Anche ieri ad esempio il segretario di Stato, Hillary Clinton, ha ammonito Damasco di "iniziare a prendere le distanze dall'Iran perche' si tratta di un rapporto che preoccupa profondamente la regione cosi' come gli Stati Uniti".
Un avvertimento che arriva dopo la ripresa delle normali relazioni diplomatiche tra USA e Siria, con il ritorno di un ambasciatore americano a Damasco dopo 5 anni.
La Clinton poi ha continuato a premere anche sul Consiglio di Sicurezza dell'Onu perchè approvi una nuova tornata di sanzioni contro l'Iran entro "i prossimi 30-60 giorni".
Ma oggi il portavoce del ministero degli esteri cinese Qin Gang ha replicato che "per la Cina c'è ancora spazio per le trattative e il dialogo nella crisi legata al programma nucleare dell'Iran".
Aggiungendo inoltre che ci sono due "problemi chiave" da risolvere per procedere sulla strada del negoziato: "Quello delle forniture di carburante per i reattori usati dall'Iran nella ricerca e l'intensificazione dei contatti tra Teheran e i sei Paesi del Gruppo di contatto".
Intanto proprio oggi è iniziato a Damasco un vertice tra i presidenti di Siria e Iran. Il presidente siriano, Bashar al Assad, ha ricevuto Mahmoud Ahmadinejad per un colloquio e ha snobbato le pressioni americane confermando il proprio appoggio all'Iran sulla questione nucleare e dichiarando che l'Iran "Ha il diritto di proseguire il suo programma di arricchimento dell'uranio per scopi pacifici".
Sarà contenta la Casa Bianca...
Ma la strategia della tensione verso l'Iran continua. E' infatti di ieri la notizia annunciata dal ministero della difesa iraniano di un attentato sventato contro un impianto dello stesso ministero a Teheran.
Secondo quanto riferito, l'attacco doveva essere portato a termine dai ribelli curdi appartenenti a una organizzazione chiamata Komala. Arrestati tre attentatori nel Kurdistan iraniano, nel nord-est del paese, e sequestrate due bombe e tre Kalashikov.
E ciò a pochi giorni dall'arresto da parte dell'intelligence iraniana del leader del gruppo separatista belucho Jundallah
Washington: accerchiare Teheran
di Michele Paris - Altrenotizie - 25 febbraio 2010
La recente decisione di Washington di installare un proprio ambasciatore in Siria dopo cinque anni di assenza potrebbe apparire, a prima vista, come la logica conseguenza dei progressi nelle relazioni tra i due paesi, iniziati con il cambio della guardia alla Casa Bianca.
Le più recenti mosse di riavvicinamento a Damasco, tuttavia, s’inseriscono in una più ampia offensiva americana in Medio Oriente diretta ad isolare l’Iran - di cui la Siria è appunto uno degli alleati più stretti - per preparare l’imposizione di nuove sanzioni, se non, addirittura, un’aggressione militare.
L’amministrazione Bush aveva ritirato il suo ambasciatore a Damasco nel 2005, in segno di protesta nei confronti del regime siriano, ritenuto responsabile dell’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri a Beirut.
Già dal giugno dello scorso anno si era iniziato a parlare negli Stati Uniti di un possibile ritorno di un ambasciatore in Siria. Poi, la scorsa settimana, l’annuncio della nomina del diplomatico americano Robert S. Ford.
Attuale vice-capo missione presso l’ambasciata USA di Baghdad, quest’ultimo aveva ricoperto la carica di ambasciatore in Algeria dal 2006 al 2008 e, in precedenza, di vice-capo missione in Bahrain tra il 2001 e il 2004. Ford dovrà essere ora confermato dal Senato di Washington nel suo nuovo incarico, mentre la Siria pare avere già approvato la nomina.
Il pieno ristabilimento delle relazioni con la Siria giunge dopo che negli ultimi mesi si erano tenuti una serie d’incontri diplomatici, al fine di allentare le tensioni. Nel 2009, l’inviato speciale di Obama per la pace in Medio Oriente, George Mitchell, si era recato a Damasco in due occasioni.
Colloqui a un livello inferiore si erano poi susseguiti, mentre in concomitanza con la nomina del nuovo ambasciatore nella capitale siriana si è tenuta una importante visita ufficiale del Sottosegretario di Stato William Burns, vale a dire il diplomatico americano più alto in grado a recarsi in questo paese dopo il Segretario di Stato Colin Powell poco meno di sei anni fa.
