arriva l’imprevisto. Regà, scusate, dice il baldo soldato, c’è finita la benzina, tocca annà a fa rifornimento un attimo alla porteaerei. Come finita la benzina? E noi qua sopra a fa gli splendidi senza benzina? E annamo su sta portaerei, che te devo dì? Dopo il rifornimento, si riparte veloci come il fulmine verso Port au Prince.

Ma prima a sorpresa sorvoliamo un quartiere che dà sul mare. E da qui su lo Sciacallo riesce a scattare delle foto di centinaia di poracci che si accalcano su cinque navi stile carrette del mare di Lampedusa. Più altre centinaia di persone ammucchiate a riva in attesa di salire a bordo.

E dove cazzo vanno questi? Non mi dire che stanno cercando di scappare via mare? Ma siete pazzi? Gli americani hanno detto proprio specificamente, noi ve volemo tanto bene, aiuti, tricchettracche, cotillon, però nun dovete cacà er cazzo. Rimanete qua, no che venite tutti a Miami a fa come ve pare!

Invece quelli proprio se ne vanno. Ce provano. Perché se è vero che il presidente del Senegal ha offerto un pezzo del suo paese ai fratelli haitiani per farli tornare in Africa, gli Stati Uniti stanno lì appizzati per rimpatriarli tutti.

Finito il giro ringraziamo per la gentilezza e ci ributtiamo nel marasma, felici di aver visto all’opera i veri buoni, felici di aver provato l’ebbrezza di essere embedded, ma un po’ con la sensazione sgradevole di aver vissuto sulla nostra pelle il concetto di “media asserviti”.

Mo perché noi siamo vagabondi e randagi e non ci comprano co du noccioline, e quindi racconteremo per bene che porcate fanno gli americani da ste parti, però sono certo che altri si sono fatti fregare co du gomme da masticare e no specchietto.

Haiti di notte direi che è buia e di bello c’è che si vede un oceano di stelle sulla testa. Sdraiato su un cartone sul prato della base ONU, cena scroccata, con una copertina aspetto che arrivi il sonno. Qua non si sogna.