Un Paese che dalle macerie sta cercando di rialzare la testa e riprendere a camminare.
Ma in che direzione?
Full metal jacket a Baghdad: Marine uccide 5 commilitoni
di r.e. - Liberazione - 13 Maggio 2009
Erano ospiti di una clinica militare che tratta lo stress da guerra
Un soldato americano ha aperto il fuoco sui commilitoni nella più grande base militare statunitense in Iraq: Camp Liberty, a Baghdad. Il bilancio terribile di questo gesto è di cinque morti e tre feriti. L'autore della strage sarebbe stato fermato e detenuto - ma l'emittente all-news Cnn parla di suicidio. Il comunicato ufficiale delle forze Usa si è limitato a dare notizia della morte di cinque soldati in una sparatoria a Camp Liberty.
La sparatoria è avvenuta all'interno di un ospedale per persone vittime di stress da guerra all'interno della stessa base ed è il peggior incidente in zona non di guerra della lunga storia dell'invasione irachena cominciata nel 2003. L'ultimo incidente di questo tipo, in quel caso capitato durante un'azione di pattuggliamento, risale allo scorso settembre: un sodato è stat arrestato per aver ucciso due suoi commilitoni nei pressi di Iskandariya. A novembre 2006, invece, il sergente Alberto Martinez è stato mandato a processo per aver fatto esplodere due compagni all'interno di uno dei palazzi di Saddam a Tikrit. Nel 2003, prima dell'inizio delle ostilità, invece, un soldato di origini arabe uccise a colpi di granata dei commilitoni in una base in Kuwait, ma in quel caso, si è trattato di omicidio volontario: né atto di follia, né errore.
La questione dei disturbi post bellici è un tema enorme negli Stati Uniti. Non solo durante la campagna elettorale entrambi i candidati insistettero molto sullo scandalo del ritorno a casa, specie per i feriti e coloro che hanno subito traumi psichici. In questo caso, i cinque uccisi non avranno il problema di venire accolti male e curati peggio come avveniva durante gli anni di Bush - e come probabilmente accade ancora, visto che i fondi aggiuntivi stanziati dalla nuova amministrazione non sono ancora stati spesi.
Un funzionario del Pentagono ha riferito che sulla vicenda è stata aperta un'inchiesta. L'attacco porta a 4.292 il numero degli americani morti in Iraq dal marzo del 2003. Questo mese il numero di morti statunitensi è tornato a crescere - un soldato è morto nei pressi di Bassora saltando su una bomba nascosta sul ciglio della strada.
Aprile è stato un mese di ritorno dei kamikaze, che hanno preso di mira sia le truppe statunitensi che - come sempre - i civili.
Secondo il Washington Post due dei kamikaze responsabili dei gravi attentati suicidi di aprile facevano parte di un gruppo di quattro giovani tunisini partiti in ottobre dal loro Paese. Giunti in Libia, i quattro hanno proseguito in aereo fino a Damasco dove hanno trascorso sei mesi in una casa protetta. Due sono poi morti come kamikaze in Iraq e di un terzo si sono perse le tracce. Il quarto è stato catturato e ha raccontato del suo viaggio durante gli interrogatori. Fonti americane si chiedono fino a che punto i vertici siriani siano al corrente del transito di terroristi, ma intanto esprimono preoccupazione per la ripresa del fenomeno. La rinnovata attività della rete di al Qaeda appare legata anche al calo di attenzione delle autorità dopo le elezioni provinciali del 31 gennaio.
Sale la tensione nel Nord
di Ornella Sangiovanni - www.osservatorioiraq.it - 13 Maggio 2009
Sette morti e 18 feriti a Kirkuk per un’autobomba e manifestazioni di protesta a Mosul. Il nord, che in molti considerano il prossimo fronte del conflitto iracheno, si fa sempre più caldo ogni giorno che passa.
