venerdì 15 maggio 2009

India: le elezioni più lunghe del mondo


Ieri in India si sono chiusi i seggi per le elezioni legislative, iniziate lo scorso 16 Aprile. Domani invece comincerà lo spoglio delle schede.

Le più lunghe elezioni del mondo, con 714 milioni di votanti, 828.000 seggi e 300 partiti in lizza.

I primi exit poll danno in leggero vantaggio la coalizione guidata dal partito del Congresso di Sonia Gandhi, mentre segue a ruota l’altra coalizione capeggiata dai rivali del partito nazionalista Bharatiya Janata Party (Bjp).

Ma con ogni probabilità nessuna di queste due coalizioni potrà governare senza unirsi con il “Terzo Fronte”, l’alleanza di partiti comunisti, socialisti e partito dei dalit (gli intoccabili) guidato dalla cosiddetta "Regina dei dalit", Mayawati Kumari.


Voto in India, il futuro in mano a Sonia

di Paolo Salom – Il Corriere della Sera – 14 Maggio 2009


La maratona elettorale indiana si è chiusa ieri. Ma dopo un mese di votazioni nei 28 Stati federati e nei 7 Territori dell'Unione, occorrerà attendere sabato per conoscere i risultati. Ieri, tuttavia, i primi exit poll davano in leggero vantaggio la coalizione di centro-sinistra guidata dal Partito del Congresso di Sonia Gandhi (Upa), con 195-201 seggi. I rivali nazionalisti del Bjp (Bharatiya Janata Party), anche loro in coalizione con formazioni minori (Nda), dovrebbero ottenere da 189 a 195 seggi. Decisivo sarà probabilmente il Terzo fronte, ovvero l'alleanza — guidata da Mayawati, la «regina dei dalit» — di formazioni comuniste e partiti locali, data a 113-121 seggi. Chi guiderà il futuro governo della più grande democrazia del mondo? «L'unica cosa certa, al momento — ha detto Amitabh Mattoo, un analista politico — è che non siamo sicuri di nulla».


La prudenza di Mattoo non appaia eccessiva. Alle ultime elezioni, nel 2004, gli exit poll avevano dato per sicuro vincitore il Bjp ma alla fine il governo (sia pure in coalizione con i partiti comunisti, alcuni dei quali «persi per strada») era andato al Congresso. Oggi la situazione è più complessa. L'avvicinamento agli Stati Uniti (culminato nell'accordo di collaborazione nucleare) voluto dal premier Singh ha irritato molti. E l'emergere del Terzo fronte di Mayawati, personaggio tanto discusso quanto popolare, ha contribuito a rendere se possibile più frammentato il panorama politico. Certo, non sono escluse sorprese, ma l'unico dato certo è che, nelle parole di Mattoo, «dalle urne non uscirà un sicuro vincitore».


Il prossimo Parlamento, per legge, dovrà essere inaugurato il 2 giugno. Se i dati saranno vicini a quanto prospettato dagli exit poll, non è escluso un colpo di scena da parte di Sonia Gandhi, l'erede (italiana) della dinastia che è parte integrante del potere post-coloniale nel subcontinente. La vedova di Rajiv e nuora di Indira potrebbe infatti decidere di chiudere un patto con il Terzo fronte e offrire a Mayawati la guida dell'esecutivo. Così, a conti fatti, l'India sarebbe pronta a una svolta. Salvo che, visti i numeri della Camera bassa, rimarrebbe saldamente nelle mani di Sonia Gandhi il potere di far cadere il governo a suo piacimento. In particolare se la regina dei dalit optasse per una politica di riforme troppo radicali. Una seconda alternativa vedrebbe il Bjp allearsi con un grande numero di formazioni minori per rivendicare la presidenza del Consiglio. Pochi credono a questa possibilità.



L'erede di Gandhi e la regina degli intoccabili
la grande sfida per governare l'India

di Federico Rampini – La Repubblica – 14 Maggio 2009


La vendicatrice degli oppressi contro il principe ereditario: è una sfida epica quella che offre il grande cinema della democrazia indiana. Le più lunghe elezioni del mondo, in corso da tre settimane con 714 milioni di votanti, 828.000 seggi e 300 partiti in lizza, si sono concluse ieri e sabato sapremo i risultati finali. E' uno spettacolo grandioso e inquietante: il suffragio universale sperimentato in un subcontinente con un miliardo e cento milioni di abitanti, dozzine di etnie, trenta lingue e sei religioni; una superpotenza economica con immense sacche di miseria, dove imperversa il terrorismo di matrice islamica sostenuto dai servizi segreti pachistani, e in vaste regioni è radicata una implacabile guerriglia maoista.

