martedì 12 gennaio 2010

Yemen, Somalia, Al Qaeda e i "giochini" degli USA...

Ritorniamo sugli sviluppi della situazione in Yemen, dove si stanno concentrando gli sforzi bellici statunitensi unitamente a quelli in Afghanistan e Pakistan.

Idem vale per la Somalia, dove stando a quanto dichiarato dal portavoce del gruppo islamista degli al-Shabaab nel corso di un seminario sulla Sharia, "agenzie americane starebbero trasportando in Somalia notevoli quantità di esplosivo, con l'appoggio del Governo Federale di Transizione (Tfg), per organizzare attentati provocatori contro moschee e obiettivi civili, di cui poi incolpare al-Shabab", l'organizzazione ritenuta il braccio armato somalo della fantomatica Al Qaida.

Secondo il portavoce di al-Shabaab "questi operatori dell'antiterrorismo sono già nel paese, all'interno di Villa Somalia (palazzo presidenziale e governativo nella capitale, ndr), e stanno pianificando esplosioni in zone particolarmente affollate, quali strade frequentate, mercati e moschee nei piccoli spicchi della capitale ancora controllate dal governo, così da incolpare poi noi delle esplosioni".

Il solito vecchio "giochino" in cui gli USA sono imbattibili...


Yemen, fuga di notizie
di Christian Elia - Peacereporter - 7 Gennaio 2010

Le autorità di Sana'a smentiscono l'arresto del capo di al-Qaeda, anche perché quello vero è un imam nato e cresciuto negli Usa

Il vertice di martedì 5 gennaio nella Situation Room, un locale blindato qualche piano sotto lo Studio Ovale alla Casa Bianca, deve essere stato un vero e proprio regolamento di conti tra le troppe agenzie della sicurezza negli Usa. Il presidente Obama furioso, attaccato dai media conservatori e non, voleva subito un risultato da esporre nei telegiornali degli Stati Uniti d'America.

Errore di persona. La fretta, però, è cattiva consigliera e ieri i media Usa ed europei si sono precipitati a celebrare l'arresto del 'capo di al-Qaeda in Yemen'. Solo che non era vero, sia perché le autorità yemenite oggi hanno smentito di aver arrestato Mohammad Ahmed al-Hana sia perché non è lo stesso al-Hana il leader della rete di estremisti islamici nello Yemen.

La fretta, come detto, di segnare un punto a favore della 'lotta al terrorismo' ha confuso le carte. Al-Hana, in realtà, è l'uomo che comandava la cellula che, nei giorni scorsi, si è impadronita di un carico di armi ed esplosivi che viaggiavano (piuttosto incautamente) su sei camion dell'esercito yemenita diretti alle truppe al fronte che combattono nel governatorato di Saada, nello Yemen settentrionale, contro i ribelli sciiti fedeli al predicatore al-Houti.

I fondamentalisti di al-Hana hanno attaccato il convoglio e si sono impadroniti delle armi. Allarme rosso in Yemen e ambasciate che chiudono nella capitale, in quanto tutti erano convinti che il carico sarebbe stato utilizzato per colpire obiettivi nella capitale.

Ansia da prestazione. Nelle prime ore dopo la scomparsa del carico i reparti speciali dell'esercito yemenita hanno dato vita a una furiosa caccia all'uomo e, nel giro di poche ore, hanno ritrovato la banda e hanno ingaggiato battaglia.

Due miliziani, il 5 gennaio, sono stati uccisi durante l'operazione e altri tre feriti e poi piantonati in ospedale. Ieri, 6 gennaio, la diffusione della notizia della cattura di Mohammad Ahmed al Hana, capo del gruppo, sfuggito in un primo momento alla cattura.

Notizia eccellente per Obama che, domani, ha annunciato un resoconto sconvolgente che dimostra come l'intelligence Usa aveva tutte le informazioni necessarie per fermare Umar Farouk Abdulmutallab, il ragazzo nigeriano che il 24 dicembre scorso ha tentato di farsi esplodere su un volo Amsterdam - Detroit.

Sul sito dell'ambasciata Usa a Sana'a, prontamente riaperta, il Dipartimento di Stato statunitense si congratulava con le autorità yemenite e, anche se non poteva scriverlo, riteneva di poter meglio giustificare la pioggia di denaro che arriva da Washington ma che per adesso ha prodotto risultati mediocri.

Washington - Sana'a: alta tensione. Prima di tutto l'evasione, nel febbraio 2006, di 23 detenuti da un carcere di massima sicurezza della capitale yemenita. Tra loro le menti dell'attentato dell'ottobre 2000 contro il cacciatorpediniere Uss Cole della marina militare Usa, nel quale persero la vita 17 marinai statunitensi.

