Un programma abbandonato dopo il referendum del 1987, con costi elevatissimi e dai tempi di realizzazione molto lunghi.
Inoltre rimane sempre il grosso problema dello smaltimento delle ulteriori scorie che inevitabilmente verranno prodotte, dal momento che quelle del vecchio programma nucleare sono sempre al loro posto...
Arriva il bengodi nucleare
di Carlo Bertani - http://carlobertani.blogspot.com - 18 Gennaio 2010
In sostanza, si dice che dovranno essere vicine all’acqua e lontane dalle aree sismiche: elucubrazioni che, anche chi non è Pico della Mirandola, già sapeva.
Poi si parla d’incentivi: una manna – gente! – incentivi “a pioggia”, per tutti! Chi vorrà, potrà prendere visione del decreto in nota(1).
Insomma, con il “rientro” di 95 miliardi di euro, grazie al bel regalo dello “Scudo Fiscale” – hanno pagato il 5% di tasse mentre avrebbero dovuto pagare il 40% – ci saranno tanti soldini per fare tante cose, nucleare compreso?
Ma, quanto costa una centrale nucleare?
Il costo medio attuale di una centrale nucleare è di circa 2000-2200 euro/kWe installato, ovvero il costo in conto capitale di una centrale da 1000 MWe è di circa 2 miliardi di euro. Il costo dell’EPR da 1600 MWe (il reattore europeo di III Generazione fornito dalla franco-tedesca Areva) è di 3 miliardi di euro(2).
In realtà, sul Web circolano anche altre cifre – qualcuno arriva a dichiarare 15-20 miliardi di euro per il solo reattore – ma quelle più attendibili variano in una “forbice” fra 3-7 miliardi di euro. Il nodo, non facile da districare, riguarda cosa s’intenda per “costo”: il reattore, oppure la struttura? Entrambi?
Non dimentichiamo che, proprio per il nucleare, ci sono delle procedure d’infrazione aperte dall’UE per il finanziamento “occulto”, usando fondi statali per finanziare imprese private, che lavorano in quello che dovrebbe essere un libero mercato(3).
Insomma, un ginepraio.
In effetti, la cifra di 5 miliari di euro per una centrale (struttura + reattore) da 1600 MWe è credibile, ma qui salta fuori un altro coniglio dal cappello: la “levitazione” dei costi.
Un chiaro esempio di questi problemi è la costruzione in corso a Okiluoto, in Finlandia, di un reattore europeo pressurizzato ad acqua (EPR) di nuova generazione – il primo reattore di questo tipo – che dopo soli diciotto mesi di costruzione ha già accumulato un ritardo di diciotto mesi sul programma, superando già adesso il budget previsto di 700 milioni di euro (4).
I tempi di costruzione delle centrali, dagli anni ’70 ad oggi, sono praticamente raddoppiati: per la maggior complessità tecnologica, per i sistemi di sicurezza, ecc. Se non sono riusciti a star “dentro” nei tempi (e quindi nei costi) tutti gli altri, c’è da sperare che ci riusciremo noi italiani?
Si potrà ricordare che il reattore finlandese è di nuova generazione, ma il fenomeno del procrastinarsi dei tempi di costruzione è un fenomeno planetario, che riguarda anche le centrali non sperimentali.
Poi, bisogna conteggiare i finanziamenti per “compensazione” alle popolazioni (termine assai poco chiaro) che ammonteranno a 3-4000 euro/anno per MWe installato: in pratica, una centrale da 1.600 MWe sborserà a “qualcuno” circa 6 milioni di euro l’anno.
Nel decreto recentemente approvato(5), si parla addirittura di “interventi a pioggia” per tutti: Comuni, Province, sconti sull’IRPEF, sulle forniture elettriche…ancora…roba da Babbo Natale Atomico, mica scherzi.
Saremo curiosi di verificare, dopo le elezioni regionali, quando si saprà chi si “beccherà” la centrale sulla cocuzza – prima no, ovvio, votate tranquilli… – quante di queste “piogge” di denaro rimarranno.
Bisogna stare attenti quando si parla di provvedimenti a favore della popolazione, perché quei soldi s’intendono dati agli amministratori locali, che sono cosa assai diversa dalle popolazioni.
