giovedì 4 febbraio 2010

Obama: il pacifista guerrafondaio

Una serie di articoli a conferma di quanto si sospettava già da tempo: il presidente USA Barack Obama è del tutto succube e prono alle volontà e interessi dell'apparato industrial-militare statunitense.

Una bella "prova" per un Nobel per la Pace che ha un solo chiaro obiettivo nel suo prossimo futuro: farsi rieleggere alla Casa Bianca, grazie soprattutto al supporto della lobby di cui sopra.


Il consiglio del neocon: Obama bombardi l'Iran e salverà la sua presidenza
di Steve Watson - PrisonPlanet.com. - 2 Febbraio 2010
Traduzione di Pino Cabras per Megachip

Un commentatore e studioso neoconservatore ha affermato che Obama può salvare la sua presidenza e invertire la drastica caduta delle sue percentuali di consenso attraverso il bombardamento dell'Iran.

Il fanatico bellicista Daniel Pipes ha firmato un pezzo spregevole sul sito conservatore National Review Online, chiedendo attacchi aerei preventivi sugli impianti nucleari iraniani.

«Ecco un'idea per Barack Obama affinché salvi la sua barcollante amministrazione facendo un passo che protegge gli Stati Uniti ei suoi alleati,» scrive Pipes.

«Ha bisogno di un gesto drammatico per cambiare la pubblica percezione di lui come di un ideologo deboluccio e imbranato, preferibilmente in un'arena in cui la posta in gioco sia alta, dove si possa prendere la responsabilità, e dove possa vincere la scommessa al di là delle aspettative.»

«Una tale possibilità esiste,» aggiunge Pipes. «Obama può impartire ordini ai militari statunitensi volti a distruggere la capacità dell'Iran di dotarsi di armi nucleari.»

«Proprio come l’11 settembre ha fatto sì che gli elettori dimenticassero i tortuosi primi mesi di George W. Bush, un attacco agli impianti iraniani consegnerebbe l’inefficienza del primo anno di Obama nel dimenticatoio e trasformerebbe la scena politica interna», continua Pipes.

«Metterebbe da una parte l'assistenza sanitaria», prosegue,«costringerebbe i repubblicani a lavorare con i democratici, gli attivisti di base della Rete a strillare, gli indipendenti a tornare sui propri passi, e i conservatori a svenire.» Afferma Pipes.

Pipes è stato un convinto sostenitore della guerra del Vietnam e un forte patrocinatore dell'invasione dell'Iraq. Sostiene inoltre Israele nel conflitto arabo-israeliano ed è completamente contrario a qualsiasi forma di Stato palestinese.

Eppure Pipes, che rifiuta il termine "neocon", definendosi un "semplice conservatore", fu nominato nel consiglio di amministrazione dello United States Institute of Peace da parte di George W. Bush nel 2003.

È anche il capo di un think tank chiamato Middle East Forum, mentre il suo sito Campus Watch è stato ferocemente criticato come anti-islamico. Campus Watch è stato anche accusato di esercitare "intimidazioni maccartiste" a carico dei professori che hanno criticato Israele, quando ha pubblicato dei "dossier" su otto professori che considerava "ostili" all'America.

Per quanto riguarda l'Iran, Pipes ha fatto campagna affinché gli USA scatenino” l’organizzazione terrorista di destra Mujahedeen-e Khalq (MEK) contro l’Iran. E 'noto che tale MEK ha legami diretti con la CIA, e vi sono già prove relative all'uso del gruppo contro l'Iran in operazioni di infiltrazione.

Pipes arruola un lungo elenco di secchioni e studiosi neocon che condividono la stessa ossessione per un di più di guerra e di terrorismo al fine di "unire il paese", apparentemente imperturbabili rispetto dalla completa ignoranza dei loro commenti e la profondità della loro depravazione.


Il pacifista Obama aumenta le spese di guerra

di Andrea Angelini - www.rinascita.eu - 1 Febbraio 2010

Barack Obama sta per inviare al Congresso il testo della Legge Finanziaria per il 2011 con un impegno di spesa per 3.834 miliardi di dollari. Il programma del presidente Usa prevede una riduzione del deficit pubblico dai 1.556 miliardi di dollari (pari al 10,6% rispetto al Prodotto interno lordo) del 2010 a 1.267 miliardi pari all’8,3% del Pil nel 2011.