Come se non bastasse, sono decine i detenuti di Guantanamo che provengono dallo Yemen e molti di quelli rilasciati e spediti in patria sono tornati nel giro di poche ore tra le file dei combattenti.

Il presidente Usa Obama, in campagna elettorale, ha fatto della chiusura della prigione di Guantanamo un punto d'onore per lo stato di diritto Usa. Per adesso la base è ancora aperta, ma Obama e il suo staff già immaginano gli attacchi della destra rispetto alla chiusura della prigione.

Insomma serviva un risultato, ma è quello sbagliato. Come detto Mohammad Ahmed al-Hana non è tra le persone catturate ieri e, cosa ancora più importante, non è il capo di al-Qaeda in Yemen. Il vero leader, re incontrastato del web con le sue fatwe, è Anwar al-Awlaki, l'uomo indicato dallo stesso ministro degli Interni dello Yemen come mentore di Abdulmutallab.

Il vero capo. Al-Awlaki, 38 anni, è nato negli Usa, nel New Mexico, dove suo padre insegnava all'università. Dopo studi da ingegnere, si è dato agli studi religiosi diventando uno degli imam più estremisti.

Sempre lui avrebbe istruito Nidal Malik Hasan, l'ufficiale che ha massacrato il 5 novembre scorso 13 persone nella base militare Usa di Fort Hood.
Al-Awlaki tornò in Yemen con la famiglia, prima di rientrare negli Usa dove lavorò come imam a San Diego e dintorni. Venne arrestato una prima volta nel 1996, con l'accusa di induzione alla prostituzione.

Una pagina oscura nella vita di questo fervente musulmano, o più prosaicamente dei contatti con reti di criminalità ordinaria per finanziare altre attività? In quel periodo ha frequenti contatti con almeno due degli attentatori dell'11 settembre 2001.

Proprio dopo l'attacco alle Torri Gemelle lascia per sempre gli States, ma non si rifugia su una montagna abbandonata del Pakistan, bensì a Londra. La capitale del più importante alleato Usa nel mondo lo ospita per ben due anni, prima di tornare in Yemen.

Dove si trasferisce, indisturbato, nella provincia di Shabwa. Gli Usa, alo Yemen, hanno dato milioni di dollari per combattere persone come Anwar al-Awlaki, ma nulla è stato fatto. Obama, nel suo rapporto sconvolgente, dovrebbe spiegare come è possibile che al-Awlaki si sia mosso, per anni, liberamente. E dovrebbe farlo anche se è molto imbarazzante ammettere che è lui il vero capo di al-Qaeda in Yemen.


L'ordine del giorno segreto dello Yemen. Dietro gli scenari di Al-Qaeda, un check point strategico del transito del petrolio
di F. William Engdahl - www.globalresearch.ca - 5 Gennaio 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Micaela Marri

Il 25 dicembre scorso le autorità statunitensi hanno arrestato un nigeriano di nome Abdulmutallab a bordo di un volo della Northwest Airlines da Amsterdam a Detroit, con l’accusa di aver tentato di far saltare in aria l’aeromobile con degli esplosivi di contrabbando.
Da quel momento sono state trasmesse notizie dalla CNN, dal New York Times e da altre fonti che fosse “sospettato” di essere stato addestrato nello Yemen per la sua missione terroristica.
Ciò a cui il mondo è stato assoggettato è l’emergenza di un nuovo bersaglio per la ‘guerra al terrorismo’ americana, ossia un desolato stato della penisola araba, lo Yemen. Uno sguardo più approfondito al quadro generale suggerisce che il Pentagono e l’intelligence americana abbiano un ordine del giorno segreto nello Yemen.


Da alcuni mesi il mondo ha assistito ad una costante escalation del coinvolgimento militare americano nello Yemen, una terra deprimentemente povera, confinante a nord con l’Arabia Saudita, prospiciente ad un’altra terra desolata di cui si è parlato molto di recente, la Somalia.

Le prove suggeriscono che il Pentagono e l’intelligence americana si stiano muovendo per militarizzare un checkpoint strategico per i flussi petroliferi mondiali, Bab el-Mandab, e che stiano sfruttando l’incidente della pirateria somala, insieme alle teorie di una nuova crescente minaccia di Al-Quaeda nello Yemen, per militarizzare una delle rotte mondiali più importanti per il trasporto del petrolio. Inoltre, le riserve non sfruttate di petrolio nel territorio tra lo Yemen e l’Arabia Saudita sarebbero tra le più grandi del mondo.