Scusate il sospetto, ma i trucchi delle tre carte di Tremonti li conosciamo da tempo: magari “cartolarizzerà” quei benefici, “spalmandoli” in 25 esercizi finanziari…roba del genere…ma la centrale arriverà, sicuro. Cioè, sicuro: forse.
Calcolando benefici a “pioggia”, costi di costruzione e quant’altro…chiudiamo la faccenda a 7 miliardi di euro per una centrale da 1.600 MWe per 25 anni? Senza considerare, ovviamente, l’Uranio, il personale, le scorie…
I sostenitori del nucleare affermano che la “forza” di quel sistema è una produzione continua, senza interruzioni: falso. Anche le centrali nucleari, come tutti i sistemi complessi, necessitano di manutenzione: altrimenti, si spalancano veramente le porte dell’Inferno Nucleare.
E’ appena passato Natale e vogliamo essere generosi: concediamo a quelle centrali di produrre alla massima potenza per l’80% del tempo, da quando entreranno in funzione (circa 2020) al 2045.
Una centrale da 1.600 MWe produrrà, in un anno (all’80%), circa 11,2 milioni di MWh (11,2 TWh), in 25 anni 280 milioni di MWh (280 TWh).
Quanta potenza elettrica di fonte eolica sarebbe possibile installare con 7 miliardi di euro?
Calcolando il costo di 1 MW di potenza eolica installato in mare – lontano dalla costa, su piattaforma ancorata, invisibile da terra – in 1,3 milioni di euro(6) (+ 25-30% rispetto agli impianti a terra[7]), potrebbero essere installati 5.385 MW. Quanto produrrebbero in 25 anni?
Siccome le mappe eoliche del CESI(8) stimano nella aree marine del basso Adriatico, del Canale di Sicilia e del Sud della Sardegna (fondali inferiori ai 100 m) una produzione alla massima potenza per +3.000 ore l’anno, quegli aerogeneratori produrrebbero, sempre in 25 anni, circa 404 milioni di MWh (404 TWh). 124 TWh in più della centrale nucleare!
Crediamo bene che gli alfieri della “estetica ambientale” si spellino la lingua, in TV, contro l’eolico: potremmo addirittura ipotizzare che qualcuno paghi, e parecchio, per tanto fervore!
Difatti, negli altri Paesi stanno abbandonando il nucleare per investire nell’eolico: lo fa, addirittura, l’ENEL in Texas!
124 TWh in più senza considerare che la manutenzione dell’eolico è infinitamente meno onerosa rispetto ai costi del materiale fissile, del personale e della custodia delle scorie (peraltro, ben lontana dal trovare una soluzione)!
A questo punto c’è la solita obiezione: le rinnovabili non sono affidabili poiché intermittenti, poco costanti.
Ciò è vero, e sarebbe una follia affidarsi al solo eolico.
Carlo Rubbia – oramai solo “di passaggio” in Italia – non ha mancato di “tirare le orecchie” al governo per lo strampalato piano energetico di Scajola & Co: riteniamo che un Nobel italiano, il quale sta operando proprio nel campo delle rinnovabili (solare termodinamico), almeno il diritto di togliersi qualche sassolino dalla scarpa (per come è stato trattato…) ce l’abbia.
In qualsiasi Paese – diciamo solo “normale” – sarebbe Rubbia a stendere il piano energetico, anche perché il solare termodinamico sta funzionando benissimo in Spagna, i tedeschi stanno cercando joint venture per installarlo in Africa, Israele ci sta pensando, così l’Algeria, il Marocco…
Insomma, tante nazioni rivierasche del Mediterraneo puntano su sole e vento…e noi – ma saremo proprio i più furbi della nidiata? – pianifichiamo un obbrobrio costoso, tutto d’importazione, meno redditizio e…ancora cantiamo?
Un serio piano energetico dovrebbe poggiare principalmente su tre direttrici: solare termodinamico, eolico e biomasse di scarto. Perché?
Poiché le energie naturali sono anche energie stagionali, ossia dipendenti dalla meteorologia, dalla stagione, dai capricci del tempo.
