sabato 14 marzo 2009

Crisi economica: altre belle news per Bankitalia, UE e USA

Dopo il tira e molla con il governatore Draghi, che in una lettera a tutte le filiali della Banca Centrale aveva detto no all'azione diretta dei prefetti sugli istituti di credito affermando "Una richiesta diretta di dati disaggregati alle banche non appare giustificata", il ministro Tremonti non ha voluto rispondere direttamente alla circolare della Banca d’Italia ma ha dichiarato "Io darei tutta la vigilanza alla Bce. Non so se bisognerebbe cambiare i Trattati. Ma la mia visione culturale e politica è che siamo una comunità e sarebbe corretto avere una vigilanza sistemica [...] Se ci sono operatori europei, ci vuole una vigilanza europea".
Annunciando comunque che ci sarà "un grandissimo impegno dei Prefetti" negli osservatori sulla stretta al credito per famiglie e imprese da parte delle banche.

Bankitalia ha poi diramato una nota per "uniformare il comportamento delle filiali" su tutto il territorio, confermando la "massima disponibilitá della Banca d'Italia a corrispondere alle esigenze informative delle Prefetture fornendo dati aggregati e analisi sull'andamento del credito a livello territoriale".

Con la nota è stato trasmesso alle direzioni locali lo schema dei dati da fornire alle Prefetture incaricate dei compiti di osservazione dell'andamento del credito. Ciò, puntualizza Bankitalia, è "in linea con le previsioni del decreto legge 185 del 2008, che prevede che il monitoraggio del finanziamento avvenga su base regionale e per categoria economica delle controparti".
Mentre in riferimento alle richieste di dati aziendali individuali, "viene richiamato il dettato del Testo unico bancario, che all'articolo 7 disciplina il segreto d'ufficio".

Quindi Tremonti e Draghi devono ancora trovare un accordo e non sara' facile.

E secondo l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, il ruolo assegnato ai prefetti per la vigilanza sul credito "sembra una picconata alla Banca d'Italia un po' eccessiva. Però noi siamo totalmente pronti a dare la massima collaborazione a chiunque verrà incaricato da governo e Parlamento a svolgere questo ruolo. In ogni caso la proposta ha bisogno di un ulteriore approfondimento".
Mentre il segretario del PD Franceschini dice a Tremonti "Lasciamo fuori Bankitalia, non tocchiamo la libertà e l'autonomia di Bankitalia".

Nel frattempo ieri Bankitalia ha comunicato che alla fine del 2008 il debito pubblico italiano si è attestato a 1.663.637 milioni, cioe' al 105,8% del prodotto interno lordo, in rialzo rispetto al 103,5% del Pil del 2007 (1.598.975 milioni).
E il rapporto deficit/Pil si è attestato al 3,1% nel 2008, dato anch'esso in aumento rispetto all'1,7% del 2007.

Insomma non si possono definire certo ottimi i rapporti tra Tremonti e Draghi.

Qui di seguito alcuni articoli utili a tirare un po' su il morale...



Perche' la Banca d'Italia e' fallita

di Marco Saba - Studi Monetari - 12 Marzo 2009

(Scrivo questo articolo perché ne prenda visione la commissione voluta dal Ministro dell'Economia Tremonti, istituita per elaborare e proporre nuove regole da presentare al G20 di aprile 2009)

Abuso della credulità popolare e appropriazione indebita del potere d'acquisto, reati contro il patrimonio ed una catena margherita di frodi ai danni del pubblico sono solo alcune delle peculiarietà del nostro sistema bancario attuale (1) basato sul "miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci" che deriva dal meccanismo truffaldino della riserva frazionaria. Ne ho parlato diffusamente nei miei libri (2) ed in precedenti articoli (3) ma qui aggiungerò alcune considerazioni inedite. Il rischio fondamentale che sta correndo il sistema è che il pubblico si accorga che sta giocando una partita a poker dove un baro, il sistema bancario, viene sponsorizzato ad oltranza dallo stato. Questo trascinerà nel baratro ambedue, lasciando al popolo sovrano le macerie. Vediamo di ricapitolare, senza ri-capitolare - possibilmente.