Il 23enne nigeriano Abdulmutallab, accusato dell’attentato kamikaze fallito, stando ai resoconti avrebbe parlato, affermando di essere stato mandato in missione da Al-Qaeda nella Penisola Araba (AQAP), con base nello Yemen. Questo ha convenientemente rivolto l’attenzione del mondo sullo Yemen come nuovo centro della presunta organizzazione terroristica di Al-Quaeda.

Notabilmente, Bruce Riedel, veterano con 30 anni di esperienza nella CIA che ha consigliato il presidente Obama sulla politica che ha portato all’aumento delle truppe in Afghanistan, ha scritto nel suo blog sui presunti legami dell’attentatore di Detroit con lo Yemen, “il tentativo di distruggere il volo 253 della Northwest Airlines in servizio da Amsterdam a Detroit il giorno di Natale evidenzia la crescente ambizione della cellula di Al Qaeda nello Yemen, che da un ordine del giorno essenzialmente yemenita è cresciuta diventando un attore della jihad islamica globale l’anno scorso…

Il debole governo yemenita del presidente Ali Abdallah Saleh, che non ha mai controllato appieno il paese e che ora affronta una serie di crescenti problemi, avrà bisogno di notevole sostegno da parte dell’America per sconfiggere l’AQAP”. [1]

Un po’ di geopolitica basilare dello Yemen

Prima che si possa dire molto sull’ultimo incidente, è utile guardare con maggiore attenzione alla situazione dello Yemen. Qui molte cose appaiono peculiari, confrontate con le accuse di Washington su un’organizzazione insorgente di Al-Quada nella penisola araba.

All’inizio del 2009 hanno iniziato a muoversi i pezzi sulla scacchiera yemenita. Tariq al-Fadhli, un ex leader della jihad dello Yemen del Sud, ha rotto un’alleanza di 15 anni con il governo dello Yemen del presidente Ali Abdullah Saleh, annunciando che si sarebbe unito alla coalizione di larga base dell’opposizione conosciuta come il Southern Movement (SM). Al-Fadhli era stato membro del movimento di Mujahideen in Afghanistan alla fine degli anni 80.

La sua rottura con il governo è stata riportata dai media arabi e yemeniti nell’aprile del 2009. La rottura di Al-Fadhli con la dittatura dello Yemen ha dato nuovo potere al Southern Movement (SM). Da quel momento è diventato una figura di spicco dell’alleanza.

Lo stesso Yemen è un amalgama sintetico creato dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1990, quando la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen [o Yemen del Sud] ha perso uno dei suoi maggiori sponsor all’estero. L’unificazione della Repubblica Araba dello Yemen del Nord con la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen del Sud ha portato ad un ottimismo di breve durata, che è terminato con una breve guerra civile nel 1994, quando le fazioni dell’esercito del sud hanno organizzato una rivolta contro quello che vedevano come il governo corrotto dello stato amico del presidente del nord Ali Abdullah Saleh.

Il presidente Saleh è rimasto a capo di una dittatura dal 1978, prima come presidente dello Yemen del Nord (la Repubblica Araba dello Yemen) e a partire dal 1990 come presidente del nuovo Yemen unificato. La rivolta dell’esercito del sud è fallita quando Saleh ha reclutato al-Fadhli ed altri salafisti yemeniti, seguaci di un’interpretazione conservatrice dell’Islam, oltre ai jihadisti per combattere contro le forze marxiste del Partito Socialista dello Yemen meridionale.

Prima del 1990 Washington e il Regno Saudita sostenevano Saleh e la sua politica di islamizzazione nel tentativo di contenere il sud comunista. [2] Da quel momento in poi Saleh ha fatto affidamento su di un forte movimento salafista-jihadista per mantenere un governo dittatoriale. La rottura con Saleh da parte di al-Fadhli e lo schieramento di quest’ultimo con il gruppo di opposizione del sud con i suoi ex nemici socialisti è stato un maggiore ostacolo per Saleh.

Poco dopo che al-Fadhli si è unito alla coalizione del Southern Movement, il 28 aprile 2009, si sono intensificate le proteste nelle province meridionali dello Yemen di Lahj, Dalea e Hadramout. Ci sono state dimostrazioni da parte di decine di migliaia di militari licenziati e dipendenti statali che chiedevano stipendi più alti e benefici, dimostrazioni che avevano luogo in numeri sempre maggiori dal 2006. Le dimostrazioni di aprile hanno visto per la prima volta l’apparizione pubblica di al-Fadhli.

