Accuse confermate anche dal ministro delle finanze Papaconstantinou "Certi fondi hanno fatto e fanno giochi speculativi".
Insomma, dichiarazioni molto pesanti a conferma della gravissima crisi in cui versa la Grecia e delle speculazioni che si stanno facendo alle sue spalle.
Ma in Italia invece la realtà virtuale in cui il governo ha sprofondato il Paese ha toccato un'altra vetta di tragi-comicità con le seguenti frasi pronunciate oggi dal cosiddetto premier "L'Italia c'è e va avanti. Nonostante la crisi siamo riusciti a non aumentare nessuna imposta e a non mettere le mani nelle tasche degli italiani".
Risate miste a incazzatura risuonano in sala, basta leggere uno degli articoli pubblicati qui di seguito....
La voce grossa dell'Ue contro la Grecia nasconde il destino degnato dell'euro
da www.movisol.org - 21 Gennaio 2010
Il modo in cui l'Unione Europea sta gestendo la crisi finanziaria greca ricorda la dinamica di un'automobile che finisce sul ghiaccio. Una volta iniziato a slittare, qualsiasi cosa faccia il guidatore, col volante, l'acceleratore o il freno, accelererà o aggraverà l'unico esito possibile del testacoda: uno schianto.
E così l'UE, minacciando la Grecia di multe, negando gli aiuti finanziari ed esigendo un'austerità feroce, peggiora la crisi e incoraggia l'esito che teme maggiormente: un'insolvenza sovrana che porterà allo sfascio del sistema dell'Euro.
Quando Fitch ha declassato il debito greco a BBB+, segnalando la possibilità di un'insolvenza sovrana, gli investitori internazionali hanno iniziato a vendere titoli greci, scatenando le scommesse al ribasso degli hedge funds.
Poi, il presidente della BCE Jean-Claude Trichet ha fatto la voce grossa, dichiarando che la Grecia non deve attendersi alcun trattamento speciale, così provocando un'altra caduta dei titoli greci. Il tutto si risolve in un aumento dei costi di rifinanziamento, aumentando la difficoltà di ridurre il deficit.
Mentre Trichet chiede tagli brutali della spesa sociale e la Commissione UE accusa il governo greco di ostacolare una verifica dei conti pubblici, un team del governo tedesco è alacremente alla ricerca di una scappatoia giuridica che permetta un salvataggio della Grecia.
Come ha dichiarato Marco Annunziata di Unicredit, l'UE sta giocando al rialzo, esercitando enormi pressioni sulla Grecia per operare i tagli al bilancio, mentre allo stesso tempo sta preparando un salvataggio in caso di emergenza.
Il Presidente del Movimento Solidarietà tedesco (BüSo), Helga Zepp LaRouche, ha descritto il dilemma dell'UE il 16 gennaio: "Se l'UE non concede aiuti alla Grecia, questa potrebbe dichiarare insolvenza e uscire dall'UME". Reintroducendo una moneta nazionale, la Grecia guadagnerebbe spazio di manovra, perlomeno a breve termine.
Ma un'uscita della Grecia dall'Eurozona avrebbe conseguenze devastanti per l'Euro, aumentando drammaticamente i costi di finanziamento degli altri paesi ad alto debito, come la Spagna, il Portogallo, l'Irlanda e l'Italia. Prima o poi altri seguirebbero la Grecia, segnando la fine della moneta unica.
D'altro canto, "se l'UE o il governo tedesco trovano un modo per dare aiuti finanziari alla Grecia, ciò segnerà un precedente e gli altri paesi ad alto debito chiederanno lo stesso trattamento. Non è dato sapere quanto il contribuente tedesco sia disposto a sopportare".
Il pericolo di uno sgretolamento dell'Euro ha spinto la Banca Centrale Europea a commissionare uno studio sulle conseguenze legali della decisione di un membro singolo dell'UE di uscire dall'Euro. Questo studio, visionato dal Telegraph, è un esempio magistrale di come funzioni il sistema giuridico neofeudale dell'UE. Esso sostiene che se uno stato abbandona l'Euro sarà automaticamente espulso dall'UE.
