venerdì 6 marzo 2009

Una crisi da far sbiancare i capelli

Ancora una serie di articoli sulla crisi economica in pieno corso che ha gia' fatto venire i capelli bianchi al presidente USA Obama, dopo solo un mese e mezzo dall'insediamento ufficiale.


Economia USA: Progettata per fallire
di
Richard C. Cook - Global Research - 28 Febbraio 2009
Traduzione di Pino Cabras per Megachip

Il presidente Barack Obama ha mostrato un sacco di audacia nell’affrontare il Congresso la notte scorsa al momento di pronunciare il suo primo discorso alle camere riunite. Tutti i fronzoli del potere erano in mostra quando i membri della Camera e del Senato, della Corte suprema, i capi di stato maggiore riuniti, il gabinetto, e gli ospiti VIP si abbracciavano e si stringevano le mani, raggianti nei loro abiti su misura, appena due notti dopo che le star di Hollywood avevano allestito il loro show nella notte degli Oscar.

Peccato che né il presidente né il vicepresidente Joe Biden e la Speaker della Camera Nancy Pelosi che applaudivano sul podio dietro di lui, né i festanti democratici con la loro solida maggioranza, né gli scontrosi repubblicani che ciondolavano in minoranza lungo il corridoio, sappiano che cosa stiano facendo ora che l’estinzione economica fissa da vicino il volto degli Stati Uniti d’America.

Sì, va proprio così male. Il giorno dopo il discorso il Dow-Jones è sceso a 7.271, quasi il 50 per cento rispetto al picco di ottobre 2007, senza che il fondo sia in vista. Secondo il «Washington Post», le tre grandi case automobilistiche stanno ora per affrontare un crollo dal basso verso l’alto delle loro di linee di fornitura di componenti se la loro vasta rete di fornitori non riceverà nuovi prestiti federali entro una settimana. Anche nel mondo la situazione è altrettanto grave.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro dell’ONU comunica:
«Quella che all’inizio era una crisi dei mercati finanziari è rapidamente diventata una crisi occupazionale globale. La disoccupazione è in aumento. Il numero di lavoratori poveri è in aumento. Le aziende stanno andando sotto.»

Il discorso del Presidente Obama è stato lungo quanto a determinazione, ma breve quanto a sostanza. Ha promesso alla nazione:
«Ricostruiremo, risaneremo, e gli Stati Uniti d’America riemergeranno più forti di prima.»
Ma giungere a un tale risultato dipende interamente da una cosa: una più elevata spesa federale in deficit da far funzionare come il motore economico di un’economia in cui i prestiti bancari si sono prosciugati perché le imprese ei consumatori non possono più rimborsare i loro prestiti.
Purtroppo, il disavanzo si sta avvicinando al punto di rottura.

Durante l’anno fiscale 2009 il Tesoro USA è sulla via di pagare più di 500 miliardi di dollari solo nel remunerare gli interessi per finanziare il debito già esistente. Il nuovo debito quest’anno probabilmente supererà il trilione di dollari. Il carico totale degli oneri del debito per l’economia nel suo complesso potrebbe arrivare a 70 trilioni di dollari entro il 2010, con un livello di pagamenti di interessi annuali per i singoli individui, le famiglie, le imprese, e tutti i livelli di governo che raggiungerebbe verosimilmente 3 trilioni di dollari su un PIL da 14 trilioni ora in brusco calo.

Il finanziamento del deficit continua a dipendere dal fatto che la Cina acquisti ancora le obbligazioni del Tesoro. Questo è il motivo per cui il Segretario di Stato di Hillary Clinton ha detto in tutta franchezza, durante l’ultima il viaggio della scorsa settimana in Cina: «Noi contiamo sul fatto che il governo cinese continui ad acquistare il nostro debito».

Ma almeno il presidente Obama ci sta provando. Sa che l’economia può recuperare solo se la crescita viene ravvivata. Pertanto si concentra su una creazione di posti di lavoro che si traduca in autentici redditi da lavoro. Ma può invertire una generazione di outsourcing del lavoro e di stagnazione dei redditi? Non conosco nessuno che ritenga che ce la possa fare. Potrebbe farcela la panacea repubblicana dei tagli delle imposte e della spesa? Non scherziamo. Non quando la disoccupazione si sta avvicinando ai livelli della Grande Depressione.