La scintilla che potrebbe far deflagrare la polveriera si chiama Kirkuk: città ricca di petrolio e contesa fra kurdi, arabi, e turcomanni. Ieri, secondo fonti della polizia locale, un attentatore a bordo di un’auto si è lanciato contro una pattuglia di poliziotti nei pressi della sede del principale partito politico turcomanno, in una strada dove gli attacchi erano già stati frequenti nel 2006 e nel 2007. Il giorno precedente, un’altra autobomba aveva fatto tre morti e otto feriti fuori da una moschea.
Ma è solo la punta dell’iceberg. Kirkuk, infatti, è solo una, anche se la principale, delle cosiddette “zone contese” – parti del nord Iraq che attualmente si trovano al di fuori dei confini della regione autonoma del Kurdistan, ma che i kurdi rivendicano come proprie.
Dopo che il referendum, previsto dalla Costituzione, è stato rinviato, su pressioni delle Nazioni Unite, con l’appoggio determinante dell’amministrazione Bush, è in corso un delicato lavoro diplomatico da parte della Missione Onu di assistenza all’Iraq (UNAMI). Il suo responsabile, Staffan de Mistura, di recente ha presentato le sue proposte alle autorità irachene – quelle di Baghdad e quelle del Kurdistan. Proposte che non sono finora state rese pubbliche.
I timori che la situazione possa esplodere crescono di giorno in giorno. Anche perché un conflitto che dovesse opporre arabi e kurdi con tutta probabilità non rimarrebbe entro i confini dell’Iraq, ma si allargherebbe anche ai Paesi vicini, a cominciare dalla Turchia. La preoccupazione dunque è forte.
La situazione resta molto tesa anche nella provincia di Ninive, dove le elezioni provinciali che si sono tenute il 31 gennaio hanno visto la vittoria schiacciante di una coalizione araba nazionalista – al Hadba – che ha escluso da tutte le posizioni di governo i kurdi, che in precedenza controllavano il consiglio provinciale, per effetto del boicottaggio delle precedenti elezioni locali del gennaio 2005 da parte degli arabi sunniti.
A Bashiqa, una cittadina della provincia che i kurdi rivendicano come propria, i cosiddetti Peshmerga, le forze di sicurezza kurde, cinque giorni fa hanno impedito al neo eletto governatore, Athil al Nujaifi, leader di al Hadba, di partecipare a una manifestazione sportiva. Anche delegazioni arabe e straniere che erano attese non sono riuscite ad arrivare.
Ieri, oltre mille persone, per la maggior parte sceicchi delle tribù arabe di Ninive e notabili locali, hanno manifestato davanti alla sede del consiglio provinciale, a Mosul, chiedendo che le forze kurde – compresi i temutissimi Asayish, i servizi segreti – lascino la provincia. E non solo loro. I dimostranti chiedevano al premier Nuri al Maliki di far rispettare la scadenza per il ritiro degli americani da Mosul (il 30 giugno), e non permettere che restino in città dopo questa data.
Ma ci sono tutti i segnali che il gioco si sta facendo duro.
Khasro Goran, leader del Partito Democratico del Kurdistan a Mosul, nonché ex vice governatore di Ninive, sostiene che i peshmerga sono intervenuti per impedire che la situazione degenerasse, dato che Bashiqa e altre cittadine abitate in maggioranza da kurdi non riconoscono l’autorità dell’attuale governo provinciale.
“I peshmerga non se ne andranno”, ha detto Goran al New York Times. “Sono nelle zone kurde per proteggere i cittadini”.
Siamo solo agli inizi.
Pronti per il referendum sul SOFA, dice la Commissione elettorale
da www.osservatorioiraq.it - 13 Maggio 2009
Ancora incerta la data del referendum col quale gli iracheni dovrebbero decidere se confermare il cosiddetto accordo "di sicurezza", firmato fra Washington e Baghdad a fine 2008, e che prevede il ritiro totale delle truppe Usa dal Paese entro il 2011.
Il quotidiano governativo al Sabah riporta oggi l'annuncio della Commissione elettorale (IHEC), che dice di essere pronta per lo svolgimento della consultazione popolare, prevista entro la fine di luglio.