Fin dall'inizio nel 1860 la banca centrale, che all'epoca si chiamava Banca Nazionale, barava nell'emissione delle banconote emettendone quattro volte la riserva aurea che aveva in deposito. Il rapporto era quindi uno a quattro e se tutti avessero chiesto la conversione delle banconote in oro, il sistema sarebbe subito fallito e non ci troveremmo nella condizione attuale. Invece, grazie ad una serie di artifici ed alla collusione di alcuni politici e statali, il sistema prosperò e siamo arrivati ad un rapporto attuale ufficiale di uno a cinquanta. Questo rapporto si è poi diluito ancor più col sistema dei derivati, ma per ora limitiamoci al "cinquantato credito". Un cinquantato credito non più verso una riserva aurea di cui si è appropriata di fatto la Banca d'Italia dopo il 1973, alla fine degli accordi Smithsoniani, ma verso la base monetaria creata dalle monete metalliche statali più le banconote private della BCE. Spiegherò il sistema illustrando un grave fraintendimento della criminologia contemporanea: il cosiddetto Schema Ponzi.

Lo "Schema Ponzi rivisitato"

In criminologia si fa riferimento allo Schema Ponzi per indicare una truffa in cui si raccolgono soldi promettendo dividendi elevati, dividendi che vengono prelevati direttamente dai nuovi aderenti allo schema secondo un sistema piramidale. Il sistema crolla quando finiscono i nuovi arrivati e diventa impossibile pagare ulteriormente i dividendi. Per questo è essenziale l'immigrazione continua di nuovi lavoratori, che pagano nuovi contributi, per mantenere in piedi lo Schema Ponzi del sistema pensionistico italiano, ma questo è un altro discorso... In realtà Carlo Ponzi negli anni venti del secolo scorso si era messo semplicemente d'accordo con un banchiere che praticava la riserva frazionaria, all'epoca al 10%. Ovvero, per ogni 100 dollari che Ponzi versava, il banchiere ne creava novecento e gliene ritornava 100 per pagare gli interessi. Cinquanta venivano distribuiti ai partecipanti allo schema e 50 se li teneva Ponzi. Al banchiere rimanevano 800 da prestare e reincassare, oltre agli interessi, tramite il "meccanismo del riflusso" - ovvero, incassando le rate ripagate periodicamente dai prestatari ed appropriandosene, proprio come fanno ancor oggi le banche. Così si spiega facilmente perché, anche quando ormai i quotidiani avevano montato uno scandalo descrivendo però il sistema come, appunto, uno Schema Ponzi tradizionale, la società di Ponzi riusciva ancora senza problema a rimborsare i clienti sia del capitale che degli interessi.

Nel "vero" schema Ponzi, chi ci rimetteva erano le altre banche concorrenti che non partecipavano allo schema: mancando dei versamenti della moneta-base della clientela di Ponzi, non potevano innescare l'appropriazione indebita attraverso la moltiplicazione frazionaria. Bastava che si mettessero d'accordo tra banche, come fanno oggi attraverso la partecipazione in Bankitalia, per spartirsi proporzionalmente il malloppo, e tutto sarebbe andato a meraviglia...o quasi. Fino a quando cioè, come sta accadendo ora, una gran parte della popolazione si accorge del trucco. E' proprio perché i criminologi non sanno del reale funzionamento dello Schema Ponzi originale che diventa difficile individuare tutti quei crimini collegati a quel sistema. Per questo i magistrati non capiscono che le centrali internazionali del clearing interbancario, non sono altro che delle megalavanderie dei profitti dello "Schema Ponzi rivisitato". Tutto il denaro del riflusso bancario viene riciclato e lavato attraverso queste centrali di compensazione, attraverso migliaia conti "non pubblicati", come nel caso di Clearstream scoperto dal giornalista francese Denis Robert (4). Senza l'appropriazione indebita effettuata attraverso la privatizzazione della rendita monetaria, parecchie belle fortune sarebbero davvero inspiegabili...

Facciamo giustizia

La moneta emessa dalla privata Banca Centrale Europea (BCE) pesca nel potere d'acquisto di tutta la comunità europea, costretta ad accettarla perché "a corso legale", in realtà "corso forzoso". E questo è il primo 100% di valore che si paga in modo invisibile. Di più, quando lo stato ha bisogno di soldi, emette titoli di debito AL VALORE NOMINALE della moneta anziché sostenerne semplicemente le spese di emissione, come invece fa per le monetine metalliche. La BCE però nel bilancio occulta la rendita monetaria effettiva mettendola al passivo, sicché il cosiddetto signoraggio - come inteso da Bankitalia - risulta la differenza tra il falso passivo ed i titoli più i guadagni realizzati dalla banca centrale attraverso altre speculazioni e manipolazioni del mercato, messi all'attivo.