Ma né il Presidente Obama, né i suoi sostenitori democratici né gli antagonisti repubblicani, dovrebbero dispiacersi di ciò che sta accadendo. Questo è dovuto al fatto che il sistema che è stato loro fornito e attraverso cui operare è stato progettato per fallire. Agli Stati Uniti è stata molto tempo fa caricata la soma di un sistema monetario basato sul debito, in virtù del quale l’unico modo in cui il denaro può essere messo in circolazione è attraverso i prestiti bancari. È stato il sistema istituito nel 1913, quando il Congresso ha abdicato al suo potere costituzionale sulla creazione di moneta a favore dell’industria bancaria privata con l’approvazione del Federal Reserve Act.

Fu allora che la catastrofe cui ora ci troviamo di fronte divenne inevitabile. Ci è voluto quasi un secolo per arrivare fin qui, ma alla fine è accaduta. Avremmo dovuto saperlo che stava per arrivare quando le bolle coniate dalla Federal Reserve hanno sostituito la crescita economica della nostra scomparente industria pesante, a partire dalla recessione del 1979-83. Avremmo potuto vederla arrivare al momento in cui scoppiava la bolla della New Economy nel 2000-2001, e il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan lavorava con l’amministrazione di George W. Bush per sostituire la bolla immobiliare a un reale risanamento.

È arrivata la resa dei conti. Quindi non si preoccupi, signor presidente. Non è colpa sua. Quando il crollo ha luogo i banchieri internazionali, che prenderanno il sopravvento potrebbero perfino lasciarle mantenere il suo lavoro.

Richard C. Cook è un ex analista del governo federale USA. Il suo libro sulla riforma monetaria, We Hold These Truths: The Hope of Monetary Reform (Noi ci teniamo queste verità: La speranza della riforma monetaria), è ora disponibile su www.amazon.com. È anche l’autore di Challenger Revealed: An Insider’s Account of How the Reagan Administration Caused the Greatest Tragedy of the Space Age. Può essere contattato attraverso il suo sito web all’indirizzo www.richardccook.com.



La crisi dell'UE? Avverra' cosi', dal fallimento dell'Austria al crollo dell'Est
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 6 Marzo 2009

«Se dovesse emergere una crisi in un paese della zona euro, c'è una soluzione». È quanto ha sottolineato il commissario Ue agli Affari economici, Joaquin Almunia, durante un intervento qualche giorno fa a Bruxelles.

«Potete star sicuri che prima che arrivi il Fondo monetario internazionale ci sarebbe una soluzione», ha sottolineato il commissario senza tuttavia entrare nel dettaglio di eventuali piani di intervento: «La soluzione esiste, siamo equipaggiati politicamente, intellettualmente ed economicamente per affrontare la crisi. La definizione di queste cose non può però essere esposta pubblicamente».

Peccato, sarebbe stato interessante saperlo visto uno Stato dell’area euro è già in default tecnico - l’Irlanda - e un altro sta avvicinandosi a tappe forzate al punto di non ritorno, l’Austria. A dirlo sono i freddi numeri dei cds, l’assicurazione sul rischio di fallimento di un’entità terza, sul rischio di default dei vari Stati sul debito pubblico: quello irlandese è salito in una settimana da 350 punti base a 376, quello dell’Austria è addirittura schizzato a 240 punti base.

Non stupisce visto che le banche di Vienna hanno prestato all’insolvente Est europeo il 70% del Pil austriaco e ora rischiano di non vederselo rimborsato. Se va in default l’Austria, arrivederci all’Est e alla stessa tenuta dell’area euro: non servirà più sottoporre a referendum in Irlanda il Trattato di Lisbona, l’Europa sarebbe morta e sepolta. E anche Unicredit, a dispetto dell’ottimismo dispensato a piene mani dal proprio amministratore delegato, potrebbe subire perdite consistenti.

Almunia lo sa e infatti ora comincia a mettere le mani avanti e preparare la gente al peggio, nonostante la goffa precisazione del suo portavoce: «Al momento il rischio di default di un Paese dell’area euro è improbabile». Prima, ovvero pochi giorni fa, era «impossibile». Ma, quindi, lo sa solo da qualche giorno? Da qualche settimana? Da qualche mese? Oppure, come molti altri, come quasi tutti i ministri delle Finanze, i capi di governo, i banchieri centrali e quelli privati, da almeno quattro anni?