"L'autore", scrive il Telegraph del 18 gennaio, "fa una serie di affermazioni contorte, gesuitiche e maligne, come fanno spesso i legali dell'UE". Mezzo secolo di unione sempre più stretta avrebbe creato un "nuovo ordine giuridico" che trascende un "concetto di sovranità largamente obsoleto" e impone una "limitazione permanente" sui diritti degli stati.
L'autore sostiene che l'uscita dall'eurozona comporta l'espulsione dall'Unione Europea. Tutti i membri dell'UE devono far parte dell'Unione Monetaria, tranne la Gran Bretagna e la Danimarca che hanno ottenuto i cosiddetti "opt-out".
Sono argomenti ovviamente mirati all'opinione pubblica greca, per convincerla ad accettare sacrifici incredibili per restare nell'UE, dove la Grecia è ricevitore netto. Però la loro efficacia è dubbia, specialmente alla luce del fatto che i sacrifici richiesti peggioreranno le cose.
"Se la Grecia e altri paesi ad alto debito", scrive Helga Zepp LaRouche, "sono costretti a fare i tagli e allo stesso tempo a onorare i debiti, ciò accelererà il loro declino. Dal punto di vista della Tripla Curva di Lyndon LaRouche, ciò condurrebbe ad un'ulteriore, drammatica caduta dei valori che hanno a che fare con la produzione fisica, con l'occupazione e le capacità industriali e agricole.
Allo stesso tempo, la curva che descrive la crescita dei titoli monetari si impennerebbe ulteriormente verso l'alto, accelerando un'esplosione di iperinflazione come nella Germania del 1923".
Helga Zepp LaRouche ricorda che ella fu tra coloro che fin dall'inizio si opposero all'abbandono della sovranità monetaria e al ricatto imposto sulla Germania per la riunificazione nel 1989. Tra le conseguenze di quell'accordo, non solo la Germania è stata costretta a finanziare "obliquamente" tutti gli altri membri dell'UE, tramite la moneta unica, ma anche ad adottare l'ideologia verde anti-scientifica imposta dall'Unione Europea.
"Se l'attuale politica UE non viene sostituita con una politica industriale ragionevole, orientata alla scienza", ad esempio abbandonando la fobia anti-nucleare, le nazioni atlantiche "saranno popolate da cavernicoli", mentre le nazioni del Pacifico, che oggi applicano "quelli che una volta erano i valori delle nazioni industriali europee", si svilupperanno e plasmeranno il XXI secolo.
La presidentessa del BüSo chiede di "tornare all'Europa pre-Maastricht, o meglio ancora, all'Europa delle Patrie, delle repubbliche sovrane", e di "reintrodurre un sistema di cambi stabili, che è comunque necessario". "Solo se l'attuale sistema in bancarotta irreversibile verrà sostituito da un sistema di credito e se verrà ricostruita l'economia fisica, le nazioni europee avranno la possibilità di riprendere il destino nelle proprie mani. Si ascoltino, ora, le soluzioni offerte da coloro che hanno avuto ragione con i loro avvertimenti".
Mentre Goldman Sachs festeggia, i lavoratori sono al verde
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 22 Gennaio 2010
Sono appena rientrato a Londra dopo un periodo in Italia e devo ammettere che, con tutta probabilità, ho sbagliato la gran parte delle mie valutazioni. Appena arrivato, un amico che lavora in una investment bank mi ha accolto con un sorriso smagliante annunciandomi il suo prossimo viaggio alle Florida Keys con la famiglia, frutto di un bonus molto generoso.
D’altronde, se Goldman Sachs annuncia 16 miliardi di dollari di bonus per il proprio staff, dopo aver fatto gridare allo scandalo per aver ottenuto soldi dai contribuenti, un motivo ci sarà. Si chiama flash trading, si chiama essere controparte dei contratti che vedono piazzati qua e là per il mondo i titoli di debito Usa, si chiama posizione dominante.
Il bello è che hanno il coraggio di dire che le paghe e i bonus sono più bassi di quelli del 2008: peccato che, con il mondo in crisi nera, lo stipendio medio di un dipendente sia di 498.246 dollari.
Vi pare poco? Ma vediamo un po’ chi ha fatto soldi oltre ai preveggenti di Goldman. Sicuramente Morgan Stanley con i suoi compensi quadruplicati, certamente chiunque abbia cominciato a rastrellare azioni farmaceutiche lo scorso giugno-luglio vedendo gonfiare a dismisura il loro prezzo grazie all’allarme per l’influenza suina che, soprattutto qui nel Regno Unito, avrebbe dovuto fare una strage: peccato che la strage non ci sia stata, le sopravalutazioni anche del 50% sì.
