lunedì 25 maggio 2009

Libano: si riscalda il clima pre-elettorale


In Libano aumentano le pressioni esterne e interne in vista delle prossime elezioni legislative del 7 Giugno. Ieri con un comunicato Hezbollah ha definito "fandonie" le rivelazioni annunciate dal settimanale tedesco Der Spiegel, secondo cui il Tribunale speciale per il Libano, chiamato a decidere sulle responsabilità dell'attentato Hariri, avrebbe delle nuove prove che dimostrerebbero che è stata una forza speciale di Hezbollah ad aver messo a segno l'operazione in cui nel febbraio 2005 rimasero uccisi Rafik Hariri e altre 22 persone.

Recita il comunicato "Non è la prima volta che un settimanale si prefigge l'obiettivo di pubblicare menzogne del genere, in precedenza lo aveva fatto ripetutamente la testata kuwaitiana Al Siyasa ... Sono gli stessi che hanno continuato a produrre delle falsità per quattro anni inerenti ai siriani e ai quattro ufficiali libanesi".

Mancano ormai poco meno di due settimane alle elezioni parlamentari libanesi e le rivelazioni di Der Spiegel rientrano nella lotta elettorale libanese alimentata da forze e Paesi estranei al Libano. Va ricordato che pochi giorni fa c'erano state anche delle denunce egiziane circa un presunto piano di Hezbollah di destabilizzare l'Egitto.

Nel frattempo il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman ha chiesto un mandato di arresto internazionale nei confronti del leader di Hezbollah, Nasrallah, sulla base di quanto affermato da Der Spiegel.

Si fa insomma sempre più caldo il clima libanese pre-elettorale.


Libano. Le spie nella rete
di Naoki Tomasini - Peacereporter - 25 Maggio 2009

Tana per tutti in Libano. Per tutti i collaborazionisti di Israele che, da quando è iniziata l'operazione anti-spie, stanno cercando in ogni modo di fuggire. Secondo il capo della sicurezza interna libanese, Achraf Rifi, un numero non precisato di sospette spie avrebbe già lasciato il paese passando per l'aeroporto di Beirut prima di essere individuate. Altre, almeno tre, sarebbero invece entrate direttamente in Israele, superando il filo spinato che divide i due paesi.

Normalmente quel tratto di confine è sorvegliato dagli allarmi israeliani ma, a quanto pare, in quei casi non sarebbe suonato. Segno che la fuga di quelle persone potrebbe essere stata agevolata da Israele. Gli ultmi due casi sono stati un professore di matematica di 49 anni e un altro uomo, fuggiti lunedì dal tratto di confine tra i villaggi di Rmaish e Yaron. Nelle loro abitazioni le forze di sicurezza hanno trovato sistemi elettronici per comunicare con Israele. Il governo di Beirut ha inviato una richiesta all'Unifil, la missione Onu stabilita nel paese dopo la guerra dell'estate 2006, affinché contatti Israele e ottenga l'estradizione dei fuggitivi. Non solo, le Nazioni Unite hanno ricevuto anche una lamentela ufficiale contro Israele, per avere stabilito una rete di spionaggio in territorio libanese, violando la risoluzione 1701 (che sanciva la fine della guerra in Libano).

La rete di spie Israeliane si starebbe smembrando velocemente, man mano che proseguono gli interrogatori degli arrestati. Al momento le persone arrestate sono 15, nove di loro sono state già incriminate per spionaggio e diverse altre sarebbero nel mirino dell'intelligence libanese. Alcune di quelle erano spie al soldo del Mossad da oltre 15 anni, ma molte altre, a quanto sostengono i servizi beirutini, erano state assoldate dopo la guerra del 2006, quando Israele realizzò di non aver vinto anche a causa della mancanza di informazioni sul terreno. In molti casi, spiega l'esperto di intelligence israeliana Ronen Bergman, le spie vengono arruolate promettendo loro benefici materiali. Come nel caso del vicesindaco della cittadina di Saadnayel, Ziad Homsi, che dopo una storia personale nella resistenza contro l'occupazione israeliana, sarebbe stato arruolato dal Mossad, nel 2006, in un momento di difficoltà economiche.