L'obiettivo della Casa Bianca è quello di sostenere il mercato del lavoro e di iniziare a rimettere in sicurezza i conti pubblici messi a dura prova per l’impegno statale nel sostenere il sistema economico nazionale.

Da grandi imprese come General Motors e Chrysler, a banche come la Goldman Sachs, a società di assicurazioni, come la AIG. Non verranno però toccate le spese per la sicurezza interna e quelle per sostenere l’apparato militare degli Stati Uniti, il che la dice lunga sul fatto che anche il Premio Nobel per la pace, idolo delle anime belle europee, intende continuare a sostenere la vocazione imperiale ed imperialista della Nazione a stelle e strisce.

Obama ha così previsto da un lato il congelamento per tre anni delle spese discrezionali non legate alla sicurezza (250 miliardi in dieci anni), e dall’altro l’impiego di fondi per molti miliardi di dollari a sostegno dell'occupazione e per la scuola (3 miliardi di dollari in più).

Spenti sul nascere i sogni di gloria della Nasa con il blocco del progetto per far tornare l'uomo sulla Luna. Sono stati infatti tagliati i finanziamenti per il programma del nuovo veicolo spaziale Constellation.

Insieme a questo sono stati bloccati i finanziamenti ad altri 120 programmi in corso per un risparmio di circa 20 miliardi di dollari. E’ stato soprattutto bloccato il programma di riduzione delle tasse voluto da George W. Bush per i redditi superiori ai 250.000 dollari l'anno e le misure di sostegno ai petrolieri che da sole valgono 40 miliardi di dollari in 10 anni.

Provvedimenti con i quali il presidente nero ha voluto sottolineare una inversione di tendenza rispetto alla passata amministrazione repubblicana e compensare l’immagine negativa data come successore di Bush.

E’ stato infatti Obama ad aiutare le banche degli speculatori che hanno innescato la crisi finanziaria e che hanno mandato sul lastrico milioni di famiglie. A novembre prossimo ci saranno le elezioni di medio termine che rinnoveranno buona parte del Senato e della Camera dei Rappresentanti oltre che diversi governatori. Quella sarà una prova per giudicare il consenso di cui il presidente democratico gode nel Paese.

Così la legge di bilancio prevede anche 300 miliardi di dollari di tagli fiscali per le imprese e per le famiglie che verranno distribuiti nei prossimi 10 anni. Altri 100 miliardi di dollari serviranno per sostenere il mercato del lavoro nelle piccole imprese e questi avverrà sotto forma di tagli fiscali e di sostegno all'energia pulita.

Obama chiederà anche al Congresso di creare una apposita commissione parlamentare per identificare i tagli alla spesa pubblica che nel medio e lungo termine possano riportare in equilibrio il bilancio.

A fronte di questi tagli di spesa e agli impegni di natura “sociale”, Obama non poteva però scordare che gli Usa sono la prima potenza militare del globo. Per tale motivo il programma di austerità non ha toccato la voce guerre.

Per quelle in Afghanistan ed in Iraq saranno stanziati nel bilancio 2011 oltre 159,3 miliardi di dollari, una cifra molto più alta di quella che Obama sperava di spendere quando venne eletto e solo di poco inferiore di quanto stanziato negli ultimi anni dallo stesso Bush.

L’anno scorso Obama aveva chiesto 130 miliardi. Complessivamente la richiesta di soldi del Pentagono sarà di 708 miliardi di dollari con un aumento di 44 miliardi di dollari rispetto al 2010, quando vennero chiesti 664 miliardi. Gli Usa intendono però blindarsi anche all’interno.

Perciò saranno aumentati del 2% i fondi a disposizione del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale fino a 43,6 miliardi di dollari. Tali soldi consentiranno di aumentare il numero degli air marshals (gli sceriffi) sugli aerei, acquistare 1.000 body scanner e avere nuovi macchinari per la rilevazione degli esplosivi da installare negli aeroporti americani.

Ma visto che le guerre Usa sono infinite, come la libertà che Bush voleva imporre all’Afghanistan, Obama si prepara a chiedere al Congresso altri 33 miliardi di dollari per coprire le spese del 2010 delle operazioni militari all'estero.


La guerra "pulita" di Obama

di Ferdinando Calda - www.rinascita.eu - 2 Febbraio 2010

Sarà una guerra diversa quella che l’amministrazione Obama ha intenzione di condurre contro il terrorismo e i nemici degli Stati Uniti. Non certo meno costosa - visto che il piano spese presentato in questi giorni dal presidente è solo lievemente inferiore a quelli presentati negli ultimi due anni del suo predecessore - ma sicuramente diversa da quella di Bush.

