domenica 8 marzo 2009

Crisi economica? Tutto ok, parola di Silvio...

E' ben noto l'inguaribile ottimismo di Berlusconi con cui, parlando della crisi economica globale in corso, dipinge il nostro Paese come immune da gravi conseguenze.

Ora Silvio, ben memore del suo passato di costruttore edile, sta pensando anche di varare un nuovo Piano Casa - i cui punti salienti sono la possibilità di aumentare del 20% la cubatura degli immobili esistenti, sia nel caso di edilizia residenziale che commerciale; del 30% nel caso di abbattimento e ricostruzione di edifici obsoleti; del 35% nel caso il nuovo edificio sia ricostruito con le regole della bioedilizia e del risparmio energetico - affermando che si tratta di "Una vera rivoluzione edilizia per dare una scossa all'economia che ricordi quella del Dopoguerra e consenta il rinnovamento edilizio del Paese perche' quando l'edilizia va, tutto il resto va di conseguenza [...] e per dare a chi ha una casa, e nel frattempo ha ampliato la famiglia perchè i figli si sono sposati e hanno dei nipotini, la possibilità di aggiungere una stanza, due stanze, dei bagni, con i servizi annessi alla villa esistente".
Ma certo, tutti hanno una villa in Italia...

Oggi inoltre, in un'intervista al quotidiano spagnolo El Mundo, Berlusconi sostiene addirittura di essere "imbarazzato" per l'apprezzamento degli italiani nei suoi confronti nonostante la crisi economica "Gli italiani mi conoscono da sempre, hanno fiducia in me perche' ero il piu' popolare e invidiato imprenditore italiano e ho lasciato tutto per mettere a disposizione del mio Paese e dei miei concittadini la mia esperienza e le mie capacita'''.
Grasse risate piovono dalla platea.

Anche se subito dopo Silvio, in un sussulto di realismo, mette le mani avanti "Con la crisi in corso un apprezzamento cosi' alto e' francamente imbarazzante e non puo' che diminuire!".
Appunto.



L'ottimismo del Cavaliere affonda la dignita' del lavoro

di Ilvio Pannullo - Altrenotizie - 8 Marzo 2009

Dopo aver paventato l’esistenza di un piano da 80 miliardi di euro ed aver sbandierato con fierezza l’essere arrivati primi in una gara di cui nessuno sa comprendere le regole né vedere la fine, il governo italiano, per mezzo del nostro infaticabile premier, ha successivamente corretto il tiro – come spesso accade – affermando di stare pensando, contro la crisi economica, ad un piano di aiuti a vantaggio di “settori strategici” oltre a quello dell’auto: “Noi stiamo facendo la nostra parte”, ha affermato mister B. ricordando i “40 miliardi di euro, di soldi veri” che nei prossimi tre anni “passeranno dalle casse dello stato all'economia reale”. Da 40 miliardi si è poi passati agli attuali 8.5, per apprendere infine, quando il piano dell’Italia è arrivato sul tavolo dell’Ecofin a Bruxelles, che all’appello ci sono solo gli interventi da 2 miliardi per rilanciare auto e consumi, varati venerdì scorso dal governo. Una pagliacciata in pieno stile berlusconiano mentre - secondo i dati che risultano a Bruxelles e che l’Ansa ha anticipato ieri - sono stati persi 130.000 posti di lavoro nell’industria europea e nell’edilizia. Due settori che, nell’ultimo anno, hanno fatto registrare un crollo della produzione pari a 150 miliardi di euro.

Quello che appare evidente, alla luce del continua involuzione dell’economia e del sempre crescente peggioramento delle condizioni lavorative, é che da questa crisi uscirà un mondo diverso. Un mondo che oggi non riusciamo neanche ad immaginare. A cambiare radicalmente e necessariamente saranno i rapporti tra capitale e lavoro. Dopo la sconfitta dei regimi comunisti dell’Europa orientale, il capitalismo fu infatti esibito come l’indomabile sistema che avrebbe portato prosperità e democrazia, il sistema che sarebbe prevalso fino alla fine della Storia. La crisi economica attuale è riuscita, tuttavia, nel miracolo di convincere anche alcuni prominenti sostenitori del libero mercato che esiste qualche grave mancanza.