La rendita monetaria quindi, illecita soprattutto perché privata e non incamerata come tassa di stato, viene chiamata signoraggio e la Banca d'Italia non ha nessuna intenzione di restituirla (5). Alla luce di quanto è emerso, è triste notare che il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ha addirittura citato in giudizio il giornalista Ugo Gaudenzi che aveva osato chiamarlo "criminale". Draghi farebbe bene a ricordarsi le lezioni del suo professore Federico Caffè, che non era certo a favore di un sistema truffaldino destinato ad arricchire una "èlite di nati stanchi" - per non dir di peggio! - negando di fatto, alla popolazione la redistribuzione della ricchezza. Questa però la chiamerei meglio: "bancarotta morale". Invece di lottare disperatamente per rimandare l'inevitabile, consiglio a Draghi un ravvedimento operoso. Segua l'esempio del Prof. Nino Galloni, altro allievo di Caffè, e scriva libri per educare i giovani, piuttosto.

La magistratura in generale non può fornire una soluzione alla truffa dell'emissione monetaria a doppio debito dei cittadini, più gli interessi. Lo ha dimostrato una sentenza recente a sezioni riunite della Cassazione (6). Va anche notato che i magistrati vengono pagati dalla Tesoreria dello Stato, gestita misteriosamente dal 1907 dalla Banca d'Italia, senza regolare gara d'appalto ma attraverso un "tacito" rinnovo ventennale... Mi pare evidente che c'è un pauroso conflitto d'interessi incestuoso per cui codesti magistrati andrebbero automaticamente esonerati dalle cause che riguardano cittadini e banche. Per quanto se ne sa, solo il procuratore generale Bruno Tarquini, ormai a riposo, si è occupato dello scandalo monetario nel suo libro istruttivo "La banca, la moneta e l'usura - La Costituzione tradita", ControCorrente Edizioni, 2001. Un questore che aveva avviato una causa giudiziaria in merito, Arrigo Molinari, venne assassinato a coltellate poco prima della convocazione in Tribunale (27 settembre 2005)... La polizia europea antifrode - OLAF - se ne è lavata le mani nel 2005 (7). Lo stato occulta la piena verità sulle politiche monetarie attraverso il segreto di stato imposto per legge (8), in barba alla cosiddetta "trasparenza". Il nuovo statuto regionale federale lombardo (9) addirittura, travalicando le intenzioni della Costituzione nell'articolo sul referendum abrogativo, all'art. 50 paragrafo 2 recita: Non è ammessa l’iniziativa popolare in materia statutaria, elettorale, finanziaria, tributaria, di bilancio, di ratifica di accordi con Stati esteri e di intese con enti territoriali interni ad altro Stato o con altre Regioni.

Siamo quindi in un vuoto che potrà essere colmato attualmente solo attraverso l'istituzione di uno strumento quasi-monetario pubblico (10), e/o attraverso l'istituzione di giurie popolari, come nel caso della Corte d'Assise Speciale che giudicò i gerarchi fascisti nel dopoguerra, che facciano emergere i reati facendo piena luce (11), o, in caso estremo, attraverso l'insorgenza e la rivoluzione, come nell'America del 1776. Da notare, per finire, che la situazione del debito italiana è simile a quella della Francia del 1780, dove più della metà delle entrate andavano a servire il debito pubblico. Fu un fattore scatenante della rivoluzione francese del 1789...

A voi la scelta.


Note:

1) Per capire bene la somma di illegalità e mostruosità giuridiche nella gestione attuale del sistema del credito, dal punto di vista del diritto romano, è necessario ed opportuno leggere il testo del Prof. Jesus Huerta De Soto "Money, Bank Credit, and Economic Cycles". liberamente scaricabile da internet: http://mises.org/books/desoto.pdf

2) "Bankenstein", ed. Nexus (2006), e "O la banca o la vita", Arianna Editrice (2008).

3) L'ultimo è "Salvataggio bancario, un brutto scherzo goliardico", Rinascita, 5 marzo 2009.

4) "Soldi - Il libro nero della finanza internazionale", di Denis Robert e Ernest Backes, Nuovi Mondi Media, 2004

5) Scrive la Banca d'Italia sul suo sito, in data 2 agosto 2006, ovvero sotto al governatorato di Mario Draghi: "Alla luce delle superiori considerazioni questo Istituto respingerà ogni ulteriore richiesta di pagamento di quote del reddito da signoraggio e far valere la decisione delle Sezioni Unite in ogni procedimento giurisdizionale allo stato pendente o che in futuro dovesse essere instaurato nei suoi confronti."
http://www.bancaditalia.it/bancomonete/signoraggio/signoraggio_ss_uu_comunicazione.pdf

6) Cass., sez. I, 21 giugno 2002, n. 9080 e Cass.16751/06, 21 luglio 2006.

