Allarme in Georgia e problemi per la Nato
di Carlo Benedetti - Altrenotizie - 6 Maggio 2009
Alta tensione nel rapporto Est-Ovest a poche ore dall’inizio delle prime manovre militari della Nato in Georgia. Si parla di un tentativo di golpe armato russo a Tbilisi. La manovra sarebbe stata sventata in tempo dalle forze di sicurezza georgiane mentre alcuni alti ufficiali del ministero della Difesa sarebbero stati arrestati perché coinvolti nel piano e in contatto con i servizi speciali di Mosca. C’è confusione e c’è allarme in tutto il Caucaso e si dice inoltre che l’obiettivo del “golpe” doveva essere quello di creare gravi problemi nel corso delle esercitazioni della Nato annunciate per queste ore. Mosca, comunque, nega tutto e respinge al mittente le accuse definendole come "il delirio e l’agonia del regime di Saakashivili".
La situazione, intanto, non accenna a migliorare. Si parla di un battaglione georgiano ammutinato. Sarebbe quello dislocato nella base di Mukhrovani. E in merito c’è una testimonianza. Quella del ministro della Difesa, David Sikharulidze, che in una dichiarazione alla rete televisiva Rustavi-2, ha reso noto che "il battaglione ha annunciato di voler disobbedire agli ordini". Secondo le prime informazioni insieme ai militari ammutinati ci sarebbero anche dei civili. "L’ammutinamento sta continuando. I ribelli sono stati avvertiti di interromperlo" ha aggiunto Sikharulidze spiegando che ci sono contatti con gli ammutinati ma "non c’è stata ancora nessuna richiesta concreta".
E su queste notizie cala la vicenda che va in scena a Bruxelles dove si fanno sempre più tesi i rapporti tra Russia e Alleanza Atlantica. Nel quartier generale della Nato si definisce in queste ore il nuovo piano strategico per il futuro della stessa alleanza. Il piano in esame consiste nel tener conto dei mutamenti avvenuti negli ultimi tempi, con una Russia che alza i toni del confronto e un Occidente europeo che fa trapelare sempre più una certa autonomia di giudizio.
E così la Nato - riunita nella sua sede per il vertice dei capi di Stato Maggiore - lancia un appello per superare quelle concezioni strategiche che, datate 1950, erano dedicate esclusivamente alla difesa del Nord Atlantico, poi più o meno ribadite dai tanti vertici successivi, sino al 1999. Ora – dicono i padroni americani che dominano l’Alleanza - c’è impellente l’esigenza di adattare i piani ad un mondo che si evolve. Di qui la riunione attuale. Che vede seduti al tavolo comune 40 capi di Stato maggiore della difesa compresi quelli di Ucraina e Georgia come osservatori, mentre quelli di Albania e Croazia partecipano per la prima volta nel loro status di paesi membri della Nato.
Sono presenti anche il capo della Difesa e il vice ministro degli Interni e capo della polizia afgani e il presidente del Comitato militare dell'Unione europea. Tutti insieme per definire le strategie immediate delle tante operazioni in atto e/o previste. In particolare all’ordine del giorno figura la missione della International Security Assistance Force (ISAF) che è oggi la punta di diamante dell’Alleanza in un’operazione che viene presentata come “missione internazionale per il mantenimento della pace in Afghanistan”, ma che nella realtà dei fatti è una vera e propria operazione di guerra che impiega circa 52.900 militari provenienti da una quarantina di nazioni.
L’ISAF, costituita su mandato del Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 20 dicembre 2001 con il compito di “sorvegliare” Kabul e la base aerea di Bagram opponendosi alle forze dei Talebani e al movimento di Al Qaeda, è una vera e propria forza di occupazione che tra i tanti compiti ha quello di proteggere il governo guidato da Hamid Karzai mantenendolo al potere. Al tavolo di Bruxelles figura anche l’altro punto dolente dell’Alleanza. Quello che si riferisce alla KFOR, la Kosovo Force, che è la forza militare internazionale, guidata dalla Nato (e che conta oltre 16mila uomini) che dovrebbe avere come funzione quella di “ristabilire l'ordine e la pace” dopo l’aggressione organizzata dalla Nato stessa e dal mondo occidentale.
