venerdì 15 maggio 2009

Ciarpame italiota

Qui di seguito una serie di articoli che mettono in evidenza l'infimo livello raggiunto dal Paese.
E si sa che, una volta toccato il fondo, molto spesso si comincia a scavare. Ed è proprio il caso italiota.


Quando il premier disse:"Quelle navi non vanno fermate"

di Gian Antonio Stella - Il Corriere della Sera - 15 Maggio 2009

«Dov’è la cipolla, piagnina?» Erano i primi di aprile del ’97 e il leghista Daniele Roscia, sfot­tendo Silvio Berlusconi per le lacrime versate sugli albanesi morti sulla nave speronata da una corvetta della Marina italia­na, non poteva immaginare che un giorno il Cavaliere avrebbe blindato con la fiducia un decreto come quello di ieri fortissimamente voluto dalla Lega.

Rileggere quanto disse allo­ra il leader azzurro, deciso a sot­tolineare i contrasti dentro il governo Prodi che per arginare gli sbarchi in Puglia aveva vara­to il pattugliamento delle coste andando incontro alla spaven­tosa tragedia della «Kater I Ra­des » affondata con una mano­vra sbagliata dalla «Sibilla», è fonte di sorprese. Per comincia­re, secondo l’Ansa, il leader az­zurro accorso a Brindisi a in­contrare i sopravvissuti, ricor­dò che «l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugia­ti aveva espresso deplorazione su questa misura del blocco na­vale: ora dopo quello che è suc­cesso, dobbiamo riscattare la nostra immagine e dobbiamo fare tutto ciò che le nostre pos­sibilità ci consentono, non so­lo con il nostro esercito per pro­teggere gli aiuti, ma dobbiamo essere tutti noi generosi».

Quindi, offerta ospitalità per­sonale a una dozzina di profu­ghi, espresse «le sue riserve sul pattugliamento» e smentì asso­lutamente a Repubblica che Ro­mano Prodi l’avesse preavverti­to: «Non sono stato informato né di blocchi né di pattuglia­menti. Prodi mi aveva informa­to dell’intervento finalmente possibile in Albania, dicendo­mi che era stato trovato un ac­cordo con i paesi di cui mi ha fatto i nomi — Portogallo, Fran­cia, Grecia ed altri — per una missione di pace. Su questo, io ho detto 'Sono pienamente d’accordo'. Tra l’altro ho stu­diato diritto della navigazione, a suo tempo: so che nessuno può fermare navi civili in ac­que non territoriali, non è pre­visto assolutamente un diritto di questo genere da parte di nessuno Stato. Se avessi senti­to parlare di blocco navale, avrei subito drizzato le anten­ne».

Di più, aggiunse all’Ansa: «Credo che l’Italia non possa ac­cettare di dare al mondo l’im­magine di chi butta a mare qualcuno che fugge da un Pae­se vicino, temendo per la sua vita, cercando salvezza e scam­po in un paese che ritiene ami­co. Il nostro dovere è quello di dare temporaneo accoglimen­to a chi si trova in queste condi­zioni ». E chiuse: «Dobbiamo la­vare questa macchia, che sarà pure venuta dalla sfortuna, ma che è venuta da una decisione che non si doveva prendere».

Il giorno dopo, mentre a sini­stra si sbranavano sul tema del­l’accoglienza e tentavano di ar­ginare l’indignazione svento­lando un sondaggio secondo cui, come avrebbe scritto Filip­po Ceccarelli, appena un quar­to degli intervistati giudicava il pianto berlusconiano «since­ro », il Cavaliere spiegava a Raf­faella Silipo, de La Stampa d’es­sere schifato dalle reazioni: «Vogliono strumentalizzare il mio gesto e trasformare una grande tragedia in una piccola e sciagurata polemica politica. D’altronde è inevitabile, quan­do si guarda con occhi sporchi a cose chiare e pulite». A farlo precipitare in Puglia, spiegò, era stata l’indifferenza degli al­tri: «Vede, io li ho visti, i super­stiti del naufragio. Erano dispe­rati. E nessuno era lì con loro, nessuno gli ha detto niente, ca­pito? Si parla di settanta morti, venti bambini, una tragedia pa­ragonabile a Ustica, e questi qui, dal presidente della Repub­blica al presidente del Consi­glio al ministro della Difesa, re­stano a casa loro? È drammati­co ».

Dodici anni dopo, riesami­nati gli studi di «diritto della navigazione» a proposito dei pattugliamenti navali, ha cam­biato parere: «Fuori dai confini vale il nostro diritto, previsto dai trattati internazionali, di re­spingerli ». E il voto di ieri, mar­cato dal trionfo della Lega Nord, sigilla la conclusione di un percorso di progressivo av­vicinamento ai temi cari al Car­roccio.

Daremo a Silvio la tessera perché si è 'pontidizzato'», gongolava giorni fa Roberto Calderoli. Padano ad honorem. Una onorificenza che gli sareb­be stata difficile da guadagnare quel giorno in cui, nella intervi­sta citata a La Stampa dopo la tragedia della nave albanese, confidò pensieri che in bocca altrui gli suonerebbero, dicia­mo così, «buonisti» e «cattoco­munisti »: «Siamo stati chiusi nell’egoismo, non possiamo permettere che succeda più nel nostro Paese. Non possiamo chiudere le porte, 58 milioni di italiani che stanno bene non possono respingere povere per­sone che vengono qui per cer­care un po’ di libertà. Doman­diamoci se la tragedia non è an­che dovuta, almeno in parte a quel coro di ''gettateli a mare, sono tutti delinquenti'' sentito nei giorni scorsi».

Un monito antirazzista, iro­nizzerà qualcuno, arrivato do­dici anni prima di quello di Giorgio Napolitano...


Incoerenze di un caso politico

di Giuseppe D'Avanzo - La Repubblica - 14 Maggio 2009

Repubblica ha chiesto, nei giorni scorsi, di rivolgere al presidente del Consiglio dieci domande sulle incoerenze e le omissioni di una storia che molti definiscono “di Veronica” o “di Noemi” e nessuno azzarda a definire per quel che è o appare: un “caso Berlusconi”. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta, lunedì, ha chiesto due giorni per dare una risposta. Quella risposta non è arrivata. Per non dissimulare, come vuole il nuovo conformismo dell’informazione italiana, ciò che dovrebbe essere chiarito, pubblichiamo oggi le domande che avremmo voluto rivolgere al premier e le contraddizioni che abbiamo ritenuto di riscontrare tra le sue dichiarazioni e quelle degli altri protagonisti della vicenda.

Silvio Berlusconi ha detto: «Credo che chi è incaricato di una funzione pubblica, come il presidente del Consiglio, possa accettare la continuazione di un rapporto [con la sua consorte, Veronica Lario] soltanto se si chiarisce chi ha provocato questa situazione». (Porta a Porta, 5 maggio 2009).

Repubblica concorda con Silvio Berlusconi. E’ evidente che, nonostante il frastuono mediatico di queste ore, non si discute di un divorzio o di una separazione, affare privato di due coniugi. Come ha chiaro il premier, la questione interroga i comportamenti di «un incaricato di una funzione pubblica». In quanto tali, quei comportamenti sono sempre di pubblico interesse e non possono essere circoscritti a un ambito familiare. D’altronde, la signora Veronica Lario, nelle sue dichiarazioni del 29 aprile e del 3 maggio, offre all’attenzione dell’opinione pubblica due certezze personali e una domanda.

Le due certezze descrivono, tra il pubblico e il privato, i comportamenti del presidente del Consiglio: «Mio marito frequenta minorenni»; «Mio marito non sta bene».

La domanda, posta dalla signora all’opinione pubblica e a chi in vario modo la rappresenta, è invece tutta politica e chiama in causa le pratiche del «potere», il suo modo di essere, che si degrada e si avvilisce pericolosamente quando a rappresentare la sovranità popolare vengono chiamate “veline” senza altro merito che un bell’aspetto e la prossimità al premier.

Ha detto la signora Lario: «Quello che emerge oggi, attraverso il paravento delle curve e della bellezza femminile, è la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte le donne (...). Qualcuno ha scritto che tutto questo è a sostegno del divertimento dell’imperatore. Condivido, quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore». (Ansa, 28 aprile, 22:31)

Silvio Berlusconi ha replicato, a caldo, evocando un complotto «della sinistra e della sua stampa che non riescono ad accettare la mia popolarità al 75 per cento (…) Tutto falso, nato dalla trappola in cui anche mia moglie purtroppo è caduta. Le veline sono inesistenti. Un’assoluta falsità». (Porta a porta, 5 maggio)

E’ il primo ingombro che bisogna verificare. Questa storia è soltanto una trappola bene organizzata? E' vero, se di complotto si tratta, che nasconde la mano della sinistra e della «sua stampa»?

Tre evidenze lo escludono.
Il primo quotidiano che dà conto della candidatura di una “velina” alle elezioni europee è il Giornale della famiglia Berlusconi. Il 31 marzo, a pagina 12, nella rubrica Indiscreto a Palazzo si legge che «Barbara Matera punta a un seggio europeo». «Soubrette, già “Letterata” del Chiambretti c’è, poi “Letteronza” della Gialappa’s, quindi annunciatrice Rai e attrice della fiction Carabinieri», la Matera, scrive il Giornale, «ha voluto smentire i luoghi comuni sui giovani che non si applicano e non si impegnano. “Dicono che i ragazzi perdino tempo. Non è vero: io per esempio studio molto”». «E si vede», commenta il giornale di casa Berlusconi.