7) Polizia Europea Antifrode OLAF: Non siamo competenti per indagini relative a presunte frodi connesse al fenomeno del cosiddetto "signoraggio" - 9 settembre 2005
http://studimonetari.org/articoli/olafesignoraggio.html

8) Il decreto n. 561 del 13 ottobre 1995, pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale" n. 302 del 29 dicembre 1995.

9) http://www.parlamentiregionali.it/dbdata/documenti
/%5B482bef087b02c%5Dlombardia_14.05.08_IIlettura.pdf

10) Come proposto nel disegno di legge regionale sui Buoni Regionali di Solidarietà:
http://studimonetari.org/propostaleggeregionalebrs.pdf

11) Si tratterebbe di giudicare circa 320.000 bancari, evidenziando quei casi in cui si può dimostrare l'elemento psicologico del reato. I dirigenti e la direzione strategica delle banche sono quelli che rischiano di più, assieme ai dipendenti Bankitalia.




Entro Aprile il crac di un Paese europeo. Su chi scommettere?

di Mauro Bottarelli - Il Sussidiario - 13 Marzo 2009

Un adagio borsistico dice: quando scende, compra. Lasciate perdere e scappate dal mercato, se per caso siete ancora dentro. Comprare quelle azioni che crollano è come cercare di prendere al volo un coltello caduto dal tavolo: con ogni probabilità, ci si taglia. L’altissima volatilità, i volume bassissimi e i book illiquidi fanno del mercato un acquario in cui nuotano solo i trader di un certo livello, ovvero chi ha bisogno di incertezza e volatilità per guadagnare.

Tre giorni fa il mondo sembrò gridare alla fine del tunnel per i rialzi folli delle piazze di tutto il mondo trainate dall’annuncio da parte di Citigroup di un ritorno al profitto nel primo bimestre di quest’anno. In tempi di disperazione, basta poco per entusiasmarsi. Infatti quel profitto di 19 miliardi di dollari è ante-imposte e ante-svalutazioni: pensate soltanto che nell’ultimo trimestre del 2008, quello horribilis per Citigroup, il profitto (sempre calcolato in base a queste condizioni) era di 13,4 miliardi di dollari.

Cosa ci sia da far schizzare gli indici al +6% se non la follia di un mercato, quello azionario, destinato a un ridimensionamento radicale, non lo si capisce. Anche un bambino, infatti, si rende conto che non ci si può fidare di indici che un giorno prezzano un’azione a 2 dollari e il giorno dopo la premiano con rialzi del 15%: è la stessa azienda, con gli stessi buchi di bilancio. Ormai, siamo all’insider trading istituzionale e politico per mantenere in vita aziende che dovrebbero fallire proprio per il bene del mercato.

Altra notizia che ha ringalluzzito New York e di riflesso le piazze europee è la quasi certezza nella reintroduzione in America del bando sullo short-selling, ritenuto la causa di tutti i ribassi del mondo quando invece è l’unico strumento in grado di dimostrare con i fatti lo stato di salute di un titolo e quindi di un’azienda. Così facendo si permetterà alle dirigenze e ai management di mezzo mondo di raccontare impunemente bugie al mercato senza la controprova del crollo del loro titolo grazie alle scommesse al ribasso dello shorting: ancora una volta la politica, invece di limitare il proprio intervento al minimo e all’indispensabile, entra a gamba tesa nel libero mercato tutelando sempre i soliti noti e mai i risparmiatori, gli investitori e gli azionisti. Se questo è il cambiamento di Obama, ne avremmo fatto volentieri a meno.

Di certo c’è, invece, l’aggiornamento dei cds sul default del debito dei paesi europei: a parte l’Islanda ormai fallita che presenta qualcosa come 1037 punti base per assicurarsi contro il default del debito a cinque anni, la classifica dei “vivi” (per quanto, ancora, non si sa) vede al primo posto l’Irlanda con 347,4 punti base, seguita dalla Grecia con 259,5 punti base, dall’Austria con 255,4 punti base, dall’Italia con 196 punti base, dalla Gran Bretagna con 155 e dalla Spagna con 146 punti base.