La sua apparizione è servita a cambiare un movimento del sud socialista da lungo tempo moribondo in una più ampia campagna nazionalista. Ha inoltre spronato il presidente Saleh a chiedere allora l’aiuto dell’Arabia Saudita e di altri stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo, avvertendo che l’intera penisola araba avrebbe subito le conseguenze.

A complicare il quadro di quello che qualcuno chiama uno stato fallimentare, nel nord Saleh affronta una ribellione houtista zaidista sciita. L’11 settembre 2009 durante un’intervista per l’emittente televisiva Al-Jazeera, Saleh ha accusato il leader dell’opposizione sciita irachena, Muqtada al-Sadr, nonché l’Iran, di sostenere i ribelli sciiti houtisti dello Yemen del nord. Saleh ha dichiarato: “non possiamo accusare il lato ufficiale dell’Iran, ma gli Iraniani ci stanno contattando, dicendo che sono pronti ad una mediazione.

Questo vuol dire che gli Iraniani hanno contatti con loro [con gli houtisti], dato che vogliono fare da mediatori tra il governo dello Yemen e questi. Inoltre, Muqtada al-Sadr in al-Najaf in Irak chiede di venire accettato come mediatore. Questo vuol dire che hanno un nesso” [3]

Le autorità dello Yemen affermano di aver sequestrato scorte di armi fabbricate in Iran, mentre gli houtisti sostengono di aver catturato strumentazioni yemenite con marchio dell’Arabia Saudita, accusando Sana’a (la capitale dello Yemen, nonché sede dell’ambasciata americana) di agire per conto dell’Arabia Saudita. L’Iran ha negato le accuse che sono state rinvenute armi iraniane nello Yemen del nord, definendo prive di fondamento le accuse che sostengano i ribelli. [4]

Che c’entra Al Qaeda?

Il quadro che emerge è quello di un dittatore appoggiato dagli USA disperato, il presidente dello Yemen Saleh, che perde sempre di più il controllo dopo due decadi di governo despotico dello Yemen unificato. Le condizioni economiche del paese sono deteriorate drasticamente nel 2008 quando sono crollati i prezzi del petrolio nel mondo. Pressappoco il 70% del reddito statale proviene dalle vendite del petrolio dello Yemen.

Il governo centrale di Saleh ha sede nell’ex Yemen del Nord a Sana’a, mentre il petrolio sta nell’ex Yemen del Sud. Tuttavia Saleh controlla i flussi di reddito da petrolio. La mancanza di reddito da petrolio ha reso del tutto impossibile la consueta opzione di Saleh di corrompere i gruppi dell’opposizione.

In questa caotica situazione nazionale arriva l’annuncio nel gennaio 2009, che ha avuto forti echi in alcuni siti internet, che Al Qaeda, la presunta organizzazione terroristica globale creata dal defunto saudita Osama bin Laden, che fu addestrato dalla CIA, ha aperto una grande nuova cellula terroristica nello Yemen, sia per le operazioni dello Yemen che per quelle dell’Arabia Saudita.

Al Qaeda nello Yemen ha rilasciato una dichiarazione attraverso un forum jihadista il 20 gennaio 2009 da parte del leader del gruppo Nasir al-Wahayshi, annunciando la formazione di un unico gruppo di al Qaeda per la penisola araba sotto il suo comando. Secondo al-Wahayshi, il nuovo gruppo, al Qaeda nella Penisola Araba, sarebbe composto dal suo ex Al Qaeda nello Yemen, e dai membri del defunto gruppo della al-Qaeda saudita.

Il comunicato stampa sosteneva curiosamente, che un Saudita, un ex detenuto di Guantanamo (il numero 372), Abu-Sayyaf al-Shihri, avrebbe funto da vice di al-Wahayshi.

Alcuni giorni dopo è comparso un video online di al-Wahayshi con il titolo allarmante di “cominciamo da qui e ci rincontreremo ad al-Aqsa”. Al-Aqsa si riferisce alla moschea di al-Aqsa di Gerusalemme che gli ebrei conoscono come il Monte del Tempio, il sito del tempio distrutto di Solomone, che i musulmani chiamano Al Haram Al Sharif.

Il video minaccia i leader musulmani -- compreso il presidente dello Yemen Saleh, la famiglia reale saudita, e il presidente egiziano Mubarak -- e promette di portare la jihad dallo Yemen ad Israele per “liberare” i luoghi sacri musulmani e Gaza, cosa che scatenerebbe la terza guerra mondiale se qualcuno fosse abbastanza pazzo da farlo.