Se infatti l’America ha creato le condizioni perché la crisi finanziaria la travolgesse, l'Europa cosa ha fatto negli ultimi anni per prevenire quanto sta accadendo nel suo sistema bancario? Nulla nonostante nel corso del vertice informale tenutosi in Lussemburgo il 14 maggio del 2005 venne trovato un accordo a maggioranza su un unico punto: un memorandum d'intesa per la creazione di un piano di emergenza consistente nello scambio aperto e rapido di informazioni internazionali tra i membri su eventuali crisi in atto al fine di evitare la loro espansione al continente in una sorta di effetto domino, per fronteggiare un'ipotetica crisi finanziaria a livello europeo.

Il documento, facilmente reperibile sui siti istituzionali dell'Ue, si intitolava "Memorandum d'intesa sulla cooperazione tra supervisori bancari, banche centrali e ministri delle Finanze dell'Unione Europea su situazioni di crisi finanziaria" e si basava su otto punti, sostanzialmente una riedizione rafforzata del precedente memorandum varato nel 2003.

Nonostante si sottolineasse che questo atto non appariva vincolante per l'autonomia di intervento dei vari paesi in caso di crisi, lo scopo dell'operazione era chiaro. Ovvero, il sistema è ormai globale e nessuno di noi è un'isola. Questo nel maggio 2005. All'epoca la notizia non suscitò particolare scalpore anche se ambienti londinesi non presero particolarmente bene la excusatio non petita del presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, affannatosi a tranquillizzare i cronisti sul fatto che l'accordo non significasse «la presenza concreta di minacce reali in tal senso a medio termine».

Bluffava o lo pensava davvero? In compenso, però, emerse che quella riunione decise che l'aprile dell'anno successivo si fosse tenuta una simulazione di collasso bancario continentale sotto l'egida del Financial Services Committee a Francoforte. In sede Ecofin, insomma, si stava valutando l'ipotesi di una crisi finanziaria a livello europeo sul modello di quella che squassò l'Asia nel 1997-98 o di quella più limitata che nel 1992-94 toccò le regioni scandinave.

A rendere il tutto ancora più credibile - lasciando in bocca un sapore di incombenza che le autorità invece negavano, Trichet in testa - fu poi la dinamica scelta per il piano di simulazione della crisi: stando agli studi dell'epoca, infatti, sarebbe stato il collasso di una grande banca operante a livello continentale a far scatenare l'effetto domino generale. All'epoca in sede comunitaria si parlava, riferendosi all'accordo, di nulla più che di un'estensione dell'intesa già esistente tra banche centrali e regolatori (quello del 2003 citato in precedenza), sfuggì però ai più che questa “estensione” vedeva coinvolti anche i ministri delle Finanze dei 25.

Sempre in seno a questa operazione gestita dall'Ecofin fu bocciata a larga maggioranza la proposta di creare un super-comitato centrale - con sede a Bruxelles - che monitorasse tutti i possibili scenari di crisi interni all'eurozona: «I comitati non risolvono le crisi», fu il giudizio senza appello del capo del comitato per i servizi finanziari dell'Unione, l'olandese Kees Van Dijkhuizen. Il quale, interpellato dal Financial Times dopo il vertice del 14 maggio del 2005, disse: «Speriamo di occupare il nostro tempo con questioni che non ci vedranno mai diretti protagonisti, ma visto quanto accaduto in Asia e in altre parti del mondo non possiamo dire con certezza che questo non succederà mai da noi».

E come andò quella simulazione? Il 9 settembre a Helsinki si tenne una nuova riunione dell'Ecofin tesa proprio a valutare I risultati ottenuti: nessun giornale sembrò dare troppa importanza alle parole del presidente finlandese, Tarja Halonen, il quale disse in maniera molto diplomatica che il sistema Ue di vigilanza e intervento era assolutamente inadeguato. Il 12 settembre, tre giorni dopo, un solo giornale, European Report, sottolineava la pesantezza della situazione con un articolo dal titolo “L'Europa si scopre impreparata a gestire una crisi finanziaria”.

Da allora, cosa è accaduto? Alla riunione dell'Ecofin del 9 ottobre 2007, a scandalo Northern Rock già scoppiato, si discuteva di eccessive procedure sul deficit di Gran Bretagna e Repubblica Ceca mentre il 23 gennaio di quest'anno, a crisi ormai esplosa, in Slovenia si tornava a parlare di necessità di rafforzare la cooperazione sulla supervisione.