La sua storia è stata rivelata ieri dal quotidiano libanese As Safir, secondo cui Homsi sarebbe stato incaricato di localizzare il leader di Hezbollah. A tale scopo aveva riattivato alcuni contatti con la resistenza per chiedere un incontro con Nasrallah, al quale avrebbe annunciato la propria adesione alla causa sciita, mentre segretamente avrebbe passato le informazioni su di lui a Israele. L'appuntamento però non fu concesso e non se ne fece nulla. Homsi è considerato un pesce grosso della rete, ma al momento la pedina più importante tra gli arrestati pare essere Nasser Nader, spia di lungo corso, che aveva fornito a Israele le coordinate degli obiettivi da colpire durante la guerra del 2006.

Lo smantellamento della rete spionstica in Libano è letteralmente una bomba gettata sul Paese in un momento delicatissimo: siamo alla vigilia delle elezioni parlamentari e, pochi giorni prima del voto, Israele lancerà al confine con il Libano la più grande esercitazione militare degli ultimi sessant'anni. Le rivelazioni che emergeranno nelle prossime settimane, inoltre, potrebbero anche gettare nuove luci sui molti omicidi misteriosi avvenuti nel paese negli ultimi quattro anni. In particolare, Hezbollah si dice convinto che emergeranno gli autori dell'omicidio di Imad Mughniyeh, il capo militare dell'organizzazione sciita ucciso nel 2008. Secondo un'altra fonte interna a Hezbollah, citata dal quotidiano filo-governativo An Nahar, Israele non avrebbe previsto la scoperta del suo network di spie, e sarebbe sconvolto dalla rapidità del suo collasso.

La stessa fonte avrebbe dichiarato sibillinamente che Israele "ha commesso un terribile errore" che è stato scoperto e sfruttato da Hezbollah. Israele non ha commentato. Quale sia stato il "terribile errore" non è chiaro, oggi però, il capo della sicurezza interna libanese, Achraf Rifi, intervistato dal blog NowLebanon, ha raccontato di una spia arrestata nel dicembre 2007: "ci siamo resi conto - ha spiegato - di averlo arrestato prima che diventasse operativo, così abbiamo imparato a prenderci del tempo prima di compiere arresti". Una scelta che sembra avere pagato: le reti di spie sono tutte interconnesse, e dunque, la sorveglianza su una cellula può portare a scoprirne molte altre.

Dopo giorni di "no comment", mercoledì i media israeliani hanno scritto della questione, definendola "uno scandalo" e esprimendo preoccupazione per le possibili conseguenze. Lo stesso analista Ronen Bergman, ha parlato di un "colpo doloroso". Secondo Bergman, arruolare agenti richiede molto tempo e, stando alle informazioni disponibili, 15 arresti sono un grosso numero. "Questo causerà la cecità dell'intelligence israeliana in Libano per molto tempo".

La spy story libanese potrebbe avere ripercussioni anche sulle elezioni parlamentari che si terranno il prossimo 7 giugno, tirando la volata al già favorito blocco sciita. Lo stesso Nasrallah starebbe tentando di approfittare della situazione, chiamando in causa anche le esercitazioni militari israeliane che inizieranno il prossimo 31 maggio. Denominate "Jennifer Cobra", dovrebbe trattarsi di una serie di test dei sistemi antimissile a scopo difensivo. Nasrallah, però, ha pubblicamente ipotizzato che Israele stia preparando un attacco a sorpresa, forse anche per impedire lo svolgimento delle elezioni. "Non ho informazioni al riguardo - ha precisato - ma è una possibilità da prendere in considerazione".

Lo stesso Nasrallah in altra sede ha dichiarato "non credo che Israele attaccherà il Libano". Quindi la cosa più probabile è che il segretario di Hezbollah volesse lanciare un messaggio elettorale: martedì scorso, infatti, Nasrallah ha attaccato i politici al governo accusandoli di non occuparsi della possibile minaccia: "Che cosa ha fatto lo Stato per proteggere la sicurezza, le acque e la dignità del Libano?" Per poi aggiungere che il suo partito, le cui capacità belliche sono cresciute in quantità e qualità, prenderà le dovute precauzioni.