Inoltre in quel video, oltre all’ex prigioniero di Guantanamo al-Shihri, c’è anche una dichiarazione di Abu-al-Harith Muhammad al-Awfi, identificato come un comandante di battaglia nel video, e come presunto ex detenuto di Guantanamo numero 333.

Essendo ormai ben appurato che i metodi di tortura non servono ad ottenere confessioni veritiere, qualcuno ha ipotizzato che il reale scopo degli interrogatori della CIA e del Pentagono nella prigione di Guantanamo dal settembre 2001 in poi, sia stato di usare tecniche brutali per addestrare e reclutare i terroristi “dormienti”, che possono essere attivati a comando dall’intelligence americana, un’accusa difficile da provare o confutare.

La presenza di due così prominenti laureati di Guantanamo nella nuova Al Qaeda basata nello Yemen suscita certamente degli interrogativi.

Al Qaeda nello Yemen è apparentemente in diretta opposizione di al-Fadhli e dell’ingrandito Southern Movement basato sulle masse. Durante un’intervista, al-Fadhli ha dichiarato: “ho forti relazioni con tutti i jihadisti nel nord e nel sud e dappertutto, ma non con al-Qaeda”. [5] Questo non ha impedito a Saleh di affermare che il Southern Movement e al Qaeda sono la stessa ed unica cosa, un modo conveniente per assicurarsi l’appoggio di Washington.

Secondo le relazioni dell’intelligence americana, ci sono in totale forse 200 membri di Al Qaeda nello Yemen meridionale. [6]

Al-Fadhli ha rilasciato un’intervista in cui si distanzia da al Qaeda nel maggio del 2009, dichiarando: “noi [nel sud dello Yemen] siamo stati invasi 15 anni fa e siamo sotto una spietata occupazione. Quindi siamo impegnati nella nostra causa e non badiamo a nessuna altra causa nel mondo. Vogliamo la nostra indipendenza e vogliamo mettere fine a questa occupazione”. [7] Convenientemente, lo stesso giorno, Al Qaeda si è vistosamente esposta dichiarando il proprio sostegno per la causa dello Yemen meridionale.

Il 14 maggio, in un’audioregistrazione rilasciata su internet, al-Wahayshi, leader di al Qaeda nella Penisola Araba, ha espresso partecipazione per la gente delle province meridionali e per il loro tentativo di difendersi contro la loro ”oppressione”, dichiarando, “quello che sta succedendo a Lahaj, Dhali, Abyan e a Hadramaut e nelle altre province meridionali non può essere approvato. Dobbiamo sostenere ed aiutare [i meridionali]”. Ha promesso la sua vendetta: “l’oppressione contro di voi non passerà senza una punizione … l’uccisione di musulmani nelle strade è un grave crimine ingiustificato”. [8]

La curiosa emergenza di una piccola ma ben pubblicizzata al Qaeda nello Yemen meridionale nel bel mezzo di quello che gli osservatori chiamano un fronte ampio e popolare del Southern Movement che rifugge dall’ordine del giorno radicale globale di al Qaeda, serve a dare al Pentagono una sorta di casus belli per escalare le operazioni militari americane nella regione strategica.

Per l’appunto, dopo aver dichiarato che il conflitto interno dello Yemen è un affare dello Yemen, il presidente Obama ha ordinato gli attacchi aerei nello Yemen. Il Pentagono ha dichiarato che gli attacchi del 17 e del 24 dicembre hanno ucciso tre leader chiave di al Qaeda, ma non ce n’è stata ancora alcuna prova. Adesso il dramma dell’attentatore di Detroit del giorno di Natale ha dato nuova vita alla campagna di “guerra al terrorismo” di Washington nello Yemen. Obama ha ora offerto aiuti militari al governo yemenita di Saleh.

L’escalation della pirateria somala come in risposta a segnale

Come in risposta ad un segnale, allo stesso tempo i titoli di testa della CNN trasmettono nuove minacce terroristiche dallo Yemen, i perduranti attacchi delle navi mercantili da parte dei pirati somali nello stesso Golfo di Aden e Mar Arabico dallo Yemen meridionale sono aumentati drammaticamente, dopo che erano stati ridotti con il pattugliamento marittimo multinazionale.

Il 29 dicembre la RIA Novosti di Mosca ha riportato che i pirati somali avevano catturato una nave da carico greca nel Golfo di Aden, vicino alla costa somala. In precedenza lo stesso giorno anche un tanker chimico che batteva bandiera britannica con il suo equipaggio di 26 persone è stato catturato nel Golfo di Aden.