"Quelli tra noi - me incluso - che hanno pensato che l'interesse privato delle istituzioni finanziarie proteggesse le azioni dei risparmiatori, sono in uno stato di attonita incredulità". "I have found a flaw...I have been very distressed by that fact": questa, la testimonianza di Alan Greenspan, governatore della Federal Reserve dal 1987 al 2006 davanti al Congresso Usa. "Ho trovato una falla... Sono stato molto addolorato da questo fatto... Una falla nel modello che io credevo fosse la struttura cruciale che definisce come funziona il mondo" confessa l’ex comandante in capo dell’impero monetarista americano. "In altre parole, lei ha scoperto che la sua visione del mondo, la sua ideologia, non era giusta, non stava funzionando?", chiede Mr. Waxman, membro del Congresso e all'epoca presidente del Committee on Oversight and Government Reform. "Esatto, proprio così - risponde Greenspan - ed é per questo che ne sono stato scioccato, dato che sono andato avanti per 40 anni e oltre con la forte evidenza che stava funzionando eccezionalmente bene".

Ad un osservatore attento basterebbero queste poche parole per comprendere l’enormità della crisi con cui ancora non abbiamo fatto i conti e che presto travolgerà come una valanga l’intero assetto produttivo europeo, cambiandolo per sempre. La verità sta infatti nel comprendere che questa crisi è figlia delle logiche che sono alla base del capitalismo stesso e che dunque, quanto sta accadendo oggi alle economie liberiste di tutto il mondo, non è il risultato di un attacco al sistema dall’esterno, da parte delle forze del lavoro, oramai ridotte alla fame e annichilite dalla loro stessa incapacità di fare fronte comune contro lo strapotere del capitale.

La crisi, iniziata con lo scoppio del mercato immobiliare statunitense, poi peggiorata sempre di più estendendosi a macchia d’olio, colpendo prima le banche d’investimento e poi lo stesso settore assicurativo, è una crisi di fiducia. La fiducia di tutti gli operatori sulla sostenibilità di questo sistema, che si sta drammaticamente avvitando su se stesso ed è destinato a crollare, disintegrandosi in mille pezzi.

In questo scenario fa ridere la mancanza d'azione del governo italiano che, mentre ogni paese europeo stanzia tra gli 80 e i 90 miliardi di euro per far fronte ad una crisi mai vista, ne stanzia solo 8 e risponde picche all'indennità per i disoccupati. Dopotutto - si sosterrà - se morivano di fame prima, perché preoccuparsi di loro adesso? Ovunque si dibatte tra la necessità di salvare le banche o di salvare le imprese, o di salvare entrambe. Nessuno dice che il capitale ha dichiarato guerra al lavoro e che i lavoratori sono merce avariata alla quale non è necessario destinare risorse.

Abituati all’acquiescenza delle masse, ormai stordite da tette, culi e dispute accesissime sull’ultimo rigore concesso all’Inter piuttosto che alla Juventus, i signori del sistema, consci dell’impossibilità di sanare concretamente e definitivamente la rottura nella fiducia concessa al sistema stesso, fanno carte false per drogare il moribondo guadagnando tempo in vista dell’inevitabile bancarotta mondiale.

Già, perché le economie fondate su credito e debito sono per loro natura instabili. Intrappolate tra i cicli di espansione e contrazione, sono anche vulnerabili ai capricci dell'uomo e alle violenze della natura. La rimozione definitiva del sostegno aureo alla carta moneta nel 1971 da parte del presidente Nixon, è stata la fatale ultima pagliuzza che ha fatto crollare il castello di carte dei banchieri. Ma prima che questo castello di carte rovinasse su se stesso, il capitalismo doveva prodursi in un ultimo exploit d’impudica gloria. I 25 anni intercorsi tra il 1982 e il 2007 hanno visto la più prolungata espansione della storia del capitalismo. Doveva, tuttavia, essere anche l'ultima, perché questa espansione era fondata su una quantità di credito mal distribuita e storicamente eccessiva.