Il secondo giornale che svela «la carta segreta che il Cavaliere è pronto a giocare» è Libero, il 22 aprile. Notizia e foto di prima pagina con «Angela Sozio, la rossa del Grande Fratello e le gemelle De Vivo dell’Isola dei famosi, possibili candidate alle elezioni europee». A pagina 12, le rivelazioni: «Gesto da Cavaliere. Le veline azzurre candidate in pectore» è il titolo. «Silvio porta a Strasburgo una truppa di showgirl» è il sommario.

Per Libero le «showgirl», che dovranno superare un colloquio, sono 21 (in lista i candidati a un seggio di Bruxelles, come si sa, sono 72). I nomi che si leggono nella cronaca sono: Angela Sozio, Elisa Alloro, Emanuela Romano, Rachele Restivo, Eleonora Gaggioli, Camilla Ferranti, Barbara Matera, Ginevra Crescenzi, Antonia Ruggiero, Lara Comi, Adriana Verdirosi, Cristina Ravot, Giovanna Del Giudice, Chiara Sgarbossa, Silvia Travaini, Assunta Petron, Letizia Cioffi, Albertina Carraro. Eleonora e Imma De Vivo e «una misteriosa signorina» lituana, Giada Martirosianaite.

Difficile sostenere che Il Giornale e Libero siano fogli di sinistra. Come è arduo credere che la Fondazione farefuturo, presieduta da Gianfranco Fini, sia un pensatoio vicino al partito democratico. Il think tank, diretto dal professor Alessandro Campi, vuole «far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione». Coerentemente critica l’uso di «uno stereotipo femminile mortificante» e con un’analisi della politologa Sofia Ventura avverte che «il “velinismo” non serve». Nell’articolo si legge: «Assistiamo a una dirigenza di partito che fa uso dei bei volti e dei bei corpi di persone che con la politica non hanno molto da fare, allo scopo di proiettare una (falsa) immagine di freschezza e rinnovamento. Questo uso strumentale del corpo femminile, al quale naturalmente le protagoniste si prestano con disinvoltura, denota uno scarso rispetto, da un lato, per quanti, uomini e donne, hanno conquistato uno spazio con le proprie capacità e il proprio lavoro; dall’altro, per le istituzioni e per la sovranità popolare che le legittima».

Sofia Ventura conclude: «Le donne non sono gingilli da utilizzare come specchietti per le allodole, non sono nemmeno fragili esserini bisognosi di protezione e promozione da parte di generosi e paterni signori maschi. Le donne sono, banalmente, persone. Vorremmo che chi ha importanti responsabilità politiche qualche volta lo ricordasse».

Quando la signora Lario prende (buonultima) la parola per censurare il “velinismo” - e «il ciarpame senza pudore» del potere - non si muove nel vuoto, ma su un terreno già smosso dalle rivelazioni dei giornali vicini al premier e dalle analisi critiche di intellettuali prossimi alla maggioranza di governo.

Questo “caso” non ha inizio con un intrigo, come protesta Berlusconi, ma trova la sua trasparente ragione nella preoccupazione di ambienti della destra per un «impoverimento della qualità democratica di un paese» (ancora la Ventura).

Rimosso il presunto «complotto», resta il “caso” politico, dunque. Un “caso” che diventa anche familiare, quando Veronica Lario scopre che Silvio Berlusconi ha partecipato a Napoli alla festa di compleanno di una diciottenne (Repubblica, 28 aprile). E ancora una volta politico quando la signora, annunciando la sua volontà di divorziare, denuncia pubblicamente i comportamenti di un marito che, «incaricato di una pubblica funzione», «frequenta minorenni», prigioniero com’è di un disagio che minaccia il suo equilibrio psicofisico.

Il presidente del Consiglio ha replicato ai rilievi della signora Lario con due interviste alla carta stampata (Corriere della Sera e la Stampa, 4 maggio) e con un lungo monologo a Porta a Porta (5 maggio).

In queste tre sortite pubbliche, la ricostruzione degli avvenimenti di cui si discute (la candidatura di giovani donne selezionate per la loro bellezza e amicizia con il premier; il suo affetto per Noemi Letizia, maggiorenne il 26 aprile; la partecipazione alla festa di compleanno; il lungo sodalizio amicale con la famiglia Letizia) ha avuto, da parte di Berlusconi, una parola definitiva, ma o contraddittoria o omissiva.

Berlusconi nega di aver mai avuto intenzione di candidare «soubrette». «Non avevamo messo in lista nessuna “velina”» (Corriere, 4 maggio) Noemi lo chiama «papi». Perché? A chi glielo chiede, replica: «E’ uno scherzo, mi volevano dare del nonno, meglio mi chiamino papi. Non crede?» (Corriere, 4 maggio). Berlusconi è più preciso con la Stampa (4 maggio): «Io frequenterei, come ha detto la signora [Lario], delle diciassettenni. E’ una cosa che non posso sopportare. Io sono amico del padre punto e basta. Lo giuro!»

E’ la stessa versione offerta a France2 (6maggio). Quando il presidente del Consiglio spiega le circostanze della frequentazione con Noemi Letizia – si tratta di un’antica amicizia di natura politica con il padre, dice – il giornalista lo interrompe per chiedere: «…dunque [Noemi] non è una ragazza che lei conosceva personalmente?».
Berlusconi risponde: «No, ho avuto l’occasione di conoscerla con i suoi genitori. Questo è tutto».

La versione di Berlusconi è contraddetta in tutti i suoi elementi dalle interviste che Noemi Letizia concede.
Noemi così ricostruisce il suo legame affettivo con il presidente del Consiglio: «Mi vuole bene come a un figlia. E anch’io, noi tutti gli siamo molto legati». (Repubblica, 29 aprile)

Al Corriere del Mezzogiorno, il 28 aprile, consegna dettagli chiave.
«[Berlusconi, papi] mi ha allevata (…) E’ un amico di famiglia. Dei miei genitori (…) non mi ha fatto mai mancare le sue attenzioni. Un anno [per il mio compleanno], ricordo, mi ha regalato un diamantino. Un’altra volta, una collanina. Insomma, ogni volta mi riempie di attenzioni. (…) Lo adoro. Gli faccio compagnia. Lui mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero e io lo raggiungo. Resto ad ascoltarlo. Ed è questo che desidera da me. Poi, cantiamo assieme. (…) Quando vado da lui ha sempre la scrivania sommersa dalle carte. Dice che vorrebbe mettersi su una barca e dedicarsi alla lettura. Talvolta è deluso dal fatto che viene giudicato male, gli spiego che chi lo giudica male non guarda al di là del proprio naso. Nessuno può immaginare quanto papi sia sensibile. Pensi che gli sono stata vicinissima quando è morta, di recente, la sorella Maria Antonietta. Gli dicevo che soltanto io potevo capire il suo dolore. (…) [Da grande vorrò fare] la showgirl. Mi interessa anche la politica. Sono pronta a cogliere qualunque opportunità. (…) Preferisco candidarmi alla Camera, al parlamento. Ci penserà papi Silvio».

Nel racconto di Noemi c’è la narrazione di un rapporto diretto, intenso con il presidente del Consiglio. Che le fa tre regali per il 16°, 17° e 18° compleanno. Quindi, si può concludere, Berlusconi ha conosciuto Noemi quindicenne. Nel loro rapporto non c’è alcun ruolo o presenza dei genitori. Noemi non vi fa alcun riferimento e non è corretta dalla madre, presente al colloquio con Angelo Agrippa del Corriere del Mezzogiorno. Berlusconi ha tentato di ridimensionare il legame con la minorenne: «Ho incontrato la ragazza due o tre volte, non ricordo, e sempre alla presenza dei genitori». I genitori non hanno ancora confermato le parole del premier.

Durante l’incontro con il giornalista, la signora Anna Palumbo - madre di Noemi - interviene soltanto per specificare le circostanze in cui Berlusconi ha conosciuto suo marito, Benedetto “Elio” Letizia. Dice: «[Berlusconi] ha conosciuto mio marito ai tempi del partito socialista. Ma non possiamo dire di più».

Noemi non è così evasiva quando affronta una delle questioni decisive per questa storia. E’ addirittura esplicita. Ella ritiene di poter ottenere da Berlusconi l’opportunità di fare spettacolo o, in alternativa, di essere eletta in parlamento. Televisione o scranno a Montecitorio. Le aspettative di Noemi, sollecitate dalle attenzioni (o promesse) di Berlusconi, sono in linea con le riflessioni critiche di farefuturo, il think tank di Gianfranco Fini («Le donne non sono gingilli») e della signora Lario («Ciarpame senza pudore»).

Quando e dove e come si sono conosciuti Berlusconi e Benedetto Letizia è un altro enigma di questa storia che raccoglie versioni successive e contraddittorie.

A Varsavia Berlusconi dice: «[Benedetto] lo conosco da anni, è un vecchio socialista ed era l’autista di Craxi». (Ansa, 29 aprile, 16:34)
Quando la circostanza è subito negata da Bobo Craxi («Cado dalle nuvole. L’autista di mio padre si chiamava Nicola, era veneto, ed è morto da qualche anno», Ansa, 29 aprile, 16:57), Palazzo Chigi con un imbarazzato ritardo di venti ore, smentisce a sua volta: «Si rileva che il presidente Berlusconi non ha mai detto che il signor Letizia fosse autista dell’on. Bettino Craxi» (Ansa, 30 aprile, 12:30).