Dando segno di sofisticate tecniche di manipolazione dei media occidentali, il comandante pirata Mohamed Shakir ha detto al quotidiano inglese The Times per telefono: “abbiamo preso una nave con [una] bandiera britannica nel Golfo di Aden ieri tardi”. Il resoconto della società americana di intelligence Stratfor, riporta che il Times, di proprietà del banchiere neoconservatore Rupert Murdoch, viene a volte usato dall’intelligence israeliana per diffondere storie utili.

I due ultimi eventi hanno portato gli attacchi e i dirottamenti ad un numero record per il 2009. Al 22 dicembre, gli attacchi da parte dei pirati somali nel Golfo di Aden e nella costa orientale della Somalia erano stati 174, con 35 navi dirottate e 587 membri dell’equipaggio presi in ostaggio finora nel 2009, quasi tutta attività di pirateria con successo, secondo l’osservatorio internazionale della pirateria marittima mondiale. La domanda è chi fornisce ai “pirati” somali le armi e la logistica sufficienti ad eludere i pattugliamenti internazionali di numerose nazioni?

Il 3 gennaio il presidente Saleh ha ricevuto una telefonata dal presidente somalo Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, in cui quest’ultimo informava il presidente Saleh sui più recenti sviluppi in Somalia. Sheikh Sharif, la cui stessa base a Mogadiscio è così debole da essere a volte chiamato presidente dell’aeroporto di Mogadiscio, ha detto a Saleh che avrebbe condiviso informazioni con Saleh su qualsiasi attività terroristica che potesse essere lanciata dai territori somali e che potesse avere come bersaglio la stabilità e la sicurezza dello Yemen e della regione.

Il checkpoint del petrolio ed altri affari oleosi

Il significato strategico della regione tra lo Yemen e la Somalia diventa il punto dell’interesse geopolitico. È qui che si trova Bab el-Mandab, uno dei sette chokepoint del trasporto petrolifero nella lista del governo americano.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia del governo USA cita che “la chiusura di Bab el-Mandab potrebbe impedire ai tanker [provenienti] dal Golfo Persico di raggiungere il Canale di Suez/complesso del Sumed, ridirigendoli intorno alla punta meridionale dell’Africa. Lo stretto di Bab el-Mandab è un chokepoint tra il corno d’Africa e il Medio Oriente, ed un collegamento strategico tra il Mar Mediterraneo e l’Oceano Indiano”. [9]

Bab el-Mandab, tra lo Yemen, Djibouti e l’Eritrea collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden e il Mar Arabico. Il petrolio e gli altri prodotti di esportazione dal Golfo Persico devono passare per Bab el-Mandab prima di entrare nel Canale di Suez. Nel 2006 il Dipartimento per l’Energia a Washington ha riportato che si stima che 3,3 milioni di barili di petrolio al giorno passano attraverso questo stresso passaggio marittimo per l’Europa, gli Stati Uniti e l’Asia. La gran parte del petrolio, pressappoco 2,1 milioni di barili al giorno, va verso nord attraverso Bab el-Mandab verso il complesso di Suez/Sumed nel Mediterraneo.

Un pretesto per la militarizzazione da parte dgli USA o della NATO delle acque circostanti Bab el-Mandab sarebbe per Washington un’altra importante tappa nel suo perseguimento del controllo dei sette chokepoint più critici del mondo, la parte principale di ogni futura strategia americana finalizzata ad impedire i flussi del petrolio verso la Cina, l’Unione Europea o qualunque regione o paese che si opponga alla politica americana.

Dato che notevoli flussi di petrolio saudita passano attraverso Bab el-Mandab, un controllo militare americano in quel punto servirebbe a deterrere il Regno Saudita dal considerare seriamente la transazione delle vendite future del petrolio con la Cina o con altri non più in dollari, come è stato recentemente riportato dal giornalista inglese indipendente Robert Fisk.

Sarebbe inoltre nella posizione di minacciare il trasporto del petrolio della Cina da Port Sudan sul Mar Rosso appena a nord di Bab el-Mandab, un’ancora di salvezza fondamentale per le necessità energetiche nazionali cinesi.

Oltre alla sua posizione geopolitica come un maggiore chokepoint del transito del petrolio, lo Yemen stando a quanto riportato avrebbe alcune delle più grandi riserve di petrolio non sfruttate del mondo. Masila Basin e Shabwa Basin nello Yemen secondo quanto riportato dalle società petrolifere internazionali conterrebbero “scoperte di ordine mondiale”. [10] La Total francese e svariate società petrolifere internazionali più piccole sono impegnate nello sviluppo della produzione petrolifera dello Yemen.