La nuova strategia messa a punto dal ministro della Difesa Robert Gates, infatti, punta soprattutto sull’aumento delle operazioni speciali segrete, sull’utilizzo massiccio degli aerei senza pilota e su una rinnovata attenzione nei confronti degli Stati “deboli”, come Yemen e Somalia, considerati un rifugio sicuro per gli uomini di Al Qaida.

In generale, Gates ha sottolineato la necessità di abbandonare la precedente politica (eredità della Guerra Fredda), che chiedeva alle forze armate di prepararsi a combattere simultaneamente in due conflitti regionali (ad esempio in Vicino Oriente e nella penisola coreana), e di sostituirla con la capacità di fronteggiare diversi conflitti minori in ogni parte del mondo. Le linee guida di questo riordino sono descritte nel Quadriennal Defense Review (QDR), il rapporto quadriennale del Pentagono presentato lunedì scorso.

Il testo indica come priorità attuale delle forze armate statunitensi il “prevalere nelle guerre odierne“ e sostiene la necessità di “smantellare le reti terroristiche” in Afghanistan e in Iraq.

Dal documento emerge che i finanziamenti alle Special Operations cresceranno di quasi il 6%, arrivando a 6,3 miliardi di dollari, così da portare a 2.800 il numero dei soldati di élite e potenziare le capacità di “guerra irregolare”.

È previsto anche un aumento nelle zone di guerra degli aerei senza pilota, da 37 a 67 nei prossimi due anni. Inoltre il Pentagono ha intenzione di stanziare più di un miliardo di dollari in un fondo da distribuire tra i comandanti locali in Afghanistan, nel tentativo di far diminuire il supporto ai talibani e aumentare il sostegno al governo di Kabul.

Una strategia, quella di “comprare” la fedeltà dei capi tribù afgani, largamente appoggiata anche dai Paesi alleati degli Stati Uniti.
Nel piano spesa per il 2011 c’è anche una particolare attenzione per i Paesi, come lo Yemen, che a Washington considerano importanti per la sicurezza nazionale.

Gli esperti del Pentagono ricordano che il fallito attentato del 25 dicembre scorso su un aereo diretto a Detroit, era stato preparato da un nigeriano che si sarebbe addestrato in un capo di Al Qaida proprio in Yemen.

Per questo motivo chiedono di aumentare i finanziamenti al principale programma pubblico per l’addestramento e l’equipaggiamento delle forze di sicurezza di Paesi come lo Yemen da 350 milioni di dollari a 500 milioni.

Per quanto riguarda lo Yemen in particolare, funzionari Usa hanno fatto sapere che il Dipartimento di Stato e l’Agenzia americana per lo Sviluppo internazionale sono pronti ad aumentare i finanziamenti al governo di Sana’a, passando dai 67,3 milioni di dollari dell’anno precedente, a 106,6 milioni, da spendere principalmente nell’incremento della sicurezza.

Del resto sono già un paio di mesi che Washington ha aumentato la propria “assistenza” al governo yemenita, registrando immagini satellitari e intercettazioni telefoniche nel nome della lotta al terrorismo. Oltre, ovviamente, a compiere raid e bombardamenti “mirati” nel Paese.

A giudicare dalle nuove linee guida del Pentagono, quindi, la guerra di Obama sarà caratterizzata da operazioni speciali segrete, raid di droni e ingerenze nei Paesi stranieri. In definitiva, una strategia più discreta e “pulita”, che, forse, servirà a ridurre le perdite tra le forze armate statunitensi. Proprio quello che serve a un presidente “pacifista”.


La guerra dei droni

di Enrico Piovesana - Peacereporter - 3 Febbraio 2010

Dodici raid aerei Usa in Pakistan nel solo mese di gennaio: il governo di Islamabad denuncia 123 vittime civili

Nel solo mese di gennaio i velivoli telecomandati della Cia hanno condotto dodici bombardamenti missilistici sulla regione pachistana del Nord Waziristan: mai così tanti dall'inizio della 'guerra dei droni' lanciata dagli Stati Uniti un anno e mezzo fa e progressivamente intensificata dall'amministrazione Obama (nel 2009 i raid sono stati 54, con oltre settecento morti, il 90 per cento dei quali civili).