La realtà è che in un sistema a riserva frazionaria come quello oggi vigente e santificato dagli accordi di Basilea 2 regolanti l’attività bancaria ed interbancaria, non esiste alcuna copertura per le promesse di pagamento. Non ci sono risparmi e il denaro viene letteralmente creato dal nulla. Il tutto si regge sulla fiducia concessa gratuitamente dalle masse, sulla convinzione che il sistema regga. Vedere i dipendenti della Lehamn Brothers, una delle banche d’investimento più potenti al mondo, uscire dai propri uffici con gli scatoloni in mano ha incrinato per sempre quella fiducia. E’ solo una questione di tempo prima che il castello imploda.

Tempo che sarebbe necessario sfruttare per ridare speranza a tutti quanti da questo sistema hanno ricevuto solo sprangate. E’ giunto il tempo per i lavoratori, per i precari, per gli imprenditori onesti di riaffermare il primato dell’economia reale e del lavoro sulla finanza e su di un sistema bancario marcio sin dentro le ossa. È tempo di spegnere la tv e accendere il cervello, di mettere da parte nani e ballerine e riprendersi quella dignità che ci appartiene in quanto uomini. E’ tempo di svegliarsi.



L'Italia nella crisi e' un'isola felice
di Eugenio Scalfari - La Repubblica - 8 Marzo 2009

L'industria americana dell'auto è moribonda. Le grandi banche americane traballano malgrado robuste iniezioni di liquidità e con loro traballano le grandi assicurazioni pubbliche. Le banche dell'Est europeo agonizzano coinvolgendo le loro finanziatrici austriache, svedesi, tedesche, britanniche. Traballano anche alcuni Stati sovrani dentro e fuori Eurolandia: Lettonia, Ucraina, Grecia, Irlanda, l'emirato di Dubai. Le Borse crollano in tutti i paesi occidentali e in Giappone. Il credito è ingolfato. "I messi di sventura piovon come dal ciel".

In questa generale catastrofe c'è un'isola felice, l'Italia. Banche solide, risparmio privato abbondante, debito pubblico elevato ma sotto controllo, governo lungimirante. "Adelante Pedro, con juicio". Berlusconi è il secondo dopo Dio e Tremonti il suo profeta. Il futuro è terra incognita ma il presente è terra solida.

Negli ultimi giorni, per ricostruire una fiducia latitante, il governo ha sparato una raffica di cifre da mozzare il fiato, una mitragliata di provvedimenti, un esempio inimitabile di prudenza, saggezza, audacia ed esperto coraggio. Gli altri annaspano, Obama compreso, ma noi sappiamo dove andiamo.

Una sola ruota non funziona: una stampa allarmista, una tivù pubblica che critica il governo, un'opposizione blaterante, un sindacato all'insegna del tanto peggio-tanto meglio.

Non fosse per quest'elemento impazzito, l'ingranaggio marcerebbe a meraviglia e il sistema Italia potrebbe ambire legittimamente ad una leadership europea. Mondiale no, anzi non ancora, ma non mettiamo limiti alla divina provvidenza. Domani del resto papa Ratzinger benedirà Roma dal balcone del Campidoglio con a fianco il sindaco Caltagirone. Chiedo scusa, il sindaco Alemanno.

Insomma qui, nel paese-giardino della Chiesa, tutto va nel migliore dei modi.

* * *

Le cifre sono sbalorditive. Vediamole. I miliardi di euro mobilitati erano due mesi fa 140. Dei quali 80 immediatamente disponibili. Di questi la metà si è persa per strada ma 40 sono rimasti in linea ed il loro impiego (triennale) si sta ora discutendo.

Non si è capito bene se si parla di competenza o di cassa. Sembrerebbe piuttosto la prima che non la seconda. La cassa infatti è praticamente vuota: le entrate correnti sono in calo (vistoso), il fabbisogno del Tesoro è in aumento, l'avanzo primario al netto degli interessi sul debito si è dimezzato. Ma queste sono quisquilie, pinzellacchere come scrivevano gli umoristi del "Bertoldo" e del "Marc'Aurelio" settant'anni fa.

Certo c'è anche per noi qualche cattiva notizia. Per esempio il pil del 2008 ha registrato un regresso dell'1 per cento sull'anno precedente. Tremonti non lo sapeva, l'ha letto sui giornali.