Ma è il parlamento di Baghdad a non aver ancora deciso la data. Il presidente della IHEC, Faraj al Haidari, ha detto al giornale di avere sollecitato ieri l'Assemblea circa la "necessità di informarci della data in tempo, in modo da non crearci imbarazzi nelle procedure necessarie".
Lo stesso funzionario ha fatto sapere di avere suggerito al parlamento di fissare la data delle prossime elezioni legislative, che dovrebbero tenersi entro quest'anno. Le date in ballottaggio sarebbero due: il 31 dicembre, come propone la Commissione elettorale, oppure il 15 novembre, suggerito da varie forze politiche.
Di nuovo Moqtada
di Naoki Tomasini - 14 Maggio 2009
Dopo quasi due anni di assenza dalle scene, Moqtada al Sadr, è ricomparso, settimana scorsa, in Turchia. L'influente religioso di Najaf, che negli ultimi due anni sembra abbia vissuto a Qom, in Iran, dove si sarebbe dedicato agli studi religiosi per diventare Ayatollah, ha incontrato il presidente turco Gul e il premier Erdogan. Al termine degli incontri non ci sono stati comunicati ufficiali, ma le ragioni che hanno spinto Sadr in Turchia sono tante, e significative potrebbero essere anche le conseguenze, politiche e non solo.
"Penso che Sadr abbia scelto la Turchia (un paese a maggioranza sunnita) per dimostrare che è contrario alle divisioni settarie e per tacitare le voci che lo descrivono come un fantoccio dell'Iran" ha commentato Tahseen al Shakhli, un portavoce del governo di Baghdad. Secondo il quotidiano iracheno Azzaman, si sarebbe discusso sia della situazione politica e della sicurezza in Iraq, che dei rapporti tra i due paesi. Così fosse, si potrebbe pensare che Sadr stia cercando di ampliare la propria base di consenso politico in vista delle prossime elezioni, che potrebbero tenersi tra la fine del 2009 e l'inizio del 2010. A conferma di ciò il fatto che in Turchia Sadr ha incontrato anche una delegazione del suo movimento, circa 60 persone giunte da Najaf, con cui avrebbe discusso delle strategie politiche future.
Il movimento sadrista in passato era legato alla United Iraqi Alliance (guidata dal premier al Maliki) e ora starebbe cercando nuove alleanze, ma non punterebbe a strutturarsi come partito per non alienarsi il sostegno popolare. È quanto sostengono alcuni stretti collaboratori del religioso, secondo cui il movimento punterà a continuare la resistenza contro gli occupanti, una resistenza "economica, politica, culturale". Dopo gli scontri dello scorso anno con le forze irachene Sadr ordinò alla sua milizia, l'esercito del Mahdi, di cessare le attività sul territorio. E oggi, il portavoce del religioso, Salah al Obeidi, ha rassicurato esplicitamente che il ritorno di Sadr sarà pacifico: "non useremo le armi - ha dichiarato - in particolare contro i soldati iracheni".
La visita di Sadr in Turchia, però, ha avuto anche un altro risvolto, legato alla sicurezza e all'economia della regione del Kurdistan iracheno. Ankara è un attore chiave per la stabilità della regione curda e soprattutto per la provincia di Ninive, dove si trova la città petrolifera di Kirkuk, contesa tra curdi, arabi e turcomanni. Sadr si sarebbe offerto di mediare per risolvere la spinosa questione di Kirkuk che, dopo mesi di quiete, negli ultimi mesi è tornata ad essere turbolenta. Negli ultimi tre giorni tre autobombe sono esplose nella città, causando la morte di almeno 10 persone. Pochi giorni dopo, lunedì 11 maggio, una delegazione di alto livello del movimento sadrista si è recata a Mosul (seconda città della provincia di Ninive dopo Kirkuk) per incontrare le parti in conflitto e proporre un piano di conciliazione. "La stabilità della provincia di Ninive è essenziale per la stabilità dell'intero Iraq" ha dichiarato nell'occasione il deputato sadrista Fawzi Akram.
