Ma le tensioni tra gli ex di An e gli ex di Forza Italia sono sempre state all'ordine del giorno in quest'anno di vita del Pdl, anche se tenute ben nascoste dal comune interesse di far parte di una schiacciante maggioranza parlamentare e del governo, con le annesse prebende.
E per un paio di mesi erano state ancora una volta messe sotto il tappeto grazie al "provvidenziale" lancio della miniatura del Duomo di Milano.
In particolare, la perenne tensione tra Fini e Berlusconi sembrava essere miracolosamente riposta in un cassetto.
Ora però, con le recenti inchieste della magistratura che vedono coinvolti alti esponenti del Pdl, la spaccatura all'interno del Pdl è deflagrata di nuovo con possibili pesanti conseguenze alle prossime elezioni regionali di fine marzo.
E il combinato disposto di inchieste giudiziarie e risultati elettorali negativi può solo produrre una frantumazione del Pdl con i berluscones da un lato, i finiani dall'altro e cani sciolti in cerca di un nuovo approdo partitico a 360 gradi.
E in questo caso un altro "Tartaglia" non servirà proprio a nulla...
Lotta tra cordate all'ombra di Silvio. "Di questo passo perdiamo le elezioni"
di Francesco Bei - La Repubblica - 21 Febbraio 2010
Dentro il Pdl è una guerra di tutti contro tutti. Il primo a saperlo è Silvio Berlusconi, che osserva con insofferenza crescente la maionese impazzita di via dell'Umiltà. "Adesso" si è sfogato due sere fa "la devono finire con queste camarille, perché di questo passo andiamo a perdere le elezioni".
Il problema allora non è la posizione di Denis Verdini, perché - come fa notare un berlusconiano lealista - "non si cambiano i generali mentre la battaglia è in corso". Ci sarà tempo, dopo il voto, per ripensare al destino del coordinatore finito al centro delle intercettazioni. E magari sostituirlo con Claudio Scajola.
Al di là del comunicato di ieri, che qualcosa si sia rotto tra Berlusconi e il suo braccio destro nel partito lo sostengono in tanti. E si fa notare come il premier stavolta abbia evitato accuratamente di attaccare i magistrati per difenderlo.
Come pure abbia tardato qualche giorno per mettere nero su bianco la sua solidarietà all'uomo di Fivizzano, una non casuale asimmetria rispetto al calore manifestato subito per Letta e Bertolaso.
Ma al momento, a poche settimane dal voto, l'unica scelta possibile è quella di blindare Verdini e mandare un segnale ai tanti suoi avversari: "Basta con i giochi di potere interni". A chi si riferiva il premier con la sua denuncia?
Il destinatario principale è il finiano Italo Bocchino, vicecapogruppo alla Camera. Gli uomini del Cavaliere sono convinti che sarebbe proprio Bocchino ad alimentare le voci di un possibile cambiamento al vertice di via dell'Umiltà.
Come quella sul mite Sandro Bondi che finirebbe numero uno, con Bocchino come vice. Non è un caso quindi che Berlusconi, incontrando venerdì alla Camera alcuni deputati, abbia chiesto loro un parere sulla "fedeltà" del vice capogruppo.
Nonostante gli attacchi, nella mappa interna al partito di maggioranza Verdini appare ancora in posizione preminente. Con Sandro Bondi impegnato al governo, è l'uomo forte a cui Berlusconi ha affidato il compito di arginare gli ex An. Una posizione che viene contrastata con tutte le forze da altri forzisti della prima ora.
Uno è sicuramente Mario Valducci, responsabile enti locali del Pdl, a cui Verdini ha sottratto ogni ruolo nel partito. Da mesi Valducci aspira a prendere il posto movimentista che fu di Michela Brambilla e ha dato vita - insieme a Giorgio Stracquadanio - a una struttura parallela che non risponde a via dell'Umiltà.
Si tratta degli oltre 500 club della libertà, sparsi per tutta la penisola (e molti proprio in Toscana, la terra di Verdini), che si propongono come alternativa ai circoli Pdl. Vicino a Valducci, ma in maniera autonoma, si pone un altro big come il ministro Franco Frattini. I due condividono la medesima avversione a Verdini e per questo si sono tatticamente alleati.