Circa quindici anni fa un insider ben informato di Washington mi ha detto nel corso di un incontro privato che lo Yemen conteneva “abbastanza petrolio non sviluppato per soddisfare la domanda di petrolio del mondo intero per i prossimi cinquantanni”.

Forse c’è di più, dietro alla recente preoccupazione di Washington per lo Yemen, di una disorganizzata al Qaeda, la cui stessa esistenza come organizzazione terroristica globale è stata messa in dubbio dagli esperti islamici.

Note:

1. Bruce Riedel, The Menace of Yemen, December 31, 2009, accessed in http://www.thedailybeast.com/blogs-and-stories/2009-12-31/the-menace-of-yemen/?cid=tag:all1.
2. Stratfor, Yemen: Intensifying Problems for the Government, May 7, 2009.
3. Cited in Terrorism Monitor, Yemen President Accuses Iraq’s Sadrists of Backing the Houthi Insurgency, Jamestown Foundation, Volume: 7 Issue: 28, September 17, 2009.
4. NewsYemen, September 8, 2009; Yemen Observer, September 10, 2009.
5. Albaidanew.com, May 14, 2009, cited in Jamestown Foundation, op.cit.
6. Abigail Hauslohner, Despite U.S. Aid, Yemen Faces Growing al-Qaeda Threat, Time, December 22, 2009, accessed in www.time.com/time/world/article/0,8599,1949324,00.html#ixzz0be0NL7Cv .
7. Tariq al Fadhli, in Al-Sharq al-Awsat, May 14, 2009, cited in Jamestown Foundation, op. cit.
8. al-Wahayshi interview, al Jazeera, May 14, 2009.
9. US Government, Department of Energy, Energy Information Administration, Bab el-Mandab, accessed in http://www.eia.doe.gov/cabs/World_Oil_Transit_Chokepoints/Full.html.
10 Adelphi Energy, Yemen Exploration Blocks 7 & 74, accessed in http://www.adelphienergy.com.au/projects/Proj_Yemen.php.


Al-Qaeda e il fattore yemenita
di Eugenio Roscini Vitali - Altrenotizie - 12 Gennaio 2010

Poche ore dopo l’arrivo a Sana’a del Generale David Petraeus, comandante del Comando Centrale Usa in Medio Oriente ed Asia centrale, il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh ha lanciato la sua grande offensiva. Obiettivo: le cellule di al-Qaeda presenti nella regione più meridionale della penisola Araba; migliaia di soldati inviati nei governatorati di Abyan, Al Bayada, Shawbah, Maarib, Al-Jawf e nei 16 distretti della capitale.

Truppe decise a stanare quella che Washington definisce “una specifica minaccia”, la stessa che alimenta il terrorismo in Iraq, Afghanistan, Pakistan, India, Filippine, vicino Medio Oriente, Corno d’Africa, Caucaso, Maghreb e in mille altri angoli della Terra.

Scontri a fuoco tra militanti e forze di sicurezza nel distretto di Arhab, 60 chilometri a nord est di Sanaa, e nell’area di Al-Majalah, bombardata dai Mig-29 dell’aviazione yemenita: 50 i terroristi uccisi, 60 i feriti, decine quelli che si sono arresi. Clamorose notizie, poi smentite, sulla cattura di quello che sembrerebbe essere stato il capo della rete locale di al-Qaeda, Mohammad Ahmed al Hanak, e su altri militanti di secondo piano.

Intanto, della nuova minaccia jihadista al mondo occidentale, dello yemenita che in molti già definiscono “il nuovo Bin Laden”, la mente della strage di Fort Hood e del mancato attento di Natale al volo della Delta Airlines, nessuna traccia. Anwar al-Awlaki, Imam radicale e cittadino americano, nato nel 1971 a Las Cruces, nel Nuovo Messico; laureato in Ingegneria civile alla Colorado State University e master in Pedagogia alla San Diego State University; guida spirituale dei militari di fede musulmana a Fort Collins, Colorado e capo della Comunità islamica presso la moschea Masjid Ar-Ribat al-Islami di San Diego. E’ questo l’uomo più ricercati al mondo.

I legami con lo studente nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab e con Nidal Malik Hisan, psichiatra e militare americano che a Fort Hood ha aperto il fuoco e ha ucciso 13 commilitoni, lo rendono uno dei terroristi più pericolosi in circolazione, peggiore di quanto possano essere alcuni leader regionali quali l’algerino Abdel Malik Daroqedel o il filippino Radullah Sahiron o l’egiziano Mohammad al-Hakim, presumibilmente morto in Pakistan durante un attacco aereo avvenuto il 31 ottobre 2008.