La questione di Kirkuk è di importanza capitale per il futuro dell'Iraq, soprattutto per via degli sterminati pozzi di petrolio su cui sorge, che per la quasi totalità non sono sfruttati. Non può essere casuale il fatto che, giusto due giorni prima, il governo iracheno avesse autorizzato per la prima volta le esportazioni di petrolio estratto nella regione curda. Baghdad si era sempre rifiutata di riconoscere i contratti firmati dal governo curdo con società straniere, tuttavia, il governo ha autorizzato l'esportazione del greggio curdo, che dal 1 giugno potrà transitare per l'oleodotto di Ceyhan, diretto verso la Turchia. I pozzi in questione sono quelli di Tawke e Taq Taq, che si trovano attorno a Kirkuk, ma si tratta solo di una minima parte delle risorse potenziali della zona.
Il governo di Baghdad ancora non vede di buon occhio i contratti che il governo di Erbil ha sottoscritto con compagnie diverse da quelle che hanno ottenuto concessioni sugli altri pozzi del paese. Si tratta della coreana Knoc, dell'Asa di Taiwan, della nigeriana Addax Petroleum e della norvegese Dno. "Consentire l'esportazione non significa approvare i contratti che hanno firmato" ha dichiarato un portavoce del ministero del Petrolio di Baghdad. Il ministro delle Risorse Naturali del Kurdistan, Ashti Hawrami, ha però assicurato che "i proventi dell'esportazione saranno depositati sul conto federale iracheno, a beneficio di tutti gli iracheni".
Più sicura, Baghdad riscopre i suoi vizi
di Rod Nordland - The New York Times - 19 Aprile 2009
Traduzione di Ornella Sangiovanni per www.osservatorioiraq.it
Il vizio sta tornando in questa città un tempo famosa perché varietà di vizi ne aveva mille e una.
I coprifuoco notturni, gli estremisti religiosi, e i sequestratori in cerca di preda per lo più sono spariti. Così, inevitabilmente, alcuni si stanno dando ai piaceri illeciti, o almeno a piaceri un po' dubbi.
I locali notturni hanno riaperto, e in molti di essi le prostitute vanno in cerca di clienti. I negozi di alcolici, un tempo costretti a chiudere dai miliziani fondamentalisti, sono proliferati: in un isolato dell'affollata Sa'adun Street, ce ne sono più di dieci.
Il Parco Abu Nawas, prima deserto per timore di kamikaze in cerca di folle vulnerabili, adesso è diventato un luogo per appuntamenti galanti fra giovani. Non che nel parco ci siano posti adatti a nascondersi, dato che gli alberi sono piuttosto radi; è solo che le coppie fanno vinta di non poter essere viste, e i passanti collaborano.
Siamo lontani da Sodoma e Gomorra, ma è forse un ritorno parziale alla vecchia Baghdad. I ba'athisti, che qui hanno dominato dagli anni '60 fino all'invasione americana nel 2003, erano laici, e alquanto peccatori. Sotto Saddam Hussein, Baghdad era un posto piuttosto vivace, dove i caffè restavano aperti fino alle 2 o alle 3 del mattino, e le prostitute esercitavano la loro professione persino nella pista da bowling dell'Hotel Rashid.
“Tutto sta tornando al suo modo naturale”, dice Ahmed Assadee, un sceneggiatore che sta lavorando a una soap opera.
Gli uomini si riuniscono nei caffè per fumare il narghilè e giocare d'azzardo ai dadi o a domino. Nei fine settimana, la stanza sul retro del Caffè Mustansiriya è stipata di persone che stanno attorno a un ring di combattimento fra galli clandestino. Poco tempo fa, i 100 spettatori o giù di lì erano molto rumorosi mentre guardavano lo spettacolo cruento, ma facevano le loro scommesse in modo discreto.
Dopo tutto, il gioco d'azzardo è illegale.
