Per nulla originale...
Il Cile quindi vira a destra dopo vent'anni di governi di centrosinistra che erano riusciti a fare del neoliberismo in campo economico l'unico faro da seguire.
E la vittoria di Piñera ne è il conseguente risultato...
In Cile ritorna la destra
di Pablo Castro - www.ilmanifesto.it - 18 Gennaio 2010
Ha vinto la destra. Non ci riusciva per via democratico-elettorale dal 1958 e dall’11 settembre 1973 per via golpista. Con il super-miliardario Sebastián Piñera al palazzo presidenziale della Moneda, il Cile, uno dei paesi con l’economia più libera del mondo, cercherà nuovi spiragli per consnetire al il venerato «mercato» di toccare nuovi picchi del suo splendore.
E in un paese che in questi anni ha usato il contagocce per aprire la strada alla giustizia sui crimini del regime di Pinochet, l’alleanza conservatrice dirà ora che bisogna «guardare verso il futuro» e non al passato.
Piñera ha vinto domenica il ballottaggio con il 51,6% dei voti su Eduardo Frei, che era il candidato della coalizione di centro-sinistra al governo dal ’90 e si è fermato al 48,4%. Per quanto la presidenta socialista Michelle Bachelet goda di una popolarità dell’81% e i cileni riconoscano progressi importanti nei 20 anni di governi della Concertación por la democracia, la coalizione imperniata su democristiani e socialisti, Frei non è riuscito a chiudere il gap del primo turno elettorale del 13 dicembre (29,6% contro il 44% di Piñera) e il ricordo della sua mediocrissina presidenza fra il ’94 e il 2000, e neppure a cancellare l’usura e il discredito della coalizione.
Proprietario del canale tv Chilevisión, della squadra di calcio più popolare - il Colo Colo (la preferita anche di Pinochet) - di compagnie finanziarie e dell’aerolinea Lan, fra molto altro business accumulato negli anni ’80 - quelli dello sfrenato libero mercato pinochettista - il presidente eletto ha cercato di togliersi di dosso l’ombra lunga di Pinochet rivendicata ancora con ostinato entusiasmo, tuttavia, da molti leader della destra cilena, per quanto rimasti in secondo piano durante la campagna elettorale. Almeno fino a domenica.
Ma la notte della vittoria, al di là delle strategie elettorali, nessuno ha potuto evitare che nella prima linea dei festeggiamenti di fronte all’hotel Crowne Plaza di Santiago, la sede del comando del candidato della destra, i fan di Piñera sbandierassero impunemente poster e perfino busti del criminale responsabile di almeno 3000 desaparecidos e 27 mila vittime, fra assassinati e torturati. Se qualcuno avesse dei dubbi, nessuno del clan del nuovo presidente ha avuto niente da ridire.
«La crescita del Cile si deve a Pinochet», ci ha detto Inés, un’ingegnera di 45 anni che domenica si apprestava ad andare a votare in un seggio di Las Condes, il barrio ricco per eccellenza di Santiago.
A Las Condes domenica si respirava un’aria di festa ed euforia. Saluti, abbracci, distinzione, eleganza. Militari in divisa con al braccio signore raffinate. Terra di «momios», come si chiamavano ai tempi di Allende. Le mummie che ora sono tornate.
A partire dal ’73 la dittatura impose un radicale taglio di diritti umani, sociali, politici ed economici, mentre i militari s’incaricavano di fare sparire le persone che non erano con loro.
Nell’81 i Chicago Boys seguaci del professor Milton Friedman per risolvere la feroce crisi seguita ai primi anni del pinochettismo, tagliarono salari, privatizzarono tutto (meno il rame: ma lo farà Piñera, secondo quanto ha annunciato) e cominciarono a spalancare l’economia cilena al mondo esterno, in un grado mai raggiunto da nessun altro paese. Nè gli Stati uniti di Reagan, né l’Europa del riflusso, né l’America latina delle altre dittarture militari fasciste-liberiste.
Verso la fine degli anni ’80, con una distribuzione della ricchezza pessima e consolidata (che si è mantenuta fino a oggi), il Cile conobbe una crescita accelerata. Con pochi margini di manovra e sotto la tutela armata di Pinochet, che era ancora capo delle forze armate anche dopo l’uscita dalla Moneda nel ’90, la Concertación non volle o non poté cambiare gli assi portanti del sistema economico imposto ed ereditato dalla dittatura.