Accompagnato nella sua missione dal coordinatore del contro-terrorismo per il Dipartimento di Stato, Daniel Benjamin, il vice di Hillary Clinton ha parlato con il presidente Bashar al-Assad, sottolineando la disponibilità di Washington a migliorare le relazioni con la Siria e la volontà di cooperare nello sforzo per giungere ad un accordo di pace tra arabi e israeliani.
Nella sua conferenza stampa seguita all’incontro con Assad, però, Burns ha significativamente ricordato anche quanto sia irto di ostacoli il cammino che porta a una riconciliazione tra Stati Uniti e Siria.
Secondo i media occidentali, all’ordine del giorno dei colloqui di Damasco vi era, in primo luogo, la collaborazione per l’ennesimo avvio dei negoziati di pace tra palestinesi e israeliani, ma anche le continue infiltrazioni dal confine siriano di estremisti sunniti ed ex-baathisti di Saddam Hussein che alimentano la violenza settaria in Iraq, nonché il sostegno economico e militare siriano ad Hamas in Palestina e a Hezbollah in Libano, organizzazioni entrambe definite terroristiche da Washington.
Dietro alla facciata della nuova politica di riavvicinamento promossa da Obama fin dai tempi della sua campagna elettorale, per dare maggiore “impeto alla costruzione della pace in Medio Oriente”, si nasconde in realtà, in maniera peraltro non troppo velata, il tentativo di aumentare le pressioni nei confronti dell’Iran e del suo programma nucleare. Le manovre di accerchiamento da parte della diplomazia a stelle e strisce hanno infatti subito un’improvvisa accelerazione proprio nelle ultime settimane.
Da pochi giorni si è concluso il tour dei paesi arabi del Segretario di Stato, Hillary Clinton. Nel corso di un discorso in Qatar, la ex first lady ha lanciato un appello a sostegno delle sanzioni contro l’Iran volute da Washington per frenare la presunta corsa di Teheran verso la produzione di ordigni nucleari.
La tappa successiva è stata poi l’Arabia Saudita, dove Hillary si è adoperata per convincere la monarchia assoluta a rassicurare la Cina circa possibili ulteriori forniture di petrolio nel prossimo futuro.
La Cina importa gran parte degli idrocarburi necessari al proprio fabbisogno dall’Iran, una linea di fornitura che potrebbe essere tagliata nel caso Pechino finisca per appoggiare le sanzioni proposte dagli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Lo stesso Sottosegretario di Stato Burns, nel corso della sua trasferta mediorientale, si è incontrato in Libano con il presidente Michel Suleiman e il primo ministro Saad Hariri, mentre successivamente si è recato in Azerbaijan e in Turchia, entrambi paesi che mantengono buoni rapporti con l’Iran.
Un altro vice della Clinton, James Steinberg, sarà inoltre in Israele questa settimana, così come il capo di Stato Maggiore americano, generale Michael Mullen, volerà in Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi dopo essere già stato ricevuto in Egitto dal presidente Mubarak e dai vertici militari israeliani a Tel Aviv.
L’argomento principale di tutti questi incontri rimane sempre e comunque l’Iran. Così come in funzione anti-iraniana va interpretato anche un altro annuncio che qualche settimana fa aveva alimentato nuove tensioni: la promessa di nuove forniture militari per il rinnovamento del sistema missilistico dei paesi arabi del Golfo Persico alleati degli Stati Uniti (Bahrain, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi).
L’isolamento dell’Iran sembra dunque essere l’obiettivo principale della nuova strategia nei confronti della Siria, anche se non è chiaro fino a che punto Assad sarà disponibile ad allentare la sua alleanza con Teheran per migliorare i rapporti con Washington.
Se quest’ultima prospettiva risulterebbe cruciale per le speranze di Damasco di recuperare le alture del Golan, occupate da Israele nel 1967 durante la Guerra dei Sei Giorni, gli ostacoli alla distensione rimangono parecchi. Sulla lista nera dei paesi sponsor del terrorismo fin dal 1979, la Siria continua a soffrire a sua volta per le pesanti sanzioni applicate dagli USA nel 2004 e che vietano la vendita di beni, ad eccezione di cibo e medicinali.