Duello virtuale. E' una democrazia vitale e allo stesso tempo corrotta, inquinata dal populismo, frammentata dai regionalismi. Un duello virtuale oppone Mayawati, la leader della casta più umile (i dalit o "intoccabili"), a Rahul Gandhi. Lei è una donna di 53 anni cresciuta con otto fratelli in una squallida baraccopoli di Delhi, temprata dalla miseria, dalle umiliazioni e dal disprezzo delle caste superiori verso la sua gente. Lui ha 38 anni - un bambino per la gerontocrazia politica indiana - ed è una specie di giovane Kennedy o Bush all'ennesima potenza. E' il rampollo della dinastia repubblicana più longeva del mondo, che da quattro generazioni domina l'India. "E' una stirpe che considera il partito di governo (il Congresso) alla stregua di un suo latifondo familiare", mi dice il sociologo Dipankar Gupta. I primi exit poll ieri davano in vantaggio il partito di Gandhi. Ma se il margine di vittoria fosse troppo esile, la "regina degli intoccabili" potrebbe svolgere un ruolo chiave nei negoziati per formare la coalizione di governo.


"Obama indiana". La Mayawati usa un solo nome come spesso si usa nelle caste inferiori. E' stata definita "una Obama indiana". Di certo è una outsider che ha dovuto superare ostacoli spaventosi. I suoi nonni vivevano in una sorta di apartheid, confinati ai margini del loro villaggio: nell'India rurale ancora oggi si riserva agli intoccabili la pulizia delle latrine, gli è vietato l'ingresso nei templi; un ragazzo Dalit che osi corteggiare una giovane di casta superiore può morire linciato. La mamma di Mayawati era analfabeta. Suo padre trovò un modesto impiego statale solo grazie al sistema delle quote, una specie di "affirmative action" che riserva alle caste inferiori una percentuale delle assunzioni pubbliche. Eppure lei è riuscita a dare la scalata al potere politico nell'Uttar Pradesh, uno Stato di 190 milioni di abitanti (se fosse indipendente sarebbe la sesta nazione del mondo), che l'ha rieletta primo ministro per quattro volte consecutive. L'Uttar Pradesh, ai confini di Delhi nell'India settentrionale, era il feudo elettorale della dinastia Gandhi, una roccaforte del partito del Congresso. Poi fu il teatro dell'ascesa della forza rivale, il partito nazionalista Bjp.

E' in quel laboratorio politico che Mayawati è riuscita a emarginare i due partiti maggiori. Ha organizzato gli intoccabili e tutte le caste inferiori - che insieme rappresentano il 60% della popolazione indiana - nel suo Bsp. E in questa elezione ha fatto il salto su scala nazionale. Il Bsp ha formato la Terza Forza, che in caso di equilibrio tra i partiti maggiori può essere l'ago della bilancia tra il Congresso e i nazionalisti. Se il suo consenso dovesse rivelarsi determinante per formare la futura coalizione di governo, la Mayawati sarà corteggiata da tutti. "Sarebbe un simbolo straordinario - dice il suo biografo, lo storico Ajoy Bose - un'ascesa entusiasmante per tutti i dalit".

Attenzione ai paragoni con Obama. La Mayawati è un personaggio molto ambiguo. "Affascinante e ripugnante", la definisce Gupta. La carriera politica le ha consentito di accumulare un patrimonio personale di 12 milioni di dollari e 72 case, più una collezione di diamanti che sfoggia senza imbarazzo nelle cerimonie ufficiali. Al suo partito si attribuiscono metodi mafiosi, la raccolta di fondi attraverso violenze e intimidazioni; uno dei suoi leader è un gangster in carcere per omicidio (ma la percentuale di criminali nel Parlamento di New Delhi è equamente ripartita fra tutti i partiti). Per cementare la sua base di consenso la Mayawati ha usato il clientelismo più sfrenato, con le assunzioni in massa di "intoccabili" nel pubblico impiego. Le opere pubbliche, la costruzione di strade e allacciamenti elettrici in 11.000 villaggi, sono state mirate per favorire le circoscrizioni elettorali fedeli e penalizzare le altre. Nonostante questo non sembra che la condizione delle caste inferiori nell'Uttar Pradesh sia migliorata rispetto al resto dell'India: il 45% dei dalit nei villaggi rurali continua a vivere sotto la soglia della povertà.

Eppure la popolarità della Mayawati finora ha resistito. Perfino la sua ricchezza personale le giova. I dalit ne sono fieri, proiettano su di lei i propri sogni di riscatto economico. L'India delle élite urbane storce il naso di fronte a questo fenomeno che stigmatizza come "la politica della fedeltà castale". In realtà spesso è un comportamento più moderno e laico di quanto appaia: è un voto d'interessi e di scambio.