Parole. Solo parole. Come quelle, profeticamente scritte da Deutsche Bank in un outlook per gli azionisti istituzionali pubblicato più o meno nello stesso periodo, ovvero la primavera 2005: nel 2010 uno stato europeo abbandonerà l’euro dando vita a una crisi sistemica. Che forse, a qualcuno, sta facendo e continua a fare comodo a livello di equilibri politici, industriali, economici e finanziari. Riflettiamo. E leggiamo attraverso un'altra lente le dichiarazioni che arrivano da Bruxelles e Francoforte.



Peggiore della Grande Depressione
di Krassimir Petrov - Goldseek - 1 Febbraio 2009

I media mainstream e Wall Street sono riusciti a convincere che l’attuale crisi del credito è la peggiore dal [Secondo] Dopoguerra. L’affermazione di George Soros, secondo cui “il mondo affronta la peggiore crisi finanziaria dalla Seconda Guerra Mondiale” riassume il giudizio collettivo. La crisi è al momento l’ultimo capro espiatorio di tutti i mali economici che attualmente affliggono il sistema finanziario e l’economia globali – dal crollo dei mercati azionari alla scarsità di cibo nei paesi del Terzo mondo. Ci viene ripetutamente assicurato che l’ultimo crollo ha a che fare con la crisi del credito stessa; se non ci fosse la crisi del credito, tutte queste cose terribili non sarebbero mai successe nell’economia e nei mercati finanziari.

La cosa più straordinaria è che i media mainstream non hanno mai provato a paragonare l’attuale situazione economica con quella che ha preceduto la Grande Depressione. In sintesi, si dà per scontato che la Grande Depressione non potrà verificarsi nuovamente, evitando così il bisogno di un confronto del genere. Io credo in verità che i fondamenti macroeconomici siano oggi peggiori, siamo quindi di fronte ad un lungo periodo di depressione economica – una depressione peggiore della Grande Depressione, una depressione che probabilmente sarà ricordata nella Storia come “La Seconda Grande Depressione” o la Più Grande Depressione [The Greater Depression], come l’ha giustamente chiamata Doug Casey. Di seguito trovate le ragioni per le quali credo che questo sia il caso.

La Ripetizione degli Errori della Grande Depressione
Alla propria base, la situazione del 1990 e la risposta della Fed alla bolla tecnologica e della comunicazione ha creato un ambiente economico che ha incoraggiato la ripetizione di errori molto simili a quelli che hanno condotto alla Grande Depressione. Qui di seguito viene presentato una breve sintesi degli errori ampiamente riconosciuti commessi negli anni ’20, senza andare nei dettagli, con chiari parallelismi nell’attuale situazione economica:

· Bolle degli asset – inizialmente nel mercato azionario durante gli anni ’90, poi nel mercato immobiliare durante gli anni 2000, rispecchiando notevolmente le bolle nel mercato azionario ed immobiliare degli anni ’20.

· Cartolarizzazione – benché non nell’assai “ultra-moderna” forma degli anni 2000, con lo spezzettamento e l'affettamento dei blocchi e delle tranche di seniority, è stato ampiamente riconosciuto negli anni ’30 il fatto che la cartolarizzazione durante gli anni ’20 abbia dato il via all’effetto domino nel sistema finanziario statunitense durante la Grande Depressione.

· Rapporto di indebitamento eccessivo – come nel 2008 l’argomento del giorno è la riduzione del rapporto d’indebitamento [“deleveraging”], così il dipanamento della riduzione del rapporto d’indebitamento durante gli anni ’30 è stato alla base di liquidazioni forzate e problemi finanziari. Naturalmente, era molto chiaro a quei tempi che la radice del problema non era la riduzione del rapporto d’indebitamento di per sé, ma l’eccessivo rapporto d’indebitamento che si era formato prima del processo di riduzione. I fondi di investimento furono determinanti sia nella cartolarizzazione sia nell’eccessivo rapporto d’indebitamento, come gli odierni Hedge Fund.

