venerdì 26 febbraio 2010

Turchia: fallito il piano di Ergenekon, la P2 turca.

Qui di seguito un paio di articoli sull'inchiesta in corso relativa al tentativo di golpe militare in preparazione nel 2003 in Turchia. Golpe che mirava a rovesciare il governo islamista dell'Akp (Partito per la giustizia e lo sviluppo), guidato tuttora dal premier Recep Tayyp Erdogan.

Oltre 40 persone sono state arrestate finora, tra cui 14 alti ufficiali accusati di far parte dell'operazione Balyoz ("Martello" in turco) come l'ex comandante dell'Aviazione, Ibrahim Firtina, il generale Engin Alan e altri dieci ufficiali più due militari in pensione: i generali Cetin Dogan e Suha Tanyrli.

Oltre ai militari fra gli arrestati c'è anche Ozden Ornek, ex capo della Marina militare e autore di alcuni diari controversi nel 2004 che parlavano di un golpe in preparazione da parte di quattro alti gradi dell'esercito.

Ieri però Firtina e Ornek sono stati rilasciati ed Erdogan si è detto ''soddisfatto'' dopo la riunione avuta con il presidente Abdullah Gul e il capo di Stato Maggiore interforze, il generale Ilker Basbug.

Il complotto sarebbe ricollegabile a Ergenekon, l'organizzazione segreta che avrebbe come obiettivo la destabilizzazione del Paese e del governo. Almeno 300 persone sono attualmente sotto processo accusate di far parte di Ergenekon.

E oggi altri 11 ufficiali dell'esercito turco sono finiti in manette con l'accusa di aver complottato nel 2003 per rovesciare il governo dell'Akp, portando così a 31 i militari arrestati nell'inchiesta.

Il primo a rendere noto il piano Balyoz è stato il quotidiano Taraf, secondo il quale il piano aveva lo scopo di creare il caos nel Paese con atti di violenza e terrorismo.

La strategia prevedeva l'esplosione di bombe nelle moschee, attacchi con ordigni incendiari ai musei e far precipitare un aereo di linea turco per far sembrare che fosse stato abbattuto da un caccia militare greco.

Scopo finale del piano, sempre secondo Taraf, era quello di fare pressione sull'Akp e screditarlo dimostrando che non era in grado di proteggere la popolazione.

Ma il piano della P2 turca è fallito. Per ora, in quanto all'estero il governo Erdogan sta dando molto fastidio...


Un "martello" contro la Turchia: come si combatte la sovranità di un Paese
di Aldo Braccio - www.eurasia-rivista.org - 24 Febbraio 2010

Generali in pensione ma in piena attività eversiva, ammiragli in servizio , ufficiali di ogni grado che progettavano – a quanto le indagini sembrano avere accertato – attentati a moschee e monumenti e persino l’eventualità di un abbattimento di aereo civile: i piani “Martello” e “Gabbia”si innestano in quel “progetto Ergenekon” che ormai non può più essere minimizzato o spacciato per escamotage promozionale degli “islamisti”.

E’ l’ultimo episodio del drammatico scontro in atto tra poteri in Turchia: due fronti contrapposti, che non possono essere letti utilizzando categorie politiche equivoche e incapacitanti (quella destra/sinistra su tutte), e che si assestano su sponde geopolitiche radicalmente diverse.

Da una parte un paese che, pur muovendo dal suo tradizionale inserimento nella NATO, ha sviluppato una posizione sempre più autonoma e disposta al dialogo con paesi come Russia, Cina, Iran, oltre che con l’Europa; dall’altra una Turchia minoritaria a livello di opinione pubblica ma sostenuta da poteri forti nazionali e internazionali, che sotto la bandiera del “laicismo” vogliono recidere i legami col mondo islamico per riposizionare la nazione in chiave “moderna” e occidentale.

Sono decenni che l’esercito, o meglio i vertici delle Forze Armate, svolgono il ruolo di gendarme della “laicità”, spesso contro l’orientamento espresso dall’elettorato – con qualcosa come quattro colpi di Stato dagli anni Sessanta del secolo scorso a oggi.