Da parte sua, il presidente Assad ha già espresso scetticismo nei confronti della volontà degli Stati Uniti di accogliere le richieste siriane. Ancora meno propenso si è dimostrato poi nell’assecondare lo sforzo della Casa Bianca per raccogliere consensi nella comunità internazionale al fine di punire l’Iran con nuove sanzioni.
Lo sganciamento della Siria dall’Iran voluto da Washington, in definitiva, non sarà così facilmente raggiungibile. Non solo il sentimento anti-americano nella società siriana continua ad essere molto radicato, ma la posizione di Assad, sia all’interno del paese sia sul piano internazionale, secondo molti osservatori, si è consolidata negli ultimi tempi, garantendogli un peso maggiore nei negoziati.
Gli investimenti nel paese si sono infatti moltiplicati in seguito ad una serie di riforme economiche, i rapporti diplomatici con la Francia ed altri paesi dell’UE sono stati completamente ripristinati e, infine, la stessa influenza sul Libano sembra essere tornata quella di un tempo, dopo che la Rivoluzione dei Cedri nel marzo del 2005 aveva portato al ritiro delle truppe siriane dal paese sul quale esercitava un protettorato di fatto.
Iran, colpo grosso dell'intelligence
di Christian Elia - Peacereporter - 24 Febbraio 2010
Arrestato il leader del gruppo armato sunnita Jundallah, attivo nel Sistan-Baluchistan
E' finita a soli 26 anni la breve, ma intensa, vita da leader guerrigliero di Abdol Malek Rigi. Il capo di Jundallah (I Soldati di Dio), gruppo armato sunnita attivo nella provincia del Sistan-Baluchistan iraniano, è stato arrestato il 23 febbraio 2010.
Dinamica incerta. In realtà sembra che sia stato fermato qualche giorno prima. Perché in questa vicenda l'unica certezza è che Rigi è adesso nelle mani della magistratura della Repubblica Islamica, ma sul come ci sia finito le ipotesi sono almeno tre.
La prima, quella ufficiale, è presentata da Heidar Moslehi, ministro dell'Intelligence iraniano, che ne corso di una conferenza stampa ha annunciato l'arresto del leader del gruppo sunnita. Rigi si trovava su un aereo in volo dal Pakistan a Dubai, meta di transito verso il Kyrghizstan.
Caccia dell'aviazione militare iraniana hanno intercettato il volo, sul quale fonti d'intelligence iraniana avevano garantito la presenza di Rigi, e l'hanno costretto ad atterrare per consegnare il passeggero, ricercato numero uno in Iran.
Atterraggio avvenuto a Bandar Abbas. Come conferma della dinamica un paio di foto: nella prima Rigi è in un aereo, con una mascherina per gli occhi, nell'altra sende da un aereo senza insegne identificative, stretto tra quattro uomini dei corpi speciali iraniani a volto coperto.
Per il network al-Jazeera, però, l'arresto è avvenuto settimana scorsa in Pakistan, come frutto della collaborazione tra Islamabad e Teheran nella lotta al separatismo dei baluci, che vivono nella zona di confine tra i due paesi. Ultima ipotesi quella che ha presentato la televisione al-Alam, secondo la quale Rigi è stato arrestato al confine tra Afghanistan e Pakistan.
Fine della corsa. Come detto, l'unica certezza è che Rigi è nelle mani delle autorità iraniane. Ma chi è Rigi? I primi segnali di un movimento separatista balucio, nella provincia iraniana del Sistan-Baluchistan, sono del 2000.
In realtà il gruppo Jundallah comincia a utilizzare questa sigla solo nel 2002. Da quel momento ha rivendicato molte azioni, dal rapimento di poliziotti iraniani ad attacchi in grande stile.
I più importanti sono l'attentato alla moschea sciita di Zahedan, capoluogo del Sistan-Baluchistan, del 28 maggio 2009, quando persero la vita 20 persone. Il 18 ottobre 2009, a Pishin, un attentato uccisero 15 miliziani dei Guardiani della Rivoluzione e 27 civili.