Dal suo canto, Letizia non vuole ricordare in pubblico come e dove e quando ha conosciuto Berlusconi. Chi lo interroga raccoglie soltanto parole vuote. «Volete sapere come ho conosciuto Berlusconi? Va bene, ve lo dico, però allora vi racconto anche come ho conosciuto tutte le persone che conosco…». (Corriere, 10 maggio)

In qualche altra occasione, il rifiuto di Letizia a raccontare il primo incontro con il futuro premier è ancora più categorico:
«Non ho alcuna intenzione di farlo» (Oggi, in edicola il 6 maggio)

Anche Noemi non ha voglia di offrire rievocazioni: «Non ricordo i particolari [di come è nato il contatto familiare], queste cose ai miei genitori non le ho chieste. Non è che si siano incrociati sul lavoro: mio padre è un dipendente comunale...». (Repubblica, 29 aprile)

Un ricordo vivo del primo incontro tra Berlusconi e Letizia sembra averlo Arcangelo Martino, un ex assessore socialista al comune di Napoli, oggi vicino al partito del presidente del Consiglio. «Fra il 1987 e il 1993 sono stato grande amico di Bettino Craxi. Tutti i mercoledì andavo a trovarlo a Roma all’hotel Raphael, una consuetudine. Mi accompagnava sempre qualcuno del mio staff e quel qualcuno era quasi sempre Elio Letizia (…) Parecchie volte è capitato che al Raphael ci fosse Silvio Berlusconi. E’ lì che ho presentato i due che poi hanno fatto amicizia». (Corriere della sera, 10 maggio).

Il ricordo di Arcangelo Martino è sconfessato con nettezza ancora una volta da Bobo Craxi. «Escludo categoricamente che il signor Letizia fosse un habitué dell’hotel Raphael (…) Lo stesso Martino credo che sia passato qualche volta a salutare mio padre». (Repubblica, 11 maggio)

Chiara anche la smentita di uomini che furono accanto al leader socialista: Gianni De Michelis («Mai sentito nominare Letizia»); Gennaro Acquaviva («Mai sentito nominare Letizia, neanche dai napoletani»); Giulio Di Donato («Questo signor Letizia, nel panorama napoletano e campano dei socialisti, non esisteva, a mia memoria»). Ancora più efficace la contestazione di Stefano Caldoro: «Proprio nei primi anni novanta, abitavo al Raphael tutte le volte che mi fermavo a Roma. Si scherzava sulla intraprendenza di Martino (…) ma escludo categoricamente di aver mai visto e sentito che questo Letizia venisse presentato a Craxi. Perché mai l’avrebbero dovuto presentare? Non era un dirigente, non era un esponente del sociale, non era un militante» (Ancora Repubblica, 11 maggio 2009).

L’occasione dell’incontro tra Berlusconi e Letizia è ancora da chiarire. Come i tempi della decisione del presidente del Consiglio di partecipare alla festa di compleanno di Noemi. Al Corriere della sera, 4 maggio, così Berlusconi ha spiegato la sua presenza a Napoli: «Racconto come è andata veramente. Quel giorno mi telefona il padre, un mio amico da tanti anni. E quando sa che in serata sarei stato a Napoli, per controllare lo stato di avanzamento del progetto per il termovalorizzatore, insiste perché passi almeno un attimo al compleanno della figlia. La casa è vicina all’aeroporto. Non molla. Io non so dir di no. Eravamo in anticipo di un’ora e ci sono andato. Nulla di strano, è accaduto altre volte per compleanni e matrimoni».

Berlusconi, dunque, partecipa alla festa per un atto di affetto nei confronti di Elio Letizia. Non si parla di Noemi né di altra necessità politica o urgenza di altra natura. Diversa la versione offerta, lo stesso giorno (4 maggio) alla Stampa: «Suo padre, che conoscevo da tempo, mi ha telefonato per chiedermi se lasciavo fuori Martusciello (Flavio, consigliere regionale del PdL) dalle liste per le Europee, io gli ho spiegato che avrei cercato di mettere sia l’ex-questore Malvano (Franco, già candidato a sindaco di Napoli) sia Martusciello e che stavo arrivando a Napoli per dare una spinta ai contratti per i nuovi termovalorizzatori che sono frenati dalla burocrazia. A quel punto lui mi ha interrotto e mi ha detto: “Stavi venendo a Napoli? Io stasera festeggio il diciottesimo compleanno di Noemi, perché non vieni con un brindisi, lo facciamo in un locale poco distante dall’aeroporto. Ti prego vieni sarebbe il più bel regalo della mia vita”. Così ci sono andato…».

Berlusconi aggiunge qualche dettaglio in più nel solco di questa versione, il 5 maggio, durante Porta a Porta: «Ero al salone del Mobile della Fiera di Rho, imbarazzato per i cori “Meno male che Silvio c’e”, “Magico” e il capitano dell’elicottero mi ha detto che era in arrivo entro mezz’ora un temporale che ci avrebbe costretto ad andare in macchina a Linate. Per questo siamo partiti in anticipo e [visto il tempo a disposizione, prima di] una riunione politica che avevo in serata [con il ristorante a soli tre minuti dall’aeroporto] sono entrato…»

Anche questa ricostruzione trova delle evidenze che la contraddicono. Berlusconi giunge a Napoli con un regalo per Noemi, «cerchi concentrici in oro rosa arricchiti da una cascata di diamanti bianchi montati su oro bianco, 6mila euro, il ciondolo è anche nella collezione di Sophia Loren» (Gente, 19 maggio). Si è molto discusso di questa circostanza che, al contrario, non pare molto significativa: il presidente potrebbe aver a bordo del suo aereo dei cadeaux da distribuire secondo necessità.

Più interessante è che l’aereo di Berlusconi giunga a Napoli con un’ora di anticipo rispetto all’inizio della festa e il presidente attenda nell’aeromobile per un’ora prima di muoversi ed entrare «cinque minuti dopo l’arrivo in sala di Noemi» (Annozero, 7 maggio). Secondo la testimonianza di un fotografo, ingaggiato dal patron del ristorante “Villa Santa Chiara”, si sapeva da sabato 25 aprile dell’arrivo del premier e, in ogni caso, la “bonifica” della sala da parte della polizia è stata predisposta già nella mattinata, «alle 15», per alcune fonti del Dipartimento di sicurezza. (Repubblica, 9 maggio).

Sembra di poter dire che non c’è stato alcun cambio di programma a Rho nel tardo pomeriggio di domenica 26 aprile. La partecipazione alla festa di Noemi era già nell’agenda del presidente da giorni, come dimostrano la “bonifica”, l’attesa in aereo, l’arrivo nel ristorante subito quasi contestualmente all’ingresso della diciottenne come per un copione precedentemente preparato.

C’è un’ultima contraddizione da sciogliere. La scelta o indicazione delle “veline” da candidare è stata opera di Berlusconi? A Porta a Porta, 5 maggio, il presidente del Consiglio sostiene di non aver messo becco nella candidature europee: «Le candidature per le Europee non sono state gestite direttamente dal premier. Ad occuparsene sono stati i tre coordinatori del PdL Bondi, La Russa e Verdini che “da migliaia di segnalazioni sono giunti a 500 schede” per individuare i 72 candidati si sono orientati secondo le indicazioni del congresso, spazio ai giovani e alla donne. Tra questi candidati nessuna è qualificabile come velina» (resoconto delle parole del premier a Porta a porta, 5 maggio, tratto dal Giornale, 6 maggio). Berlusconi ammette però di avere discusso con Elio Letizia (non è un dirigente del PdL né, che si sappia, un iscritto al partito) le candidature di Malvano e Martusciello e per farlo lo raggiunge addirittura a Napoli alla festa di sua figlia. La circostanza appare contraddittoria e, senza altre spiegazioni, inverosimile.

Il rosario di incoerenze che si incardina sulla questione politica posta da farefuturo e dalla signora Lario (come Berlusconi seleziona le classi dirigenti) sollecita di rivolgere a Berlusconi dieci domande:

1. Quando e come Berlusconi ha conosciuto il padre di Noemi Letizia, Elio?

2. Nel corso di questa amicizia, che il premier dice «lunga», quante volte si sono incontrati e dove e in quale occasioni?

3. Ogni amicizia ha una sua ragione, che matura soprattutto nel tempo e in questo caso – come ammette anche Berlusconi – il tempo non è mancato. Come il capo del governo descriverebbe le ragioni della sua amicizia con Benedetto Letizia?

4. Naturalmente il presidente del Consiglio discute le candidature del suo partito con chi vuole e quando vuole. Ma è stato lo stesso Berlusconi a dire che non si è occupato direttamente della selezione dei candidati, perché farlo allora con Letizia, peraltro non iscritto né militante né dirigente del suo partito né cittadino particolarmente influente nella società meridionale?

5. Quando Berlusconi ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia?

6. Quante volte Berlusconi ha avuto modo di incontrare Noemi e dove?

7. Berlusconi si occupa dell’istruzione, della vita e del futuro di Noemi. Sostiene finanziariamente la sua famiglia?

8. E’ vero, come sostiene Noemi, che Berlusconi ha promesso o le ha lasciato credere di poter favorire la sua carriera nello spettacolo o, in alternativa, l’accesso alla scena politica e questo «uso strumentale del corpo femminile», per il premier, non «impoverisce la qualità democratica di un paese» come gli rimproverano personalità e istituzioni culturali vicine al suo partito?

9. Veronica Lario ha detto che il marito «frequenta minorenni». Al di là di Noemi, ci sono altre minorenni che il premier incontra o «alleva», per usare senza ironia un’espressione della ragazza di Napoli?

10. Veronica Lario ha detto: «Ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. E’ stato tutto inutile». Geriatri (come il professor Gianfranco Salvioli, dell’Università di Modena) ritengono che i comportamenti ossessivi nei confronti del sesso, censurati da Veronica Lario, potrebbero essere l’esito di «una degenerazione psicopatologica di tratti narcisistici della personalità». Quali sono le condizioni di salute del presidente del Consiglio?


