lunedì 4 maggio 2009

Afghanistan: "danni collaterali" made in Italy

Doveva succedere prima o poi ed è puntualmente accaduto.
Ieri, secondo la ricostruzione del comandante del contingente italiano in Afghanistan, il generale Rosario Castellano, una pattuglia italiana composta da tre mezzi ha incrociato una Toyota Corolla bianca che procedeva in senso opposto, 4 Km a sud di Camp Arena, la base dove ha sede il comando regionale della zona ovest dell'Afghanistan. La pattuglia italiana ha quindi adottato le procedure previste: avvertimento con la mano, con un grido, lampeggiando con gli abbaglianti, infine sparando colpi in aria.

Ma la vettura ha continuato a procedere a forte velocità verso la pattuglia italiana. Giunta a meno di dieci metri dal convoglio italiano, il mitragliere ha fatto fuoco prima sul terreno poi sul cofano della vettura, mentre proseguiva il percorso. Solo in seguito si è avuta conoscenza della morte di una bambina di 13 anni e del ferimento degli altri tre occupanti la macchina: il padre e la madre della bambina e una terza donna.
Questa è la ricostruzione del generale Castellano.

Sono in corso le indagini degli organi di polizia militare del comando Rcw (Regional command west) per chiarire la dinamica precisa dell'incidente e per stabilire le cause del decesso della bambina. Anche la procura di Roma ha aperto un'inchiesta per chiarire le circostanze della vicenda. Gli accertamenti sono coordinati dal pm Pietro Saviotti.

Il generale Castellano ha comunque promesso che incontrerà i familiari della bambina e il Governatore di Herat.
Parole di sgomento e dolore sono state ovviamente pronunciate da Frattini e La Russa, a cui si spera però facciano seguito veloci indagini e conclusioni certe su come sono andati veramente i fatti.
Chi ha sbagliato deve pagare!



Le bugie hanno le gambe corte
di Carlo Bertani - carlobertani.blogspot.com - 3 Maggio 2009

Secondo il gen. Rosario Castellano – comandante del contingente italiano in Afghanistan – tutte le procedure e le regole d’ingaggio sono state rispettate. Ed è morta una bambina afgana.