Il viaggio di Biden in Libano suscita l'ira di Hezbollah
di Tom Perry – Reuters - 22 maggio 2009
Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq

Il vicepresidente Joe Biden, il più alto rappresentante Usa a visitare il Libano negli ultimi 26 anni, ha incontrato il presidente Michel Suleiman oggi, 16 giorni prima di un voto che potrebbe togliere il potere alla coalizione sostenuta dall’Occidente.

I libanesi voteranno il 7 giugno in uno scrutinio che contrappone un’alleanza che comprende Hezbollah (una formazione sciita sostenuta da Iran e Siria che Washington ritiene terrorista) e una coalizione anti-siriana che al momento detiene la maggioranza parlamentare.

Hezbollah ha criticato la visita di Biden, che ha fatto seguito a una del segretario di Stato Hillary Clinton ad aprile, come un ingerenza sul Libano, e ha denunciato il sostegno degli Stati Uniti per il suo acerrimo nemico Israele.

"I grossi interessi americani in Libano sollevano forti sospetti sulle reali motivazioni che vi sono dietro, specialmente da quando è divenuto un chiaro e particolareggiato l’intervento negli affari libanesi", ha detto Hezbollah in un comunicato.

Biden, che ha visitato la Serbia e il Kosovo all’inizio di questa settimana, aveva in programma di incontrare anche il primo ministro Fouad Siniora e il presidente del Parlamento Nabih Berri, prima di unirsi al ministro della Difesa Elias al-Murr per un annuncio sugli aiuti militari statunitensi al Libano.

A partire dalla Guerra del 2006 tra Hezbollah e Israele, gli Stati Uniti hanno accresciuto l’assistenza militare al Libano per rafforzare le sue forze armate come contrappeso a Hezbollah, la sola fazione libanese che è rimasta armata dopo la guerra civile 1975-1990.

Dal 2006 l’aiuto militare Usa al Libano ha oltrepassato i 400 milioni di dollari. Tra le consegne previste vi sono mezzi di artiglieria, carri armati e droni aerei, così come armi leggere, munizioni e veicoli.

La visita di Biden è stata la prima di un vicepresidente americano in Libano dal 1983, l’anno in cui degli attentatori suicidi sciiti attaccarono l’ambasciata Usa e il quartier generale dei Marine, e la visita del più alto rappresentante Usa da allora - ha detto un funzionario dell’ambasciata americana.

Hezbollah, creato per combattere l’occupazione israeliana del Libano dopo l’invasione del 1982, è successivamente entrato nella politica interna per garantirsi la legittimità come gruppo di resistenza armata. Molti analisti prevedono per le elezioni del 7 giugno un lieve spostamento (di consensi) verso Hezbollah e i suoi alleati. I sondaggi di opinione non sono affidabili.

Saad al-Hariri ha guidato alla vittoria una coalizione sostenuta da Stati Uniti e Arabia saudita nelle elezioni del 2005, tenute subito dopo che il clamore suscitato dall’assassinio di suo padre, il politico Rafik al-Hariri, costrinse la Siria a porre fine alla sua presenza in Libano, durata 29 anni.



Contestualizzare le elezioni libanesi
di Rami G. Khouri – The Daily Star - 9 maggio 2009
Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq

Come è accaduto negli ultimi sessanta anni o giù di lì, la solitamente turbolenta politica libanese rispecchia in maniera quasi perfetta molti elementi delle attività politiche, ideologiche, commerciale e criminali che definiscono la vita pubblica del mondo arabo. È questo il caso anche delle elezioni che si terranno il 7 giugno, comprese una serie di caratteristiche positive e negative che danno a questo voto un significato molto più grande di quello che avrebbero avuto normalmente. Ho intenzione di proporre cinque aspetti per cui il risultato elettorale potrebbe far luce su rilevanti questioni nazionali, regionali e globali.

Primo, questo è un voto non comune nel mondo arabo, in cui i risultati non sono noti prima del tempo - e, quando saranno noti, non riveleranno di certo la vittoria di un solo partito con il 97,8 per cento dei voti, come accade in così tanti paesi arabi in cui le elezioni sono uno scherzo offensivo. Ciò è vero specialmente in quanto circa 17-19 seggi la cui assegnazione non è prevedibile (su un totale di 128) determineranno il risultato complessivo. La soluzione di una disputa ideologica attraverso un voto libero e realmente combattuto dovrebbe essere celebrata come uno dei significativi contributi del Libano al progresso della civiltà araba. Questo è l’ultimo piccolo angolo di mondo arabo in cui il popolo si aggrappa coraggiosamente all’idea che il pluralismo democratico sia al tempo stesso adeguato, auspicabile e funzionale.