Ma gli attacchi nella provincia sono tanti, compreso un presunto attentato alla vita del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Per Teheran il gruppo Jundallah è una marionetta dei paesi nemici dell'Iran. "Rigi, 24 ore prima dell'arresto, si trovava in una base militare Usa in Afghanistan", ha dichiarato Moslehi, portando come prova una foto di Rigi nell'impianto e i documenti con i quali è stato arrestato: una carta d'identità pakistana a nome Saeed Ahmad, e un passaporto afgano.
"Usa, Gran Bretagna e altri stati europei hanno sostenuto Jundallah in questi anni", ha accusato Moslehi, al quale ha fatto eco Ramin Mehmanparast, portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, che ha commentato: "L'aiuto fornito dagli Usa a questa organizzazione è stata una vergogna, oltre che per Washington, per tutti gli altri paesi che dicono di rispettare i diritti umani. Questo arresto è l'ennesima prova che tutti i problemi del Medio Oriente nascono lontano da qui, dai paesi che vogliono destabilizzare l'area".
Gli Usa e la Gran Bretagna hanno smentito qualsiasi rapporto con Rigi e Londra si è affrettata a dirsi soddisfatta della cattura del leader di un'organizzazione terrorista.
Ospite (non) gradito? Le sicurezza di Teheran, però, si basano su alcuni elementi. In primo luogo l'incontro dello stesso Rigi, in Afghanistan, con il comandante Nato ad aprile dello scorso anno. Inoltre Rigi, a luglio 2008, è stato ricevuto da un Paese europeo e, nell'aprile dell'anno prima, è stato intervistato da Voice of America, durante un suo viaggio negli Stati Uniti.
All'epoca Rigi aveva dichiarato che Jundallah non era un movimento separatista, ma solo una forma di autodifesa della minoranza balucia (1,4 milioni di persone) rispetto al centralismo persiano e sciita di Teheran, che discriminava i baluci sunniti.
In realtà il movimento balucio, anche nei confronti del Pakistan, per anni ha coltivato l'idea del Grande Baluchistan, portato avanti dal Baluchistan United Front in Pakistan.
La zona, inoltre, è un crocevia chiave del traffico di oppio proveniente dall'Afghanistan e diretto al mercato mondiale. Secondo le autorità di Teheran la stessa famiglia di Rigi è coinvolta nel controllo del traffico, per Rigi invece alti esponenti dei Guardiani della Rivoluzione erano i veri boss del narcotraffico locale.
Quale che sia la verità è difficile che Rigi sfugga alla forca. Sono 14 le persone ritenute legate a Jundallah che sono state impiccate in Iran solo nel 2009. Lo stesso fratello di Rigi, Abdul Hamid, è stato condannato a morte anche se la sentenza è per ora sospesa. Il procuratore di Zahedan, Mohammed Marzieh, ha annunciato che Rigi sarà processato in città, con udienze aperte al pubblico.
Rebus fitto. Jundallah, con un comunicato diffuso su internet poche ore dopo la notizia dell'arresto, ha confermato la prigionia di Rigi. "Secondo le nostre fonti, i servizi segreti occidentali hanno collaborato attivamente con il governo iraniano favorendo la cattura del nostro leader", scrivono nel testo.
"Hanno tradito anche i servizi segreti afgani e pakistani, ma tutto il popolo del Baluchistan è con Rigi, che in questi anni ha formato un esercito di adepti, pronti a prendere il suo posto e a continuare la lotta contro Teheran".
Il comunicato sembra smentire la collaborazione di Jundallah con gli Usa, ma come è già accaduto in passato con il Pjak (l'organizzazione dei curdi iraniani), non è un mistero che l'amministrazione Bush avesse finanziato gruppi legati alle etnie 'altre' in Iran per tenere sotto pressione il regime degli ayatollah dall'interno.
Stesso discorso per il ruolo avuto da Dubai nella vicenda. Moslehi ha accusato l'emirato di avere le mani in pasta in questa vicenda, ma se Rigi era diretto a Dubai magari non ha mancato di collaborare anche la rete di spie che vive nell'emirato.
Un fitto rebus, dove rimane da capire anche se la cattura di Rigi è un colpo assestato dall'Iran ai suoi nemici, o se il leader di Jundallah ha smesso di essere utile perché la nuova amministrazione Usa ha deciso di cambiare strategia cessando il sostegno ai gruppi etnici in Iran.
Se quest'ultima fosse la tesi corretta, il passo successivo è capire come mai lo ha fatto. Magari perché è già pronta l'opzione armata.