"Informare è una missione, premier indifendibile se mente"

di Enrico Franceschini - La Repubblica - 15 Maggio 2009

Londra - "Porre domande a un leader politico, per un giornale, è non solo legittimo ma parte della missione di informare. E la distinzione tra vita pubblica e vita privata, nel caso Berlusconi, non si può fare, è stato lui per primo a fondere le due cose". Bill Emmott, dal 1993 al 2006 direttore dell'Economist, il settimanale britannico che sotto la sua guida ha raddoppiato la tiratura fino a oltre un milione di copie e si è trasformato nel primo periodico globale del mondo, conosce bene Silvio Berlusconi.

L'Economist di Emmott gli dedicò una famosa copertina, in cui lo definiva "unfit to govern", indegno di governare, a causa del conflitto d'interessi rappresentato dal suo impero mediatico e dei suoi numerosi problemi con la giustizia. Il premier italiano rispose definendo Emmott un comunista: sebbene del comunista, l'autorevole giornalista inglese, abbia soltanto una barbetta da Lenin. Adesso fa il columnist per il Guardian e scrivere libri best-seller: a proposito, rivela in questa intervista a Repubblica, il prossimo "sarà sull'Italia".

Bill Emmott, dov'è il confine tra pubblico e privato, nell'informare sull'attività di un leader politico?
"La mia opinione è che il comportamento pubblico di un leader sia definibile dal suo ruolo di governo, dalle sue responsabilità, dalla consistenza delle sue azioni. Ritengo però che, quando sei un primo ministro che si atteggia a simbolo della nazione, come Berlusconi ha fatto fin dall'inizio della sua discesa in campo, con il suo presentare la sua vita come la 'Storia di un italiano', il confine tra pubblico e privato si confonde. Il privato non è più una faccenda riservata, quando lo usi per ottenere la tua affermazione pubblica. Berlusconi stesso ha incoraggiato i media a giudicarlo anche sotto la lente della sua vita privata".

Il nostro giornale ha inoltrato all'ufficio del presidente del Consiglio dieci domande per fare chiarezza sulle contraddittorie dichiarazioni riguardo ai rapporti con la 18enne Noemi Letizia, con il padre della ragazza e alle parole usate da Veronica Lario nel chiedere il divorzio. Palazzo Chigi definisce le nostre domande una "campagna denigratoria". E' appropriato o meno, secondo lei, porre domande simili su una questione come questa?
"Assolutamente appropriato. Di più: è parte dei doveri di un giornale, della missione di informare l'opinione pubblica. E' legittimo voler sapere che cosa lega il primo ministro a quella ragazza che ha appena compiuto 18 anni. Anche a me piacerebbe sapere la verità. E mi piacerebbe che la Chiesa ponesse a Berlusconi domande analoghe".

Che lezione dovrebbe averci insegnato la vicenda di Bill Clinton e Monica Lewinski?
"Che i rapporti sessuali tra il presidente e la stagista erano affari loro, una faccenda privata tra due adulti consenzienti, ma il modo in cui il presidente li raccontava poteva costringerlo a dimettersi. Quando ero direttore dell'Economist, scrivemmo un editoriale in cui ci schieravamo per le dimissioni di Clinton. Non perché fossimo dei bacchettoni. Bensì perché era chiaro che il presidente aveva mentito, ripetutamente, parlando in televisione dei suoi rapporti con Monica e poi sotto giuramento in una corte di giustizia. Mentire alla nazione, sia pure su una vicenda privata, era a nostro avviso imperdonabile".

E lo stesso principio si può applicare a Berlusconi?
"Per me sì. Non importa cosa c'è tra lui e la ragazza, tra lui e deputate o ministre che potrebbero avere ricevuto l'incarico come un premio: se anche così fosse, era uno scambio volontario tra adulti, anche se personalmente lo trovo disgustoso. Ma se il premier mente a proposito di quello scambio, e la sua menzogna viene provata, allora la sua colpa importa eccome e la ritengo indifendibile".

Alcuni, in Italia, risponderebbero che un uomo che mente su un rapporto con una donna è sempre perdonabile.
"Ecco, se c'è una cosa che uno straniero fa fatica a capire dell'Italia è questa: il modo in cui Berlusconi può dire quello che vuole e nessuno si scandalizza. Per esempio, ormai sembra provato che ha mentito sul modo in cui ha conosciuto il padre di Noemi. Quell'uomo non è mai stato l'autista di Craxi, come ha detto Berlusconi. In un altro paese, basterebbe questo a suscitare una riprovazione generale. Da voi no. Non lo capisco".


Una risposta al premier
di Ezio Mauro - La Repubblica - 15 Maggio 2009

È molto facile rispondere alle parole di Silvio Berlusconi pronunciate ieri contro "Repubblica", che nell'inchiesta-documento di Giuseppe D'Avanzo gli aveva rivolto dieci domande per chiarire gli aspetti più controversi del caso politico nato attorno alle candidature delle veline nelle liste Pdl, alla denuncia di "ciarpame politico" di Veronica Lario, alla festa di compleanno della giovane Noemi alla presenza del Premier, nel ruolo indiscusso di "Papi". Molto più difficile, per il Cavaliere, rispondere alle domande del nostro giornale. Anzi, impossibile. Berlusconi non sa rispondere, davanti alla pubblica opinione, perché con ogni evidenza non può. Ciò che ha detto su questa storia, nei lunghi monologhi mai interrotti da una vera richiesta di chiarimento, cozza fragorosamente con ciò che hanno raccontato gli altri protagonisti, e soprattutto con quel che la moglie sa e ha denunciato. Meglio dunque tacere, rifiutare la verità, la trasparenza e il confronto, il che per un uomo pubblico equivale alla fuga. Una fuga accompagnata ovviamente da insulti per il nostro giornale, perché il rumore (domani amplificato dai manganelli di carta al suo servizio) copra il vuoto, la mancanza di coraggio e la scelta necessitata dell'ambiguità.

Ma l'uomo in fuga è il Presidente del Consiglio. Dunque questa incapacità o impossibilità di fare chiarezza, cercando la verità, è immediatamente un fatto politico, un handicap della leadership, una macchia istituzionale qualsiasi cosa nasconda, fosse anche soltanto l'incapacità di accettare un contraddittorio sui lati che restano poco chiari di una vicenda che ha fatto il giro dei giornali e dei siti di tutto il mondo. Una storia nella quale l'unica cosa che non c'entra proprio nulla è la privacy.

Berlusconi è infatti l'uomo che ha unito pubblico e privato fino a confonderli, con la sua biografia trasformata in programma elettorale per gli italiani e spedita nelle case di 50 milioni di elettori all'inizio della sua avventura politica: mentre oggi, quindici anni dopo, continua a vendere sul rotocalco di famiglia gli ex voto elettorali della sua infanzia aureolati nella patina reale del fotoromanzo, con l'immagine adolescente della Prima Comunione poche pagine prima del brindisi anziano di Casoria.

Le domande di "Repubblica" volevano appunto bucare questa nuvola nazional-popolare dove si sta cercando di trasportare nottetempo il caso Berlusconi, lontano dalla responsabilità istituzionale e politica di dire il vero agli italiani. Nascevano semplicemente, come abbiamo detto a Palazzo Chigi proponendo un confronto diretto col Premier, dalla constatazione che a due settimane dall'inizio della vicenda troppe cose rimanevano da spiegare, anche perché nessuna vera richiesta di chiarimento era stata rivolta al Cavaliere, e la sede televisiva del "rendiconto" - quella del suo personale notaio a "Porta a Porta" - si era in realtà rivelata la sede di un lungo monologo: per accusare la moglie ed esigerne le scuse, invece di rispondere alla sua denuncia (la politica che seleziona veline diventa "ciarpame senza pudore", "mio marito frequenta minorenni", "mio marito non sta bene, ho implorato coloro che gli stanno accanto di aiutarlo") rovesciando la realtà davanti agli italiani.

Questa mancanza di chiarezza e di confronto, con domande precise e risposte nette, ha ingarbugliato le cose. Tra il racconto del Premier e i racconti degli altri protagonisti di questa vicenda si sono allargate incongruenze evidenti, pubbliche, inseguite da spiegazioni postume che aprivano nuovi fronti controversi e dunque suscitavano altre domande. In tutto il mondo civile, dove esiste una pubblica opinione e la funzione autonoma della stampa, le contraddizioni del potere e la mancanza di chiarezza sono lo spazio naturale del giornalismo, del suo lavoro d'inchiesta, del suo sforzo documentale e infine delle sue domande.

Questo abbiamo provato a fare, senza dare giudizi e senza una tesi finale da dimostrare. Ci interessa il percorso tra le contraddizioni di un uomo pubblico in una vicenda pubblica, mettendo a confronto versioni e racconti che vanno tra loro in dissonanza, per domandare infine al protagonista di spiegare perché, proponendo la sua verità dei fatti.