Non ci sono stati solo i colpi di Stato, del resto, ma tutta una serie di pressioni e di comportamenti di cui rimane a memoria esemplare – per quelli che lo conoscono e che lo ricordano – quello avvenuto il 31 gennaio 1997 a Sıncan, sobborgo di Ankara: il sindaco quel giorno celebrò la “giornata di Gerusalemme”, una pubblica e pacifica manifestazione a sostegno dell’intifada palestinese, con la partecipazione dell’ambasciatore iraniano.

Il giorno successivo l’esercito occupava il sobborgo con i carri armati, arrestava il sindaco e addirittura rimuoveva l’ambasciatore (cfr. Gilles Kepel, Jihad ascesa e declino – Storia del fondamentalismo islamico, Roma 2001 – 2004, p. 402).

Per comprendere meglio il quadro generale scorriamo le tappe più recenti dello scontro in atto: passaggi importanti e un po’ trascurati dai media occidentali, che si sono piuttosto soffermati sugli arresti eccellenti – ed effettivamente clamorosi, meritevoli di attenzione – effettuati nei giorni scorsi. Dunque:

1) All’inizio di gennaio la stampa turca riferiva che il generale Saldiray Berk (nella foto sotto, ndr), comandante in capo della terza armata dislocata a Erzican, rifiutava da più di un mese di rispondere a una convocazione del procuratore a competenza allargata di Erzurum, Osman Şanal.

Quest’ultimo contestava a Berk, al procuratore di Erzincan, Ilhan Cihaner e al capo della gendarmeria locale di avere complottato per depositare occultamente armi nei locali di alcune fondazioni religiose islamiche (la Ismailağa e la Medine), al fine di farle poi incolpare di attività eversive. Si noti che nel complotto risultano collegati un esponente delle Forze Armate e uno della magistratura, entrambi ad alto livello.

2) A fine gennaio la Corte Costituzionale (espressione della élite giudiziaria ostile al governo) annullava la legge votata a giugno 2009 che restringeva le prerogative dei tribunali militari: tale legge affidava finalmente alla legge civile i militari accusati di attività contrarie alla sicurezza nazionale, crimine organizzato, violazione della Costituzione.

Il ricorso per incostituzionalità era stato presentato dal CHP, il partito di opposizione laico-kemalista subordinato, ancora una volta, all’evidente connessione Alta Magistratura/vertici dell’esercito. Con la decisione della Suprema Corte la volontà di sottoporre a giudizio civile i militari golpisti è pertanto frustrata e cancellata.

3) Il 16 febbraio il procuratore Şanal procedeva all’arresto del collega Cihaner, coinvolto nel complotto da lui scoperto ( punto 1).

4) Il giorno successivo l’Hakimler ve Savcılar Yűksek Kurulu (HSYK – Alto Consiglio dei Giudici e dei Procuratori, l’equivalente del nostro Consiglio Superiore della Magistratura) toglieva al procuratore Şanal l’inchiesta, presentando anzi una denuncia contro di lui, così come contro altri procuratori di Erzurum, anch’essi privati del dossier Cihaner. La decisione dell’HSYK veniva presa in tutta fretta, senza istruttoria e in assenza del ministro della Giustizia, Sadullah Ergin, neppure avvertito della riunione.

5) Il ministro Ergin ha reagito denunciando l’intervento dell’HSYK come illegittimo e incostituzionale: “Un vero e proprio abuso di potere – ha commentato – Assistiamo a iniziative che possono far sprofondare il sistema giudiziario nel caos, pregiudicando la sua indipendenza. Questa interferenza in un procedimento in corso dimostra, una volta di più, che una riforma della giustizia è quanto mai urgente”. Nella stessa circostanza il vice Primo ministro Arınç ha sottolineato che “la Turchia non è uno Stato giudiziario”, definendo inaccettabile la destituzione dei procuratori di Erzurum.