Se è vero che il solare termodinamico, grazie all’inerzia delle alte temperature generate, riesce a soddisfare anche la richiesta notturna (che è sensibilmente inferiore di quella diurna, circa 1/6), poco può fare quando ci sono prolungati periodi di cielo coperto. In Inverno, ad esempio.
Ma, proprio in Inverno, in Primavera ed in Autunno la circolazione dei venti è consistente, favorendo così l’eolico. Il quale, è certamente meno favorito d’Estate (ampia omeotermia nel Mediterraneo, e quindi ridotta circolazione dei venti), quando il termodinamico raggiunge le migliori rese.
Ogni anno, poi, in Italia generiamo 30 milioni di tonnellate di scarti dell’agricoltura, della silvicoltura e delle industrie di trasformazione (segherie, ecc): scarti “puliti”, non come i rifiuti, materiali che si possono utilizzare ovunque.
Calcolando in circa 4.000 Kcal/Kg l’energia che si può ricavare da quegli scarti, essi corrispondono all’incirca a 12 MTEP, ossia a 12 Milioni di Tonnellate di Petrolio, circa il 6% del fabbisogno energetico nazionale.
Di più: proprio perché quegli scarti non inquinano, potrebbero essere utilizzati in un ciclo combinato, ossia per produrre energia elettrica e riscaldare le abitazioni con il vapore esausto delle turbine.
Oggi, nelle centrali termoelettriche, il rendimento non supera il 35%: la gran parte dell’energia se ne va, sprecata, nei fiumi e nel mare, nelle acque usate per il raffreddamento nei condensatori. Nelle centrali a ciclo combinato – proprio perché il calore non viene dissipato bensì utilizzato per riscaldare le case – il rendimento raggiunge già oggi il 60% [9], ma con l’affinarsi delle tecnologie potrebbe migliorare.
Vorremmo proporre una considerazione ed un’esortazione.
Abbiamo fior fiore di tecnici e ricercatori, bravissimi, in grado di progettare e migliorare qualsiasi settore energetico: sanno fare bene il loro lavoro, al punto che alcune piccole industrie lavorano come sub-contraenti per l’industria eolica.
Abbiamo aziende in grado di produrre meccanica di precisione, elettronica di supporto, ecc: non sono questi i problemi.
Mancano filosofi.
Ci vogliono persone in grado di dialogare, di proporre, di valutare – senza pelli di salame agli occhi – le future scelte.
Avere un Rifkin sarebbe chiedere troppo?
Forse mi sono sbagliato, i “filosofi” ci sono: non mancherà, per caso, chi li dovrebbe interpellare? Ad ascoltare certe fregnacce televisive, il dubbio viene.
E veniamo all’esortazione.
Prima di gettare nel nucleare del 2020 miliardi che, per ora, manco ci sono, perché non modificare il piano energetico – a questo punto suddiviso su più esercizi finanziari e con “ritorno” quasi immediato degli investimenti, non nel 2020 – su quelle tre direttrici come esperimento pilota?
Tralasciamo, in questa sede, altre forme d’energia, il risparmio energetico e il dilemma di scegliere fra grandi impianti oppure sistemi per l’autosufficienza energetica: la questione diverrebbe troppo complessa, e ci torneremo in un prossimo articolo.
Restringendo l’indagine a questi soli tre sistemi di produzione energetica: quale scenario potremmo ipotizzare?
Alcune centrali termodinamiche nel Sud, “campi” eolici in mare e centrali a biomasse laddove c’è più produzione di scarti agricoli. Poi, fra pochi anni – da tre a cinque, non nel 2020 – potremmo già tracciare delle conclusioni, verificare i problemi, migliorare i sistemi, ecc.
Distribuendo i campi eolici al limite delle acque territoriali (12 miglia, circa 23 Km, invisibili da terra), in tre zone ben definite: le coste adriatiche pugliesi, il Canale di Sicilia e l’area a Sud di capo Teulada, l’incostanza del sistema eolico sarebbe compensata dalla distanza poiché, chiunque abbia un minimo d’esperienza di mare, sa che è praticamente impossibile avere le medesime condizioni di vento in aree così distanti.