Oggi dobbiamo prendere atto che il Presidente del Consiglio, invece di rispondere alle domande, scappa dalle vere questioni aperte che chiamano in causa la sua credibilità, e lo fa insultando, cioè cercando di parlar d'altro. "Invidia e odio", a suo parere, sono i motivi della "campagna denigratoria che "Repubblica" e il suo editore stanno conducendo da giorni" contro il Presidente. Che c'entra l'editore con l'inchiesta di un giornale? Non esistono scelte autonome da parte di un quotidiano nella cultura proprietaria del Premier? Cosa bisogna dunque pensare delle domande che proprio ieri il "Giornale" berlusconiano rivolgeva in prima pagina a Di Pietro? E soprattutto, cosa c'entrano con un'inchiesta giornalistica i sentimenti dell'odio e dell'invidia? Può il Cavaliere concepire, per una volta, che si possa indagare sui suoi atti e persino criticarli senza odiarlo, ma semplicemente giudicandolo? Può rassegnarsi a pensare che esiste ancora qualcuno, persino in questo Paese, che non lo invidia affatto, né a Roma né ad Arcore né a Casoria? Può infine ammettere che dieci domande non costituiscono una denigrazione, soprattutto se le si può spazzare via dal tavolo con la semplice forza della verità?

Il Cavaliere denuncia infine che "attacchi di così basso livello" giungano in prossimità del voto europeo: ma i tempi e soprattutto il livello di questa vicenda non li abbiamo scelti noi, nemmeno la location di Casoria, le luci delle fotografie festose e i comprimari, i monili, la favola bella dei genitori che si baciano in esclusiva per "Chi", la ragazza incolpevole di tutto ma soprattutto sicura che approderà negli show televisivi o in Parlamento, l'uno o l'altro intercambiabili, l'importante è sapere che "deciderà Papi". Non abbiamo deciso noi che tutto questo valesse prima la critica della Fondazione "Farefuturo" di Fini e poi lo strappo di un divorzio pubblico come l'offesa ricevuta, dunque politico come tutto ciò che accade al Cavaliere: da parte di una moglie che il grande rotocalco con cui si impagina oggi l'Italia dipinge come incapace di autonomia, fragile e sola, dunque preda di suggeritori mediatici e politici, unica spiegazione che ripristini la sacralità mistica del carisma intaccato dall'interno, quando una donna ha deciso (prima e unica, in un quindicennio) di rompere il cerchio magico dell'intangibilità sciamanica del Capo.

Per il Cavaliere, chi lo critica non può avere autonomia. Per lui, l'adesione è amore e fede, dunque la critica è tradimento e follia, le domande - non essendo contemplate e per la verità neppure molto praticate, nel conformismo del 2009 - diventano "odio e follia", in un discorso pubblico fatto di vibrazioni, dove tutto è emotivo.

Che cosa concludere? La storia che ha fatto il giro del mondo resta tutta da chiarire, perché il Presidente del Consiglio sa solo minacciare, ma non può spiegare. Dunque continueremo a fare domande, come fossimo in un Paese normale, per quei cittadini che chiedono di sapere perché vogliono capire, rifiutando di entrare nel grande fotoromanzo italiano che sta ingoiando quel che resta della politica.

Il Principe scopante

di Giulietto Chiesa - Megachip - 7 Maggio 2009

Due noterelle dopo l’indimenticabile show del Cavaliere.

Prima noterella. Riguarda i quattro, si fa per dire, giornalisti colà assisi, pensosi, compunti. Si chiamano, nell’ordine Vespa, De Bortoli, Napoletano, Sansonetti.

Una sfilata, seduta, di tappetini, pieni di rispetto. Anche loro non solo non fanno la seconda domanda (in Italia nessuno sa più cos’è la seconda domanda), ma neanche la prima. E, prima di dire quel poco che hanno il coraggio di dire, si scusano. Una commedia esilarante. Più comici loro dello stesso Cavaliere.

Solo che quest’ultimo, con la sua tracotante, pantagruelica comicità, vince e stravince. Loro invece sono comici senza profitto. Salvo quello di salvarsi il didietro. Perché è esattamente quello che - lo si è visto con totale evidenza - esattamente cercavano di salvare.

Da cui: domande senza senso (in questo eccelleva Napoletano). Domande inoffensive (un De Bortoli decisamente infelice, e lo si capisce, perché quasi due ore sotto la gragnuola di balle premierali, e di rodomontate sesquipedali non devono essere state piacevoli). Domande telefonate (Vespa è insuperabile e, per questo si trova dove si trova). Domande che vorrebbero essere sarcastiche, ma non si può fare del sarcasmo stando in ginocchio (Sansonetti).

Il padrone, comunque, ha una discreta tattica: li disinnesca tutti prima ancora di cominciare. Vespa è "il dottore" e non ha bisogno di essere disinnescato. Sembrava perfino felice di non essere stato chiamato, questa volta, "dottor Fede". Napoletano è un petardo di carnevale. De Bortoli viene assalito da un attacco tale di benevolenza preventiva (rispetto al veleno anti-Repubblica) che è costretto a dire - pensate un po’ alla grandezza giornalistica! - che se avesse avuto la notizia l’avrebbe pubblicata perfino lui. Sansonetti non riesce a terminare il pistolotto che si è preparato ("io sono il rappresentante dei gazzettieri di sinistra ....") che già si sente dire dal Padrone, "la stima che ho per lei .....". Ammazzato al primo colpo, bordata sorridente nei coglioni. Nel frattempo il "gazzettiere di sinistra" ha inferto un altro colpo alla sinistra.

Il resto è il trionfo del datore di lavoro. Che dice di sé di essere il migliore, amatissimo da tutti, efficiente, solidale, generoso, impareggiabile. Perfino il nipotino è un Pico della Mirandola. Quando si dice la fortuna.

Il Padrone, che conclude l’offensiva contro il nemico inesistente esaltando il mercato sociale, la cassa integrazione, il sistema pensionistico, insomma tutte le conquiste sociali degli ultimi cinquant’anni.

Esattamente quelle che sta cercando di demolire. Tutti zitti. Il "gazzettiere di sinistra" cerca timidamente di ricordargli che quello che il Padrone esalta è la storia della sinistra storica (quando ancora esisteva), ma stando in ginocchio è difficile anche muovere la lingua. Sullo sfondo De Bortoli sembra piangere.

Così l’Italia intera assiste alla demolizione, senza alcuna par condicio, di Veronica, l’eroina che ha sposato il Padrone e che prenderà la liquidazione. Poverina. Noi vorremmo riservare la nostra compassione per eroi e eroine di maggiore spessore.

Ma, non per umana pietà, bensì per elementare decenza, chiederemmo il diritto di replica: due ore per Veronica a Porta a Porta, con altri quattro giornalisti in ginocchio. L’Authority per le telecomunicazioni che ne dice? E che ne dice la fantàsima dell’Ordine dei Giornalisti?

Scherziamo s’intende. Scherziamo, è ovvio. Il Padrone ha guadagnato, ieri sera, un altro milione di voti. Ci vorrebbe Italo Calvino. Dopo "Il Visconte Dimezzato", "Il Barone Rampante", "Il Cavaliere Inesistente", abbiamo visto ieri sera "Il Principe Scopante".


Non può finire che così (prima parte)
di Carlo Bertani - carlobertani.blogspot.com - 12 Maggio 2009

Sinceramente, una campagna elettorale così scipita, priva di contenuti e con un esito scontato non l’avevamo mai vista. E c’è ancora qualcuno che si scalda per sondaggi e proposte.
Pare che tutto l’interesse sia centrato sul fenomeno del “velinismo”, sul divorzio del Capo del Governo, sulle ministre diventate tali per meriti “sul campo”. A nostro avviso, sarebbe più interessante analizzare metodi, contenuti e prassi del Governo e della classe politica, per comprendere che fine faremo. Poiché, quando le “veline” saranno nonne, i nostri figli saranno grandi e si porteranno appresso i frutti di questa stagione disperata.
Preferiamo, quindi, gettare lo sguardo un poco più in là, dove ci troveremo in tristi ambasce fra qualche anno. Per farlo, però, dovremo prima analizzare attentamente cosa bolle in pentola oggi: ecco la ragione dell’articolo scisso in due parti.

Partiamo da un personaggio appena scomparso: Gianni Baget Bozzo, a ragione definito “l’ideologo di Forza Italia” e, oggi, del PdL.

Spesso assegniamo al successo di Berlusconi la solita valenza mediatica, ossia d’aver conquistato l’Italia soltanto grazie alle sue televisioni. In parte è vero: i messaggi ed i valori propagati per anni non sono scivolati via come acqua sulla pietra, ma l’hanno scavata, al punto da modificare – e parecchio! – il costume e la cultura del popolo italiano. L’ho più volte ricordato in alcuni miei articoli(1), ma non è tutto qui.
Il movimento di Berlusconi non s’è nutrito soltanto di tette, culi e telequiz perché, in altre stanze, c’erano almeno due teste pensanti di quelle “fini”: il “diplomatico” Gianni Letta e l’ideologo, Gianni Baget Bozzo.
Il sacerdote, scomparso pochi giorni or sono, era un valente intellettuale conservatore – o, se preferite, reazionario – ma profondamente acculturato, acuto osservatore ed abile nel prevedere i frutti delle mosse politiche che suggeriva. A ragione, Berlusconi ha ammesso che per il suo partito s’è trattato di una grave perdita: lo crediamo bene, Baget Bozzo non era mica Schifani o Scajola!
Figlio della cultura conservatrice della Prima Repubblica – dalla destra DC al PSI di Craxi – può ben essere considerato il vero fondatore di Forza Italia. Ascoltiamolo in una sua dichiarazione(2) rilasciata non molto tempo fa:

“Il Popolo della Libertà sarà un partito nazional-popolare. Il movimento di Berlusconi è nato con un appello rivolto al popolo. Ma il popolo non colto. La sinistra ha il monopolio della cultura in Italia e il premier ha in mano il popolo povero contro quello grasso.”