Discendente di Nehru. Rahul Gandhi è la nuova star a cui l'establishment affida le speranze di riconferma della maggioranza di governo uscente. La politica indiana è ricca di queste ironie. Il rampollo che impugna la bandiera del "rinnovamento" è bisnipote di Nehru (leader dell'indipendenza, premier dal 1947), nipote di Indira Gandhi che governò negli anni Sessanta e Settanta, figlio del premier Rajiv Gandhi. La vedova di quest'ultimo, l'italiana Sonia Gandhi, tentò a lungo di tenere lontano il figlio dalla politica per proteggerlo dalla maledizione familiare: sia Indira che Rajiv morirono vittime di attentati terroristici, nel 1984 e nel 1991. Ma il senso del destino e della missione dinastica è stato più forte. La stessa Sonia è diventata presidente del Congresso, leader indiscussa di un partito che d'istinto cerca in questa famiglia i suoi padroni. Per il principino è iniziato il lungo addestramento alla successione. A suo modo anche lui ha dovuto superare degli handicap. Educato a Cambridge, nei primi comizi aveva perfino l'accento straniero. I mass media gli preferivano la sorella Priyanka, più astuta e con un carisma che ricorda la nonna Indira. Ma il Congresso si è messo disciplinatamente al servizio dell'erede maschio, ed è iniziata la "costruzione" della sua popolarità.

Largo ai giovani. Lo slogan di Rahul - largo ai giovani - non è originale e tuttavia risponde a un bisogno reale. L'India è la superpotenza più giovane del pianeta: il 70% della sua popolazione ha meno di 40 anni. Eppure il suo premier uscente, Manmohan Singh, è un 76enne. Lo sfidante del partito nazionalista Bjp, L. K. Advani, ha 81 anni. Solo un decimo dei deputati ha meno di 40 anni. Con Rahul Gandhi si affaccia alla politica una nuova generazione che impone il suo stile e i suoi modi di comunicare: dilagano i comizi su YouTube, gli sms diventano il veicolo per diffondere attacchi agli avversari, pubblicizzare gli scandali. Perfino le suonerie dei telefonini sono messe al servizio della propaganda elettorale.

L'incognita Bjp. In mezzo alla recessione globale, e mentre è fresco il ricordo della strage terroristica di Mumbai, i nazionalisti del Bjp hanno reclutato tra i loro candidati perfino un illustre transfuga della dinastia Gandhi, il 29enne Feroze Varun, cugino di primo grado di Rahul. Non è rassicurante questo partito d'ispirazione religiosa. L'uomo nuovo che avanza dentro il Bjp, Narendra Modi, è stato definito da Sonia Gandhi "un mercante di morte". Come premier dello Stato del Gujarat, ha sulla coscienza duemila morti: tanti furono i musulmani trucidati nelle violenze di massa scatenate nel 2002 dagli integralisti indù, nell'indifferenza delle autorità locali o addirittura con l'aiuto della polizia del Gujarat. Anche le comunità cristiane hanno subìto fiammate d'intolleranza brutale.

Oggi la convivenza tra la maggioranza indù e la grossa minoranza musulmana (oltre 150 milioni) non è così tesa. L'attacco a Mumbai non ha suscitato appelli per rappresaglie indiscriminate: le radici di quel commando terroristico in Pakistan hanno deviato la tensione in politica estera. Cresce però un "leghismo" socio-economico che il Bjp ha cercato di intercettare. Nello Stato attorno a Mumbai, il Maharashtra, miete consensi la campagna contro gli immigrati di altre regioni che fanno concorrenza alla popolazione locale sul mercato del lavoro.

La crisi e i comunisti. Chi rischia di pagare di più le tensioni economiche sono i comunisti, tradizionalmente forti nel Bengala occidentale. La sinistra è segnata dal "trauma della Nano". Il governo rosso di Calcutta appoggiò la costruzione degli stabilimenti del gruppo Tata per l'utilitaria più economica del mondo, suscitando aspre reazioni tra i contadini espropriati dei loro terreni. Quella guerra fra poveri - gli interessi della classe operaia contro l'India dei villaggi agricoli - ha lasciato un bilancio di morti e feriti, che pesa su questa votazione. I comunisti sono forse l'ultimo partito ideologico. Tra gli altri è difficile trovare autentiche differenze di valori: perfino il Bjp quando governò fino al 2004 mise la sordina al revanscismo indù. Di programmi si è discusso poco o niente in queste elezioni. La recessione globale spinge a una generica rivalutazione delle politiche economiche dell'epoca Nehru-Gandhi. Protezionismo, dirigismo, statalismo non erano mai veramente passati di moda in India; ora godono un revival legato alla crisi del modello americano.

Nessuno si illude che da queste elezioni venga una svolta. M. J. Akbar, celebre opinionista musulmano, mi dice che "le aspirazioni dei poveri crescono così velocemente che nessuna politica e nessun governo possono soddisfarle". Anche Harish Kare, che dirige il quotidiano The Hindu, ha una visione disincantata di quel che la politica può fare: "La vera funzione del voto per noi è la catarsi. E' il momento in cui la democrazia ci unisce davvero perché rappresenta tutte le nostre diversità. La politica delle identità in India è molto più importante dell'arte di governare".