Nuove generazione lasciate allo sbando, noncuranza per i settori più carenti della popolazione, sanità e istruzione private e carissime, pensioni privatizzate (secondo la geniale idea di José Piñera, il fratello del neo-presidente: buon sangue...).
Bisogna ricordare, in questo momento buio, che non si tratta solo della rivincita dei «momios». La destra cilena è riuscita negli ultimi anni a dotarsi anche di una sua base popolare come dimostra la vittoria di Piñera, domenica, in barrios umili dell’hinterland di Santiago e Valparaíso.
In parte si spiega con il discorso populista, centrato anche qui sulla sicurezza dei cittadini contro «la criminalità rampante», e in parte con la scorpacciata in camera lenta del «cambio perché nulla cambi», dell’eterno flirt con il mondo imprenditoriale che hanno caratterizzato i 20 anni della Concertación in campo economico.
«Sarò il presidente dell’unità nazionale e governerò in nome di tutti i cileni ma con un’attenzione speciale per i più umili e per la classe media che ne ha tanto bisogno», ha detto Piñera domenica notte davanti ai suoi euforici sostenitori riuniti nell’Alameda, il grande viale del centro di Santiago.
Piñera proviene da una famiglia democristiana. Suo padre fu fra i fondatori della Dc qui in Cile insieme a Eduardo Frei Montalva, il padre del suo rivale nel ballottaggio (assassinato con il veleno dalla polizia pinochettista nell’81). Questo retaggio viene usato spesso per dimostrare che non è organico a Pinochet e alla destra ultrà.
Ma qualche devianza in famiglia era già apparsa perché il fratello José, il creatore delle pensioni private, fu ministro di Pinochet. E anche lui, Sebastián evidentemente non era molto convinto del suo anti-pinochettismo quando nell’89 si iscrisse a uno dei due partiti che al pinochettismo si rifanno: Renovación nacional.
Ora cercherà di cooptare qualche dirigente dc nel suo governo. Non sembra probabile che siano in molti ad accettare ma in ogni casi si approfondiranno le crepe nella Concertación. Ricardo Lagos, il presidente socialista dal 2000 al 2006, ha già detto che bisogna dare strada alle «nuove generazioni» (Marco Enríquez Ominami, il socialista new age «indipendente» che il 13 ottobre ebbe il 20% dei voti?).
Quel che spaventa con Piñera è il ritorno in forze al governo della Opus Dei, il potere forte più forte del Cile. I tecnocrati avranno sempre più potere. Lui al proposito è stato ambiguo ma non si può scartare la possibilità di un «punto final» nei processi contro i militari autori di crimini, processi che in realtà sono appena cominciati.
Saranno messi da parte o rinviati i diritti civili, come i matrimoni gay e l’aborto. Lo Stato si ritirerà da tutto e resterà in vigore, se va bene, la sua funzione di ambulanza.
La svolta cilena attraverso i mass media
di Stella Spinelli - Peacereporter - 18 Gennaio 2010
Nonostante su ogni mass media cileno e internazionale campeggi in apertura la tragedia haitiana, anche questa prevista svolta a destra di un paese chiave per l'intero continente americano ha trovato spazio sulle prime pagine
Dopo cinquant'anni, la destra figlia dell'era Pinochet torna a conquistare il Cile. Sebastián Piñera, Coalicion por el Cambio, ha strappato ieri (domenica 18 gennaio) la vittoria a Eduardo Frei, il candidato della Concertacion, la colazione di centro-sinistra che ha governato per cinque decadi e che ha riconsegnato il paese in mano ai nostalgici.
Nonostante su ogni mass media cileno e internazionale campeggi in apertura la tragedia haitiana, anche questa prevista svolta a destra di un paese chiave per l'intero continente americano ha trovato spazio sulle prime pagine.
Del New York Times un titolo ad effetto "Multimilionario si aggiudica la presidenza del Cile". Sì, perché Piñera è straricco, è un industriale, proprietario del canale tv Chilevision, del 27 percento delle azioni della compagnia aerea Lan Chile e del 15 percento della squadra di calcio della capitale Colo-Colo, che ha al suo attivo una bella serie di vittorie nazionali e internazionali. E sull'identità di Piñera punta anche la Bbc di Londra, con un "Multimilionario vince le elzioni cilene".