La dichiarazione di Baget Bozzo è veritiera ad un tempo ma parzialmente errata per altri aspetti: non che l’astuto sacerdote savonese non lo sapesse, ma faceva parte del gioco farlo credere. Finezza democristiana.
E’ verissimo che la sinistra italiana è più radicata fra la popolazione colta, ma non è altrettanto vero che il PdL combatta il popolo “grasso”. E vediamo il perché.
Ci vengono in aiuto i molti rapporti che la Banca d’Italia redige(3) sulla distribuzione della ricchezza in Italia, dai quali si evince che la situazione nel Belpaese è fortemente squilibrata:

il 10% più ricco della popolazione possiede circa il 50% della ricchezza;
Il 50% più povero della popolazione possiede circa il 10% della ricchezza;
Il 40% mediano della popolazione possiede il restante 40%.

Il PIL italiano, per l’anno 2008(4), ammonta a 1535 miliardi di euro: ci rendiamo conto che il PIL non è che un indicatore – e non un parametro – ma, per ciò che andremo ad analizzare, basterà. Calcolando la ricchezza mediante il PIL, ed “incrociandola” con la precedente tabella, si giunge a questa situazione:

il 10% più ricco della popolazione possiede 767,5 miliardi di euro;
Il 50% più povero della popolazione possiede 153,5 miliardi di euro;
Il 40% mediano della popolazione possiede 614 miliardi di euro.

Da cui:

6 milioni d’italiani (ricchi) possiedono 767,5 miliardi di euro;
30 milioni d’italiani (poveri) possiedono 153,5 miliardi di euro;
24 milioni d’italiani (medi) possiedono 614 miliardi di euro.

Dunque:

Un italiano (ricco) ha a disposizione(5) 127.917 euro l’anno;
Un italiano (povero) ha a disposizione 5.117 euro l’anno;
Un italiano (medio) ha a disposizione 25.583 euro l’anno.

Considerando una famiglia media, composta da tre persone, nel 2008 la ricchezza (lorda) della quale hanno beneficiato è stata:

10% ricchi: 383.750 euro
50% poveri: 15.350 euro
40% medi: 76.750 euro

Per sperequazione della ricchezza, l’Italia occupa una delle prime posizioni: più “iniquo” di noi c’è soltanto il Messico, mentre siamo grosso modo al livello di Polonia e Stati Uniti, Paese che è noto per la forte concentrazione di reddito in poche mani. Le altre nazioni europee sono ben distanti da questi valori, come avevamo già chiarito in un precedente articolo(6).
Sarebbe stato più semplice proporre, da subito, il PIL pro capite, ma riteniamo che un’esposizione più dettagliata chiarifichi meglio ciò che andremo ad esporre.
Come si è giunti a questo scenario? E’ veritiero?

La concentrazione dei redditi è, per alcuni aspetti, strutturale del capitalismo: pensiamo alla transizione dal commercio “polverizzato” in tanti piccoli esercizi commerciali ai grandi ipermercati. E’ un fenomeno noto da decenni, chiamato da qualcuno (sinistra) “proletarizzazione dei ceti medi” oppure (destra) “crisi del ceto medio”: la sostanza non muta.
Riflettiamo che, questo scenario, è destinato nuovamente a modificarsi con il successivo passo: dal grande ipermercato reale a quello virtuale, ossia la vendita via Web, che potrà tornare a beneficiare il “piccolo”. Il “piccolo”, tramite E-bay, riuscirà ad insidiare il “grande”? Oppure il “grande” riuscirà, ancora una volta – con “apposite” leggi – a fregarlo? Staremo a vedere.
Nello scenario macroeconomico, la situazione è figlia delle “riforme” impostate da Reagan, poi dalla Thatcher ed applicate da tutti gli schieramenti, in Italia ed all’estero. Meditiamo su quanto di “sinistra” siano stati i governi Blair in Gran Bretagna ma, anche da noi, la cosiddetta “sinistra” non ha scherzato.

Prodi, partì con l’idea di spostare il prelievo fiscale dal lavoro alla rendita finanziaria, per poi non combinare nulla, perdere consensi per non aver indicato una soglia di tassazione e, infine, tassare maggiormente le auto più inquinanti (quelle vecchie, dei poveracci). “Riformò” poi la riforma Maroni sulle pensioni (61 anni d’età, 36 di contribuzione) con quella Damiano (62 anni d’età, 37 di contribuzione). Una serie di splendidi autogol alla propria base elettorale.
Il centro-destra, invece, si guarda bene dal colpire la propria base elettorale – che non è soltanto, come Baget Bozzo voleva far intendere, quella dei “non acculturati” – e lo mostra in tantissime occasioni.
Franceschini propone un prelievo fiscale per i redditi sopra i 100.000 euro da destinare alla ricostruzione dell’Abruzzo: il PdL risponde che “è sbagliato” perché saranno proprio le persone più abbienti, con i loro consumi, a trascinare il Paese fuori della crisi.
Si tratta, palesemente, di una balla colossale perché, chi ha a disposizione 100.000 euro l’anno – crisi o non crisi – non sta certo a speculare sul prezzo di una banana. Il pensionato al minimo sì, e non la compra.
Prova ne sia che, all’ultimo Salone della Nautica di Genova, il settore dei piccoli-medi natanti era in crisi, mentre quello delle “barche da sogno” correva a mille.

Respingendo la proposta di Franceschini, il PdL invia un messaggio chiaro: con noi, i vostri alti redditi non saranno toccati.
La serie continua con le “revisioni” degli studi di settore, sempre bonaria quando governa Berlusconi, con interventi a favore dell’edilizia (mai popolare) come i condoni o la recente legge, che è soltanto un condono ufficializzato e perenne.
Insomma, Berlusconi non bada a spese per proteggere i “suoi”, al punto che la ricostruzione dell’Abruzzo – con il fantastico decreto “Abracadabra”, nel quale i soldi saranno trovati con “nuove lotterie” – è destinata a durare fino al 2034. Quelli che “navigano” intorno ai sessant’anni, l’Aquila non la vedranno mai più.
E, attenzione, non batte ciglio sulla questione del Ponte sullo Stretto – da costruire in zona sismica, violentando due città con quattro piloni che avranno una cubatura paragonabile a quella delle Twin Tower – poiché non può esimersi dal mantenere le promesse fatte a suo tempo in Sicilia, dove controlla l’elettorato dell’intera isola.
Berlusconi – al contrario di quanto affermava Baget Bozzo – è attentissimo a non scontentare i propri elettori (e referenti, a scelta), soprattutto se “grassi”. Altro che cultura.

All’opposto, è abile nello scovare settori della società italiana a lui meno vicini ed a colpirli: uno degli esempi è la famosa questione dei “fannulloni”, creata ad arte da Brunetta.
Non torneremo sulla vicenda mediatica che ha permesso al governo d’imporre una vera e propria “tassa sulla malattia”, perché lo abbiamo già fatto in altri articoli. Sono interessanti, invece, il metodo ed i risultati.
Il metodo è palesemente anti-costituzionale, poiché discrimina i lavoratori rispetto all’art. 3 della Costituzione:

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Se la privazione di parte del salario fosse stata sancita da un accordo sindacale, non ci sarebbe nulla da discutere. Invece, è giunta con un provvedimento legislativo (DM 122, poi convertito in legge) e quindi si tratta di una legge dello Stato che discrimina un lavoratore da un altro: qualsiasi legge, non può sancire una tale disparità fra simili, perché cozza contro i principi costituzionali. Il vero problema, però, è che tutti hanno fatto orecchie da mercante, “opposizione” compresa.
Possibile che nessuno si sia accorto che, introducendo il concetto che i soli lavoratori pubblici debbano essere colpiti se malati, s’infrangeva la loro “dignità sociale”? Come può, un ministro, additare all’opinione pubblica un’intera categoria come “fannulloni”? Oltretutto, un ministro che – quando fu eletto al Parlamento Europeo – fu il più assenteista dei parlamentari italiani?
Vorremmo che tutti, compresi coloro che magari non provano molta simpatia per i dipendenti pubblici, riflettessero sul vulnus giuridico che – in completo silenzio! – è stato consumato: perché?
Poiché Brunetta – che non gode di soverchie simpatie da parte del “capo” – offrì, in cambio della nomina a ministro, corposi “risparmi” nella Pubblica Amministrazione, i frutti del furto. Anche chi è d’accordo con il piccolo ministro veneziano, rifletta: domani, potrebbe toccare ad altri.
Ma veniamo ai frutti.

I dipendenti pubblici, in Italia, sono circa 3.600.000(7). Quante sono, in media, le assenze per malattia per ciascun dipendente?
Sono 10,6 giorni l’anno, certificati dalla Ragioneria Generale dello Stato ed approvati dalla CISL, che non è certo un sindacato “bolscevico”.
Stiamo quindi parlando di circa 36.000.000 giorni/anno persi per malattia: quanto hanno fruttato al governo?
La decurtazione del salario avviene trattenendo, per ogni giornata di malattia, il salario accessorio: il quale, però, varia parecchio da un’amministrazione all’altra.
Basandomi sui dati che ho per la scuola e per alcune amministrazioni che conosco – e riducendo proprio al minimo il prelievo – potremmo ipotizzare una cifra intorno ai 10 euro/giorno, che è senz’altro errata per difetto.
Quanto fanno 36 milioni per 10? 360 milioni/anno, che in una legislatura “frutteranno” 1,8 miliardi di euro. Complimenti.
La boutade dei “fannulloni” fu soltanto un artifizio mediatico – sostenuto dai media del Presidente del Consiglio (e di Confindustria…) – che fu ottenuto sommando i giorni perduti per malattia con quelli di ferie!
E’ tutto nero su bianco nel documento in nota(8), redatto dalla CISL sui dati della Ragioneria Generale dello Stato.
E’ vero che non mettono le mani nelle tasche degli italiani: le mettono in quelle degli italiani malati, cioè, di una parte degli italiani malati.