Le centrali a biomasse potrebbero sorgere nei pressi di grandi città della pianura padana (forte produttrice di scarti agricoli), così da non incorrere in significative perdite per il trasferimento sulla rete elettrica di distribuzione e facilitando, per la stessa ragione, il teleriscaldamento delle abitazioni. Funzionando prevalentemente durante l’Inverno, compenserebbero la scarsa produzione termodinamica.
Un’accorta programmazione – dato che il trasporto delle biomasse è uno dei principali fattori di costo – prevedrebbe, in parallelo, di riattare la rete fluviale italiana, dal Po ai canali limitrofi, compresa l’area veneta, ed un maggiore impulso alla navigazione di cabotaggio. Sono interventi non molto costosi, per altro finanziabili in parte con fondi europei.
Per le centrali termodinamiche servono poche parole: che fine ha fatto la modesta centrale sperimentale di Priolo Gargallo, appaltata all’ENI per la costruzione e la messa in esercizio? Di questo passo, potremmo dare in appalto l’Arma dei Carabinieri ad una holding paritetica fra Mafia, Camorra e N’drangheta.
In realtà, il termodinamico sta avanzando nel Pianeta [10], e in Spagna stanno passando dalle prime centrali da 50 MW a quelle, in fase di progettazione, da 300 MW. Se e quando funzionerà Priolo Gargallo, sarà una delle prime centrali progettate, ma avrà la minor potenza fra tutte le altre: 5 MW.
Tutto questo, nonostante Rubbia abbia dimostrato che una superficie di specchi pari a quella compresa all’interno del raccordo anulare di Roma provvederebbe, da sola, ad un terzo del fabbisogno nazionale.
Concludendo, potremo riassumere la faccenda in poche considerazioni.
I dati sui costi reali dell’energia nucleare sono soggetti ad una continua disinformazione e facciamo notare che, nella nostra analisi, non abbiamo considerato i costi dell’Uranio né quelli del personale e neppure la custodia delle scorie, assai onerosa, come avevamo già analizzato nel nostro “Vattelapesca forever”(11).
Programmare delle centrali per il 2020 è un’operazione molto azzardata, poiché il costo dell’Uranio ha goduto, dal 1990 in poi, di un importante calmiere del prezzo, dovuto allo smantellamento di moltissime testate belliche del dopoguerra (gli accordi SALT, ecc). Oggi, quella “manna” è terminata, ed il prezzo dell’Uranio – che influisce sulla produzione elettrica per un 5-10% – è in costante aumento.
Nel 2020 non sappiamo a quanto arriverà il prezzo del minerale, poiché dieci anni – in mercati così volatili – possono riservare di tutto: vento, sole ed acqua costeranno quanto costano oggi, cioè niente.
Le tecnologie per captare le energie naturali, al contrario, man mano che s’affinano e migliorano abbassano il costo del KWh prodotto.
Da ultimo, ricordiamo che il costo d’impianto oggi stimato per il nucleare è di 2,2 milioni euro per MW, mentre quello dell’eolico è di un milione per le installazioni a terra e di 1,3 milioni per quelle in mare.
Perciò, la scelta insensata va oltre la querelle sulla sicurezza delle centrali: si costruiscono obsoleti macinini ad Uranio e non si guarda oltre. Siamo un paese vecchio, che teme le novità, la ricerca, la sperimentazione. Nuove verità che affossino antiche credenze mettono in dubbio false sicurezze: ma, le false certezze, sono destinate da sole a crollare.
Non siamo ingenui: conosciamo perfettamente la ragione che conduce l’Italia lontano dalle fonti rinnovabili e ad affidarsi, quando quasi tutti gli altri lo stanno abbandonando, al nucleare.
Qualsiasi produzione energetica che necessiti di un rifornimento costante di materiali produce flussi di denaro e, su quei flussi di denaro, la corruzione crea enormi ricchezze per i soliti noti.
Per quanto ci possa consolare il pensiero che corruzione e lobbismo siano radicati ovunque, non c’è terra dove la corruzione sia quasi “istituzionale”, come avviene in Italia. Condite “l’insalata nucleare” italiana con un po’ d’ignoranza e tanta voglia di soldi sicuri da distribuire ai famelici appetiti della politica e dei baroni dell’economia, ed ecco la risposta.