Sullo spettro destrorso punta invece il dito lo spagnolo El Pais: "La destra cilena torna al potere dopo 52 anni", con un sottotitolo che spiega come l'industriale si rivolga al centrosinistra appellandosi all'unità.
Stesso appello fatto dallo sconfitto Frei. Medesima linea scelta dal connazionale El Mundo: stesso titolo, sottotitolo simile. E sul fatto che si tratti di "una storica vittoria" punta invece la Abc. Sempre spagnola.
Tornando al Cono Sur, il giornale Clarín, argentino, apre con la svolta destrorsa del vicino Cile, e sceglie di evidenziare "Dopo lo storico trionfo, Piñera dice che il Cile ha bisogno di più unità", marcando questo concetto con una foto che immortala un abbraccio tra i due candidati. Che sia un augurio per una sorta di governo di unità nazionale che eviti derive reazionarie?
Una domanda che suona retorica, se si continua leggendo il Clarín. Emerge in ogni riga questa lettura, speranzosa, dita incrociate. "L'uomo di destra ha rotto i 21 anni di governo della coalizione di centrosinistra, ma si è mostrato a favore di una democrazia fatta di accordi".
Altri toni vengono usati dall'argentino La Nación, da sempre in odor di reazione. "La destra è tornata è tornata al potere in Cile" e ancora "Sotto il comando dell'industriale, ha ottenuto la prima vittoria in più di mezzo secolo, avviando l'alternanza nel potere".
E che dire del Perù? El Comercio tenta di trovare una chiave di lettura positiva a questa svolta, precisando che "Michelle Bachelet si è felicitata con Sebastián Piñera per la sua elezione come presidente del Cile".
Mentre la parola "destrorso" campeggia a tutto titolo ne Los Tiempo de Chochabamba, giornale boliviano, che presenta tutt'altra lettura rispetto a un colombiano El Tiempo, il quale spiega come Piñera abbia promesso di "buttar giù le pareti divisorie e di costruire ponti di incontro".
Di tutt'altro avviso è, naturalmente, Telesur.tv, notiziario venezuelano, ma che riflette la linea di tutti i governi progressisti della regione. Dando seccamente la notizia della vittoria della destra, corrono a sottolineare come Frei abbia invitato a "continuare la lotta" per riprendere il paese.
Le parole che campeggiano sul sito del giornale sono quelle pronunciate dal candidato sconfitto e che esprimono il pensiero di qualunque progressista latinoamericano che apprende del risultato delle elezioni cilene: "Spero che prevalga il dialogo, la ricerca dell'accordo, le conquiste sociali che tanto ci è costato recuperare e che si sono trasformate in un simbolo della nostra relazione con il resto del mondo".
Quindi, enfasi all'appello un po' 'populista' di Piñera: "In alto i cuori, perché stanno arrivando tempi migliori per il Cile". Migliori per quale Cile?
Il prevedibile tramonto della Concertazione in Cile
di Gennaro Carotenuto - www.gennarocarotenuto.it - 18 Gennaio 2010
Il Cile va alla destra dura e pura, sia pur mascherata con la paccottiglia mediatica, l’aberrazione dell’invocazione continua di dio (e il terzo comandamento?) e i cotillon dell’american dream, di Sebastián Piñera .
Il Berlusconi cileno per semplificare attenendosi al libretto, rappresenta quella concentrazione di potere economico, mediatico, perversione e capacità di corruttela e menzogna per la quale il modello neoliberale, l’informalizzazione di ogni rapporto di lavoro, l’azzeramento dello Stato come strumento di difesa dei deboli e il favorire senza limiti la concentrazione della ricchezza, sarebbe tuttora il destino naturale dell’uomo.
Ciò nella presunzione che tale destino naturale rappresenti il “cambio” necessario per il paese a vent’anni dalla fine della dittatura e nonostante vent’anni di centro-sinistra non si siano mai discostati dal modello neanche quando sono stati a guida socialista, con Ricardo Lagos e Michelle Bachelet.
La storia della Concertazione è finita così in un caldissimo pomeriggio di gennaio in un hotel a cinque stelle di Santiago, un buon posto per una coalizione che ha da tempo smarrito la sua storia.
Poche facce ricordano quelle dell’88, quando donne e uomini feriti, mutilati e umiliati dalla dittatura ma non sconfitti, pensavano che ci fosse finalmente l’opportunità di costruire, sia pure con l’ipoteca della Costituzione pinochetista, un paese e una democrazia nuova.