Per il 2009 la recessione (si chiama così) sarà maggiore: - 2,6. Qualcuno più pessimista parla di - 3. Qualcun altro più pessimista ancora di - 4. Tocchiamo legno. Pressione fiscale al 43,5. Debito pubblico al 110 per cento sul pil. Ma, ripetiamolo, non è su questi tavoli che si gioca la partita. La Cassa integrazione è aumentata del 550 per cento rispetto all'anno precedente, segno che l'Italia è un vero paese industriale e che la Cassa ha i denari sufficienti a reggere l'ondata di crisi. L'ondata aumenterà nelle prossime settimane? Tranquilli: Tremonti ha già costruito argini robusti per contenere la piena.

* * *

Eccoli dunque, quegli argini. Cominciamo coi Tremonti-bond: dodici miliardi a disposizione del sistema bancario. Costo per le banche tra l'8 e il 9 per cento. Le banche emettono, il Tesoro acquista e ne ricava il 4 per cento di utile. Insomma ci fa un affare. Le banche no. A che cosa servono? A rafforzare il patrimonio. Facendo debito a condizioni onerose. Con l'obbligo di erogare crediti alle piccole e medie imprese. I prefetti vigileranno all'adempimento.

Nel frattempo alcune imprese assicurative e bancarie hanno emesso obbligazioni al 4 e mezzo per cento, coperte in poche ore da un vasto pubblico di sottoscrittori. Per cui non si vede a che cosa servano i Tremonti-bond. Il ministro del Tesoro ha detto che tre grandi banche avevano prenotato i tre quarti della cifra stanziata. Tre giorni dopo Berlusconi lo ha corretto dicendo che solo una banca aveva manifestato interesse e che comunque non era quella la vera linea di resistenza contro la crisi. Chi dice il vero, il premier o il Tesoriere?

Il premier non gradisce i toni spesso drammatizzanti del Tesoriere e lo ha pubblicamente redarguito. Il Tesoriere ha prontamente rettificato. La colpa è dei giornali, non puoi sbagliarti.

La vera linea di resistenza è un'altra: 17,8 miliardi per infrastrutture e questa sì che è una buona notizia. Deliberati dal Cipe, copertura in parte con stanziamenti già previsti in Finanziaria e in parte provenienti dai fondi per le aree sottosviluppate (Fas) in mano alle Regioni. Le quali, per mollare una parte del malloppo, hanno ottenuto che fosse destinato anche agli ammortizzatori per i precari. Così è stato: quattro miliardi ai precari licenziati e il resto a Matteoli, ministro delle Infrastrutture e vicesindaco della fatidica Orbetello.

Però la cifra vera non è quella. Per il 2009, l'anno orribile, le somme stanziate dal Cipe nelle due sedute del 18 dicembre e del 6 marzo ammontano a 12,3 miliardi, ai quali ne vanno aggiunti 2,1 già stanziati nella Finanziaria di settembre. Ma 3,6 miliardi vanno invece sottratti perché destinati a spese correnti (ferrovie e traghetti). La cifra netta non è dunque di 17,6 ma di 10,8 miliardi. Per aprire cantieri. Matteoli dice che saranno aperti entro sei mesi e dunque se ne parlerà ai primi di settembre. Ma c'è cassa? Sembra di no. Sembra che la cassa sia a secco. Per fare cassa di questi tempi c'è un solo modo: emettere Bot. Aumentando lo stock del debito.

Pazienza. Ma i cantieri? A settembre ne apriranno alcuni, quelli più piccoli. Valutazioni attendibili parlano di un 20 per cento della cifra totale, cioè un paio di miliardi. Magari tre se va molto bene. Per il resto se ne parlerà nel 2010. Il ponte di Messina? Non è roba da fare subito. L'autostrada Civitavecchia-Cecina? Se ne parlerà nel 2013. La Salerno-Reggio? Sono vent'anni che si sente questo nome; un bello spirito ha detto: "Se la risento nominare metto mano alla pistola". Volete dargli torto?

* * *

Pare che il premier abbia in mano altri 9 miliardi e Tremonti altri 13. Da dove vengono? I nove sono fondi già stanziati e attribuiti a quattro diversi ministeri, rastrellati ora dai loro bilanci e unificati. I quattro ministri, tra i quali Scajola e Prestigiacomo, hanno strillato come aquile ma poi, come sempre, si sono acquietati.