La questione si sposta dunque dal settore tecnico alla politica: ci rendiamo conto che, per molti, questa è la classica scoperta dell’acqua calda, ma riteniamo che ogni tanto sia necessario “rinfrescare” le idee.
Soprattutto a coloro i quali, dopo le elezioni regionali, si vedranno “recapitare” una centrale nucleare sulla cocuzza: mentre ENEL ed ENI si fregheranno le mani contente – e con esse il Tesoro, che ha importanti partecipazioni azionarie in entrambe le holding – quei “fortunati” vedranno le loro abitazioni precipitare ad un terzo del loro valore. Contenti loro.
Cosa possiamo fare?
L’unica forza politica che ha lanciato una petizione contro la costruzione delle centrali nucleari è stata “Per il Bene Comune”(12), la quale ha consegnato le prime 50.000 firme alla Presidenza della Repubblica, senza che – fino ad ora – sia giunta risposta (se gli amici di PBC hanno novità in merito, saremmo felici se ci aggiornassero, nei commenti o direttamente all’autore).
PBC non ha passato sotto silenzio che il referendum del 1987 fu un pronunciamento contro l’energia nucleare nel nostro Paese: si potrà affermare che il meccanismo di qualsiasi referendum abrogativo prevede l’abolizione di una norma, come in quel caso furono abrogate le norme che prevedevano l’impianto delle centrali di Caorso e di Montalto di Castro (semplifico un po’ la questione).
In pratica, furono abrogate le norme per quelle centrali, ed oggi ci sono nuove norme (emesse dall’attuale governo) che, per essere parimenti abolite, necessiterebbero di un altro referendum. Questo è il “corso” giuridico.
Non ci si può, però, nascondere dietro ad un dito perché gli italiani – concediamo che la vicenda di Chernobyl abbia, all’epoca, modificato i consensi – si pronunciarono chiaramente contro il nucleare. Oggi, sono favorevoli?
Per niente.
Secondo una ricerca effettuata da “Il Sole 24 ore”(13)– che non è certo una fonte “comunista” – solo il 26,3% degli italiani è disposto ad accettare una centrale sul proprio territorio. E, tutto questo, nonostante il buon Mannehimer si sia tanto dato da fare per organizzare – lo scorso 12 Novembre 2009 – un bel convegno con un titolo che era tutto un programma: “Energia nucleare: la gestione del consenso”(14).
Insomma, ‘sti italiani sono contrari, lo erano già nel 1987: come facciamo a farli cambiare opinione? Va da sé che se la sono “sparata” fra di loro e basta: di voci contrarie, manco l’ombra.
Il buon Mannheimer deve aver fatto un bel flop, tanto che il governo sarà costretto a militarizzare le aree delle centrali.
E l’opposizione?
L’UDC è favorevole, mentre Di Pietro ha recentemente dichiarato di voler promuovere due referendum abrogativi(15), contro il nucleare e la privatizzazione dell’acqua. Ma, Di Pietro, è la stessa persona che si alleò con il Presidente della Regione Molise Iorio (all’epoca, Forza Italia) contro il primo “campo” eolico italiano off-shore. La vicenda è comica, e la trattammo in “Venti nucleari”(16).
Farà seguire alle parole i fatti? Ah, saperlo…
Non è il caso di chiederlo al PD – che, paradossalmente, si dichiara contrario al nucleare e favorevole all’eolico(17)– per il problema che, loro, prima dovrebbero trovare il PD.
Perciò, l’unica via da seguire è appoggiare PBC nella sua petizione e chiedere, finalmente, a Pietruzzo cosa vuol fare da grande. Ha un partito, è in Parlamento, può lanciare la raccolta di firme: il 75% degli italiani non vuole quelle centrali.
Se ci sei, Pietruzzo, batti un colpo: altrimenti, taci.