Peccato che la Gran Bretagna abbia già speso il 20% del proprio Pil per cercare di salvare le banche e nonostante questo abbia una prezzatura di cds più bassa della nostra: il debito pubblico italiano è fuori controllo - esattamente come l’esposizione di capitale ad Est dell’Austria - e non basteranno certo i Tremonti-bond a evitare i fallimenti o le perdite di capitalizzazione che a Londra stimano, per alcuni istituti italiani, almeno del 25% sul totale. La bolla degli assicurativi, poi, è ormai pronta a esplodere con gli istituti esposti verso banche e fondi (casualmente grazie a porcherie finanziarie che non si sa da dove arrivino e quanto valgano essendo trattate quasi tutte over-the-counter) e con un disperato bisogno di liquidità: serviranno, a breve, ricapitalizzazioni molto serie e non mancheranno le rights issue di emergenza. A quel punto titoli come Aviva e Prudential, in rally da tre giorni grazie alle rassicurazioni del management, crolleranno come castelli di sabbia.

Il quadro è fosco? No, è molto peggio. Mercoledì 11 marzo a Londra, nel corso di una conference call di Ubs, per presentare l’outlook dell’istituto e le strategie rispetto all’aggravarsi della crisi, si è parlato anche di altro: ovvero, «scenari di un’eurozona da cui ormai con certezza sarà costretto in breve tempo a uscire un membro». Già, l’Europa sta andando in frantumi e la Germania non pagherà per tenerla insieme con la colla: il detto inglese dice, "you broke, you fix it". E vale per tutti, aprile sarà il mese della resa dei conti. E l’Italia, purtroppo, non sarà solo spettatrice delle disgrazie altrui. A giorni, appena sarà disponibile, il draft del documento di Ubs.



Il sistema finanziario statunitense e' di fatto insolvente

di Nouriel Roubini - Information Clearing House - 7 Marzo 2009
Traduzione a cura di www.comedonchisciotte.org

Per coloro che sostengono che il tasso di crescita dell’attività economia stia ritornando positivo – e cioè che le economie si stiano contraendo ma ad un ritmo più lento rispetto al quarto trimestre del 2008 – gli ultimi dati non confermano questo relativo ottimismo. Nel quarto trimestre del 2008 il prodotto interno lordo è diminuito di circa il 6% negli Stati Uniti, del 6% nell’Eurozona, dell’8% in Germania, del 12% in Giappone, del 16% a Singapore e del 20% in Corea del Sud. Quindi, le cose sono addirittura più agghiaccianti in Europa e in Asia rispetto agli Stati Uniti.

Esiste, in effetti, un rischio crescente di una depressione globale a forma di L che sarebbe addirittura peggiore dell’attuale dolorosa recessione globale a forma di U. Ecco perché.

Innanzitutto, notate come la maggior parte degli indicatori mostrino che la derivata seconda dell’attività economica sia ancora fortemente negativa in Europa e in Giappone e vicina alla negatività negli Stati Uniti e in Cina. Alcuni segnali del fatto che la derivata seconda stava volgendo alla positività per Stati Uniti e Cina si sono rivelati dei fuochi di paglia. Per gli Stati Uniti, gli indici Empire State e Philly Fed per l’attività manufatturiera sono ancora in caduta libera; le richieste dei sussidi di disoccupazione sono ancora a livelli preoccupanti, suggerendo un’accelerazione della perdita di posti di lavoro. E l’incremento delle vendite di gennaio è un caso fortunato – più un rimbalzo da un dicembre molto depresso, dopo le impetuose vendite post-festività, che una ripresa sostenibile.

Per la Cina, la crescita del credito è guidata solamente dalle imprese che prendono a prestito a buon mercato per investire in depositi ad alto rendimento, non per investire veramente, mentre i prezzi dell’acciaio in Cina hanno ripreso la loro forte discesa. I dati più preoccupanti sono quelli per i flussi commerciali in Asia, con le esportazioni che stanno diminuendo dal 40 al 50% in Giappone, Taiwan e Corea.

Persino apportando le correzioni per l’effetto del Capodanno cinese, le esportazioni e le importazioni in Cina stanno bruscamente diminuendo, con le importazioni che diminuiscono (-40%) più delle esportazioni. Questo è un segnale inquietante, perché le importazioni cinesi riguardano principalmente materie prime e input intermedi. Quindi, mentre le esportazioni cinesi sono diminuite finora meno che nel resto del continente asiatico, potrebbero diminuire ancor più drasticamente nei mesi a venire, come indicato dalla caduta a picco delle importazioni.

