giovedì 5 marzo 2009

Iran-Usa: relazioni in progress

Ieri Mohammed Ali Jafari, comandante dei pasdaran, ha annunciato che i missili iraniani sono in grado di raggiungere i siti atomici israeliani, un chiaro riferimento alla centrale nucleare di Dimona, nel Negev, e probabilmente alle basi militari dove potrebbero essere ospitati gli ordigni (circa 200) dell’arsenale israeliano.
L’alto ufficiale ha inoltre aggiunto "La dottrina del nostro sistema è difensiva, ma nel caso di qualsiasi azione del nemico, incluso il regime sionista, noi risponderemo usando i missili".
Secondo gli esperti, Teheran ha a sua disposizione missili con un raggio di circa 2000 chilometri, sufficienti dunque a colpire Israele.

Intanto sempre ieri l'ayatollah Khamenei ha criticato duramente il nuovo presidente americano e la sua scelta di "giustificare" le operazioni militari di Israele a Gaza con esigenze di sicurezza, che per Khamenei "significa difendere il terrorismo di Stato".
Secondo la guida suprema dell'Iran quella intrapresa da Obama è infatti "una strada sbagliata, non meno di quella seguita dal suo predecessore George W. Bush. Anche il nuovo presidente USA nonostante tutti i suoi slogan sul cambiamento, ha posto alcune condizioni per la sicurezza dei sionisti, e ciò significa difendere il terrorismo di Stato. Ciò significa sostenere il massacro del popolo palestinese a Gaza".

Non ha tutti i torti Khamenei, anche se le relazioni tra Iran e USA sembrano destinate a un costante miglioramento, in vista anche delle elezioni presidenziali del prossimo Aprile.



Iran: il Pentagono s'infiamma sull'U235

di Eugenio Roscini Vitali - Altrenotizie - 5 Marzo 2009

Al Pentagono è ormai dissenso aperto: c’è chi non nasconde le sue preoccupazioni sul ritiro delle truppe dall’Iraq, chi pensa che lo sforzo militare in Afghanistan potrebbe diventare eccessivo, chi è certo che l’Iran abbia le capacità è il materiale sufficiente per realizzare la bomba atomica e chi infine smentisce. A dare il via alla prima querelle dell’era Obama è l’ordigno nucleare iraniano: da una lato l’annuncio dato ai microfoni della Cnn dall’Ammiraglio Mike Mullen, comandante dello Stato Maggiore interforze degli Stati Uniti, nominato da George W. Bush a giugno del 2007: questi si dice convinto che Teheran avrebbe una quantità di uranio arricchito superiore di un terzo rispetto alle previsioni e che sarebbe già in grado di sviluppare l’ordigno.

Dall’altro la rapida smentita dello stesso segretario alla Difesa, Robert Gates, uno dei ministri repubblicani confermato da Barack Obama che sul canale Nbc ha detto di essere certo che al momento l'Iran non è neanche vicino ad avere il quantitativo di uranio arricchito necessario alla costruzione di una bomba atomica e ha la questione chiuso con un lapidale “c’è ancora tempo per convincerli a tornare indietro”.

La tesi del segretario alla Difesa, che si sofferma piuttosto sulla capacità missilistica iraniana e sulla mancanza di volontà dimostrata da Teheran nel conformarsi alle risoluzioni Onu, frena anche gli effetti della denuncia dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA) che in un report pubblicato lo scorso 20 febbraio, parla di un preoccupante aumento della produzione di uranio da parte della Repubblica Islamica: 171 chili oltre le previsioni che porterebbero gli stock depositato negli impianti di Natanz dagli 839 chili registrati a novembre a più di una tonnellata, quantità ampiamente sufficiente ad ottenere più di 20 chilogrammi di materiale da fissione, limite minimo per alla produzione di un ordigno atomico. Il rapporto dell’IAEA evidenzia il fatto che il materiale radioattivo in questione, la cui concentrazione di U235 è per ora inferiore al 5% (LEU, Low enriched uranium), potrebbe essere sottoposto ad ulteriori fasi di arricchimento che lo porterebbero ad una concentrazione di isopoti U235 superiore al 85%, livello utilizzato nella produzione di armi atomiche.