Secondo, le dispute ideologiche in Libano spesso sono battaglie per procura di conflitti più ampi a livello mediorientale e globale. I due campi principali (in maniera rozza il gruppo guidato da Hariri, alleato con gli Stati Uniti e gli arabi conservatori, e il gruppo guidato da Hezbollah e Michael Aoun, che è alleato con la Siria e l’Iran) riflettono le due ideologie dominanti in conflitto che al momento definiscono il Medio Oriente. L’esito elettorale chiarirà la forza relative di questi due campi, rivelando probabilmente forze quasi paritarie che rafforzeranno il bisogno di una coesistenza negoziata e di una condivisione di potere.

Terzo, sul fronte nazionale, le elezioni sono spesso combattute sulla base di quelli che potrebbero essere definiti, in maniera molto spiccia, programmi pro o anti-siriani. I risultati potrebbero produrre una nuova configurazione della condivisione di poteri che modifichi l’attuale sistema di una maggioranza di governo e di un’opposizione entrambe dotate di potere di veto sulle principali decisioni – forse con un piccolo blocco centrista legato al presidente - e certamente una chiarimento delle relazioni tra il Libano e la Siria. Ciò è di importanza enorme per la maggior parte dei libanesi, e di interesse marginale per tutti gli altri nel mondo. Tuttavia, merita di essere osservato perché gli sviluppi locali sfiorano, e riflettono, gli andamenti più ampi che fanno del Libano un tale potente microcosmo del Medio Oriente intero.

Quarto, le elezioni potrebbero essere un passo importante nel chiarire se il Libano e l’intera regione si stanno muovendo verso dei sistemi di governo più laici, non confessionali e meritocratici, o sprofondare nell’attuale trend regionale in cui la religione, l’etnia e le confessioni giocano un ruolo più grande nella vita, nella gestione del potere e nell’identità. Il popolo libanese ha espresso ripetutamente il desiderio di un sistema di governo meno confessionale - come stabilito dagli accordi di Taif che hanno contribuito a porre fine alla guerra (civile) nel 1990 -, ma al momento sembra incapace di effettuare la transizione verso quel mondo nuovo.

E quinto, la questione che potrebbe essere chiarita dall’esito elettorale e dall’accordo politico che ne seguirà è se il Libano – come la maggior parte dei Paesi arabi – opterà per un forte Stato centrale che sia anche efficiente ed equo nel servire i suoi cittadini, o invece rimarrà con l’attuale modello di Stato centrale debole dominato da interessi particolari, gruppi etnici, organizzazioni religiose, e gruppi armati – la maggior parte dei quali direttamente e apertamente sostenuti, finanziati e armati da governi stranieri.

Queste sono le cinque questioni critiche da monitorare quando arriveranno i risultati elettorali e si formerà il nuovo governo. L’esito del voto sarà significativo oltre i confini del Libano, perché oggi il Paese rispecchia l’impatto di ogni singola grande questione e trend del medio Oriente, compreso il conflitto arabo-israeliano, le influenze iraniane, siriane, americane e saudite, il liberalismo culturale e la democratizzazione, l’islam, l’intervento delle Nazioni Unite (attraverso le truppe di pace, le sanzioni, le risoluzioni e i tribunali), il terrorismo, la cultura delle milizie, l’emigrazione giovanile e molte altre.

Il voto libanese si vede meglio nel contesto più ampio di sei importanti lezioni tenute altrove, a partire dallo scorso novembre e quest’anno, con un impatto sul Medio Oriente: negli Stati Uniti, in Iran, in Israele, in Turchia e probabilmente presto in Palestina. Queste elezioni ci diranno molto della nostra cultura politica, delle propensioni ideologiche, delle identità nazionali e della concezione di Stato. Com’è confortante seguire una manciata di elezioni che ci aiuteranno a definire le nostre società in maniera più chiara e legittima di quanto ci è capitato con la criminalità, gli stati di polizia, i combattimenti in strada, le invasioni straniere e la resistenza che ha dominato la regione nelle ultime decadi.