Con l’attività economica che si contrae nel primo trimestre del 2009 allo stesso ritmo del quarto trimestre del 2008, un brutta recessione a forma di U potrebbe trasformarsi in una più grave quasi-depressione a forma di L (detta anche stag-deflazione). Le dimensioni e la velocità della contrazione economica globale sincronizzata è davvero senza precedenti (almeno a partire dalla Grande Depressione), con una caduta a picco del PIL, delle entrate, dei consumi, della produzione industriale, dell’occupazione, delle esportazioni, delle importazioni, degli investimenti residenziali e, cosa più inquietante, degli investimenti aziendali in tutto il mondo. Ora molte economie dei mercati emergenti sono a tutti gli effetti sull’orlo di una crisi finanziaria, a partire dall’Europa in crescita.

Gli incentivi fiscali e monetari stanno diventando più aggressivi negli Stati Uniti e in Cina, e meno nell’Eurozona e in Giappone, dove i legislatori si sono bloccati e rimangono nelle retrovie. Ma tali incentivi difficilmente porteranno ad una ripresa economica sostenibile. Le agevolazioni monetarie – persino quelle non ortodosse – hanno scarsi effetti quando (1) i problemi dell’economia sono quelli dell’insolvenza/credito invece che una semplice mancanza di liquidità; (2) esiste un’eccedenza globale della capacità produttiva (abitazioni, automobili, beni durevoli e un’enorme capacità produttiva inutilizzata, a causa di anni di sovrainvestimenti in Cina, Asia e in altri mercati emergenti) mentre le imprese in difficoltà e le famiglie non reagiscono di fronte a tassi di interesse più bassi, perché servono anni per uscire da questa eccedenza; (3) la deflazione mantiene alti i tassi reali mentre i tassi nominali sono vicini allo zero; e (4) gli spread ad alto rendimento sono ancora a 2.000 punti base rispetto ai solidi Buoni del Tesoro nonostante i tassi a zero.

La politica fiscale negli Stati Uniti e in Cina ha anch’essa i suoi limiti. Degli 800 miliardi di dollari degli incentivi fiscali americani, solo 200 miliardi di dollari verranno spesi nel 2009 mentre la maggior parte verrà rimandata al 2010 e oltre. E di questi 200 miliardi di dollari, per la metà si tratta di tagli alle tasse che saranno soprattutto risparmiati invece che spesi, perché le famiglie sono preoccupate dei posti di lavoro e del pagamento del mutuo e delle fatture delle carte di credito (dei 100 miliardi di dollari di tagli fiscali dello scorso anno, solamente il 30% è stato speso, il resto è stato risparmiato).

Perciò, considerato il crollo di cinque delle sei componenti della domanda aggregata (consumi, investimenti residenziali, investimenti aziendali, scorte di magazzino ed esportazioni), gli incentivi alla spesa da parte del governo quest’anno saranno deboli.

Anche gli incentivi fiscali cinesi avranno minore importanza sulle prime pagine (480 miliardi di dollari). Tanto per cominciare, c’è un’economia fortemente dipendente dal commercio: un surplus commerciale del 12% del PIL, le esportazioni oltre il 40% del PIL e la maggior parte degli investimenti (che rappresentano quasi il 50% del PIL) che vanno nella creazione di ulteriore capacità produttiva/macchinari per produrre altre merci da esportare. Il resto degli investimenti è nelle costruzioni residenziali (ora in forte diminuzione dopo lo scoppio della bolla immobiliare cinese) ed investimenti infrastrutturali (l’unica componente di investimento che sta aumentando).

Con un’enorme capacità produttiva inutilizzata nel settore industriale/manufatturiero e migliaia di aziende che chiudono i battenti, perché le aziende private e quelle di proprietà dello stato dovrebbero investire di più, anche se i tassi di interesse sono più bassi e il credito è più conveniente? Obbligare le banche di proprietà dello stato e le aziende a, rispettivamente, dare a prestito e spendere/investire di più aumenterà solamente la dimensione delle inadempienze e l’ammontare della capacità produttiva inutilizzata. Essendo la maggior parte dell’attività economica e degli incentivi fiscali ad alto impiego di capitale – invece che di forza lavoro – gli ostacoli alla creazione di nuovi posti di lavoro continueranno.