In pochi oggi ascoltano le parole di circostanza del candidato sconfitto, il bolso democristiano Eduardo Frei, una minestra riscaldata (era stato già grigio presidente negli anni ’90), che ha rappresentato il tentativo suicida di far passare equilibri di partito come necessità del paese. Una militante, mostrando rara capacità di sintesi, gli grida inascoltata: “abbiamo perso per la nostra superbia e la nostra incapacità”.
Adesso, con Piñera che alla Moneda prenderà il posto di Salvador Allende e di Augusto Pinochet (e non ci sono dubbi su di chi si consideri erede) tutte le illusioni sono cadute. A partire da quella puerile e consolatoria che già rilancia la campagna per riportare Michelle Bachelet alla Moneda nel 2014.
Come se il prestigio personale potesse controllare fino ad allora una coalizione da anni in corso di esplosione e piena di fazioni e interessi privati che difficilmente potranno essere superati in peggio da quelli della destra.
La Concertazione in Cile, l’alleanza tra la Democrazia Cristiana (che in parte fu complice della dittatura fondomonetarista di Augusto Pinochet) e il Partito Socialista rinnovato, riconvertito dall’esilio (complice Bettino Craxi) si basava sulla svendita di un patrimonio storico che risaliva da ben prima di Salvador Allende a Luís Emilio Recabarren.
La riconversione al secolarismo neoliberale significava, e lo hanno scoperto amaramente i cileni negli ultimi vent’anni, che non si apriranno mai più “le grandi alamedas dove passa l’uomo libero”.
Certo, oggi sarebbe totalmente illusorio in un paese socialmente frammentato come pochi dal modello economico ripensare a Recabarren o Allende ma la menzogna sulla quale per vent’anni si è basata la Concertazione è purtroppo caduta.
Molti cileni democratici, soprattutto tra le classi medio-alte e intellettuali, e spesso con un passato cristallino di militanza e spesso di esilio, fino alle ultime ore prima della chiusura dei seggi e l’apertura delle urne si erano continuati ad illudere che Piñera non potesse vincere.
Sono tra quelli che in questi anni hanno trovato buone maniere per sopravvivere agiatamente ed approfittare delle virtù del modello, per esempio pagando impiegate domestiche a tempo pieno meno di quanto spendono per fumare, ma continuando a sproloquiare da sinistra e senza mai mettere piede nelle “comunas popolari” da dove quelle impiegate domestiche licenziabili su due piedi provengono arrivando ogni mattina all’alba nelle loro case borghesi a Vitacura o a Las Condes.
Si sono continuati ad illudere che quel limbo ventennale nel quale la Concertazione aveva rinchiuso il Cile, un neoliberismo funzionante nel bene e nel male con qualche spuntatura delle peggiori brutalità, associato alla comoda illusione che quella fosse l’unica democrazia possibile, la migliore delle democrazie possibili nel paese di Pinochet, potesse continuare a governare il Cile sia pure nella burocratizzazione più bieca dell’esistente.
Adesso il disastro è compiuto e vedremo se e come una Concertazione arriverà al prossimo appuntamento elettorale e con quali programmi. Difficilmente la unirà Marco Enríquez-Ominami, il giovane uscito dal partito socialista. Al primo turno, raccogliando un voto su cinque, ha messo a nudo che un’epoca stava arrivando al capolinea.
Marco al ballottaggio ha appoggiato Frei senza neanche nominarlo, una dimostrazione di freddezza che testimonia quanto post-politica fosse la sua candidatura e vago il suo appellarsi al cambio da sinistra in quanto giovane, in un paese dove oltre la metà dei giovani non si sono neanche presi il fastidio di registrarsi per votare.
Così non sorprende che un terzo dei suoi votanti, soprattutto uomini tra i 25 e i 45, al ballottaggio abbia optato per Piñera. Cambio che invece potrebbe essere rappresentato da una battaglia di lunga durata per una Assemblea Costituente che superi la Costituzione escludente pinochetista.
Jorge Arrate, anche lui ex-socialista e candidato delle sinistre, sia pur fermo al 6% al primo turno, ha detto parole interessanti in merito. Parole che qualunque opposizione, nella quale Ricardo Lagos è al massimo un padre nobile e Michelle Bachelet solo una possibile risorsa alla quale dare contenuti nuovi, dovrebbe prendere in serio conto per ricominciare a sperare.