Anche se il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Hassan Ghashghavi, ha dichiarato che le accuse del Pentagono sono prive di fondamento e che la Repubblica Islamica non sta cercando di ottenere la bomba atomica, la situazione è indubbiamente delicata. Per dimostrare le intenzioni iraniane è innanzitutto necessario verificare se e quanto uranio sia già stato sottoposto a processi di arricchimento e se l’Iran abbia qualche intenzione di uscire dal Trattato di non proliferazione, cosa fondamentale per evitare la supervisione dei tecnici dell’Agenzia atomica. Gli elementi in possesso disegnano perciò un quadro piuttosto approssimativo e non permettono certo un’accusa precisa; un po’ come nel caso del sito siriano di al-Kibar dove i campioni prelevati durante una delle ultime ispezioni presenterebbero una concentrazione di particelle di uranio tale da rafforzare l’ipotesi secondo cui la struttura potrebbe essere un reattore nucleare in via di costruzione, senza però dimostrare che il materiale non proviene dai missili israeliani che nel settembre 2007 hanno colpito e distrutto la struttura.

Come afferma Gates, quello che senza ombra di dubbio è dimostrabile è la capacità e la volontà iraniana di colpire obiettivi che si trovano a grande distanza; secondo Washington sarebbe proprio la produzione di vettori balistici la vera dimostrazione della violazione iraniana alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. I Guardiani della Rivoluzione sono infatti in possesso di grosse quantità di Shahab 3, missili balistici a medio raggio (MRBM) derivati dal nord coreano Nodong-1, che possono trasportare testate nucleari a grappolo e che sono in grado di percorrere più di duemila chilometri (1.240 miglia), capaci quindi di colpire non solo Israele ma anche i confini turchi e le basi occidentali in Medio Oriente e nell’Asia centro meridionale, e la cui efficienza è stata dimostrata con successo durante l’esercitazione Grande Profeta III tenutasi la scorsa estate nel Golfo Persico.

Sul piano diplomato anche l’Iran si sta muovendo. La scorsa settimana l’ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani, leader dei conservatori moderati molto vicino all’Ayatollah Ali Khameni, avrebbe invitato Obama ad aprire negoziati diretti con Teheran. In realtà gli israeliani credono che la proposta del regime islamico altro non é che un escamotage per guadagnare tempo, cercare un compromesso che gli permetta comunque di portare avanti il progetto atomico approfittando soprattutto del fatto che per risolvere la guerra in Afghanistan gli Stati Uniti hanno bisogno dell’Iran. Altro soggetto importante è la Russia che pur avendo sospeso il progetto per il dispiegamento di missili Iskander, decisione presa in seguito al blocco americano sullo scudo antimissile in Polonia e nella Repubblica Ceca, continua a fornire combustibile nucleare all’Iran per la centrale nucleare di Bushehr.

Secondo il direttore del dipartimento per l’Asia del ministero degli Esteri russo, Alexander Maryasov, il reattore dovrebbe funzionare a pieno regime entro la prima metà del 2009, cosa confermata dal ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, e dall’Organizzazione iraniana per l’energia atomica che considera il sito già completato al 95%. Serghei Kiriyenko, attuale direttore dell'Agenzia atomica federale russa (Rosatom) e amministratore delegato della compagnia appaltatrice Atomenergoprom, ha dichiarato che i lavori di costruzione sono praticamente terminati e che si è ormai passati alla fase di preparazione, fase che richiederà non meno di qualche mese e che comprende l’immissione nel reattore di combustibile “virtuale” a base di piombo, materiale che verrà poi sostituito con le barre di materiale fissile.

In realtà, nella travagliata storia del “nucleare degli ayatollah”, la vera novità è il fatto che dopo gli anni di oscurantismo guerrafondaio negli Stati Uniti si stanno creando due diverse correnti di pensiero: la prima che, orfana della politica e delle lobby dei “cannoni”, punta a stigmatizzare le aperture condizionate della Casa Bianca, sottolineando il fatto che l’Iran è ormai arrivato ad un punto di non ritorno; l’altra, più moderata ed incline al dialogo, che prova a scardinare il palazzo con le armi della diplomazia e spera che anche ad aprile a Teheran si insedi un presidente più moderato. Che si ripresenti in pratica l’opportunità del 2003, quando il presidente Mohammad Khatami parlò di confronto tra Islam e civiltà occidentale come possibilità di dialogo. Una proposta che sul fronte interno portò alla rottura con lo schieramento khomeinista, ma che George W. Bush non seppe comprendere e che si concluse con la vittoria politica del partito dei militari.