Quindi, senza un recupero nell’economia degli Stati Uniti e in quella globale, non ci può essere una ripresa sostenibile nella crescita della Cina. E con il recupero degli Stati Uniti che richiede consumi inferiori, maggiori risparmi privati e minori disavanzi commerciali, un recupero americano ha bisogno che la crescita della Cina e di altri paesi che hanno un surplus (Giappone, Germania, e così via) dipenda maggiormente dalla domanda interna e meno dalle esportazioni. Ma la crescita della domanda interna è anemica nei paesi in surplus per ragioni cicliche e strutturali. Perciò una ripresa dell’economia globale non può avvenire senza una rapida e metodica riorganizzazione degli squilibri nelle bilance dei pagamenti globali.

Nel frattempo sta continuando la riorganizzazione dei consumi e dei risparmi americani. Le cifre delle spese personali di gennaio erano in aumento rispetto al mese precedente (un colpo di fortuna temporaneo guidato da fattori transitori), e i risparmi personali erano aumentati del 5%. Ma quest’aumento dei risparmi è solamente un’illusione. C’è differenza tra la definizione di “risparmio delle famiglie” data dalla Ragioneria nazionale (le entrate a disposizione meno le spese per i consumi) e le definizioni economiche di risparmio visto come cambiamento del valore delle ricchezze/patrimonio netto: il risparmio come cambiamento nelle ricchezze è uguale alla definizione della Ragioneria nazionale di risparmio più i guadagni/perdite in conto capitlae sul valore della ricchezza esistente (i beni finanziari e i beni reali come, ad esempio, la ricchezza immobiliare).

Negli anni in cui i mercati azionari e i valori delle abitazioni stavano salendo, gli apologeti del forte aumento dei consumi e della moderata diminuzione dei risparmi andavano sostenendo che i risparmi moderati erano distorti al ribasso perché non si teneva in considerazione il cambiamento del patrimonio netto dovuto all’aumento dei prezzi delle abitazioni e dei mercati azionari.

Ma ora, con i prezzi delle azioni che sono diminuiti del 50% dal loro picco massimo e i prezzi delle abitazioni diminuiti del 25% dal loro picco massimo (e che che diminuiranno ancora di un altro 20%), la distruzione del patrimonio netto delle famiglie è diventata drammatica. Dunque, apportando le correzioni per la diminuzione del patrimonio netto, i risparmi personali non sono il 5%, come suggerisce la definizione ufficiale della Ragioneria nazionale, ma piuttosto fortemente negativi.

In altre parole, considerata l’enorme distruzione del valore delle ricchezze/patrimonio netto delle famiglie dal 2006-2007, il calcolo dei risparmi della Ragioneria nazionale dovrà aumentare in modo più netto di quanto sta attualmente avvenendo per ripristinare i bilanci delle famiglie così gravamente compromessi. Perciò, la contrazione dei consumi reali dovrà continuare ancora per diversi anni prima che la riorganizzazione sia completata.

Nel frattempo, il Down Jones è sceso oggi sotto quota 7.000 e gli indici di equity americani sono diminuiti del 20% dall’inizio dell’anno. Avevo detto all’inizio di gennaio che l’impennata del 25% del mercato azionario dalla fine di novembre alla fine dell’anno era una ripresa di un mercato già in declino che sarebbe svanita una volta che fosse sopravvenuto un bombardamento di notizie peggiori del previsto sui ricavi e sulle macro, e degli scossoni finanziari peggiori del previsto. E gli stessi fattori metteranno ulteriore pressione sugli Stati Uniti e sugli equity globali per il resto dell’anno, perché la recessione continuerà nel 2010, se non oltre (un rischio crescente di una quasi depressione a forma di L).

Naturalmente non si può escludere un’altra impennata di questo mercato in declino nel 2009, molto probabilmente nel secondo o nel terzo trimestre. Chi guiderà questa impennata saranno il miglioramento della derivata seconda della crescita economica e delle attività negli Stati Uniti e in Cina che le politiche di incentivi riusciranno a fornire su base temporanea. Ma dopo che gli effetti dei tagli fiscali svaniranno alla fine dell’estate, e una volta approntati i progetti infrastrutturali, la politica degli incentivi rallenterà prima del quarto trimestre, e alla maggior parte dei progetti infrastruttuali occorreranno anni prima di essere cominciati, figuriamoci terminati.

In modo analogo, in Cina gli incentivi fiscali offriranno un aumento fasullo delle attività produttive non negoziabili mentre il settore commerciale e quello manufatturiero continueranno a contrarsi. Ma considerata la gravità degli squilibri dei macro, delle famiglie, delle aziende e delle società finanziarie negli Stati Uniti e nel resto del mondo, l’impennata di questo mercato in declino nel secondo o nel terzo trimestre svanirà alla fine dell’anno, come le precedenti cinque che sono avvenute negli ultimi 12 mesi.