L'intesa è stata suggellata la scorsa settimana con la nascita di Task Force Italia, una struttura leggera che affiancherà i club di Valducci. Una "squadra di intervento" di berlusconiani della prima ora, pronti a stendere una rete di sicurezza intorno al premier se il Pdl dovesse saltare.
Ne fanno parte Frattini, Stracquadanio, Deborah Bergamini, Micaela Biancofiore, Isabella Bertolini, la giovane Annagrazia Calabria, Paola Pelino. Ha spiegato la Biancofiore: Frattini e Valducci "rappresentano due posizioni che confluiscono, la politica ed il movimentismo".
Le "camarille", come le chiama Berlusconi, hanno trovato l'occasione per scontrarsi nella composizione delle liste per le candidature. Una battaglia così feroce che due sere fa, quando si parlava della lista bloccata per la Toscana, Bondi è arrivato a minacciare le dimissioni da coordinatore. Vengono messe in discussione anche le scelte del Cavaliere, come quella di candidare l'ex Miss Veneto, Chiara Sgarbossa, o Francesca Pascale nel Lazio.
Da ultimo persino l'igienista dentale del premier, Nicole Minetti (in realtà conosciuta da Berlusconi quand'era una showgirl), sarebbe stata sbianchettata dal listino lombardo. E se saltano persino le Silvio's angels è davvero una maionese impazzita.
Coordinatori divisi, trame dei ministri. Ma l'affondo del premier è per Fini
di Marco Galluzzo - Il Corriere della Sera - 21 Febbraio 2010
Pdl sull'orlo di una crisi di nervi: il partito resta diviso in due. Bondi sempre più distante dai colleghi
Tre coordinatori molto discussi. Un presidente, ovvero il Cavaliere, furibondo, che dice di non riconoscersi più nel suo partito. Un partito, il Pdl, ancorché fortissimo, in preda a una crisi di nervi. O meglio, come ammesso dallo stesso presidente del Consiglio, in balia di «giochi di potere» che nulla hanno a che fare con il bene della maggioranza.
La cronaca di ieri, con qualche indiscrezione, è eloquente. Sui giornali viene pubblicato lo sfogo del Cavaliere sullo stato del Pdl, la sua tentazione di azzerare tutto, dopo il voto delle Regionali.
C’è anche traccia di un attacco a Denis Verdini, che del Pdl è uno dei coordinatori, indagato dai magistrati di Firenze, poco amato (per usare un eufemismo) nel partito che dirige. Verdini è tentato dalle dimissioni, Berlusconi smentisce e lo difende pubblicamente, ma è la prima volta che lo fa dal giorno della notizia delle indagini che lo riguardano.
Nel frattempo Ignazio La Russa, altro coordinatore, anche se in modo ironico, si dice disposto a fare un passo indietro. Tace il terzo coordinatore, Sandro Bondi, ma a Palazzo Grazioli lo danno sempre più distante dai suoi due colleghi, tanto che avrebbe fatto sapere al premier che si sente escluso e che non ha più molta voglia di sedersi al tavolo di lavoro con gli altri.
Sulle decisioni che contano, complici forse anche gli impegni ministeriali, il politico che ama la poesia di solito resta escluso. Tutto, ovviamente, è molto ovattato. Non si lavano i panni in pubblico. L’uscita del capo del governo punta a rimettere in riga alcune teste calde.
Nel partito molte cariche devono essere rinnovate, le parole del Cavaliere servono a congelare tutto. C’è anche il sospetto che alcune frasi contro Verdini, riportate dai quotidiani come se Berlusconi le avesse pronunciate in Consiglio dei ministri, siano state fatte circolare ad arte da alcuni esponenti del governo. Il premier per una volta ce l’ha più con chi imbecca la stampa che con la stampa.
Italo Bocchino, vicecapogruppo dei deputati del Pdl, è in cima alla lista degli indiziati, fra i presunti autori dei giochi di potere. A lui viene attribuita una frase che ha fatto letteralmente infuriare il capo del governo: «Verdini e La Russa sono due morti che camminano».
Lui, non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo, smentisce: «È impensabile, La Russa è il meglio che esiste, i problemi li hanno " loro", non "noi", è una guerra intestina a "loro", basta chiedere cosa pensano di Verdini, off the records ovviamente Nell’uso dei pronomi c’è il problema dei problemi.