Non a caso Erdoğan ha dato notizia dei successivi clamorosi risvolti di Ergenekon, e degli arresti, nel corso della sua visita in Spagna, un paese altrettanto defilato quanto la Turchia rispetto a una politica europea piattamente adagiata su di un atlantismo incondizionato; non è probabilmente neppure un caso che contro lo stesso Erdoğan sia stata predisposta nel corso della visita la sceneggiata del “lancio della scarpa” da parte di un contestatore.

Corrono intanto voci su di una ulteriore iniziativa giudiziaria contro il partito di governo AKP: una nuova richiesta di messa fuori legge promossa dal primo procuratore della Corte di Cassazione, Abdurahman Yalçınkaya, dopo la precedente richiesta, proposta ma non accolta nel 2008.

Al centro del procedimento ci sarebbe stavolta il Barış grubu (“gruppo della pace”) dello scorso 19 ottobre, un’iniziativa di dialogo e conciliazione promossa dal governo nei confronti di quei guerriglieri del PKK che avessero rinunciato alla lotta terroristica: si rimprovera all’esecutivo di avere fatto pressioni perché i guerriglieri che avevano risposto positivamente all’appello fossero messi in libertà.

Il confronto fra schieramenti contrapposti, dunque, si fa sempre più duro e impone con urgenza una soluzione. L’inchiesta Ergenekon e l’indilazionabile riforma della giustizia possono permettere all’AKP e ai suoi alleati di governare – facendo rispettare il mandato elettorale – e di gestire una politica estera contraddistinta dal dialogo e da una effettiva indipendenza nazionale sempre più definitasi dal 2003 (rifiuto di partecipare all’attacco all’Iraq) in poi.

Oppure, e le sollecitazioni internazionali in questo senso non mancano (citiamo fra gli altri un paio di articoli apparsi su questo sito: “Daniel Pipes : ‘La Turchia non è più un alleato’”, del 12 -11 -2009 e “La lobby israeliana chiede al Congresso USA di fermare il processo Ergenekon in Turchia”, del 23-11-2009) la Turchia dovrà affidarsi alle sue lobbies giudiziario-militari “laico – nazionali”, e rinunciare definitivamente alla sua sovranità.


Turchia:"laicità" e massoneria militare kemalista
di Gian Micalessin - www.ilgiornale.it - 24 Febbraio 2010

La verità più sorprendente per una Turchia palcoscenico di quattro golpe militari in 50 anni sono quei 40 militari, tra cui alti generali, in prigione. La verità più nascosta è il «cui prodest». Resta cioè da capire se quella retata di militari sia veramente una brillante operazione, scattata appena in tempo per evitare un golpe ai danni degli islamici moderati del premier Recep Tayyip Erdogan e del suo «Partito per la giustizia e lo sviluppo».

Anche se le malelingue potrebbero intravedere una montatura del governo per ridimensionare il potere dei «pasha», la potente casta dei generali sospettati di muovere le leve dei poteri forti. Per entrambe le ipotesi c’è del marcio da vendere.

Un marcio profondo oltre trent’anni. Ieri è arrivata la notizia, confermata senza commenti dal premier Erdogan, dell’arresto di oltre 40 leader militari (49 per la Cnn turca) come l’ex vice capo di Stato maggiore Ergin Saygun, l’ex capo della Marina ammiraglio Ozden Orne, l’ex comandante dell’aviazione, Ibrahim Firtina.

Quel plotone di ammiragli e generali è accusato di aver ordito il piano Balyoz (Martello) un complotto che prevedeva la distruzione di due moschee a colpi d’esplosivo e una congiura per garantire l’abbattimento di un Boeing di linea da parte di caccia greci.

Il tutto per gridare alla debolezza del governo Erdogan e giustificare un provvidenziale «pronunciamento» armato.
Ad aggiungere mistero e confusione al complotto s’aggiunge l’ombra di Ergenekon, un’oscura organizzazione segreta rappresentata come una via di mezzo tra una potente massoneria di stampo secolar-kemalista e una sanguinaria Gladio in salsa anatolica.