· Controllori corrotti – sappiamo bene che le Enron e le Worldcom sono state aiutate e hanno avuto come complici le società contabili – quelle stesse aziende che si riteneva fossero i controllori della comunità finanziaria, e che invece hanno approfittato notevolmente del boom evitando di svolgere le loro funzioni di controllo. Nell’attuale crisi finanziaria, sappiamo inoltre che le agenzie di rating si sono anch’esse arricchite durante il boom. Molto simili erano le problematiche durante gli anni ’20, che hanno spinto all’istituzione della SEC e di altri enti regolatori per sostituire i malfunzionanti “controllori” dell’epoca.

· Ingegneria finanziaria – siamo spinti a credere che l’ingegneria finanziaria sia un fenomeno abbastanza recente, germogliato durante la Nuova Era della Finanza degli ultimi 15 anni, in realtà l’ingegneria finanziaria era prevalente negli anni ’20 con obiettivi molto chiari, oggi molto familiari a tutti: 1) eludere regole restrittive, 2) incrementare l’indebitamento e 3) rimuovere le passività dai libri contabili.

· Regole datate – come al sistema dei controlli sfuggirono gli eventi degli anni ’20, e le regole furono introdotte solo dopo che la Grande Depressione ebbe distrutto il sistema finanziario statunitense, così siamo pronti a vedere nuove regole che si occupino delle cause dell’attuale crisi. Comprensibilmente, le regole avrebbero dovuto prevedere gli odierni problemi finanziari e avrebbe$ro dovuto essere introdotte prima della crisi.

· Ideologia di mercato – negli anni ’20, come negli ultimi due decenni, l’ideologia di mercato del laissez faire, che Soros ha descritto in modo abbastanza appropriato come “fondamentalismo di mercato”, è dilagata nei mercati finanziari. Naturalmente, il libero mercato sa cosa è meglio, ma la realtà che il mercato monetario non è veramente libero – quando la Fed determina il costo del denaro (tassi d’interesse), e può cambiare questo costo per tutto il tempo che vuole, allora ogni genere di squilibrio finanziario può essere sostenuto senza le regole imposte dal mercato. Questo può condurre a tutti i generi di problemi con cui abbiamo a che fare attualmente.

· Mancanza di trasparenza – negli anni ‘30, era ampiamente riconosciuto il fatto che le aziende e in modo particolare le istituzioni finanziarie mancavano di trasparenza, che consentì a squilibri ed abusi di accumularsi. Oggi i mercati e le istituzioni finanziarie hanno intenzionalmente compromesso la trasparenza attraverso una serie di ingegnose, o meglio in malafede, astuzie contabili ed espedienti finanziari, come somme di denaro lasciate fuori dal bilancio, derivati di difficile comprensione e strumenti poco chiari di straordinaria complessità. Oggi i direttori generali e i responsabili dei rischi dei principali istituti finanziari non possono calcolare la propria esposizione ai rischi. In origine la mancanza di trasparenza era stata concepita per raggirare i mercati; ironicamente, i direttori finanziari odierni sono giunti al punto di raggirare se stessi.

Peggiore della Grande Depressione

Quindi, perché Peggiore della Grande Depressione? Cosa mi fa credere che l’attuale depressione sarà peggiore della Grande Depressione? Illustrerò i sei fondamenti più importanti che si riflettono già nei mercati finanziari e che fanno pensare ad una Più Grande Depressione.

1. Sopravvalutazione del settore immobiliare. Il mercato immobiliare è stato guidato da una serie di innovazioni nella finanza immobiliare. La sopravvalutazione nel mercato immobiliare implica una sopravvalutazione degli strumenti di finanza immobiliare; un’implosione dei prezzi immobiliari comporta un’implosione nell’ambito di questi strumenti. È ampiamente riconosciuto dagli economisti il fatto che l’Indice Case-Shiller sia un buon indicatore dei prezzi del mercato immobiliari. Un grafico ampiamente riconosciuto che va dal 1890 al 2007 racconta come è andata. Il grafico rende molto chiaro il fatto che l’attuale sopravvalutazione del mercato immobiliare supera all’incirca quella degli anni ’20. La futura rettifica nel mercato immobiliare si protrarrà a lungo e sarà tale da torcere le budella, con un effetto cumulato atteso che è molto peggiore rispetto alla Grande Depressione.