Molte quindi le questioni sul tappeto e l’ammiraglio Giampaolo Di Paola - capo di stato maggiore della Difesa dal 10 marzo 2004 - si trova a dover svolgere il difficile ruolo di mediatore tra le tante componenti della Nato. Ma la questione più “delicata” è soprattutto quella relativa al rapporto della Nato con le Nazioni Unite, in particolare per quanto riguarda le eventuali autorizzazioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU per nuove operazioni militari. Al vertice di Bruxelles, inoltre, c’é il problema relativo a tutti quegli obsoleti riferimenti all’identità di sicurezza e di difesa europea e all'Unione dell’Europa occidentale.
Ma ora gli eventi del Caucaso fanno aumentare la tensione. I militari riuniti al vertice della Nato sanno bene che si sta muovendo “qualcosa” che potrebbe mettere a rischio non solo le manovre militari annunciate nelle montagne georgiane, ma tutto il complesso del rapporto geopolitico tra l’Ovest e l’Est. A questo punto la questione non potrebbe restare isolata nell’ambito della Nato. La Russia potrebbe ancora alzare il tiro ricordando - come ha già fatto nei giorni scorsi con il suo ministro degli Esteri Lavrov - che la miccia accesa in Caucaso è a lenta combustione, ma sta già per arrivare al punto dell’esplosione.
Con la Nato anche l'Italia sbarca in Georgia
di Carlo Benedetti - Altrenotizie - 4 Maggio 2009
La Nato non cede. Approfitta ancora della presenza in Georgia del “Quisling” Saakasvili e si prepara alle manovre nella regione caucasica con 1300 soldati di 19 paesi. L’operazione - che scatta il 6 maggio e si protrarrà fino al 1 giugno - è giustificata sotto la copertura del programma “Associazione per la pace”, ma in realtà è una vera e propria azione di forza per mostrare i muscoli dell’Alleanza in un’area sempre più a rischio e dove la Russia concentra la sua attenzione ritenendola come zona di suo interesse. Ad arrivare nella regione dominata da Tbilisi ci saranno anche truppe italiane. Altri paesi si sono chiamati fuori, tra questi sembrano esserci Germania, Francia, Moldavia, Ucraina, Kasachstan e paesi baltici. Tutti in fibrillazione temendo il risveglio di un gigante che, per ora, sembra in sonno. E che si chiama Caucaso.
Intanto l’operazione georgiana va avanti nonostante i moniti lanciati da Mosca, dove il presidente Medvedev ha ribadito che le “manovre di maggio” sono “sbagliate e pericolose” e che potrebbero avere come conseguenza uno strappo tra Russia e Nato. Ma oltre al contenzioso diretto tra l’Alleanza e Mosca molti osservatori individuano oggi in questa nuova situazione geopolitica un certo cambiamento di rotta in seno alla stessa dirigenza americana o, per lo meno, nel campo d’alcune forze. Tanto che si può affermare che l’esercitazione Nato in Georgia potrebbe stare ad indicare che c’è una battaglia in corso all'interno di Washington evidenziata, per ora, solo dalla punta dell’iceberg.
Una battaglia geomilitare, quindi, che andrebbe ad opporsi direttamente a quei segnali di miglioramento nei rapporti tra Russia e Stati Uniti che si sono notati nei primi cento giorni d’Obama. Intanto a Mosca si tornano a rileggere - negli ambienti della diplomazia più vicini a Medvedev - quei “messaggi” lanciati a suo tempo dall’ex consigliere di politica estera di Carter, Zbigniew Brzezinskj. Il quale, due mesi prima dell’inizio del conflitto tra Georgia e Russia per l’Ossezia del Sud e l’Abkazia, avanzò, appunto, alcune previsioni geostrategiche sostenendo che gli Stati Uniti “prevedevano” casi di possibili minacce da parte della Russia, direttamente sulla Georgia, con l'intenzione di prendere il controllo degli oleodotti di Baku-Ceyhan nel sud del Caucaso. In questo modo - sostenne l’americano - la Russia tenderebbe ad isolare la regione dell'Asia centrale dall'accesso diretto dell'economia mondiale, specialmente per le forniture d’energia. E di conseguenza il governo della Georgia destabilizzato, porterebbe a limitare l'accesso occidentale a Baku nel Mar Caspio che in seguito sarebbe limitato.