Ieri il tredicesimo raid, nel quale sono stati sparati 17 missili che hanno causato almeno trenta morti.

123 civili uccisi nell'ultimo mese. Secondo il ministero dell'Interno pachistano, dieci dei dodici raid statunitensi dell'ultimo mese hanno mancato il bersaglio, uccidendo almeno 123 civili. Solo due attacchi sono andati a segno, uccidendo tre ricercati di Al Qaeda: Mahmoud Mehdi Zeidan, guardia del corpo del leader qaedista Sayeed al-Masri, Jamal Saeed Abdul Rahim, coinvolto nel dirottamento del volo Pan Am 73 nel 1986, e Abdul Basit Usman, filippino di Abu Sayyaf esperto di esplosivi.

Ancora, infatti, non è stato confermato il 'colpo grosso', ovvero l'uccisione dell'obiettivo numero uno di questi attacchi: Hakimullah Mehsud, il giovane comandante del movimento dei talebani pachistani (Ttp), che secondo la Cia sarebbe rimasto ferito da un missile sparato da un drone lo scorso 14 gennaio sul villaggio di Pasalkot. Mai colpito, finora, nemmeno l'altro obiettivo primario dei bombardamenti Cia: Sirajuddin Haqqani, leader della rete talebana che combatte le truppe Usa nell'Afghanistan sud-orientale.

L'esercito pachistano prepara nuove offensive. Imbarazzi e proteste a parte, il governo pachistano non si trova nella posizione di potersi opporre ai bombardamenti Usa sul proprio territorio, né alle continue richieste di lanciare nuove operazioni militari nelle Aree Tribali, retrovia della resistenza talebana contro le truppe alleate d'occupazione in Afghanistan.

Secondo Washington, la massiccia offensiva in Sud Waziristan (Operazione 'Via della Salvezza', 17 ottobre-12 dicembre 2009) non ha avuto altri effetti se non quello di disperdere le milizie talebane nelle altre regioni tribali pashtun.

Quindi adesso l'esercito di Islamabad è chiamato a intervenire sia in Bajaur, dove già sono iniziati i combattimenti e i bombardamenti dell'aviazione governativa, che in Nord Waziristan, dove i generali di Islamabad preparano una nuova offensiva per l'estate.

Pashtun=talebani: la violenza contagia Karachi. L'escalation della guerra nelle Aree Tribali tra governo e talebani rischia di destabilizzare ulteriormente i già fragilissimi equilibri politici ed etnici del Pakistan.

Inquietanti segnali in questo senso arrivano dalla megalopoli di Karachi, dove il Mqm, il partito dei muhajir (i profughi musulmani giunti dall'India dopo la spartizione), ha sfruttato il pretesto della guerra al terrorismo per lanciare una nuova violenta campagna contro la popolazione pashtun della città, accusata di sostenere i talebani delle Aree Tribali con i proventi del narcotraffico e di altre attività criminali.

Le ronde dell'Mqm hanno provocato violenti scontri tra le due comunità: in quattro giorni si contano già 27 morti.
"Di questo passo Karachi diventerà la prossima Beirut", denuncia Ameen Khattak, segretario dell'Anp, il partito laico dei pashtun.


Cina-Usa, toni da guerra fredda

di Enrico Piovesana - Peacereporter - 1 Febbraio 2010

La decisione di Obama di vendere armi Taiwan fa infuriare Pechino, che minaccia ripercussioni sulla cooperazione militare e sanzioni alle aziende belliche Usa. La reazione del Partito comunista cinese sulle colonne del suo organo ufficiale.

Continua a montare la tensione tra Washington e Pechino. Pochi giorni dopo l'aspro scontro diplomatico seguito agli attacchi informatici subiti da Google in Cina (episodio che, come abbiamo scritto, si inserisce nella montante cyber-guerra fredda tra le due superpotenze), i due competitor globali sono nuovamente ai ferri corti a causa della decisione di Obama di vendere a Taiwan armi per sei miliardi e mezzo di dollari.

La reazione di Pechino all'annuncio del contratto e' stata durissima. Il governo cinese ha annunciato l'interruzione dei contatti militari con gli Usa, la cancellazione di previsti incontri bilaterali sul controllo degli armamenti e soprattutto sanzioni contro le aziende statunitensi (Boeing, Lockheed-Martin, Raytheon e United Technologies) che hanno firmato la commessa per il governo di Taipei, consistente in 114 missili Patriot, 12 missili Harpoon, 60 elicotteri Black Hawk, due navi cacciamine e sistemi informatizzati di difesa di ultima generazione.