[Indice dei Prezzi Immobiliari Reali 1890-2007 (Indice di riferimento al 1890 pari a 100]

2. Credito totale degli USA. Il credito crea indebitamento: più credito vi è nel sistema finanziario, maggiore è l’indebitamento di quest’ultimo. L’attuale credito totale degli USA rispetto al PIL ha superato in modo significativo i livelli che precedevano la Grande Depressione. A quei tempi, l’ammontare totale del credito nel sistema finanziaria raggiungeva quasi un sorprendente 250% del PIL. Utilizzando oggi lo stesso standard di misurazione, il livello del debito nel sistema finanziario statunitense ha superato il 350% nel 2008, mentre il livello del 1982 era pari “solo” al 130%. Come ha affermato in modo abbastanza appropriato Charles Dumas del Lombard Street Research, “abbiamo avuto un trentennio di crescita dell’indebitamento degli Stati Uniti, giungendo alla fine ad un’orgia sfrenata”.

Il grafico qui sotto mostra il drammatico incremento del debito (indebitamento) negli anni ’20 ed una riduzione dell’indebitamento dal 1930 al 1945 (o 1952). Poi esso mostra una consistente crescita del debito avvenuta successivamente, con un drammatico incremento dagli anni ’90, e con un superamento nel 2000 del precedente picco del 1929. Il grafico mostra il livello del 299% alla fine del 2005, ma il livello ha già raggiunto il 350% nel 2008.


[Debito Totale del Mercato del Credito (tutti i settori) in percentuale del PIL]

Naturalmente, alla crescita del rapporto d’indebitamento, come già affermato in precedenza, deve necessariamente fare seguito una sua riduzione.

Il modo migliore per capire cos’è l’indebitamento è confrontarlo con l’assunzione di droghe, mentre la riduzione dell’indebitamento è come una disintossicazione. Il problema non è che la disintossicazione uccide il paziente che ha fatto abuso di droga per anni; quello che uccide veramente il paziente è l’abuso di droga stesso.

Tuttavia, una cosa è chiara: il paziente deve affrontare una disintossicazione dolorosa o morire; lo stesso vale per il sistema finanziario, deve ridurre l’indebitamento o implodere.

3. Esplosione dei derivati. I derivati sono stati paragonati da Warren Buffet a “armi finanziarie di distruzione di massa”. L’ammontare figurativo del totale dei derivati, così come quello dei “Value at Risk” (VaR), è andato alle stelle negli ultimi anni con il potenziale rischio di destabilizzare il sistema finanziario per decenni. Su un piano più allegorico, i derivati pendono come una spada di Damocle sul sistema finanziario.

È difficile effettuare un confronto con gli anni ’20, gran parte dei derivati erano a quei tempi utilizzati in modo esteso, tuttavia non erano ampiamente compresi. Dato che non sono a conoscenza di statistiche sui derivati riguardanti gli anni ’20, un confronto significativo basato su dati quantitativi è certamente impossibile. Ciononostante, vorrei azzardarmi a fare un’ipotesi intelligente, in base alla quale la dimensione odierna dei derivati è centinaia se non migliaia di volte maggiore rispetto alle dimensioni dell’economia in confronto agli anni ’20. Alcuni degli ultimi rapporti indicano che il valore figurativo totale supera sorprendentemente in un quadrilione di dollari. In prospettiva, esso ammonta a circa 100 volte il PIL dell’economia statunitense.

Il grafico qui di seguito mostra l’esplosione dei derivati nel sistema bancario statunitense. Si può vedere come nel 1991 il valore figurativo totale era equivalente a circa alle dimensioni del PIL statunitense. Nel 2006 le dimensioni erano cresciute 10 volte il PIL, superando ampiamente le dimensioni dell’economia reale.


[Esposizione del Sistema Bancario USA (migliaia di miliardi di dollari): mercato dei derivati (valore figurativo totale, istogramma blu), contratti sui tassi di interesse (istogramma rosso)]

Il grafico sottostante fornisce un quadro più dettagliato. Esso mostra il PIL mondiale e il valore figurativo mondiale dei derivati. Ancora una volta, benché non sia possibile alcun confronto con gli anni ’20, è chiaro come l’ammontare complessivo dei derivati sia cresciuto enormemente durante gli ultimi due decenni e come esso presenti rischi inesistenti all’inizio della Grande Depressione. La crescita di questi derivati può essere paragonata solo ad un’esplosione nucleare nel sistema finanziario.