Ascoltiamolo(1), in una dichiarazione che ha rilasciato ad una commissione parlamentare italiana appena giunta, per una coincidenza, in quel Paese:“I militari italiani coinvolti hanno attuato correttamente tutte le procedure previste e solo quando la vettura era arrivata a meno di dieci metri dal convoglio, i militari hanno fatto fuoco sul vano motore”.
Questo è il testo apparso sulle edizioni del mattino dei giornali.
Sono queste le procedure? Se così si sono svolti i fatti, dobbiamo concludere che gli afgani hanno la curiosa abitudine di trasportare le loro bambine nei vani motore delle autovetture.
Un colpo di rimbalzo?
E’ ben difficile che, alla distanza di dieci metri, un colpo di mitragliatore, anziché forare la lamiera del cofano (meno di 1 mm di spessore), rimbalzi.
Ci sembra anche molto improbabile che giunga a “rimbalzare” fino a distruggere il lunotto posteriore. Se ancora i nostri dubbi sono insufficienti, richiamiamo l’attenzione sul foro d’entrata di un altro proiettile, che è stato certamente sparato quando l’autovettura aveva già oltrepassato il blindato italiano, colpendo la parte posteriore della Toyota.
Ecco, allora, che nelle edizioni del pomeriggio il generale si corregge:“Giunta a meno di dieci metri dal blindato italiano, il mitragliere ha fatto fuoco prima sul terreno poi contro la vettura.”
Ah, adesso iniziamo a capire: passava una Toyota con a bordo una famiglia che andava ad un matrimonio e pioveva a dirotto.
Quali sono le procedure previste per avvertire? Sentiamo nuovamente il generale:“La pattuglia italiana ha adottato le procedure previste: avvertimento con la mano, con un grido, lampeggiando con gli abbaglianti, infine sparando colpi in aria.”
Più che delle procedure – se il generale ci consente – ci sembrano un condensato di buone intenzioni: “avvertire con un gesto della mano?!?”, “con un grido?!?”, “con i lampeggianti”?
Ma, dove credeva mai che si trovasse quel blindato – l’alto ufficiale – sulla tangenziale di Bologna?
Il generale è mai stato – per caso, sia chiaro – sul ciglio di una strada mentre passa un convoglio di blindati?
Dopo quella del “cofano”, sarebbe capace di far intendere che si riesce ad ascoltare il cinguettio degli uccellini.
Proviamo ad immaginare cos’è una strada afgana dopo decenni di guerra: una pista o poco più, che quando piove si trasforma in un tratturo di fango.
E, quando passa una colonna corazzata, s’aggiunge un frastuono dell’accidente.
Poteva, il povero padre afgano – nel volgere di pochi secondi! – vedere il cenno con la mano – Uagliò, spostatevi… – oppure capire il grido (in italiano, ovviamente) – e fermati! – ed interpretare correttamente (tutti gli afgani hanno frequentato un corso sulle procedure d’ingaggio) il lampeggiare dei fari?
Sui “colpi in aria” sorvoliamo, che è meglio.
Possiamo suggerire all’alto ufficiale che esistono dei pannelli a forte luminescenza intermittente, delle luci stroboscopie e quant’altro, che possono essere facilmente installati sul primo automezzo della colonna?
Vuole qualche indirizzo per comprarlo su E-bay?
Personalmente, preferiremmo che le nostre truppe lasciassero quel Paese – perché non si capisce proprio che cosa ci stanno a fare – vorremmo però ricordare, de minimis, che sarebbe meglio installare sul primo automezzo un pannello con (possibilmente, se non è di troppo disturbo) una scritta lampeggiante nella loro lingua.
O è chiedere troppo?
Con la lauta indennità di missione che percepisce, caro generale, potrebbe anche cacciare i soldi di tasca sua.
Vediamo allora com’è andata.
I militari italiani non avevano nessuna intenzione d’uccidere quella bambina, chiariamolo subito: la colpa è di chi li comanda.
Siccome le procedure d’ingaggio sono “riviste” sempre al peggio – ossia, libertà di fare fuoco, degli afgani chi se ne frega – nessuno dei tanti papaveri pluri-stellati ha pensato ad una cosa ovvia come un semplice pannello d’avvertimento ben visibile, con qualsiasi tempo.
A quel punto, il mitragliere avrà pure fatto fuoco sul cofano, ma – suvvia, generale, non facciamo ridere i polli – come si può pensare che, in quelle condizioni (pioggia, due veicoli in movimento, paura), il mitragliere potesse tirare come se fosse stato al poligono?
Difatti, non ha smesso di sparare nemmeno quando l’auto aveva superato il suo mezzo, altrimenti non avrebbe colpito la parte posteriore della Toyota.
E’ rimasto – come usa dire – con il dito “incollato” al grilletto.
Sa qual è stata la “negligenza” di quei poveri afgani? Quella d’essere dei semplici cittadini e non dei guerriglieri, perché quelli – se vogliono – vi fanno a pezzi, da lontano e con un semplice razzo RPG.
Hanno fatto fuori, con gli stessi mezzi, i Merkawa israeliani in Libano: vuole che ci mettano tanto? Ragioni, generale, invece di “spararle” sulle agenzie.
Adesso – caro il mio generale – per colpa della sua negligenza e della spocchia che avete nel sangue (cosa ci facevano, le palmette dell’Afrika Korp germanico, sulle nostre jeep in Afghanistan?), ci tocca contare pure il cadavere di una bambina di tredici anni.
E le dico “ci” tocca perché lei ha cucita sulla divisa una bandiera, la nostra bandiera, quella dell’Italia che all’art. 11 della sua Costituzione “rifiuta la guerra”.
Che è la bandiera di tutti noi, non solo di chi è in missione “di pace”.
Perciò, generale, si vergogni perché ha gettato discredito e vergogna non tanto su di lei – francamente, ce ne potesse fregare di meno – quanto sulla nostra bandiera, che tutti ci rappresenta.
Lo rammenti: tutti.
E, soprattutto, non cerchi di mascherare la vergogna con dei mezzucci perché – ricordi – si pecca in pensieri, parole, opere ma anche in omissioni.

(1) Fonte: Repubblica, 3 Maggio 2009, http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/esteri/afghanistan-13/italiani-bambina/italiani-bambina.html