Veniamo ora alla nuova pensata del veneziano: la famosa “valutazione” dei dipendenti pubblici mediante gli Smile, le tre faccine (verde, gialla e rossa) grazie alle quali ogni dipendente sarà valutato sul campo, immediatamente, dai fruitori del servizio.
Ciò che non funziona, in questa faccenda – e mi meraviglio che non sia saltato agli occhi a tanti – è che il fruitore del servizio non è parte terza nella questione, bensì parte in causa. Sarà la “scuola” del capo, che di questi imbrogli se n’intende. Spieghiamo meglio.
Uno dei dilemmi della pubblica amministrazione è la valutazione dei dipendenti: perché? Poiché chi dovrebbe valutarli – alti papaveri, portaborse in parcheggio, ecc – se ne frega altamente di farlo, anche perché loro stessi hanno occupato quel posto, al 90%, grazie ad un “calcio”.
Siccome la faccenda è complessa, allora si minimizza tutto e si decide che sarà il cittadino a giudicare. Ma, il cittadino, è in grado di farlo?

Già immaginiamo cosa potrebbe succedere nella scuola: «Guardi, suo figlio più di quattro non riesce a prendere, le ho provate tutte, però…» Faccina Rossa. Dopo qualche faccina rossa, tutti sei. E vai col tango, mentre la scuola va a bagno.
Alla Posta: «Può tornare fra un’ora? Perché, qui, il sistema è andato in tilt…» Faccina Rossa. Nota: la “faccina rossa” la “becca” il poveraccio allo sportello, mica quello che non riesce a far funzionare il sistema informatico.
Al Pronto Soccorso: «Basta! Non si può rimanere ad attendere per ore una visita!» Faccina Rossa. Magari c’è stato un grave incidente, ed il personale è tutto impegnato. L’utente ha ragione, ma il “bersaglio” della faccina rossa dovrebbe essere il capoccione (di nomina politica) che non sa affrontare le emergenze. Il quale – accertata la mancanza per il numero delle faccine rosse – darà una bella lavata di capo al personale e tornerà a fumare il sigaro, tranquillo come un papa.
Il vulnus più grave di un simile provvedimento, però, è di natura giuridica: introduce un concetto devastante, ossia che ci si possa fare giustizia da sé, senza conoscere nulla di ciò che c’è dietro una cattedra, uno sportello, un’autolettiga. Può addirittura intervenire un conflitto d’interessi, del tipo: «Ma quello, non è il tizio che ci aveva notificato la multa da mille euro? E dagli una bella faccina rossa…»
Siamo alla follia, altro che le veline: quelle, servono a coprire ben altre faccende.

E veniamo alla colossale balla che non mettono le mani nelle nostre tasche, “che non hanno aumentato la benzina”.
Oggi (12/5/2009) il barile di petrolio è tornato ad “affacciarsi” oltre quota 60 $/barile, ma era sceso anche sotto i 40 $/barile: qualcuno se n’è accorto? Appena la notizia è stata pubblicata, la “verde” è schizzata a circa 1,28: due ore fa, all’AGIP.
Il prezzo del petrolio, nel Marzo 2006, s’aggirava intorno a 60 $/barile(9) – come oggi – e la benzina intorno a 1,20 euro/litro(10): non come oggi.
Per tutto questo periodo di bassi prezzi del greggio, il costo dei carburanti s’è mantenuto almeno di 5-7 centesimi sopra il valore di sei anni fa (con identico costo del greggio e medesimo cambio euro/dollaro).
Il consumo mensile di carburanti per autotrazione s’aggira intorno ai 3 milioni di tonnellate(11), sono dunque 3,75 miliardi di litri di carburante(12). Un misero centesimo, su una simile massa, genera un “gruzzolo” di 37,5 milioni di euro il mese. Siccome, oggi, i prezzi non sono scesi a 1,20 (ossia al prezzo che dovrebbe avere la benzina per un costo del petrolio di 60 $/barile), mentre “oscillano” intorno a 1,25-1,27, sono come minimo 5 centesimi di ladrocinio, che corrispondono a quasi 190 milioni di euro il mese.
Si tratta, a tutti gli effetti, di una truffa compiuta ai nostri danni, che genera – ogni anno – quasi 2,5 miliardi: poi, Tremonti – in Finanziaria – inventerà un prelievo sulle società petrolifere e si spartiranno il malloppo, perché di questo si tratta.

Questi comportamenti: attacco ai diritti dei lavoratori, truffe legalizzate, tagli indiscriminati per tutti i settori pubblici – le Ferrovie, oramai, sono diventate la CA.BE.IT, Carri Bestiame Italiani, le scuole un posto dove fissano i “tetti” per i libri di testo, ma non pensano di darli in comodato come in Francia e Germania – sono il necessario corrispettivo per mantenere “al caldo” il proprio elettorato “grasso”: in Italia, la cura per qualsiasi dissenteria sono i tappi.

A chi è rivolto questo panorama di desolazione? Riprendiamo l’ultima tabella:

10% ricchi: 383.750 euro
50% poveri: 15.350 euro
40% medi: 76.750 euro

Il dato dei ricchi è coerente, mentre il dato dei poveri suscita qualche dubbio. Riflettiamo.
Metà delle famiglie italiane – considerando un prelievo fiscale bassissimo – vivrebbe, in media, con circa 1.000 euro il mese. Siamo ad un livello ancora più basso rispetto alle pensioni minime (512 euro/mese/persona): è possibile?
Se la situazione fosse veramente questa, l’Impregilo dovrebbe essere prontamente richiamata dal Governo per costruire l’infrastruttura più necessaria, essenziale per il Belpaese: una Bastiglia. Perché? Poiché, il giorno seguente, andrebbe sicuramente in scena la presa della Bastiglia.
Non è possibile che metà della popolazione viva avendo a disposizione, mensilmente, 300 euro a persona quando la soglia di povertà è stabilita all’incirca a 600: dov’è l’errore?
Dal punto di vista dell’analisi statistica, non c’è nessun errore: il problema è che sono i redditi dichiarati ad essere falsi!
In quel 50%, sono compresi:

Le circa 5.000 imprese edili che lavoravano completamente in nero, recentemente scoperte dalla Guardia di Finanza;
Gli idraulici che cambiano la guarnizione del rubinetto per 50-100 euro senza fattura;
I meccanici, idem;
I ristoratori, soprattutto nel Meridione, che non possiedono nemmeno il blocchetto delle fatture;
……completate la lista, che è lunga.

E, soprattutto, quel 30% circa del PIL che rappresenta il fatturato della criminalità organizzata politico/mafiosa, come Roberto Saviano ha denunciato e provato. Una “piccola” verità, per la quale ha dovuto fuggire e vive scortato. A margine, notiamo che la regione con la più soffocante pressione mafiosa – la Sicilia – vota all’unisono Berlusconi.
Forse che, i siciliani – come tentava di far credere Baget Bozzo – votano Berlusconi perché “poveri e poco acculturati”? Oppure, il sostegno al PdL viene proprio dai settori della rendita finanziaria politico/criminale che trova il suo apice nell’isola?
Quel 50% di poveri, in realtà, nasconde un sottobosco di redditi altissimi, abilmente mascherati da poveracci: so di scoprire l’acqua calda ma, se vogliamo provare a comprendere come andremo a finire, anche l’acqua calda ha la sua parte.
Personalmente, ho toccato con mano che il reddito – in Italia – è un vero terno al lotto ed è verificato, in pratica, solo per i lavoratori dipendenti. Quando mi trovai, in Consiglio d’Istituto, a dover decidere l’elargizione dei libri di testo da parte della scuola agli allievi poveri e meritevoli, m’accorsi che stavamo fornendo la completa gratuità dei libri a pochi allievi (i bilanci sono “strettissimi”, si tratta di poche unità) e che, quei pochi, venivano tutti accompagnati a scuola in SUV. Per i veri poveri, talvolta, le scuole (se sono in grado…) devono cercare altre soluzioni che non comprendano l’obbligatoria verifica del reddito, poiché i redditi più bassi sono sempre occupati dai figli di commercianti e professionisti.

E la classe media?

40% medi: 76.750 euro

Sempre in media, il 40% delle famiglie italiane ha a disposizione un reddito medio netto (aliquota 33%) mensile di circa 4.000 euro per tredici mensilità, che le tiene lontane dalla povertà. In questa situazione vivono 24 milioni d’italiani.
Non è difficile immaginare che, buona parte di questi elettori (soprattutto coloro che occupano la parte più elevata della fascia), propendano per chi promette loro di non tassare redditi e rendite finanziarie. Se, poi, ciò significa che i servizi offerti dallo Stato sono di bassa qualità, la cosa non turba i loro sonni: hanno sufficienti mezzi per accedere ai servizi offerti dal settore privato (sanità, istruzione, ecc).

Se sommiamo il 10% degli alti redditi con la metà dei redditi medi, troviamo un 30% dei consensi che difficilmente “sfuggono” al PdL: almeno, per le considerazioni puramente economiche, giacché sappiamo che il voto è deciso anche da altri fattori. Non dimentichiamo, però, che il denaro è l’aspetto che più impregna ogni decisione.