[PIL mondiale (linea) paragonato al valore figurativo mondiale del mercato dei derivati (istogramma)]

4. Il rapporto Dow-Gold . Il rapporto Dow-Gold rappresenta il più importante rapporto tra i prezzi relativi degli asset finanziari e gli asset reali. La componente legata al Dow rappresenta la valutazione degli asset finanziari; la componente legata all’oro quella degli asset reali. Quando il rapporto d’indebitamento nel sistema finanziario aumenta in modo significativo, lo stesso succede al rapporto. Un rapporto molto alto è interpretato come uno squilibrio tra gli asset finanziari e quelli reali – gli asset finanziari sono più o meno sopravvalutati, mentre quelli reali sono più o meno sottovalutati. Esso implica anche che una correzione si renderà alla fine necessaria – o attraverso la deflazione, che implica una riduzione del rapporto d’indebitamento e un crollo del mercato azionario, o attraverso l’inflazione, che comporta un mercato azionario stagnante per molti anni ed una costante crescita dei prezzi degli asset reali, delle materie prime e dell’oro, abitualmente associata con un’economia stagnante e che normalmente sfocia nella stagflazione. Il primo caso – la deflazione – si è verificato negli anni ’30, mentre il secondo caso – la stagflazione – negli anni ’70.

Il grafico di seguito illustra i concetti precedenti. All’assai elevato Rapporto Dow-Gold Ratio del 1929 ha fatto seguito la Grande Depressione, mentre ad un più alto livello, registrato nel 1966, hanno fatto seguito gli anni ’70, contrassegnati dalla stagflazione. È evidente dal grafico che il picco del 2000 ha sorpassato i due picchi precedenti del 1929 e del 1966, c’è quindi da aspettarsi ragionevolmente che il prossimo ritorno alla “normalità” sarà più doloroso rispetto alla Grande Depressione, almeno in termini di disagi cumulati nei prossimi 10-15 anni.


[Rapporto tra l'indice Dow e il valore dell'oro dal 1800 a oggi]

5. Bolle globali. È impossibile fare un paragone diretto con gli anni ’20, ma oggi l’economia globale è piena di bolle. Tornando agli anni ’20, gli USA avevano le loro bolle finanziarie e immobiliari, mentre le economie europee faticavano a riprendersi dalle devastazioni della Prima Guerra Mondiale, che si era conclusa nel 1919. Personalmente, non sono a conoscenza di altre bolle durante questo periodo, tuttavia accoglierò volentieri le reazioni dei lettori su questo tema.

Oggi la situazione è molto diversa. L’economia statunitense ha una bolla del mercato azionario e di quello immobiliare che ha superato quella degli anni ’20. Gli attuali colossali deficit contabili statunitensi hanno foraggiato una crescita straordinaria nelle riserve monetarie globali. Come risultato di ciò, l’Europa ha bolle immobiliari lungo i propri confini, dal Regno Unito e dall’Irlanda, attraverso il Mediterraneo (Spagna, Francia, Italia e Grecia), fino all’intera regione baltica (Lettonia, Lituania ed Estonia) e ai Balcani (Romania e Bulgaria). Peggio ancora è andata a molti paesi asiatici (Cina, Corea ecc.) che hanno anch’esse avuto le loro bolle finanziarie e immobiliari, con la sola eccezione del Giappone, che è ancora in una fase di ripresa da quella avuta negli anni ’80. Quindi, durante gli anni ’20 solo gli Stati Uniti hanno sofferto grossi squilibri finanziari, mentre oggi gli squilibri hanno travolto il mondo intero – sia quello sviluppato che quello in via di sviluppo. È ragionevole pensare che gli squilibri globali che si stanno dipanando saranno probabilmente più dolorosi oggi rispetto a quanto lo furono durante la Grande Depressione, a causa sia delle dimensioni che degli ambiti.

6. Il collasso della Seconda Bretton Woods. Il sistema monetario globale si basava su un quasi-gold standard durante gli anni ’20. A quell’epoca dollari e sterline erano convertibili in oro, mentre tutte le altre valute erano convertibili in dollari e sterline. Un modo appropriato per riferirsi ad esso è considerarlo un precursore degli accordi di Bretton Woods esistenti tra il 1945 e il 1971. Quello che è importante da comprendere è che mentre il sistema era a corso forzoso in natura, l’oro impose limitazioni significative all’espansione del credito e all’indebitamento.

In qualche modo simile fu il ruolo di Bretton Woods, che si protrasse al 1945 al 1971. Il dollaro fu legato all’oro, mentre le altre valute a corso forzoso furono legate al dollaro. Come nel periodo tra le due Guerre Mondiali, l’oro impose dei limiti agli squilibri creditizi e finanziari.