Lo spunto per il ritorno di Ergenekon lo offre l’arresto di Ozden Ornek, l’ex capo della Marina militare autore di alcuni controversi diari in cui si tratteggiavano le trame di questa massoneria con le stellette ultima spregiudicata garante delle idee secolariste del padre della patria Mustafa Kemal Ataturk.

Quei diari recuperati e pubblicati nel 2007 da un settimanale ricostruivano le azioni di tre organizzazioni che agendo l’ una all’insaputa delle altre contribuivano, inconsapevolmente, a realizzare un unico elaborato colpo di stato messo in piedi dai misteriosi capi di Ergenekon.

Quell’organizzazione, chiamata come l’inaccessibile valle dove secondo la mitologia ultra nazionalista una lupa allevò il bimbo fondatore della stirpe turca, avrebbe nel corso dei decenni programmato i vari colpi di stato, gestito l’eliminazione fisica di centinaia di oppositori, organizzato i gruppi paramilitari utilizzati per sterminare i capi curdi. Oggi il suo unico fine sarebbe denigrare il governo di Erdogan, indebolirlo e sottometterlo al potere dei vecchi generali.

Il problema delle varie indagini su Ergenekon è la loro eterea fumosità. Nel tentativo di farne l’epicentro di ogni complotto magistrati, giornalisti e intellettuali hanno finito con il trasformarla nell’equivalente della nostrana P2, un fantasma onnipresente, ma difficilmente contenibile in un atto d’accusa.

Il primo atto fu scritto nel 2008. Allora un’inchiesta della procura di Istanbul attribuì a Ergenekon i piani di un gruppo di militari, mafiosi e avvocati ultranazionalisti sospettati di preparare l’eliminazione dello scrittore premio Nobel Orhan Pamuk e di aver organizzato in precedenza gli omicidi eccellenti del giudice Özbilgin e del giornalista Hrant Dink.

A detta degli inquirenti le bombe a mano trovate nelle abitazioni di tre generali arrestati all’epoca appartenevano allo stesso lotto utilizzato per alcuni attentati attribuiti all’estremismo islamico.

I finti attentati falsamente attribuiti a discepoli fuori controllo di Erdogan sarebbero serviti per innescare una serie di manifestazioni in difesa della laicità, che puntavano in verità a rovesciare il governo Erdogan.

Il rischio della nuova inchiesta su Ergenekon aperta come due anni fa dal clamoroso arresto di generali e ammiragli è quello di rivelarsi ancora una volta troppo intricata per essere provata.

Non a caso quando, qualche mese fa, erano uscite le prime indiscrezioni sul piano Martello culminate negli arresti di ieri il potente capo dell’esercito, generale Ilker Basbug, aveva subito sparato a zero contro la campagna psicologica studiata per «calunniare le forze armate» e innescare un «possibile confronto tra istituzioni».



La politica di Erdogan e l'asse turco-russo
di Luca Schiano - http://andreacarancini.blogspot.com - 23 Febbraio 2010

Le recenti dichiarazioni di Erdogan che hanno stigmatizzato la condotta israeliana in Medio Oriente e nello stesso tempo avvicinato idealmente Ankara all’Iran, ci impongono delle riflessioni circa il ruolo della Turchia e della politica dell’attuale governo turco.

Ankara sa che la prospettiva di un automatica e vicina adesione all’Unione Europea è sfumata per le perplessità sollevate da più voci che si sono levate contro il paese della mezzaluna.

La Turchia, stato secolarizzato che non ha rinnegato le proprie radici islamiche ma ha cercato di coniugarle con la modernità ed il progresso, è consapevole del proprio ruolo strategico, non solo in sede mediorientale, ma anche in quello dell’Europa dell’ Est, vista la sua posizione particolare di ponte sul Bosforo, sito di importanza fondamentale in chiave geopolitica. Praticamente Ankara sta valorizzando il proprio ruolo in un’area fondamentale nel prossimo futuro del “globale” sviluppo sociale ed economico.