Walid Brahim, 25 anni, esperto in disinnesco dell'esercito iracheno, e il fratello Farat, 20 anni, elettricista, di recente erano seduti fianco a fianco a un tavolo nel bar "Notti di Abu Musa", in uno dei vicoli di Sa'adun Street, indaffarati con un secchiello di ghiaccio e una bottiglia di Chavez Whiskey, un liquore fatto clandestinamente in Iraq.
“E' fantastico”, diceva Walid Brahim. “Compravamo l'alcol e ce lo bevevamo di nascosto solo a casa”.
Il bar è per soli uomini, come praticamente tutte le taverne rispettabili, ma i fratelli non vedono l'ora che arrivi un futuro anche più radioso.
“Se questa sicurezza continuerà”, diceva Farat Brahim, “entro un anno tutti i camerieri saranno ragazze”.
Da parte dei poliziotti locali, esausti dopo anni passati a schivare assassini e far pulizia dopo le autobomba, c'è nonchalance nei confronti di un po' di vizio.
“Oggi abbiamo a che fare con cose più normali. Tutto il mondo si trova a fronteggiare problemi di questo tipo”, dice il colonnello Abdel Jaber Qassim Sadir, vice capo della polizia a Karrada, un quartiere centrale di Baghdad.
“La prostituzione, questo tipo di comportamento non può essere impedito”, aggiunge. “E' assai difficile trovarlo in pubblico; va avanti in luoghi segreti, isolati”.
In realtà, non così segreti. A Karrada adesso ci sono una mezza dozzina di club dove l'ingresso costa 50 dollari. Dato che 150 dollari la settimana è considerato un buon stipendio, i clienti non pagherebbero tanto solo per il privilegio di bere.
Recentemente, una notte, nel club "Ahlan wa Sahlan", in Nidhal Street, la proprietaria, Tiba Jamal, stava tenendo banco, come fa di solito, sulla pedana nella parte anteriore di una stanza con una pista da ballo per lo più vuota e molti tavoli.
La Jamal si fa chiamare la "sceicca", il femminile di sceicco, un titolo onorifico che apparentemente ha adottato. E' vestita con un chador nero lungo dalla testa ai piedi, aderente, ed è adorna di parecchi chili fra bracciali, ciondoli, collane, orecchini, e anelli di oro massiccio, la sua reazione alla crisi finanziaria.
Le ragazze che lavorano nel nightclub erano assai meno vestite, ma niente che sarebbe considerato indecente per strada in Europa - nel mese di agosto. A un certo punto della serata erano più degli uomini, sedute in un gruppo numeroso fin quando non sono state convocate a uno dei tavoli dove erano seduti gli uomini.
“E' bello vedere gente che si diverte di nuovo", diceva la Jamal.
Un cliente abituale diceva: “Dopo, puoi avere una qualunque di queste ragazze per passarci la notte, per soli 100 dollari”. Prima, però, ci si aspetta che i clienti trascorrano alcune ore a comprare birre da 20 dollari, o anche whisky più costoso.
Una ragazza che diceva di avere 28 anni ma ne dimostrava 18 era seduta fumando, e trangugiava bibite, mentre il suo “compagno” beveva Scotch. Studentessa universitaria, come nome ha dato solo Baida, ma è stata franca riguardo alla sua professione notturna. Era successo qualcosa che l'aveva costretta a farlo? “No”, diceva. “Esco con gli uomini per poter guadagnare dei soldi.” Per mantenere la sua famiglia? Sembrava sorpresa dalla domanda. “No, per me”.
Un detective della polizia diceva che non si sognerebbe mai di imporre la legge contro le prostitute. “Sono le fonti migliori che abbiamo”, diceva il poliziotto, di cui non facciamo il nome per motivi di sicurezza. “Sanno tutto del JAM o dei membri di al Qaeda", affermava, utilizzando l'acronimo del Jaish al-Mahdi ovvero Esercito del Mahdi, una milizia sciita.
L'unico problema per i suoi uomini, aggiungeva il detective, stava nel fatto che i vicini si facevano un'idea sbagliata quando i poliziotti andavano nelle case dove si sa che abitano delle prostitute. Davvero vogliono solo parlare, diceva.