Beato chi ha advisor così scaltri da dire “compra” e “scarica” al momento giusto. Siamo in un mondo di pazzi. Proviamo a capire perché. In questo momento l’euro è sopravvalutato del 30% e l’Europa commette lo stesso errore degli anni ‘30. Lo segnala il Financial Times, non Mauro Bottarelli. Negli anni ‘30 parecchi Stati europei (Italia, Francia, Belgio, Olanda e Svizzera) tennero la loro valuta agganciata al valore dell’oro.
Quando all’inizio della grande depressione, Usa e Gran Bretagna si sganciarono dall’oro lasciando svalutare le loro monete, i Paesi del “blocco aureo” si trovarono con le valute enormemente sopravvalutate: questo stroncò le loro esportazioni e prolungò in quei Paesi la depressione.
Oggi lo stesso sta facendo la Banca Centrale Europea, per volontà della Germania: spiace dirlo, ma le nazioni della zona euro si sono legate insieme con una moneta che è atrocemente sopravvalutata. Il problema è che la Germania sta suicidandosi, portando con sé mezzo continente (visto che l’altra metà e’ già in default tecnico sul debito). La disoccupazione in Germania ha già toccato l’8,1%: le misure stesse che l'hanno resa più competitiva nell’export sono quelle che hanno ridotto la propensione al consumo dei suoi lavoratori. Nel 2009, le esportazioni tedesche sono calate del 15%, gli acquisti di macchine del 20%; il Prodotto interno lordo è calato del -5%. I tedeschi hanno risposto alla crisi da tedeschi, ossia riducendo i consumi. Essenzialmente comprano meno prodotti italiani, spagnoli, greci, portoghesi. Ma quanto può durare tutto questo? Soprattutto quando l’Europa è legata da un vincolo - quello dell’euro - che sembra rispondere alla politica folle del one size fits all, ovvero la stessa ricetta va bene per tutti i malati. E soprattutto essendo la bomba delle banche tedesche ancora innescata e pronta a scoppiare. Ma per capire la gravità e la follia del momento non serve prendere l’esempio delle banche d’affari, meglio restare terra terra. In Inghilterra, appena sbarcato, la notizia che mi ha colpito di più è che l’Oft (Office for Fair Trading) ha aperto un’inchiesta su due offerte televisive di cash for gold poiché, sfruttando la disperazione della gente, compravano oro in cambio di contanti a prezzi vergognosi se paragonati al valore di mercato del metallo prezioso: è il sintomo di un mondo a due facce, dove c’è gente che festeggia bonus speculativi garantiti dal quantitative easing delle banche centrali e dalla loro politica di tassi d’interessi a zero e gente, lavoratori, che fino a poco tempo fa avremmo chiamato benestanti, che vendono la fede nuziale o la collanna della bisnonna per avere un po’ - poco, molto poco - in tasca. Questo succede a Londra, oggi, anno del Signore 2010. Le aziende incriminate sono due, CashmyGold e PostGoldForCash e a scoprire la truffa è stato il settimanale per la difesa dei consumatori Which?: questo si chiama giornalismo d’inchiesta, non Santoro o gli editoriali da mattinale di questura di Marco Travaglio. Il limite, cari lettori, è questo: all’estero succedono cose sgradevoli ma c’è chi le denuncia e organi competenti che le indagano, in Italia ci sono giornalisti che hanno come unica ragione di vita - a detta loro, in difesa del popolo - la scoperta dell’ennesimo, improbabile pentito che ci dica che il premier è un satrapo o, meglio, uno stragista. A vostro modo di vedere, questo modo di fare giornalismo non è la base che garantisce a Goldman profitti d’oro e anche il lusso di spacciarsi per caritatevole, donando le briciole dei suoi bonus a una charity? E Morgan Stanley? E tutte le altre? Chissà come mai, poi, appena arrivato a Paternoster Square, il primo dato che mi è stato passato è quello di un crollo del 12% delle revenues della Borsa di Londra, 155 milioni di charges in meno sulle contrattazione a fronte di 23 miliardi in right issues di cui il mercato ha beneficiato: cosa vuol dire, a vostro modo di vedere? A mio avviso significa che questi benefit, questi profitti, questi rally sono un bluff e che la gente si lancia sull’over-the-counter per spennare il pollo finché è ancora in tempo. Ecco la situazione in cui viviamo: soldi a palate nel mondo virtuale della finanza e famiglie che vendono i propri ricordi alle aste televisive per pochi pounds. Qui non è più questione di previsioni, macro o meno: un mondo così, a prescindere dai bull market garantiti dai governi, è destinato a non reggere a lungo.