Sempre secondo Brzezinski sarebbe stato assurdo pensare che la Russia, dopo essere uscita da due inutili guerre in Cecenia e in Afghanistan e dopo anni di povertà e disordini sociali, seguiti alla dissoluzione dell'Unione Sovietica, avrebbe scelto di intraprendere una guerra sull'energia. In pratica Brzezinski aveva già riproposto le tesi e i temi di quel Great Game sostenendo, in pratica, che la chiave del controllo della regione caucasica - al limite dell’Eurasia - consiste in una vasta operazione capace di mettere sotto controllo (americano) l’intera regione. Ora vediamo che con le nuove posizioni della Nato molte delle previsioni passate vanno sempre più rivelandosi come vere. Basti pensare, ad esempio, al problema - profondamente sentito in certi ambienti atlantici - della cosiddetta missione liberatrice dell’America nel mondo intero…
Ed oggi è il Caucaso (non solo quello georgiano…) ad essere nel mirino di certi inquilini del Pentagono e della Casa Bianca. La situazione è molto più drammatica di quanto si può pensare. Proprio perché la Georgia - tanto per restare sul posto - non è in grado di sviluppare (almeno sino a che durerà il suo presidente Saakasvili) nessuna politica estera di grande respiro. Resterà in pratica vittima di quel muro che la separa dall’Est e dall’Ovest. Vittima, è ovvio, della logica dei blocchi militari. E quella unità europea, che fino a ieri poteva essere il mezzo per assicurare a Tbilissi una proiezione internazionale, resta un sogno.
Tanto che molti nell’intero Est (e nel Caucaso in particolare) sostengono che la Georgiasi trova oggi a un bivio: tra la permanenza nella Nato e l’ipotesi più difficile, più nebulosa, ma fors’anche più feconda, di perseguire un neutralismo politicamente rigoroso. Una linea, questa, che porterebbe a spiazzare americani e russi. Con la costruzione, tra l’altro, di un efficiente esercito convenzionale con scopi esclusivamente difensivi e lontano dall’ombrello degli israeliani (come avviene invece oggi). Soltanto una grande politica come questa – hanno scritto di recente alcuni quotidiani di Mosca, come le Izvestija, potrebbe forse garantire la possibilità di una riappacificazione caucasica con Ossezia del Sud e Abkazia. Solo con un processo del genere, forse, si potrebbe decifrare con maggiore facilità il futuro d’oggi, sospeso appunto fra partecipazione alla Nato e ipotesi neutralista.
Georgia, tentato golpe?
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 5 Maggio 2009
E' durato poche ore l'ammutinamento di un battaglione dell'esercito georgiano, iniziato questa mattina nella base militare Mukhrovani, a soli trenta chilometri dalla capitale Tbilisi. Dopo che colonne di carri arami e camion carichi di soldati si sono mossi verso la caserma ribelle, i soldati ribelli si sono arresi.
Tbilisi accusa Mosca. L'ammutinamento di Mukhrovani era scattato dopo che la notte scorsa la polizia aveva arrestato alcuni ex ufficiali dell'esercito accusati di pianificare, con il sostegno dei servizi segreti russi, un golpe militare volto a rovesciare il governo filoccidentale di Mikheil Saakashvili e a bloccare le esercitazioni militari Nato previste per domani. Tra gli arrestati ci sarebbero l'ex comandante delle forze speciali, Gia Gvaladze, e l'ex ministro della Difesa, Georgi Karkarashvili. Secondo la polizia, i golpisti avevano previsto l'assassinio di diversi membri del governo e il successivo intervento di almeno 5 mila soldati russi basati in Ossezia del Sud.
Il Cremlino ha definito "deliranti" le accuse del governo georgiano, pur ribadendo il proprio giudizio negativo sull'esercitazione Nato (che durerà quasi un mese e coinvolgerà 1.300 soldati di diciannove paesi), giudicata inopportuna in quanto si tiene in un paese dove si è appena combattuta una guerra (quella dello scorso agosto tra Georgia e Russia, scatenata dall'invasione georgiana dell'Ossezia del Sud).