I 13 miliardi sono della Cassa depositi e prestiti. Verranno destinati a finanziare progetti di privati costruttori. Tra i quali pensiamo ad Alemanno. Mi scuso: volevo dire a Caltagirone. Ma anche a garantire prestiti bancari alle Pmi (Piccole e medie imprese).
Questo governo adora garantire sperando così di fare le nozze con i fichi secchi: debiti di firma, se ci fosse un patatrac dovrebbe sborsare denari sonanti, ma fin quando non ci sarà si fa bella figura senza sborsare un centesimo. Quando si dice creatività!

Per questa ragione Berlusconi rifiuta la proposta di Franceschini per assicurare uno stipendio minimo ai precari che perdono il lavoro. A conti fatti quella proposta costerebbe meno di 5 miliardi ma quelli sì, bisognerebbe sborsarli subito. Quindi non va bene.
Conclusione: gli argini veri non ci sono. Ci sono promesse e garanzie. Se una, una sola di quelle garanzie venisse escussa, il finto argine verrebbe giù tutto insieme. Parole parole parole: Mina di quarant'anni fa. Berlusconi da sempre. L'Italia, un'isola felice. Se non esce il rosso uscirà il nero o viceversa. Se Obama non dovesse farcela sarebbero serissimi guai e per noi peggio di tutti.

Post scriptum. Berlusconi si è quotato per 100 milioni da versare al fondo per la ricostruzione di Gaza che entrerà in funzione quando sarà fondato lo Stato palestinese. I giornali italiani di bandiera hanno dato grande risalto a questa presenza italiana. Mi domando in quale Paese viviamo.



Berlusconi e la scomparsa della crisi
di Domenico Moro - Aprileonline - 27 Febbraio 2009

Se c'è insicurezza nel nostro Paese, questa non dipende dagli immigrati o dagli impiegati dell'amministrazione pubblica, ma dipende dalla mancanza di futuro per milioni di lavoratori a causa del dispiegarsi di una crisi che è la peggiore dalla Grande depressione degli anni ‘30. Infatti, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale il Pil mondiale decrescerà e le conseguenze saranno pesantissime: secondo l'International labour organization entro il 2009 la crisi porterà a 18-30 milioni disoccupati in più, che diventeranno 50 milioni, se la situazione dovesse peggiorare.

Di fronte a questo scenario Berlusconi, non solo è riuscito a deviare l'attenzione dell'opinione pubblica dalla ragione vera della paura sociale verso altre questioni, ma è arrivato a sostenere che il nostro Paese è quello messo meglio tra i vari partner europei. Coerentemente con questa sua valutazione, Berlusconi sta facendo poco o nulla per fronteggiare la recessione, a differenza degli altri governi negli Usa e nella Ue. Lo stesso ministro dell'economia, Tremonti, che pure è ormai considerato quasi un gigante del pensiero economico, mantiene come punto di riferimento della sua politica economica la riduzione del deficit pubblico.

Siamo quindi al paradosso: mentre durante il suo precedente mandato come ministro economico, in una fase del ciclo economico espansiva, Tremonti con la sua finanza "creativa" si era reso responsabile dell'innalzamento di deficit e debito pubblico, ora, in una fase recessiva, persegue l'obiettivo contrario. Il piano di rientro del deficit prevede il passaggio dal 3,7% di deficit sul Pil nel 2009 al 2,9% nel 2011. Tremonti non può arrivare a questo obiettivo senza ridurre la spesa pubblica, che è esattamente l'opposto di quello che bisognerebbe fare. Infatti, è proprio in una fase recessiva che la spesa pubblica dovrebbe essere utilizzata per rimettere in moto l'economia. Ed il ricorso alla spesa pubblica, come dicevamo, è proprio quello che stanno facendo tutti i Paesi più importanti, che non sembrano curarsi più di tanto, di fronte alla catastrofe in atto, del deficit.

Gli Usa arriveranno quest'anno al 10% di deficit, la Gran Bretagna si attesterà tra il 6 e 8% (secondo qualcuno al 10%) e nella finanziariamente virtuosa Germania, il governo prevede un disavanzo di bilancio di 36,8 miliardi di euro, che rappresenta più del doppio di quanto stimato precedentemente ed il record dal dopoguerra. Persino in Ucraina, dove il rating sul debito pubblico è crollato, il premier Yulia Tymoshenko ha detto al Fondo monetario che, in tempi di crisi, ridurre la spesa pubblica è fuori discussione.