Nel frattempo, sta continuando il massacro nei mercati finanziari e nelle società finanziarie. Il dibattito sulla “nazionalizzazione delle banche” è al limite del surreale, con il governo americano che si è già impegnato – tra garanzie, investimenti, ricapitalizzazioni e forniture di liquidità – in circa 9.000 miliardi di dollari di risorse finanziarie per il sistema finanziario (e avendo già speso 2.000 miliardi di dollari di questa cifra sconcertante di 9.000 miliardi di dollari). Dunque, il sistema finanziario americano è de facto nazionalizzato, perché la Federal Reserve è diventata il prestatore di prima ed unica istanza invece che il prestatore di ultima istanza, e il Tesoro americano è sia colui che spende che il garante di prima e unica istanza. L’unico problema è se le banche e gli istituti finanziari debbano anch’essi essere nazionalizzati de iure.

Ma anche in questo caso, la distinzione è solamente tra nazionalizzazione parziale e nazionalizzazione totale. Con il 36% della proprietà (e presto sarà maggiore) di Citi, il governo degli Stati Uniti è già il principale azionista. E allora cosa sono quei discorsi assurdi sul fatto di non nazionalizzare le banche? Citi è già, di fatto, parzialmente nazionalizzata. L’unico problema è se debba essere nazionalizzata del tutto.

La stessa cosa vale per AIG, che ha perso 62 miliardi di dollari nel quarto trimestre e 99 miliardi di dollari in tutto il 2008 e che è già all’80% di proprietà del governo. Con perdite così spaventose dovrebbe essere ufficialmente di proprietà del governo al 100%. E ora l’impiego di risorse pubbliche da parte della Fed e del Tesoro per il salvataggio degli azionisti e dei creditori di AIG è salito da 80 miliardi a 162 miliardi di dollari.

Dato che gli azionisti comuni di AIG sono già stati spazzati via (l’azione vale solamente alcuni centesimi), il salvataggio di AIG è un salvataggio dei creditori di AIG che altrimenti ora sarebbero insolventi. AIG ha venduto più di 500 miliardi di dollari di protezioni per credit default swap tossici, e le controparti di queste assicurazioni tossiche sono i più importanti intermediari e le principali banche americane.

Le notizie e i rapporti provenienti dagli analisti bancari hanno indicato che Goldman Sachs ha ricevuto all’incirca 25 miliardi di dollari dal salvataggio del governo di AIG e che Merrill Lynch è stato il secondo più grande beneficiario della generosità governativa. Si tratta di ipotesi ragionevoli perché il governo sta nascondendo i beneficiari del salvataggio di AIG (forse Bloomberg dovrebbe citare di nuovo in giudizio la Fed e il Tesoro per obbligarli a rivelare queste informazioni).

Ma alcune cose sono risapute: Lloyd Blankfein di Goldman è stato l’unico amministratore delegato di una società di Wall Street presente alla riunione della Fed tenutasi a New York in cui è stato discusso il salvataggio di AIG. Quindi non prendiamoci in giro: il salvataggio di AIG da 162 miliardi di dollari è un salvataggio oscuro e non trasparente delle controparti di AIG: Goldman Sachs, Merrill Lynch e altri istituti finanziari nazionali e stranieri.

Quindi, per il Tesoro nascondersi dietro la scusa del “rischio sistemico” per sborsare altri 30 miliardi di dollari ad AIG è un modo gentile di dire che senza un simile salvataggio (e un’altra mezza dozzina di programmi di salvataggio come il TAF, il TSLF, il PDCF, il TARP, il TALF e un altro programma che ha concesso 170 miliardi di dollari di ulteriore debito prendendo a prestito dalla banche e da altri intermediari, senza una piena garanzia da parte del governo), Goldman Sachs e tutti gli altri intermediari e le principali banche americane sarebbero già oggi completamente insolventi.

E anche con il sostegno da 2.000 miliardi di dollari da parte del governo, buona parte di questi istituti finanziari rimangono insolventi, perché le morosità e gli storni stanno aumentando ad un ritmo per cui – viste le prospettive macro – le perdite di credito previste per le società finanziarie americane toccheranno i 3.600 miliardi di dollari. Quindi, in parole povere, il sistema finanziario degli Stati Uniti è di fatto insolvente.

Nouriel Roubini (docente presso la Stern Business School alla New York University e presidente della Roubini Global Economics)