I partiti sono rimasti due. "Loro" sono quelli di Forza Italia. "Noi" sono gli ex di An. Paolo Bonaiuti ad Arezzo aveva visto più lungo di altri: basta con il metodo del 70 e 30 per ogni cosa, le cariche, le liste, il partito è di tutti, il futuro è la collegialità. Non è stato ascoltato, almeno non da tutti.
Bocchino è in cima ad un’altra lista, quella della fiducia personale del presidente della Camera, Gianfranco Fini. I «giochi di potere» citati ieri da Berlusconi sono un messaggio anche al co-fondatore. Evidentemente i pranzi all’hotel de Russie non bastano ad appianare tutte le divergenze.
Ricostruzioni dello staff del Cavaliere: Bocchino ha condotto una guerra politica contro Cosentino, sottosegretario all’Economia e coordinatore del Pdl in Campania; Bocchino è grande amico della Carfagna, la Carfagna designa Fini come successore di Berlusconi; il Cavaliere si infuria con la sua ministra, difende Cosentino a spada tratta, per non darla vinta ai «giochi di poteri» che "loro", in questo caso gli ex di An, conducono in Campania.
C’è da aggiungere che un gruppo molto ampio di parlamentari, quasi tutti azzurri della prima ora, si definiscono ora «pretoriani» di Berlusconi, si stanno strutturando per ritrovare dentro il Pdl lo spirito originario di Forza Italia. Pretoriani che difendono il loro capo dai giochi di potere: non è un film o un videogame, è l’atmosfera che si respira nel Popolo della Libertà, il primo partito italiano.
Come funziona il sistema Verdini
di Eugenio Scalfari - La Repubblica - 21 Febbraio 2010
Adesso il problema sembra essere quello della corruzione generale. Di tutta la nazione. Di tutto un popolo "che nome non ha". Di tutta una gente che spunta alla rinfusa "dagli atri muscosi, dai fori cadenti".
Una sorta di scena da teatro senza attori, solo comparse degradate che si sospingono a vicenda, una cenciosa opera da tre soldi dove vengono scambiate miserabili mazzette, abbietti favori, borseggi agli angoli delle strade. Ci sarà pure un Mackie Messer armato di coltello ma non si vede, dà ordini sottovoce all'ombra di quella plebaglia corrotta e corruttibile.
La Corte dei Conti ha quantificato il degrado collettivo: da un anno all'altro la corruzione è aumentata del 229 per cento. Anche due giudici della Corte sono tra gli indagati. Anche un giudice della Corte costituzionale è lambito dall'ondata di fango. Anche un magistrato della Procura di Roma.
I giornali dibattono l'argomento. Analizzano il fenomeno. Si tratta d'una nuova Tangentopoli a diciotto anni di distanza dalla prima? Oppure d'una situazione con caratteristiche diverse? Allora, nel 1992, si rubava per procurare soldi ai partiti e alle correnti; adesso si ruba in proprio ed è un crimine di massa. Meglio o peggio di allora?
Infine - ma questa è la vera domanda da porsi: la corruzione sale dal basso verso l'alto oppure scende dall'alto verso il basso? La classe dirigente è lo specchio d'una società civile priva di freni morali oppure il cattivo esempio degli "ottimati" incoraggia la massa a delinquere infrangendo principi e normative?
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Berlusconi è preoccupato. Lo dice lui stesso in pubblico e in privato e molti suoi collaboratori trasmettono ai giornali il suo cattivo umore che del resto risulta evidente dalle immagini televisive e fotografiche. "Se potessi scioglierei il partito, ma non posso". Una frase così non l'avevamo mai sentita prima. E' indicativa del livello cui il fango è arrivato.
Per quello che se ne sa, la sua preoccupazione proviene da sondaggi molto allarmati e soprattutto da previsioni pessimistiche sullo smottamento futuro del consenso. Emergono diverse faglie: quella dei moderati, quella dei cattolici, quella delle persone perbene senza aggettivi.
Bertolaso è indagato, Verdini e Letta compaiono molte volte nelle intercettazioni giudiziarie.