I padroni del mondo si assolvono
di Giulietto Chiesa - Megachip - 17 Gennaio 2010
L'inchiesta sulla crisi finanziaria si arena fra i silenzi dei farabutti che hanno provocato il disastro.
Un funzionario tra quelli incaricati di trattare con loro qualche percento in meno delle loro prebende, si è lasciato scappare – essendo stato a contatto con loro - «è gente che pensa di vivere in un altro pianeta».
Chiedo scusa in anticipo: non sono un economista. Mi è già accaduto in passato di affrontare questioni economiche pur non essendo una specialista. L'ho fatto perché certe cose si vedono anche senza essere uno specialista e uno come me si chiede come sia possibile che la collettività non le veda o, vedendole, non si chieda cosa sta succedendo e cosa potrà succedere se non si pone rimedio.
Io credo che non si vedano perché la società dello spettacolo in cui siamo a bagnomaria dalla nostra nascita ci impedisce ormai di capire. Fine della parentesi.
E veniamo al dunque. All'inizio di gennaio 2010, ormai due anni dopo l'esplosione della più grave crisi finanziaria degli ultimi 80 anni, la “Commissione d'Inchiesta sulla Crisi finanziaria” (Financial Crisis Inquiry Commission) ha cominciato i suoi lavori dalle parti di Wall Street.
Lo scopo dell'iniziativa dovrebbe essere quello di capire perché è successo il disastro. Qualcosa di simile alla Commissione d'inchiesta che gli storici ricordano con il nome del suo presidente, Pecora, e che lavorò negli anni '30 per venire a capo del disastro di allora.
Ricordarlo non è cosa oziosa, perché meno di dieci anni dopo scoppiò la seconda guerra mondiale. Come chiameranno gli storici questa commissione non si sa. Battezziamola Commissione Obama, per comodità.
Cosa sta venendo fuori? Niente. Per spiegare meglio: i banchieri che sono stati chiamati a dare i loro pareri non hanno visto niente o sentito niente.
Paul Krugman, indignato quanto me, che economista non sono, cita in un articolo su «The New York Times» (14/01/2010) , la deposizione di Jamie Dimon, della JP Morgan Chase: «Non c'è da essere sorpresi, accade ogni cinque o sei anni».
Si è dimenticato che il governo americano, cioè i cittadini (ma anche noi europei) hanno dovuto sganciare diversi trilioni di dollari e euro per ripagare i disastri compiti da quelli come lui, e dai governanti che, pagati da quelli come lui, hanno rinunciato a ogni forma di controllo sull'operato di gente come lui. Che quest'anno non ha sicuramente guadagnato meno di dieci milioni di dollari.
Un altro convocato per esprimere pareri, Lloyd Blankfein della Goldman Sachs, ha parlato della crisi come di un uragano che ti capita addosso. Come fare? Non c'è che da pregare Iddio.
Se si riferisce a noi, ha ragione. Ma loro hanno creato la crisi con le loro mani. E hanno costretto il mondo a pagarla, con l'aiuto di Obama. Il quale fino ad ora non ha cambiato una virgola delle regole che questa nuova classe ha scritto, anzi ha cancellato.
Ladri astuti che possono far crollare il tempio se li si chiama a rendere conto.
E adesso poveri noi? Adesso è peggio. Circa 60 miliardi di dollari saranno pagati ai circa 100 mila banchieri americani in premi e prebende per questo appena defunto 2009 che è stato il collasso per i redditi di decine di milioni di persone in America e per centinaia di milioni in tutto il mondo.