L'Iran e l'ombrello russo
di
Sonia Karpova e Simone Santini - www.clarissa.it - 3 Marzo 2009

Sono giunti segnali contrastanti negli ultimi mesi e settimane sui rapporti tra Occidente ed Iran. Dalle caute aperture di Barack Obama tendenti alla normalizzazione dei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti, si è passati all'allarme lanciato, per la prima volta, dall'Onu attraverso l'Agenzia atomica secondo cui l'Iran sarebbe arrivato ad arricchire uranio sufficiente per dotarsi di un ordigno nucleare, posizione ripresa dal comandante delle Forze armate statunitensi, ammiraglio Mike Mullen, che rispondendo ad una domanda della CNN sulla bomba iraniana ha dichiarato: "Francamente, credo che ce l'abbiano".

Ma l'esternazione dell'ammiraglio Mullen è stata prontamente contrastata dal ministro della Difesa Robert Gates, secondo cui l'Iran non sarebbe affatto in possesso dell'atomica, non ancora almeno. Lo scambio ha evidenziato in maniera esemplare la spaccatura esistente nell'Amministrazione americana sul caso Iran.

Da un lato la componente filo-sionista che ha la sua direzione nel Dipartimento di Stato guidato da Hillary Clinton e che sembra intenzionata a proseguire, almeno sullo scenario mediorientale, la politica aggressiva dei neo-con; dall'altra un'alleanza fra la vecchia guardia repubblicana, di cui Robert Gates è espressione, un folto gruppo di cosiddetti "generali ribelli" coagulati attorno alla figura del generale Brent Scowcroft che vedono con allarme l'avventura di allargare il conflitto all'Iran, e alcuni grandi geostrateghi del campo democratico, come Zbigniew Brzezinski, interessanti a confrontarsi direttamente con la rinascente forza della Russia, in una sorta di riedizione della guerra fredda, nel cui quadro l'Iran può essere visto piuttosto come un possibile alleato che un nemico.

Non è un caso che negli ultimi due anni dell'Amministrazione Bush, il calo di attenzione verso l'Iran, culminato con un rapporto ufficiale dei servizi di sicurezza decisamente rassicurante sui piani nucleari degli Ayatollah, e il gelo nei rapporti con la Russia determinato dal piano americano di scudo anti-missile in Europa orientale, sia coinciso proprio con l'avvento di Robert Gates al Pentagono in sostituzione di Donald Rumsfeld.

In questo contesto può risultare decisivo l'atteggiamento di Israele. È chiaro che per Tel Aviv è Teheran il nemico strategico, e fu proprio Ariel Sharon a dichiararlo apertamente già nel 2002 quando si parlava di un imminente attacco americano all'Iraq: va bene andare a Baghdad ma subito dopo l'obiettivo dovrà essere l'Iran.

E l'intera riconfigurazione di Medio Oriente e Asia centrale partita dall' 11 settembre può essere per l'appunto vista come una operazione di larghissimo respiro che, dopo la "balcanizzazione" di Afghanistan e Iraq, perfettamente riuscite, vedeva il suo approdo finale in un approccio aggressivo contro l'Iran.

Ora Israele, vedendo uno stato di impasse ed indecisione nel gendarme americano, potrebbe essere tentato di forzare la mano all'ala meno favorevole alle proprie politiche in seno all'Amministrazione Obama, con un colpo di mano unilaterale contro gli iraniani.

Dopo le elezioni in Israele si profila l'alternativa tra due governi: uno di unità nazionale a guida Netanyahu, e l'altro addirittura di ultra-destra con all'interno i nazionalisti radicali e i partiti religiosi fondamentalisti ebraici; in entrambi i casi (e in maniera esplosiva nella seconda ipotesi) significherebbe un radicalizzarsi dei già tesissimi rapporti tra Tel Aviv e Teheran.