Note:
[1] Vedi : http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=87890&idCat=81
[2] Fonte: http://titano.sede.enea.it/Stampa/skin2col.php?page=eneaperdettagliofigli&id=127
[3] Vedi : http://www.greenpeace.org/italy/news/olkiluoto-nucleare
[4] Fonte: http://www.greenpeace.org/italy/ufficiostampa/comunicati/costi-nucleare
[5] Fonte: http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/ambiente/nucleare3/decreto-legge-siti/decreto-legge-siti.html
[6] Fonte : Immacolata Niola (Cattedra di Merceologia, Università di Napoli Federico II) – La nuova frontiera dell’energia eolica : lo sfruttamento delle risorse off-shore – pubblicato su Ambiente, Risorse Salute – Numero 105 – Settembre/Ottobre 2005.
[7] Fonte: http://www.ecoage.it/eolico-costo-aerogeneratori.htm
[8] Vedi: http://atlanteeolico.erse-web.it/viewer.htm
[9] i: http://www.latermotecnica.net/pdf_riv/200907/20090713003_1.pdf
[10] Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Impianto_solare_termodinamico
[11] Vedi: http://www.carlobertani.it/vattelapesca_forever.htm
[12] Vedi: http://www.perilbenecomune.org/index.php?p=24:6:2:119:198
[13] Vedi: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2009/10/nucleare-sondaggio-italia.shtml?uuid=9b96e626-b34b-11de-bd42-b647cd45635a&DocRulesView=Libero
[14] Vedi: www.enea.it/eventi/eventi2009/EnergiaNucleare121109.pdf
[15] Fonte: http://www.zero321.it/index.php/component/content/article/53-novara/2602-di-pietro-a-novara-due-referendum-abrogativi-per-il-nucleare-e-lacqua-appoggio-convinto-a-bresso
[16] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2009/03/venti-nucleari.html
[17] Vedi: http://www.partitodemocratico.it/gw/producer/dettaglio.aspx?ID_DOC=51529
Caorso: nucleare in sciopero
di Daniele Rovai - Altrenotizie - 23 Gennaio 2010
L’invio del combustibile da Caorso era iniziato a dicembre del 2007, procedendo celermente, per mandar via dall’Italia l’80% della radioattività ereditata dalla stagione atomica degli anni ’70.
Dopo Caorso sarebbe toccato alle barre della centrale atomica di Trino ed infine sarebbero partite quelle di Saluggia. Da oggi, con lo sciopero dei dipendenti, tutto è fermo e ogni ritardo può compromettere un accordo che è costato alle famiglie italiane, per pagarsi la loro sicurezza nucleare, ben 277 milioni di euro.
«Da dicembre del 2007 ad agosto del 2009 abbiamo fatto partire 52 cask - ci dice il tecnico che ha accettato di incontrarci - per un totale di 884 elementi radioattivi. Abbiamo lavorato su tre turni, abbiamo fatto gli straordinari e lavorato anche la domenica. Siamo i primi a non volere più quelle barre. Possiamo però avere il diritto di sapere che fine faremo?»
Quando a ottobre del 2008, con il disegno legge “Sviluppo”, l’esecutivo ha deciso di commissariare e smembrare l’azienda, hanno chiesto rassicurazioni al governo, azionista unico, sui loro posti di lavoro. Non hanno ottenuto risposta. Anzi il ministero, ci dicono, cestinava le mail senza nemmeno aprirle.
E’ in quel periodo che inizia un’agitazione sindacale unitaria a livello nazionale che però, per la Uil e la Cisl, finisce ad agosto del 2009, quando il neo commissario rassicura sui posti di lavoro; l’agitazione continua invece per la Cgil, che insieme a quelle parole pretende anche un atto formale del governo che non arriva.
E a Caorso a continuare lo sciopero sono daccordo tutti: anche gli iscritti alla Cisl. Il loro é uno sciopero particolare. La legge non prevede che un impianto nucleare, seppur spento, non sia presidiato da tecnici. Il loro sciopero consiste nel rifiuto degli straordinari.
«Con il blocco degli straordinari il lavoro si ferma. Per completare l’inserimento delle barre nei cask 8 ore non bastano e questo lavoro quando lo inizi lo devi portare a termine. Perciò non lo inizi nemmeno. Lo stesso vale per i trasporti: la prefettura per problemi di sicurezza li autorizza solo la domenica e noi quel giorno di straodinario non lo facciamo. Sfido chiunque a lavorare a contatto con materiale nucleare 10 ore al giorno, notti e domeniche comprese, sapendo che la tua azienda sarà fatta a pezzi e nessuno che ti dica che fine farai.»