La appena citata Goldman Sachs ha pagato ai suoi 28mila dipendenti rimasti, dopo averne licenziati altrettanti, la cifra di 16,7 miliardi di dollari, circa 595 mila dollari a testa. JP Morgan ha fatto più o meno lo stesso con i suoi restanti 25mila addetti, con 11,6 miliardi di dollari complessivi.
La crisi loro non l'hanno vista, e neppure sentita.
Ma c'è anche di meglio. Barack Obama, il riformatore, che ha elargito denaro pubblico per salvare i ladri privati, ha messo in piedi una commissione per verificare quanto continuano a rubare.
Una commissione che negozia con loro l'entità dei prossimi furti. In questo caso si tratta specificamente delle sette corporation che sono state tenute in piedi direttamente con i soldi pubblici, cioè stampando altro denaro per ripianare le loro follie.
La commissione si chiama TARP (Troubled Asset Relief Program, cioè Programma per il Salvataggio degli Attivi in Difficoltà). Gli attivi erano in realtà molto passivi, ma lasciamo stare.
Il salvataggio è per i banchieri di sette società che hanno preso i soldi pubblici. E sono, per la curiosità di molti, Chrysler Financial, General Motors, American International Group (AIG), Bank of America, Chrysler, Citigroup, GMAC.
Per non perderci nei dettagli, prendiamo soltanto i vertici AIG, che hanno appena pagato 168 milioni di dollari, inclusi i premi di produzione, a un pugno di impiegati della sezione della corporation che si occupava dei Derivati Finanziari, cioè proprio quella che, se non avesse la banca ricevuto un prestito di 180 miliardi di dollari dalla Federal Reserve, “avrebbe trascinato a fondo l'intera finanza mondiale”. («International Herald Tribune», 2-3/01/2010).
Qui sono in discussione, si fa per dire, i redditi individuali delle 25 persone che stanno al vertice di quelle istituzioni private. In tutto si tratta di un pugno di farabutti comprendente 136 nomi.
I quali, incuranti di ogni cosa, resistono abbarbicati alle loro montagne di denaro. E, in caso qualcuno volesse farli scendere, anche solo di qualche gradino, minacciano ritorsioni, gridano che se ne andranno altrove, rifiutano ogni compromesso.
Pochi ma potentissimi. Sono loro i veri padroni del mondo. E lo prova il fatto che nessuno ha avuto il coraggio, fino ad ora, di pubblicare l'elenco dei loro nomi sulle prime pagine dei giornali americani.
E penso che questi elenchi dovrebbero essere pubblicati sulle prime pagine dei giornali di ogni paese del mondo, perché – anche se non tutti sono stati salvati con iniezioni ricostituenti delle dimensioni stratosferiche di questi ladri americani – tutti si sono salvati con gli stessi meccanismi. Ciascuno a spese dei cittadini di riferimento.
Altro che Madoff, il banchiere capro espiatorio che è stato dato in pasto alla curiosità mondiale. Vittima sacrificale, non dirò poveretto perché il termine non gli si addice comunque, perché tutti questi 163, insieme agli altri 99 mila, potessero restare tranquilli al vertice del mondo.
Un funzionario tra quelli incaricati di trattare con loro qualche percento in meno delle loro prebende, si è lasciato scappare – essendo stato a contatto con loro - «è gente che pensa di vivere in un altro pianeta».
Ma la verità è all'opposto: siamo noi che viviamo sul loro pianeta. Ospiti indesiderati. C'è spazio per noi solo in quanto consumatori temporanei dello spettacolo che ci offrono e per il quale dobbiamo pagare il biglietto d'ingresso.
L'inflazione nella crisi
di Ilvio Pannullo - Altrenotizie - 19 Gennaio 2010
Il 2009 sarà ricordato come l'anno dell'inflazione più bassa degli ultimi cinquant'anni. Stando a quanto calcola l'Istat, nell'anno appena concluso i prezzi al consumo sono aumentati solo dello 0,8%: un record imbattuto dal 1959, quando l'inflazione fu pari a -0.4%. Allora il dato segnava l’inizio di una fase di espansione economica che sarebbe stata successivamente ricordata come uno dei periodi più felici nel dopoguerra italiano.
Dalla fine degli anni ’50, infatti, s’innescò in Italia una fase di rapida trasformazione delle strutture economiche e sociali. Fu un processo che in dieci anni trasformò la penisola da paese prevalentemente agricolo - sostanzialmente sottosviluppato - in un moderno paese industrializzato. Oggi la situazione appare decisamente diversa, nonostante il partito dell’amore, saldamente al governo, dispensi ottimismo per il presente e speranza per il futuro.