Due differenti pulsioni si alternano nell'animo del "capo dei capi": rintuzzare gli attacchi, mantenere le postazioni e anzi contrattaccare; oppure cambiare strategia, abbandonare le posizioni più esposte e i personaggi più discussi, dare qualche soddisfazione ad una pubblica opinione stupita, indignata e trascurata per quanto riguarda le ristrettezze economiche che mordono ormai la carne viva del Terzo e del Quarto stato.
La scelta tra queste due opzioni non è stata ancora fatta. A giudicare dalle parole e dagli atti sembrerebbe che il "capo dei capi" persegua contemporaneamente ambedue queste strategie col rischio di far emergere un'incoerenza che segnala una crescente difficoltà.
La legge in preparazione che dovrebbe inasprire le pene contro i reati di corruzione segna il passo. Il collega D'Avanzo ha spiegato ieri le ragioni del rinvio: il gruppo dirigente del partito non ci sta. Se alla fine la legge verrà fuori, sarà solo un placebo da avviare su un binario morto.
Più efficace (se ci sarà) potrebbe essere il lavoro di pulizia delle liste elettorali; ma quel lavoro, per avere un senso, dovrebbe estendersi ai membri del governo e del Parlamento colpiti da sentenze o da condanne di primo grado con imputazioni di corruzione.
Ma ne verrebbe fuori una decimazione: Dell'Utri, Ciarrapico, Cosentino, Fitto e almeno un'altra decina di nomi sonanti. Vi pare fattibile un'ipotesi del genere? Promossa da Berlusconi che dal canto suo ha schivato le condanne solo con derubricazione di reati e accorciamento dei tempi di prescrizione disposti dalle famose leggi "ad personam"?
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Il caso Bertolaso-Protezione civile fa storia a sé. Il punto nodale della questione sta nella distinzione tra eventi causati da catastrofi naturali per i quali la necessità e l'urgenza autorizzano a derogare dalle norme vigenti; e gli eventi non connessi a tali catastrofi, per i quali le deroghe non sono né urgenti né necessarie.
Qualche eccezione in questo secondo campo d'azione può essere ipotizzata ma deve essere dettagliatamente motivata e debitamente circoscritta. Così non è stato. La cosiddetta politica del fare è diventata una modalità permanente, la mancanza di controlli ha alimentato l'arbitrio, e l'arbitrio è diventato sistema.
L'inchiesta giudiziaria in corso riguarda situazioni molteplici: appalti in Toscana, appalti alla Maddalena, appalti a Roma, appalti a L'Aquila, in Campania, a Varese, a Torino, a Venezia, seguirne il filo è stato scrupolosamente fatto dai giornali e lo do quindi per noto. Aggiungo qualche aggiornata osservazione.
1. Il giro degli appaltanti, degli attuatori e degli appaltatori è relativamente limitato. Le Procure (Firenze, Roma, Perugia, L'Aquila) li hanno definiti una "cricca". La parola mi sembra quanto mai adatta.
2. Gianni Letta (e Bertolaso) avevano escluso che imprenditori della cricca suddetta avessero mai lavorato all'Aquila, ma hanno poi dovuto ammettere di essersi sbagliati. Almeno due di essi (Fusi e Piscicelli) hanno avuto incarichi anche in Abruzzo. Agli altri e al gruppo Anemone in particolare, è stata data in pasto La Maddalena e molti altri luoghi, a cominciare da Roma.
3. La scelta iniziale di collocare il G8 nell'isola sarda fu un errore madornale. La pazza idea di ospitare i Grandi sulle navi creando una sorta di isola galleggiante fu rifiutata dalle delegazioni principali. Sopravvennero altre questioni di sicurezza di impossibile soluzione. Se non ci fosse stato il terremoto dell'Aquila, La Maddalena sarebbe stata comunque scartata ma questa impossibilità tecnica è venuta fuori quando il grosso dei lavori era già stato appaltato e portato avanti. La Protezione civile non si era accorta di nulla o, se se n'era accorta, non l'aveva detto a nessuno.
4. Il terremoto offrì una via d'uscita dall'"impasse" della Maddalena, ma a caro prezzo: furono costruiti dunque due G8, uno dei quali procedette di pari passo e negli stessi luoghi distrutti dal sisma. Da questo punto di vista la Protezione civile dette prova di grande efficienza. Il prezzo fu l'abbandono della Maddalena nelle mani di Balducci e della cricca e una soluzione edilizia, ma non urbanistica, che ha soccorso molte migliaia di aquilani ma ha messo in un binario morto la ricostruzione della città.