Il loro, in effetti, è un lavoro rischioso. Devono prendere delle barre radioattive depositate dentro una piscina piena d’acqua a 12 metri di profondità e metterle dentro dei cask, cilindri d’acciaio alti 4 metri. Tutto il lavoro si svolge sott’acqua, usando un carro ponte con un argano costruito apposta pilotandolo da svariati metri d’altezza.
L’acqua è l’unica barriera che li protegge dalle radiazioni. Ma quando il cask sigillato viene tirato fuori dall’acqua e asciugato la loro dose di radizioni, seppur bassa, la prendono ogni giorno.
Sono persone che conoscono l’impianto come le loro tasche. Qualcuno l’ha addirittura visto nascere e sono consapevoli della responsabilità che hanno verso la popolazione. Per questo non accettano di passare per irresponsabili. E quasi si offendono quando gli domandiamo se la SOGIN potrebbe utilizzare personale esterno per fare il lavoro al posto loro.
«Certo che potrebbero farlo. Alcuni lavori li hanno già appaltati a ditte esterne. Ma la legge (d.lvo 230 del 15 marzo 1995 - n.d.r.) dice che al momento dell’invio di materiale radioattivo fuori dalla centrale devono essere presenti le squadre di sicurezza. Cioè noi. E siccome i trasporti di materiale radioattivo la prefettura li autorizza solo di domenica non parte nulla.»
Eppure nei primi giorni di dicembre qualcosa si era mosso. «E’ vero. Abbiamo incontrato il commisario Mazzuca in videoconferenza, che poi ha messo nero su bianco quello che ci ha detto: cioè che l’azienda sarebbe rimasta in mani pubbliche e che sarebbe addirittura cresciuta con la ripartenza nucleare. Quando gli abbiamo ribadito che volevamo anche la firma di Scajola ci ha assicurato che non avrebbe firmato il documento se non fosse questa la volontà del ministero. Ma se era questa la soluzione perché non l’hanno detto subito?»
Domanda interessante. Anche perché la legge parla di “smembramento” della società e vendita dei beni ad aziende energetiche controllate al 20% dallo Stato. La lettera del commissario, invece, descrive una Sogin divisa in due, con lo Stato azionista di maggioranza sia della prima (100%) che della seconda (51%).
Non è una differenza da poco. «Noi abbiamo voluto credere alle parole del commissario ed il 6 dicembre, per dimostrare che non è nostra intenzione mettere in imbarazzo l’azienda, abbiamo fatto partire i 2 cask già pronti. Ma siamo stati chiari: se il 18 gennaio 2010, quando sarebbero dovute ripartire le operazioni d’invio, non c’era il decreto ministeriale con gli indirizzi operativi del governo, da qui non sarebbe partito più niente.» Quel decreto ancora non c’é. E lo sciopero continua.
Mentre veniamo via da Caorso pensiamo a quell’impianto nucleare e a quei tecnici che sembrano vivere in simbiosi con la loro centrale. Ci hanno raccontato come hanno cambiato lavoro, e casacca, ormai troppe volte.Negli anni ’70 tecnici ENEL del ramo nucleare. Poi, quando il sogno è finito, ecco la casacca di ENEL-SGN e la trasformazione in costose guardie giurate d’impianti diventati improvvisamente vecchi.
Infine, smantellatori d’impianti atomici con la casacca SOGIN, cioè l’esternalizzazione da parte di ENEL dei servizi di gestione del “vecchio” nucleare: un onere costoso che non dava alcuna remunerazione e che avrebbe potuto danneggiare un’azienda pronta per il collocamento in borsa.
Ci hanno colpito le parole di commiato: «Chi opera nelle vecchie centrali nucleari italiane è un bene prezioso. E’ la memoria storica di quel luogo. Chiuderci non solo non avrebbe senso. Ma sarebbe un grave errore anche per il nucleare futuro».