Attualmente viviamo in quella che è stata chiamata Seconda Bretton Woods. Sostanzialmente, questo è un puro standard a corso forzoso del dollaro, dove tutte le valute sono convertibili in dollari, a tassi di cambio fissi o variabili, mentre il dollaro è convertibile in “nulla”. Perciò, il dollaro non ha alcune limite impostogli dall’oro, perciò senza la disciplina dell’oro, l’attuale sistema monetario globale ha accumulato in modo significativo più squilibri che mai nel moderno capitalismo. Questi squilibri compaiono nel sistema monetario internazionale sottoforma di insostenibili deficit (e surplus) commerciali, riserve ufficiali di dollari in alcune banche centrali europee ed asiatiche alle stelle, e la proliferazione dei Fondi Sovrani; più in generale, questi squilibri si manifestano in una miriade di bolle, sovrindebitamenti, ed altre problematiche di cui si è già discusso in precedenza.

Attualmente la Seconda Bretton Woods è nella sua fase di disintegrazione. Il mondo sta perdendo lentamente ma costantemente fiducia nel dollaro come valuta delle riserve mondiali. Un abbandono del dollaro è in corso e il collasso del sistema monetario globale è imminente. Una volta che la Seconda Bretton Woods si sarà disintegrata ed un nuovo sistema l’avrà sostituita, il processo di riassesto sarà necessariamente più doloroso del rispettivo processo avvenuto durante la Grande Depressione.

Un po’ di cautela nell’uso della terminologia è necessaria in questo caso. Mentre la letteratura negli ultimo 10-20 anni ha riconosciuto ampiamente l’espressione “Seconda Bretton Woods”, nel settembre-ottobre del 2008 il termine è stato usato ampiamente dai mass media per descrivere un summit internazionale proposto con l’obiettivo di ricostruire da zero un nuovo sistema monetario internazionale, proprio come “Bretton Woods”. Immediatamente rinominato dai media come la “Seconda Bretton Woods II”, questa espressione potrebbe potenzialmente indurre molta confusione, dal momento che potrebbe far pensare cose diverse a persone diverse. Il lettore interessato dovrebbe consultare la pagina di Wikipedia dedicata alla Seconda Bretton Woods, dove entrambi i significati sono spiegati nei dettagli.

Conclusioni

A partire dall’agosto 2007 abbiamo testimoniato la crescita inesorabile della crisi del credito: una costante contrazione del mercato del credito, iniziata con le obbligazioni sui mutui, estesasi alle polizze di credito commerciali, poi al credito interbancario, e successivamente ai CDO [Collateralized debt obligation], ai CLO [Collateralized Loan Obligation], ai mutui jumbo, alle linee di credito home equity, ai LBO [Leveraged buyout] e ai mercati di private equity e quindi in generale ai mercati obbligazionario e dei valori mobiliari.

Mentre i media descrivono il problema come se fosse legato alla fiducia e alla mancanza di liquidità, un’analisi più approfondita indica che il credito dell’epoca del boom è stato impiegato in modo improduttivo e perciò le perdite devono essere sostenute. In altre parole, capitali scarsi sono stati allocati male, mal investiti e sostanzialmente sprecati. Nessun ammontare proveniente da politiche monetarie o fiscali potrà sistemare i problemi del passato, così come nessun nuovo trattamento può velocemente rimettere in salute un tossicodipendente debilitato da un abuso di droghe decennale.

Basandomi su indicatori quali (1) la sopravvalutazione del mercato immobiliare globale, (2) l’lndebitamento, (3) il rapporto di indebitamento, (4) l’eccesso di derivati, (5) le bolle globali, e (6) la precarietà del sistema monetario globale, sarei pronto a sostenere che gli squilibri accumulati nel periodo attuale superano in modo significativo quelli che hanno preceduto la Grande Depressione. Concludo quindi che la depressione statunitense e (forse) globale prossima ventura sarà di un’intensità maggiore rispetto a quella della Grande Depressione degli anni ’30. Stiamo probabilmente entrando in un periodo storico che sarà probabilmente conosciuto come la Più Grande Depressione.

Risparmiatore fai attenzione! Solo l’oro può proteggerti dalle devastazioni di un’altra Depressione!