5. La figura di Angelo Balducci scolpisce nel modo più eloquente il funzionamento della cricca e gli arbitri che ne derivano. Uno dei casi più macroscopici riguarda la famosa sede del Salaria Sport Village sulle rive del Tevere. Terreno demaniale, zona preclusa ad ogni tipo di costruzione, parere negativo della conferenza dei servizi, della Regione, della Provincia e del Comune di Roma; tutti superati da un'ordinanza di Balducci con trasferimento della concessione all'imprenditore Anemone.
6. L'altra figura omologa che si erge alla guida della cricca è quella di Denis Verdini, coordinatore del Pdl e come tale persona "all'orecchio" del Capo.
Verdini non si lascia intervistare, non vuole sottoporsi a domande imbarazzanti. In compenso ha scritto un diario, una sorta di comparsa a difesa, e l'ha fatto leggere ad un giornalista del "Corriere della Sera".
Il quale ha fatto scrupolosamente il suo mestiere riferendo il testo senza poter interporre domande. Ne è risultata un'autodifesa vera e propria.
Questo testo merita d'esser letto con attenzione. Ne riporterò qui qualche brano che ne dà l'idea.
* * *
"Il mio amico Riccardo Fusi è persona di cui mi fido, un vero imprenditore con tremila lavoratori alle sue dipendenze. Sono indagato per aver sostenuto una nomina che poteva interessare. Questo ha indotto i magistrati a pensare che ci fosse sotto un reato, ma non è così, non ho mai preso una lira, ma non nasconderò mai che a Riccardo ho presentato il mondo, tutti quelli che mi chiedeva di conoscere. Dimettermi da coordinatore? Non mi passa neanche per l'anticamera del cervello. Certe cose sono roba da asilo infantile. Siamo un sistema di potere? Scoperta dell'acqua calda. Quando c'è discrezionalità si apre la porta ad un sistema. Il punto è se è legittimo o illegittimo".
Questa frase è essenziale, fornisce la chiave autentica per decifrare ciò che sta accadendo.
Verdini è uno dei pilastri del sistema. Evidentemente lo considera legittimo, più che legittimo per il bene del paese. Scrive in un'altra pagina del suo diario: "Io lavoro per Berlusconi che riesce a ottenere benessere e consenso da milioni di italiani".
Lui non fa parte della cricca. Così dice, anche se gli amici per i quali si spende e ai quali procura appalti, nomine ministeriali, potere e danaro, sono i componenti della cricca.
Ma lui no, lui non pensa di farne parte perché è collocato di varie spanne al di sopra. E non li favorisce per avere mazzette. Che volete che se ne faccia delle mazzette, lui che è agiato di famiglia? Lui gode di aver potere e di portare talenti e consensi al suo Capo. Talenti di malaffare?
Può esser malaffare quello che porta consenso e voti a Berlusconi? Certo "quando c'è discrezionalità si apre la porta al sistema" e dunque portiamo la discrezionalità al massimo, sistemiamo gli amici nei posti che servono e chi non beve con noi peste lo colga.
Non è questo il meccanismo? Non è questo che spiega la fronda di Fini e l'uscita di Casini dall'alleanza? Non è questo che divide Palazzo Chigi dal Quirinale? La magistratura da una concezione costituzionale che ricorda gli Stati assoluti?
Non prendono una lira, può darsi, ma hanno fatto a pezzi la democrazia. Vi pare robetta da poco?
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Bertolaso è un'altra cosa. Nel 2001, poco dopo esser stato insediato da Berlusconi alla guida della Protezione civile, scrive una lettera all'allora ministro dell'Interno, Scajola, e al sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta.
Dice così: "Il nostro Dipartimento è diventato dispensatore (assai ricercato) di risorse finanziarie e deroghe normative senza avere la minima capacità di verificare l'utilizzazione delle prime e l'esercizio delle seconde e senza avere alcun filtro utile sulle richieste. L'accavallarsi di situazioni di emergenza ha generato un flusso inarrestabile di ordinanze che a loro volta hanno comportato provvedimenti di assunzione di personale e autorizzazioni di spesa di non agevole controllo".