Un altro 10% dei consensi all’area del centro-destra proviene dalla Lega Nord, partito che ha tradito tutte le promesse originarie ma che, grazie alla cassa di risonanza delle TV di Berlusconi, riesce ancora a far credere ai suoi elettori di combattere per il Nord. Intanto, i potentati del Sud continuano a gozzovigliare.
Il consenso al partito di Bossi proviene quindi, da un lato, dall’organizzazione sul territorio e dall’altro dai proclami che – puntualmente – i leader lanciano nel circuito mediatico: esiste il traffico d’organi! posti riservati ai milanesi sui tram! respinti i clandestini!
Ogni settimana ne studiano una nuova e, puntualmente, l’apparato mediatico del premier li amplifica: non importa, poi, se tutto finisce nel nulla (cosa sta facendo il Ministro dell’Interno per il traffico d’organi, da lui stesso denunciato?), poiché serve soltanto ad alimentare la fornace della fedeltà, della Gestalt che la Lega Nord è la “castigamatti” del ceto politico lobbista ed ammanigliato a mille rendite di posizione. Invece, ne fa parte anch’essa a pieno titolo.

L’ultima trovata è quella che i lavoratori dipendenti votano in maggioranza il centro-destra: Ragionpolitica pontifica, Brunetta strombazza, Berlusconi sogghigna. Ma non significa niente.
Chi sono questi “lavoratori dipendenti”?
Non abbiamo difficoltà ad immaginare che la moglie di un professionista – impiegata in un ministero, insegnante, dipendente comunale, magari precaria e nell’attesa di un’assunzione che può giungere solo con l’approvazione del politico di turno – voti a destra: seguiamo il reddito, non la professione.
Se perseguiamo la professione – senza prendere in considerazione il reddito – potremmo divertirci nelle fantasmagorie più divertenti: quel che conta, è che almeno 30 italiani su 100 hanno validissimi motivi per affidare al centro destra la difesa dei propri interessi. Esattamente l’opposto di quanto voleva far credere Baget Bozzo.

E’ quindi sbagliato correre appresso alle mille sfaccettature del gossip, del “velinismo”, del “ciarpame politico” – anche se si tratta di una reale decadenza da basso impero, che riesce ad accalappiare qualche voto qui e là, ma altrettanti ne perde per le stesse ragioni – poiché lo “zoccolo duro” che sostiene Berlusconi parte da quel 30% che non ha nessun problema economico. Un 30% incrementato dai tanti “falsi poveri” che ritroviamo nel 50% dei non abbienti e “rifinito” dalle giuste istanze di un Nord preso in giro due volte, dai potentati della rendita meridionale e dai politici della Lega Nord.

Non è una notizia nemmeno l’annunciata estinzione di Alleanza Nazionale – già lo affermavano, allarmati, gli amministratori locali di quel partito una anno fa – poiché l’area d’identificazione politica non corrisponde più ai vecchi recinti ideologici, bensì ad interessi economici: il voto, è una pura questione di mercato. E, qui, ce ne sarebbe da meditare per la sinistra nostrana!
A dimostrazione di quanto stiamo sostenendo, ricordiamo che la querelle di Veronica Lario non ha intaccato il sostegno al governo: sono storie di portafogli, non di “sederi al vento”! Che gli frega, ai tanti che domani potranno scegliere fra un’AUDI ed una BMW per il compleanno del figlio, se la tale fa la velina? Che importa loro se le attricette servono per conquistare qualche politico d’opposizione (pronto, Saccà?)? Domani dovrò scegliere se recarmi in vacanza nel Pacifico o nell’Oceano Indiano: gli italiani? Che s’arrovellino con le loro veline!
Nel frattempo, migliaia d’italiani ogni anno lasciano il Paese per emigrare all’estero(13) in cerca d’occupazione: sono in maggioranza laureati e diplomati, specializzati, e trovano all’estero migliori sistemazioni. In pratica, un grande ateneo come “La Sapienza” di Roma lavora quasi soltanto per produrre ricercatori per altri Paesi. Questa notizia, che dovrebbe preoccupare, non turba un solo istante di chi ci governa. Perché?

Il vero obiettivo di questo governo è, in realtà, difendere lo “zoccolo duro” di benestanti che, pur con le differenze dovute alla diversa epoca, esso ereditò dalla DC.
Uno dei primi provvedimenti presi da Berlusconi – Giugno 2001! – fu il deciso “ridimensionamento” (in pratica, fu il De profundis) della figura del socio-lavoratore nelle cooperative. La giustificazione? Eliminare le “false” cooperative, che oggi – come tutti possono constatare – campano benissimo.
Il vero obiettivo era azzerare la possibilità che piccoli operatori economici potessero unire le loro forze e diventare protagonisti: obiettivo raggiunto.
Con le “veline”, e con il grande interesse mostrato dagli italiani per il fenomeno, è stato steso un velario sulla grande operazione di privatizzazione delle acque: in questo caso, l’obiettivo è quello di sottrarre risorse pubbliche e “convogliarle” verso società controllate dai soliti noti.
Proprio nei giorni scorsi – dopo aver tagliato quasi 8 miliardi alla scuola pubblica – Berlusconi (con il fattivo aiuto di Casini) ha proposto, per la prossima Finanziaria, un “corposo” incremento dei sussidi alla scuola privata. Ne avvertivamo tutti la mancanza.
Ci fermiamo qui, con gli esempi, soltanto per non tediare il lettore.

Qual è, allora, la base sulla quale poggia l’attuale governo?
Non la contrapposizione fra “popolino” e “popolo colto” – tesi sostenuta da Baget Bozzo – bensì quella, eterna, fra abbienti e non abbienti.
I provvedimenti legislativi presi sono tutti centrati per aumentare la differenza fra le classi sociali, poiché si tratta di un feedback positivo, ossia di una fruttuosa simbiosi: più persone s’arricchiscono, più consensi certi.
E per i tanti che s’impoveriscono? Come mai, non esistono forze politiche in grado di rappresentarli? Non si tratta solo di una legge elettorale.
Pur non sottovalutando l’importanza del potere mediatico – panem et circenses è abitudine antica – la principale responsabilità l’hanno coloro i quali dovrebbero contrastare questa deriva, ossia (in un Paese normale) l’opposizione.
Ma l’opposizione, soprattutto in Italia, giunge in larga parte da quel PCI definito da Costanzo Preve “bestione metaforico”: perché? “Bestione” perché elefantiaco e costoso apparato, e “metaforico” perché sempre in antitesi con gli ideali che affermava di sostenere, già ai tempi di Berlinguer.

La mancanza di ricambio, il nepotismo, l’esasperato centralismo di quel partito, hanno condotto i loro epigoni dritti dritti non a difendere il capitalismo – questo sarebbe ancora il meno! – ma a sposarne in modo completamente acritico tutte le espressioni(14).
Oggi, non possono difendere i paria perché, per farlo, dovrebbero criticare proprio il modello del turbocapitalismo e della globalizzazione dei mercati, del saccheggio delle risorse e dell’iniquità sociale. La loro “nuova chiesa”.
Non potendo uscire dal modello che hanno sposato – tutti, sedicenti “comunisti” compresi – finiscono per proporre schiere di pannicelli caldi, che non servono a nulla, ed il loro elettorato – giustamente – li abbandona.
La nostra iattura è figlia di quella impostazione e, se non s’abbatte la pietra angolare che “ricchezza crea ricchezza”, nessun cambiamento è possibile. Hanno il coraggio di farlo i Franceschini, ma anche i Di Pietro ed i Di Liberto? Non ci sembra proprio.
Siamo un Paese che si dice “non avrà futuro”, eppure un futuro in qualche modo l’avrà, nonostante abbia abdicato ad ogni forma di seria elaborazione politica, alla ricerca di una vera classe dirigente, che non si ribella più per esser divenuto lo zimbello d’Europa e che accetta tutto, anche le “balle” più eclatanti, senza dignità. E spreca fiumi d’inchiostro per correr dietro alle “veline”.

Allora, cosa attende l’Italia nei prossimi anni? A risentirci con la seconda parte.


Note:

(1) Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2008/11/fuori-del-tempo.html
(2) Fonte: La Repubblica, 8 Maggio 2009. http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/politica/baget-bozzo/baget-bozzo/baget-bozzo.html?ref=search
(3) Fonte: http://www.bancaditalia.it/statistiche/stat_mon_cred_fin/banc_fin/ricfamit/2008/suppl_76_08.pdf
(4) Fonte: ISTAT ed Office for national statistics. Riportato da http://www.libero-news.it/articles/view/447593
(5) Non dobbiamo pensare alla semplice disponibilità finanziaria, bensì ad un complesso di fattori: proprietà fondiarie, azionarie, obbligazionarie, rendite, ecc. D’altro canto, avere una casa di proprietà oppure essere in affitto, o ancora pagare un oneroso mutuo, modifica profondamente la disponibilità finanziaria di una famiglia.
(6) Vedi nuovamente: http://carlobertani.blogspot.com/2008/11/fuori-del-tempo.html
(7) Fonte: Eurispes/CISL 9/2007. http://media.panorama.it/media/documenti/2007/09/20/482ee51c69e83.doc
(8) Fonte: www.fpsinps.cisl.it/Doc/Comunicati/2008/01/AssenzeNelPI21gen08.pdf
(9) Fonte: The Oil Drum.
(10) Fonte: Metanoauto.com.
(11) Fonte: Unione Petrolifera.
(12) Calcolando una densità media fra benzina e gasolio pari a 0,8 kg/l.
(13) Fonte: http://miojob.repubblica.it/notizie-e-servizi/notizie/dettaglio/laureati-italiani-all-estero-pi-pagati-e-pi-soddisfatti/3461172
(14) Per una più esaustiva esposizione della genesi della classe politica italiana, vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2008/01/storia-di-lucidatori-di-sedie.html