Al-Qaeda e Anwar al-Awlak potrebbero però non essere il solo motivo per il quale lo Yemen sta diventando il terzo fronte della guerra al terrorismo. Il paese è, da tempo, sottoposto ad una costante escalation militare che vede a nord le truppe Saudite che attaccano i ribelli sciiti e a sud l’esercito yemenita che combatte la rivolta jihadista. Tutto a pochi passi dal Golfo di Aden, dal Mar Rosso e dallo stretto di Bab el-Mandeb: 30 chilometri di acqua che separano Ras Menheli da Ras Siyan, la penisola Araba dal Corno d’Africa.

Elementi di un mosaico che evidenziano l’immenso interesse strategico che può avere un’area attraverso la quale passa gran parte del greggio proveniente dal Golfo Persico. Uno stretto che, insieme a quelli di Hormuz e Malacca, è una delle tre zone geografiche più importanti al mondo, determinante nell’analisi della sicurezza energetica globale ma anche particolarmente vulnerabile agli attacchi terroristici e alle turbolenze politiche.

E’ chiaro che è qui che il Pentagono vuole stabilire il nuovo avamposto militare della guerra al terrorismo: cercare di militarizzare lo stretto di Bab el-Mandeb per fissare alle porte del Mar Rosso una sorta di checkpoint navale con il quale rendere più sicuro il collegamento tra Oceano Indiano e Mediterraneo, il che eviterebbe tra l’altro l’ipotesi della concorrenza cinese, ed interrompere gran parte dei traffici di armi che l’Iran convoglia verso il vicino Medio Oriente.

Oltre a questo c’è poi la necessità di sostenere la traballante presidenza Saleh e mettere in sicurezza la zona di confine con l’Arabia Saudita, ricca di riserve petrolifere non ancora sfruttate e particolarmente instabile a causa della presenza dei ribelli Houthi, che da oltre otto anni combattono per restaurare nello Yemen settentrionale l’imamato Zaydita e che neanche i Tornado e gli M198 howitzer di Riyad sono ancora riusciti a piegare.

Anche se le prime notizie sono state diramate nell’aprile scorso, sulla scacchiera yemenita i primi movimenti si sono registrati all’inizio del 2009, quando, dopo 15 anni di alleanza, Tariq al-Fadhli, ex leader jihadista e personaggio di spicco della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, ha rotto con il presidente Ali Abdullah Saleh ed ha annunciato il suo passaggio tra le file del Movimento del Sud, un fronte secessionista che da tempo rivendica l’indipendenza da Sana’a.

La figura dell’ex mujahedin afgano, considerato tra i responsabili degli attentati del 1992 contro gli hotel Movenpick e Gold Mohur di Aden, ha subito ridato vita alla moribonda opposizione portata avanti dai leader dell’ex partito socialista ed ha trasformato il Movimento del Sud in un fronte antigovernativo a livello nazionale: lo dimostrano le proteste organizzate il 28 aprile nelle province meridionali di Lahj, Dalea e Hadramout, manifestazioni a cui hanno partecipato decine di migliaia di yemeniti.

E’ stata proprio questa condizione di instabilità a creare i presupposti affinché nel sud del paese l’organizzazione fondata da Bin Laden potesse realizzare il progetto annunciato nell’aprile del 2008: riorganizzare nella penisola Araba una rete terroristica che facesse capo alla cellula yemenita guidata da Nasir al-Wahayshi.

Raccogliendo alcuni militanti provenienti dall’Iraq e dall’Afghanistan e quello che era rimasto della defunta ala saudita, il 20 gennaio 2009, al-Wahayshi annuncia la nascita di Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP): con lui ci sono Abu-Sayyaf al-Shihri, Abu-al-Harith Muhammad al-Awfi e un’altra decina di ex detenuti di Guantanamo.

Alcuni giorni dopo, in un video online, al-Wahayshi minaccia Ali Abdallah Saleh, i membri della famiglia Reale saudita ed il presidente egiziano Mubarak e promette di portare la jihad fino al cuore di Israele: “Iniziamo da qui per incontrarci ad al-Aqsa”, la moschea che sorge sul Monte del Tempio, nel centro storico di Gerusalemme.

Nel video compaiono anche al-Shihri e al-Awfi, una coincidenza preoccupante che avrebbe dovuto mettere l’intelligence americana sulle tracce di Anwar al-Awlaki e Umar Farouk Abdulmutallabe e che dimostra come a quasi un anno dagli attentati la CIA e il Pentagono fossero già a conoscenza dell’esistenza di un pericolo yemenita.