"L'arroganza dello Zio Sam". Il Partito comunista cinese, per mezzo di un editoriale del suo quotidiano China Daily, spiega con toni insolitamente duri 'la furia di Pechino' per la decisione di Washington.
"Nonostante le ripetute proteste e avvertimenti di Pechino sulle serie conseguenze per le relazioni Usa-Cina, Washington, come sempre, ha tirato dritto per la sua strada. Questo e' il modo in cui gli Stati Uniti trattano il loro 'azionista', il loro 'partner costruttivo'. Il pacchetto di armamenti che lo Zio Sam ha venduto a Taiwan ci ricorda la riluttanza con cui Washington guarda all'ascesa della Cina e alla pacificazione tra i compatrioti a cavallo dello Stretto di Taiwan.

L'arroganza di Washington riflette anche la grama realta' di come gli interessi di una nazione possano esser schiacciati da quelli di un'altra. La questione taiwanese e' strettamente connessa alla sovranita' e all'integrita' territoriale della Cina, ai suoi interessi nazionali primari e al sentimento nazionale di 1,3 miliardi di cittadini cinesi".

"Le false promesse di Obama". "Oltre vent'anni dopo al fine della Guerra Fredda - prosegue l'editoriale - gli Usa sono ancora decisi a integrare Taiwan nella loro strategia di difesa asiatica e sognano ancora di usare l'isola come 'inaffondabile portaerei' per contenere la crescita cinese. Dobbiamo dimenticarci le dichiarazioni fatte da Obama quando fu calorosamente accolto a Pechino solo due mesi fa, quando disse che 'gli Stati Uniti non cercano di contenere la Cina'.

La sincerita' e' soggetta alla prova dei fatti, non mere parole. In passato gli Usa hanno promesso di non perseguire una politica di armamento a lungo termine nei confronti di Taiwan e di voler ridurre gradualmente le sue vendite di armi verso di essa. Ma quante volte Washington ha tradito le sue parole? Per la superpotenza mondiale, sembra che le promesse non siano tali".

"La Cina ha il diritto di reagire". "Questa vendita di armamenti e' una grave interferenza negli affari interni cinesi, mina seriamente la nostra sicurezza nazionale e quindi getta inevitabilmente una lunga ombra sulle relazioni Cina-Usa. La risposta cinese, non importa quanto veemente, e' giustificata. Nessun paese degno di rispetto puo' stare con le mani in mano mentre la sua sicurezza nazionale viene messa in pericolo e i suoi interessi prioritari sono minacciati. (...) Le contromisure adottate, che vanno dallo stop degli scambi di informazioni militari alle sanzioni contro le aziende Usa coinvolte nella vendita di armi, possono non bastare. Il messaggio deve arrivare forte e chiaro: se Washington non rispetta gli interessi cinesi, non puo' aspettarsi la nostra cooperazione su un ampio spettro di questioni regionali e internazionali. La Cina deve far capire che alle parole seguiranno i fatti".

Una nuova corsa agli armamenti. Un altro articolo del quotidiano governativo cinese spiega come la recente mossa degli Stati Uniti "costringe la Cina ad aumentare il suo budget per la difesa". "La decisione statunitense, sostiene Luo Yuan, dell'Accademica cinese di scienza militare, fornisce alla Cina una giustificazione per accrescere la sua spesa militare, per investire nello sviluppo e nell'acquisto di armi e per accelerare la modernizzazione della difesa nazionale. (...) Secondo Jin Canrong, esperto di affari internazionali della Renmin University of China, l'esercito cinese deve testare nuove armi ad alta tecnologia per accelerare la modernizzazione militare, e le spese militari quest'anno dovrebbero essere aumentate del 10 per cento".

Un altra bella prova del Nobel per la pace. Si potrebe obiettare che il riarmo di Taiwan deciso da Obama non sia la causa bensi' una contromisura adottata in risposta al riarmo della Cina, che negli ultimi anni sta progressivamente aumentando la propria spesa militare (comunque ancora molto inferiore a quella degli Stati Uniti, che spendono in armi il 4 per cento del loro Pil, contro l'1,4 della Cina).

Peccato che il presidente cinese Hu Jintao, a differenza del suo omologo statunitense, non sia un premio Nobel per la pace e che quindi nessuno si aspetti da lui un particolare impegno sul fronte del disarmo globale.