Sullo scacchiere diplomatico la risposta iraniana sembra indirizzarsi ad un avvicinamento verso la Russia, quasi a voler sfruttare la congiuntura geopolitica per porsi sotto l'ombrello di Mosca, rimescolando così le carte nel campo nemico ed alzando la posta di un eventuale scontro.

Teheran ha infatti annunciato di aver stipulato un accordo con Rosatom, l'industria nazionale russa per l'energia atomica, in base al quale Mosca fornirà, per almeno i prossimi dieci anni, il combustibile nucleare per le centrali iraniane. Serghei Kirienko, direttore generale di Rosatom, parteciperà all'inaugurazione della centrale di Busher, la prima centrale atomica iraniana, che, secondo le indiscrezioni, dovrebbe cominciare a produrre energia entro la fine dell'anno.

La costruzione del reattore di Busher ha avuto una storia travagliatissima: iniziata nel lontano 1975 dalla Germania, si interruppe con la rivoluzione khomeinista e l'embargo decretato dagli Stati Uniti. Nel 1995 i russi si offrirono (in realtà dietro compenso miliardario) di portare a termine l'opera. Ora, secondo Kirienko, dopo vari problemi tecnici, i lavori sono giunti al 95% e l'impianto sarebbe pronto per il lancio di prova.

Ancora più importante la notizia secondo cui il ministro degli esteri iraniano Mottaki avrebbe inoltrato la candidatura per l'ingresso del suo paese alla Organizzazione di Cooperazione di Shangai (SCO) che verrà discussa nella prossima riunione di giugno ad Ekaterimburg, in Russia.
Finora l'Iran era stato invitato solo come osservatore ai lavori della SCO, una organizzazione asiatica che raggruppa Russia, Cina, ed alcuni paesi centro-asiatici tra cui Kazakistan ed Uzbekistan, e che mira ad una più intensa cooperazione economica e militare tra i partecipanti.

L'ingresso a pieno titolo dell'Iran (mentre altre potenze regionali come India e Pakistan restano con lo status di osservatori) significherebbe la creazione di un blocco asiatico significativo per il supporto militare (tra Russia e Cina si sono già avute, nel recente passato, imponenti esercitazioni comuni) ma soprattutto di straordinaria importanza nel contesto economico attuale, soprattutto per il mercato energetico. La SCO vedrebbe insieme, infatti, sia i più importanti detentori di riserve di gas e petrolio a livello mondiale (Russia, Iran, Kazakistan) sia la Cina, destinata a diventare il più importante cliente energetico.

Non sfugge che la SCO avrebbe con l'Iran il proprio baricentro sul bacino del Mar Caspio, considerato il nuovo eldorado energetico che potrebbe rivaleggiare, ed anzi soppiantare, il tradizionale fulcro mediorientale arabico.

Del resto nemmeno i rapporti tra Russia e Iran sono mai stati lineari, anzi piuttosto segnati da diffidenza pur nella reciproca attenzione. Storicamente l'area persiana è stata usata dall'imperialismo anglosassone per contenere e intaccare da sud il potere russo. In epoca recente è stato un alternarsi di tentazioni di partnership quanto di misurarsi come concorrenti, in entrambi i casi nell'ambito energetico essendo i due paesi i maggiori detentori di riserve di gas al mondo.

Non a caso la Russia, pur con atteggiamento guardingo e bilanciato, ha in questi anni sempre finito per votare, in seno al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, le risoluzioni tendenti a imporre sanzioni all'Iran. E più volte ha proposto agli iraniani di trasferire il loro programma nucleare in territorio russo, così da farsene garante di fronte alla comunità internazionale, e al tempo stesso ottenendo il grande vantaggio strategico di avere la mano sulla chiave di accesso all'atomo da parte di Teheran, che da parte sua ha sempre rifiutato l'offerta.

Pertanto non necessariamente la Russia potrebbe vedere con ostilità un ridimensionamento del vicino Iran, ma al contempo teme che un suo smembramento politico o addirittura territoriale potrebbe fare da vettore a forze interessate a destabilizzare le Repubbliche centro-asiatiche che già fecero parte dell'Unione sovietica.

La situazione rimane dunque perfettamente fluida con tantissime variabili in gioco. Non da ultima la crisi economica globale che potrebbe avere un ruolo decisivo per la partita che può decidere il prossimo futuro del pianeta: pace o guerra in Medio Oriente?