Stando ai dati rilasciati dall’Istituto nazionale di statistica nel mese di dicembre 2009, l'inflazione è aumentata di pochissimo: appena un + 0,2% su base congiunturale (rispetto a novembre 2009) mentre su base annua, l'aumento registrato è stato dell'1%. Sempre secondo l'Istat, nel 2008 l'inflazione era salita al 3,3%.
Anche l'indice Ipca - quello utilizzato in sede europea ed ora utilizzato anche come base di riferimento per i rinnovi contrattuali (depurato però dei prezzi dei carburanti) - ha registrato un aumento dello 0,8% rispetto al 3,5% del 2008.
Pare insomma che i dati descrivano una situazione più che positiva, con i prezzi al consumo stabili e le famiglie italiane pronte a cogliere l’opportunità fornita dall’aumento del loro potere di acquisto.
Peccato che nessuno sembra averlo notato. La statistica è, infatti, una materia molto delicata, una scienza non esatta i cui dati rappresentano più una tendenza che una precisa fotografia della realtà.
Basti pensare che, in un'ipotetica società formata da due sole persone, di cui una è proprietaria di due telefoni mentre l'altra è nullatenente, secondo la statistica entrambe avrebbero un telefono a testa. Nell’ipotetica società, dunque, non si registrerebbe - questo almeno secondo i numeri - alcuna anomalia.
Quanto appena detto è necessario per comprendere come sia possibile che, dietro a un costo della vita basso come quello accertato dall'Istat per il 2009, si celi una riduzione del potere d’acquisto e del reddito per milioni di famiglie. Se nel dopoguerra l’inflazione zero segnava infatti l’inizio del boom economico, oggi lo stesso dato statistico descrive tuttavia una realtà completamente diversa.
Allora il maggior impulso all’espansione economica venne proprio da quei settori che avevano raggiunto un livello di sviluppo tecnologico e una diversificazione produttiva tali da consentir loro di reggere l’ingresso dell'Italia nel Mercato Comune Europeo, in quegli anni ancora in costruzione. Il settore industriale, nel solo triennio 1957-1960, registrò un incremento medio della produzione del 31,4%.
Assai rilevante fu anche l’aumento produttivo nei settori in cui erano presenti le grandi realtà industriali: le autovetture segnarono un più 89%; la meccanica di precisione un più 83%; le fibre tessili artificiali un più 66,8%. Oggi la realtà dell'economia italiana è purtroppo assai diversa.
La recessione che ha investito l'intera economia internazionale ha colpito gli italiani in modo eterogeneo: chi ha perso il lavoro ha avuto un tracollo del reddito e ha dovuto adattare il proprio stile di vita di conseguenza; i redditi fissi, invece, hanno beneficiato dei prezzi bassi guadagnando addirittura potere d'acquisto, un'occasione preziosa per recuperare gli effetti mai smaltiti dell'introduzione dell'euro.
Dal 2001 a oggi, centinaia di prodotti - secondo quanto riportato su Milano finanza del 12 gennaio - hanno subito enormi rincari: si va dal 5% per 250 g di burro, il rincaro più basso, al 290% per un cono gelato, il rincaro più alto. Almeno questa è la teoria.
Nella pratica si osserva infatti che nonostante l'inflazione sia prossima allo zero il potere di acquisto delle famiglie italiane ha continuato a ridursi, come peraltro certificato dallo stesso Istituto nazionale per la statistica: nel periodo ottobre 2008-settembre 2009, il reddito disponibile in termini reali è diminuito dell'1,6% rispetto a un anno prima.
La domanda dunque si pone spontanea: come si spiega questo mistero? Come’é possibile che a prezzi bassi corrisponda un potere d'acquisto in calo?
La risposta si trova guardando quelli che sono gli unici prezzi a salire in tempo di recessione. Per esempio tariffe e pedaggi, come nel caso delle Ferrovie dello Stato che a dicembre hanno rivisto al rialzo i prezzi dei biglietti, con punte del 20%.
Similmente nel 2010 Autostrade per l'Italia, il gruppo acquistato a debito dalla famiglia Benetton, ha deciso un aumento dei pedaggi del 2,4%.