“Se dipendesse da me, distruggerei tutte le moschee e sparpaglierei un po' di più in giro le puttane”, diceva il detective. “Almeno non badano all'appartenenza confessionale”.
Altri sono imbarazzati per la presenza delle prostitute.
“E' terribile vedere che la prostituzione è aumentata fino a questo punto”, dice Hanaa Edwar, Segretario Generale di al-Amal, un gruppo iracheno per la difesa dei diritti umani. “Queste sono donne che provengono da famiglie di sfollati, gente povera, persone che devono vendersi per guadagnare denaro per le loro famiglie e i loro figli”.
Era furibonda dopo aver sollevato l'argomento di fronte al Parlamento iracheno. “Erano scioccati e non hanno accettato di aprire la discussione su questo tema”, dice. Lo shock, aggiunge, è stato che lei avesse osato menzionare il problema.
Lo scorso anno al-Amal ha commissionato un rapporto basato su una indagine sulle prostitute che lavorano per strada a Baghdad. Una era una ragazzina di 15 anni che era stata cacciata da scuola perché vestiva in modo non appropriato, e poi si era data alla prostituzione, diceva il rapporto. Un'altra era una diciottenne costretta a diventare la seconda moglie di un uomo più vecchio di lei; era fuggita, e non aveva nessun altro modo per mantenersi. Una delle ragazze aveva 12 anni.
Certamente, il vizio spesso ha un lato sgradevole. Nel corso di una recente operazione segreta a Karrada, che aveva come obiettivo un giro di trafficanti di esseri umani, un magnaccia ha offerto a un ufficiale in borghese l'opportunità di comprare una ragazza da portare in Siria, stando a un detective, che ha parlato a condizione di mantenere l'anonimato in quanto non autorizzato a discutere l'operazione.
L'abuso di droghe, almeno, è un problema che non si è presentato molto, o è rimasto nella clandestinità totale, a detta della polizia. “Gli unici problemi che vediamo sono ogni tanto delle pillole illegali”, dice il colonnello Sadir.
Cosa che non sorprende, la droga preferita degli abitanti di Baghdad è il Valium, aggiunge il colonnello.
La maggior parte della gente di eccitazione in questi ultimi sei anni ne ha avuta abbastanza semplicemente restando a casa.
Hanno contribuito alla raccolta di elementi Riyadh Mohammed, Suadad al-Salhy, e Muhammed al-Obaidi.
L'Iraq potrebbe vietare le bevande alcoliche
da www.osservatorioiraq.it - 13 Maggio 2009
L'Iraq va verso il proibizionismo? La Commissione per i Waqf e gli Affari religiosi del Parlamento intenderebbe presentare un progetto di legge che vieti l'importazione di bevande alcoliche in Iraq. Lo riferisce oggi il quotidiano governativo al Sabah [in arabo], che rivela inoltre che l'Ente del Turismo ha deciso di non rinnovare le licenze d'esercizio degli hotel dove si consumano alcolici.
Night club e alcol sono contrari alla shari'a, la legge islamica, è la motivazione addotta. Secondo Radwan al Kildar, membro della Commissione parlamentare, il giro di vite sarebbe stato deciso per "le numerose proteste da parte di cittadini che si lamentano dal comportamento dei frequentatori dei locali notturni e delle rivendite di alcolici, che buttano i contenitori vuoti vicino alle moschee e ai luoghi di culto".
Kildar sostiene che la Costituzione è dalla sua parte. "L'articolo 2(a)" - ha detto al giornale - "vieta qualunque legge o comportamento contrari ai dettami della religione islamica".
"In tutte le province del Paese, ma soprattutto a Baghdad, ci sono troppe rivendite di alcolici e locali notturni", afferma il deputato, e dunque vanno presi provvedimenti.
"Non abbiano nulla contro i luoghi di svago per i cittadini, purché non vadano contro gli insegnamenti della religione islamica e l'identità araba e islamica", ha concluso.