È innegabile infine che la sconfitta della Concertazione rappresenti un pericolo politico, economico e militare per l’America latina integrazionista e in particolare per la Bolivia. Il Cile neoliberale ha costruito un’efficiente economia ancillare di quella statunitense ma ha agito, soprattutto con Michelle Bachelet, come un attore neutro rispetto ai grandi movimenti politici, sociali ed economici del continente.
Adesso dal colombiano Àlvaro Uribe passando per il peruviano Alan García fino a Piñera, sulla costa pacifica del Sud America (senza dimenticare il Messico di Felipe Calderón) si salda un poderoso fronte politico di destra filostatunitense e che si mette di traverso ai progetti d’integrazione del Continente. Vengono tempi duri in America latina e la faccia di plastica di Sebastián Piñera non promette nulla di buono.
Il primo gerarca cileno pinochettista alla sbarra in Italia
di Geraldina Colotti - www.ilmanifesto.it - 17 Gennaio 2010
A Roma, continua il processo contro l'ex procuratore di Temuco, accusato di aver ucciso 25 persone
Continua a Roma il processo contro il settantaquattrenne Alfonso Podlech Michaud, procuratore militare ai tempi della dittatura Pinochet. È imputato di strage, sequestro a scopo di estorsione e omicidio plurimo aggravato commessi nel carcere di Temuco, in Cile. Tra le sue vittime, anche l'ex sacerdote italo-cileno Omar Venturelli, allora docente a Temuco, ucciso nel '73.
Delitti relativi all'inchiesta denominata Condor, in riferimento alla struttura internazionale chiamata Plan Condor, ispirata dalla Cia e messa in atto dalle dittature militari degli anni '70 per eliminare gli oppositori politici dei vari paesi.
Un procedimento aperto (oltre 10 anni fa) dalle denunce presentate anche in Italia dai sopravvissuti e che hanno convinto il pubblico ministero Giancarlo Capaldo a spiccare oltre 140 mandati di cattura, in tutti i paesi in cui si ritiene abbia agito, in vari periodi, la rete del Condor: Cile, Argentina, Brasile, Bolivia, Paraguay e Uruguay.
Podlech è stato fermato a luglio 2008 alla frontiera spagnola, mentre si recava in vacanza a Praga, nel 2008. Arrestato per ordine della Procura di Roma, è stato estradato in Italia e poi rinviato a giudizio in un procedimento stralciato dalla maxi inchiesta Condor, tuttora dormiente.
Il processo all'ex procuratore militare - accusato della scomparsa di 25 cittadini di origine italiana - è iniziato a novembre. Tra le parti civili, la moglie di Omar Venturelli, Fresia Cea e la figlia dell'ex sacerdote, Maria Paz Venturelli, ma anche il comune di Pavullo (paese d'origine di Venturelli) e la Regione Emilia Romagna.
La difesa di Podlech sostiene che l'imputato non era ancora procuratore a Temuco nel '73, dunque non può aver firmato l'ordine di arresto, né permesso o praticato le torture sui detenuti come sostiene l'accusa, fuori da ogni regola giudiziaria, com'era allora prassi.
Testimoni e parti civili, venuti a Roma da varie parti d'Europa, hanno però fornito racconti precisi e circostanziati nonostante il tempo trascorso.
Hanno ricordato torture e crimini compiuti in un altro contesto storico, ma ancora incombente in Cile, un paese che in cui l'impunità di molti di quei gerarchi è garantita dal potere reale che tuttora rappresentano i militari.
Intorno, familiari di desaparecidos e sopravvissuti, riuniti in un comitato di sostegno, il Comité Juicio y castigo a Podlech in Italia, che agisce a livello europeo e si mobilita anche in Cile. Oggi alle 11 manifesterà nella Plaza Italia di Santiago - luogo storico dell'opposizione alla dittatura - insieme alla Comision etica contra la tortura con lo slogan «Dale tu mano al detenido desaparecido» e per sapere da Podlech dove si trovano i corpi delle sue vittime.
Fra i responsabili della dittatura pinochettista, Podlech è il primo ad essere processato in Italia, il primo a subire il processo in carcere, dopo il rifiuto dei magistrati di concedergli gli arresti domiciliari.