'Misha'sotto pressione. Che la Russia miri a rovesciare l'odiato regime di 'Misha' Saakashvili non è una novità, anche se sembra poco logico che lo volesse fare proprio in coincidenza con l'esercitazioni militari della Nato.
Non è una novità nemmeno il fatto che il presidente georgiano tiri fuori "la minaccia esterna" ogni volta che cresce l'opposizione interna al suo potere. Da settimane i georgiani affollano le piazze di Tbilisi chiedendo le dimissioni di Saakashvili, accusato di tradito gli ideali democratici e patriottici della rivoluzione del 2003, di aver instaurato un regime autoritario e corrotto, di aver truccato le ultime elezioni e soprattutto di avere fallito nell'obiettivo di riunificare la nazione.
Dire che dietro all'ammutinamento di Mukhrovani, certamente legato al crescete scontento popolare contro il governo, c'è la Russia serve a Saakashvili per delegittimare i suoi oppositori e per mostrare alla Nato - questa volta sì, alla vigilia delle esercitazioni - che la Georgia deve entrare al più presto nell'alleanza atlantica per difendersi dalle mire espansionistiche del Cremlino.
Washington, però, non sembra voler accelerare i tempi: per ora preferisce continuare a pagare il riarmo militare georgiano. Obama ha appena stanziato altri 242 milioni di dollari per il 2010.
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 10 Aprile 2009
La 'rivoluzione delle rose' georgiana sta facendo la stessa fine della 'rivoluzione arancione' ucraina, dilaniata dalla lotta per il potere tra i principali leader rivoluzionari. Ma mentre a Kiev il braccio di ferro tra il presidente Viktor Yushenko e la sua premier Yulia Tymoshenko si è sempre giocato all'interno dei palazzi e delle aule parlamentari, a Tbilisi lo scontro tra il presidente Mikheil Saakashvili e l'opposizione guidata dal 're del vino' Levan Gachechiladze va in scena nelle piazze e rischia quindi di prendere una piega violenta - come è già accaduto nel novembre del 2007, quando Saakashvili rispose alle proteste con una violenta repressione e con lo stato d'emergenza)
Le colpe di Misha. Gachechiladze, il candidato presidenziale dell'opposizione battuto alle elezioni di un anno fa, Irakli Alasania, ex diplomatico a capo del principale partito d'opposizione, e la signora Nino Burjanadze, ex presidente del parlamento, hanno portato in piazza 60 mila persone ieri per chiedere le dimissioni di 'Misha' Saakashvili, accusato di tradito gli ideali democratici e patriottici della rivoluzione del 2003, di aver instaurato un regime autoritario e corrotto, di aver truccato le ultime elezioni e soprattutto di avere fallito nell'obiettivo di riunificare la nazione, trascinando il Paese in una disastrosa guerra e perdendo definitivamente le regioni separatiste di Ossezia del Sud e Abkhazia.
Scontento e sfiducia. Per portare in piazza la gente, i leader dell'opposizione fanno leva soprattutto sul diffuso scontento per le mancate promesse di sviluppo economico e benessere che Saakashvili fece nel 2003, mentre oggi l'economia georgiana versa in condizioni peggiori di prima, con tassi di povertà e disoccupazione più alti che nell'epoca in cui era presidente Eduard Shevarnadze. Ciononostante, stando a recenti sondaggi, solo il 28 percento dei georgiani ritengono che rimuovere Saakashvili dal potere sia la soluzione di questi problemi. Per questo le manifestazioni di questi giorni non sono così partecipate come Gachechiladze e compagni si aspettavano.
Forse i georgiani hanno capito che dei politici c'è poco da fidarsi.
Ma Saakashvili non molla. L'opposizione aveva detto che se Saakashvili non si fosse dimesso entro le 15 di venerdì, le proteste sarebbero proseguite a oltranza.
Il presidente, pur dicendosi pronto al dialogo, ha chiarito di voler rimanere al suo posto fino alla scadenza del mandato presidenziale nel 2013.
Le forze antigovernative hanno quindi annunciato azioni di disobbedienza civile in tutto il Paese e picchettaggi permanenti davanti al parlamento, al palazzo presidenziale e alla tv di Stato.
Il braccio di ferro è appena cominciato.