Ragionando in siffatti termini: “Bene, se non possiamo essere tra le Prime Potenze (l’adesione all’Unione Europea) cerchiamo di diventare la Prima delle Seconde potenze emergenti", che da qui a qualche decennio influenzeranno l’intero sistema mondiale, giocoforza la posizione chiave, appunto, del suo grande territorio che è al centro della complessa dinamica finanziaria che ha come protagonisti: Kazakistan, Iran, Medio Oriente, Europa Mediterranea ed Orientale.

Questo scenario offre un panorama particolare perché grandi riserve energetiche sono colà contenute negli sterminati territori di quei paesi che si avviano ad essere fortemente ambiti.

La Politica turca trova nella condotta del proprio ministro Erdogan il punto di forza che farà emergere Ankara dallo stallo al quale lo aveva condannato l’Unione Europea, che è oggi quel traballante nano politico che ha finito per adeguarsi senza alcun travaglio e senza alcuna vergogna alla politica americana ed anti-islamica dettata dal notorio gigante d’Oltreoceano.

L’Unione Europea sa dell’inevitabile adesione di Ankara in un prossimo futuro - almeno in una forma giuridica sui generis - ma un sondaggio di qualche anno fa (2007) ha evidenziato la crescente ostilità dei cittadini turchi all’Occidente, soprattutto se esso finisce per identificarsi con la condotta americana nel mondo.

Tale ostilità si era già concretizzata poco prima nel ruolo ambiguo, se non velatamente contrario, rispetto alla politica americana di aggressione all’Iraq del 2003, che è poi sfociato successivamente nell’atto plateale di diniego all’uso del Canale del Bosforo per gli incrociatori a stelle e strisce diretti nel 2008 verso le coste georgiane.

Ricordiamoci che la politica di Erdogan ha rotto coi consueti schemi dettati dai “laicisti” governi precedenti (quelli in auge prima del 2002, prima che il partito politico di “Giustizia e Sviluppo” prendesse il potere) che adeguavano il governo turco ai dettati di Washington senza condizioni.

Il nuovo governo Erdogan (incredibilmente simile a quello del compianto Aldo Moro, i cui tratti sembravano orientati più ad una conciliazione interna e di buon vicinato che ad uno scontro fisico col padrone di turno del mondo) mira al consolidamento del ruolo di Ankara come mediatore ed arbitro nel complesso mosaico di popoli, fedi e fazioni di quella non lontana realtà sociale e politica: ecco quindi la buona politica (non senza luci ed ombre) di distensione nei confronti di Armenia e Curdi e di più stretta collaborazione coi paesi turcofoni dell’ex-unione Sovietica; il sottoscritto considerando l’evento della visita di Stato del presidente turco A. Gul nei territori a maggioranza turcofona della Federazione di Russia nel febbraio 2009 non ha potuto fare a meno di ricordare altresì il “Piano di Azione di Cooperazione Euro-Asiatico” suggellato un decennio prima, che fu l’apripista del nuovo patto tra Mosca ed Ankara i cui rapporti commerciali ruotano oggigiorno attorno all’ingente cifra di 33 miliardi di dollari ed hanno finito per fare del gigante euro-siberiano il maggior socio d’affari del governo della mezzaluna.

Recente (il 13 gennaio scorso) l’incontro nella capitale turca del presidente Medvedev nell’ottica della più stretta collaborazione sul piano energetico: la società Atom Stroi Export, russa, è risultata vincitrice dell’appalto per la costruzione della prima centrale nucleare turca e la Turchia si è detta favorevole al progetto russo del gasdotto South Stream sponsorizzato dalla Gazprom moscovita.

Scenari nuovi si materializzano sul palco dove il cantante solista americano dovrà rendersi conto della realtà nuova che cambia e che essa, non sarà fatta più di cartoni e stucchi, ma di materiale più consistente: non basterà più una spinta per buttar giù ciò che egli non gradisce anche perché la platea gli è sempre più ostile: è da cinquant’anni che non riesce più a cambiar canzone e musica.