In Italia, invece, il bilancio pubblico sembra essere l'unico punto di riferimento nella politica economica del governo, tanto che, proprio quando le file dei disoccupati minacciano di allungarsi a dismisura per la crisi dell'industria, si propone, come mossa per ridurre il deficit pubblico, l'allungamento dell'età pensionabile delle donne. Un bell'aiuto all'ingresso nel mondo del lavoro per giovani e meno giovani ancora precari, non c'è che dire. Dello stesso tenore è il proposito governativo di rimettere mano al diritto di sciopero, che non aiuterà certo a sostenere i salari e quindi il potere del mercato di assorbire i prodotti dell'industria. Anche le rottamazioni e gli incentivi per il settore automobilistico risultano essere un ben misero intervento specie se consideriamo quanto lo Stato verrà ad incassare dalla vendita di nuove auto in termini di iva e altre tasse.

L'unico intervento di una certa entità che sembra abbia finalmente partorito il governo è quello dei Tremonti bond, un sussidio alle banche per un totale di 10-12 miliardi di euro. In realtà, la somma non basterà, dal momento che solo le prime quattro banche (Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi e Banco Popolare) chiederanno almeno nove miliardi e, dunque, la rimanenza non sarà sufficiente per soddisfare la domanda degli altri istituti di credito. Anziché buttare soldi nel pozzo senza fondo delle perdite bancarie, sarebbe più opportuno, invece, il reingresso dello Stato nel settore, come sta avvenendo in altri paesi europei.

Ci sono poi due altre questioni da considerare a proposito del deficit. La prima è che, comunque, l'Italia sta messa peggio degli altri Paesi europei occidentali, perché ha una rete di sicurezza sociale più debole e dunque la disoccupazione qui farà più male che altrove. La seconda è che quando si parla di bilancio pubblico si dimentica la parte delle entrate, che non solo è troppo squilibrata a sfavore dei lavoratori salariati ma è anche condizionata dall'evasione fiscale contro la quale il cavaliere mascarato, che ha depenalizzato di reato di falso in bilancio, è il meno indicato a lottare. La questione è molto chiara: prendere le risorse dove sono per spostarle dove mancano, per la creazione di una rete di protezione sociale adeguata e soprattutto di lavoro non precario.



Berlusconi batte la crisi
di Franco Bechis - www.italiaoggi.it - 6 Marzo 2009

Ha appena intascato 159 milioni di euro, il 50% più del 2008
Silvio Berlusconi si è messo in tasca all'inizio di quest'anno un assegno da 159 milioni, 335 mila, 953 euro e 92 centesimi. Una maxi-somma rara anche per gli imprenditori. Ma soprattutto superiore di oltre la metà ai 102 milioni che il presidente del Consiglio e indirettamente principale azionista del gruppo Fininvest-Mediaset si era messo in tasca solo un anno fa.

Si tratta dei dividendi che gli hanno erogato le quattro società direttamente controllate, le holding prima, seconda, terza e ottava che controllano la maggioranza del capitale del gruppo Fininvest.
Berlusconi è fra i pochi, pochissimi imprenditori italiani a essere diventato più ricco proprio nell'anno orribile della crisi finanziaria internazionale...(...)
Comprensibile quindi l'ottimismo del premier italiano che più volte ha tentato nei mesi scorsi di spegnere gli allarmi di centri studi nazionali e internazionali sulla crisi e la caduta di consumi e prodotto interno lordo.

Lui non ha certo problemi psicologici, e avere oltre 50 milioni di euro in più in tasca rispetto all'anno precedente non dovrebbe provocare particolare caduta dei consumi personali e lasciare abbastanza risorse anche per affrontare le difficoltà del 2009 che si farano sentire perfino sui bilanci delle sue aziende.

In tasca quella maxi disponibilità aggiuntiva è per altro dovuta in gran parte alle richieste del premier- azionista.
I bilanci delle aziende di famiglia sono riusciti a brillare nel 2008 a differenza di quelli di molte altre aziende, i dividendi sono stati distribuiti quindi con maggiore generosità del passato, ma i bilanci in sè non hanno ottenuto un risultato così clamoroso. Il guadagno effettivo fra 2008 e 2007 delle quattro holding che appartengono a Berlusconi è stato di poco superiore a 13 milioni di euro, che è pur sempre un ottimo risultato.