Era il 4 ottobre del 2001. Sono passati nove anni ma sembra di leggere oggi un discorso di Bersani o di Di Pietro. Che cosa è accaduto?
Nonostante le apparenze Bertolaso è un uomo debole ma con una grande immagine di se stesso. Non ha il cinismo di Verdini e di Balducci, dei grandi corruttori. Adora i suoi volontari e ne è adorato. Pensate che qualcuno adori Verdini (tranne gli amici della cricca)? Qualcuno adori Balducci?
Bertolaso è un mito tra i suoi, lavora con i suoi, si veste come i suoi. Vuole essere amato. In questo è l'anima gemella di Berlusconi: vogliono essere amati. Naturalmente senza condizioni. Le critiche li fanno impazzire di rabbia. Le regole sono un impaccio. "Posso star fermo in attesa che il Parlamento decida?" ha scritto Bertolaso pochi giorni fa rispondendo ad una mia domanda.
Quindi avanti con i grandi eventi, Unità d'Italia, campionati di nuoto, campionati di ciclismo, celebrazioni di Santi e di Beati, restauro del Donatello eccetera. Insomma Bertolaso non ha addomesticato il potere come sperava nella sua lettera del 2001, ma è la brama di potere che si è impossessata di lui.
Quando è franata un'intera montagna sul paese di Maierato in Calabria, Bertolaso era alla Camera e poi a Ballarò per difendersi dalle intercettazioni che lo riguardano. La mattina dopo è volato a Maierato in mezzo ai pompieri che spalavano il fango. Bravo. Meritorio. Lo dico senza alcuna ironia, ma mi pongo una domanda: tra i compiti affidati alla Protezione civile non c'è anche quello importantissimo di prevenire le catastrofi e sanare il disastro idrogeologico del territorio?
Il grande meridionalista Giustino Fortunato cent'anni fa definì la Calabria "uno sfasciume pendulo sul mare". Allora non esisteva la Protezione civile, ma oggi c'è. Bertolaso sa benissimo che le montagne e le colline delle Serre nella Valle dell'Angitola sono uno sfasciume pendulo.
Che cosa ha fatto per prevenire? Io so che cosa ha fatto: ha distribuito alle Regioni di tutta Italia la mappa idrogeologica del territorio segnalando i punti critici ed ha incoraggiato le Regioni a provvedere. Lui aveva altre cose di cui occuparsi.
Le Regioni senza una lira non hanno fatto nulla. La supplenza toccava a lui che i soldi li ha e le forze a disposizione anche. Ma la prevenzione non è un grande evento, le televisioni non se ne occupano, nessuno ne sa nulla. Intanto lo sfasciume crolla sulle case abusive e sulle strade abusive. Così vanno le cose.
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La corruzione è aumentata a ritmi pazzeschi. Non è Tangentopoli? Forse è peggio. Oggi si ruba in proprio ma quelli che rubano sono i protetti del potere e puntellano il potere. Quelli che rubano cadono in tentazione e qui mi sono tornate in mente le pagine dostoevskijane del "Grande Inquisitore", delle quali ho discusso a lungo un mese fa col cardinale Martini riferendone su queste pagine.
Il Grande Inquisitore contesta a Gesù di avere promesso agli uomini il pane celeste mentre essi volevano il pane terreno. Gesù aveva dato agli uomini il libero arbitrio di cui essi avrebbero volentieri fatto a meno ed essi scelsero infatti di farne a meno pur di avere il pane terreno rinunciando ai miraggi del cielo. Gli uomini si allearono con lo spirito della terra, cioè con il demonio, ed anche i successori di Pietro si allearono con lo spirito della terra.
Alla fine il mondo diventò pascolo del demonio e delle autorità che per brama di potere avevano sconfessato il messaggio di Gesù. Il Grande Inquisitore decide addirittura che Gesù sia bruciato e così si chiudono quelle terribili pagine.
Non so se Verdini o Letta o Bertolaso o Balducci o quelli che ridevano nel letto mentre L'Aquila crollava, abbiano mai letto i "Fratelli Karamazov". E se, avendoli letti, abbiano sentito muoversi qualche cosa nell'anima, un monito, un rimorso. Se l'hanno sentito, questo sarebbe il momento di seguirne l'impulso. Ma da quello che vedo, temo che siano sordi a questi richiami.