Ma l'anno precedente l'allora candidato premier aveva chiesto a tre delle sue società la distribuzione di tutti i dividendi, e a una di queste, la holding prima, di accantonare a riserva straordinaria (e cioè di lasciare in pancia alla società per eventuali acquisizioni future o sottoscrizioni di aumenti di capitale delle controllate) l'intero dividendo, pari a 43 milioni e 258 mila euro.

Quest'anno invece Berlusconi ha pensato evidentemente di avere maggiori necessità finanziarie personali e chiesto al consiglio di amministrazione della holding prima di versargli l'intero dividendo del nuovo esercizio, pari a 48 milioni e 100 mila euro.
Il contrario di quel che han deciso i figli Marina e Piersilvio, che hanno lasciato nelle casse delle società i 38,8 milioni guadagnati...



Metalmeccanici, a febbraio 2009 la Cassa integrazione è cresciuta più del 1.048%
da www.dazebao.org - 7 Marzo 2009

I dati resi noti dalla Fiom danno il segno della gravità della crisi. Occorrono misure straordinarie di politiche industriali e occupazionali.

La gravità della crisi è pienamente dimostrata dai dati resi noti dall’Inps nell’insieme dei settori dell’industria metalmeccanica, industria di punta del nostro paese: con 23 milioni di ore di Cassa integrazione nel solo mese di febbraio 2009, e con un incremento del 430% sullo stesso periodo dello scorso anno, tali settori rappresentano più del 60% di tutta la Cassa integrazione nell’industria.

Questo ammontare di ore di Cassa integrazione è pari all’assenza dal lavoro per l’intero mese di 150.000 lavoratori. In realtà, i metalmeccanici interessati dalla Cassa integrazione guadagni superano le 200.000 unità in quanto la sospensione è realizzata, in molte aziende, a rotazione, e mediamente, riguarda un periodo di due o tre settimane.”

“Se si guarda alla sola Cassa integrazione ordinaria, che è il vero indicatore della violentissima crisi che interessa ormai tutti i principali comparti dell’industria metalmeccanica (Automotive, Siderurgia, Elettrodomestici)- afferma un comunicato della Fiom Cgil- si registra un aumento vertiginoso di oltre il 1.048% rispetto al febbraio 2008, confermando l’andamento preoccupante del dicembre 2008, che aveva avuto poi una lieve attenuazione nel mese di gennaio 2009.”

Le regioni più colpite sono il Piemonte e la Lombardia che, da sole, rappresentano oltre il 60 % di tutta la Cassa ordinaria del settore ed il 53% della totalità della Cassa nei metalmeccanici.

Un segnale di particolare gravità viene dalle Marche, dove si registra una vera e propria esplosione della Cassa integrazione straordinaria, e dalla Campania che, con quasi 1,2 milioni di ore di Cassa, è la terza regione del settore con una quantità di sospensioni di poco superiore al Veneto e al Lazio.

“Nel periodo novembre 2008-febbraio 2009, sono state autorizzate dall’Inps, per le aziende metalmeccaniche, oltre 67 milioni di ore di Cassa integrazione. Di questi, 50,3 milioni di ore riguardano la Cassa integrazione ordinaria ch – Afferma la Fiom-, ha interessato centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori. Una condizione socialmente insostenibile, questa, che rischia di protrarsi, se non di aggravarsi, nel corso dell’anno, con una perdita di salario che varia oramai tra il 40 e il 50% dello stipendio mensile, senza considerare che è frequente che in una stessa famiglia siano in Cassa integrazione sia la moglie che il marito.”

“Questi dati-conclude la nota del sindacato-- confermano per intero la piattaforma con cui la Fiom ha chiamato allo sciopero lavoratrici e lavoratori metalmeccanici lo scorso 13 febbraio. Piattaforma in cui veniva affermata la necessità di misure straordinarie di politiche industriali e occupazionali che siano in grado di rispondere con efficacia alla crisi a partire dal blocco dei licenziamenti, dall’estensione degli ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori che ne sono privi e dall’aumento dell’indennità di Cassa integrazione, arrivando al reale 80% dei salari di fatto.”