E questi sono aumenti che colpiscono tutti e contribuiscono ad innescarne altri: "In un paese dove l'80% dei trasporti avviene su gomma - afferma la Coldiretti - l'aumento dei pedaggi pesa sui costi della logistica che incidono per quasi un terzo sui prezzi di frutta e verdura".
E, per restare in tema di logistica, da marzo anche gli scali aeroportuali potranno applicare rincari compresi fra 1 e 3 euro, in base al volume degli investimenti e al numero di passeggeri di ogni scalo.
Ma non finisce qui: dopo un anno di ribassi sono salite le tariffe del gas (€ 26 in più all'anno); si è adeguato il canone Rai aumentato di € 1,5 in più rispetto al 2009; l'assicurazione auto obbligatoria costerà in media ad ogni famiglia € 130 in più all'anno; il ricorso al giudice di pace € 55; la bolletta dell'acqua € 18; la Tarsu (la tassa sui rifiuti solidi urbani) € 35; i servizi bancari € 30 e le rate dei mutui per l'aumento dello spread applicato dalle banche € 80, annullando o quasi il beneficio derivante dai bassi tassi di interesse a livello europeo.
Insomma, un'apocalisse di rincari che secondo l’Adusbef e Federconsumatori ammonterà a € 660 annui. Aumenti - è bene ricordarlo - che non dipendono dall'andamento della domanda ma da decisioni quasi sempre di tipo amministrativo, come le tasse, o da rigide condizioni di mercato (come la Rca) o da quello del credito.
La conseguenza di tutto ciò sarà che chi ha un reddito fisso non riuscirà sostenere l'economia approfittando dei prezzi bassi, perché il suo "bonus da inflazione zero" finirà divorato dai vari aumenti delle tariffe, mentre chi avrebbe bisogno di un po' di respiro riceverà il colpo finale.
Secondo Federconsumatori "ogni famiglia sarà colpita nel suo potere d'acquisto per mancati introiti dovuti a cassa integrazione, minori guadagni e disoccupazione, per un ammontare complessivo pari a € 565". Mancate entrate che, se sommate ai 660 euro di rincari significano, più o meno, 1000 Euro in meno all'anno. E, se riparte l'inflazione, sarà ancora peggio.
Bond 5 anni in dollari (teoria e tecnica della truffa all'italiana)
di Felice Capretta - http://informazionescorretta.blogspot.com - 21 Gennaio 2010
Il solito Tgcom mette oggi tra le principali notizie del mondo una interessante novità: un bar di singapore ha fatto una serata promozionale in cui dava vodka gratis alle signore.
A coppa di reggiseno più grande corrisponde una quantà di vodka in omaggio più grande.
Notevoli le polemiche.
Già.
Forse sarebbe stato opportuno spendere un paio di parole in più su una piccola notizia che è uscita poche ore fa: il governo italiano ha annunciato di aver messo allo studio l’emissione di titoli di stato a 5 anni denominati in dollari.
(ANSA) - ROMA, 19 GEN - Il ministero dell'Economia ha conferito a un pool di banche il mandato per l'emissione di un titolo di Stato in dollari Usa a 5 anni. L'emissione, sottolinea il Tesoro in una nota, sara' effettuata, da un pool di banche d'affari internazionali, 'qualora le condizioni di mercato lo permettano'. I proventi - si legge in un comunicato - 'derivanti dall'operazione potranno essere impiegati dal Governo per svariati scopi, ivi incluse finalita' di gestione del debito'.
Detta così, è una notizia che merita di restare confinata tra le news finanziarie.
Risulta invece che la cosa merita un approfondimento, perchè una mossa del genere è come un grosso cartello giallo issato sul Ministero del Tesoro che dice: “noi crediamo nel ribasso del dollaro (e contiamo pure di farci un sacco di soldi alla spalle di chi ci casca)”.
Titoli di stato, le basi
Ci preme sottolineare che questa che segue è una semplificazione del meccanismo per diversi motivi: non ci sono più titoli cartacei, i bot si acquistano tramite la banca, hanno diversa durata e diverso valore, e il prezzo dell’emissione avviene su base d’asta e gli interessi sono espressi in modo diverso.
Comunque il meccanismo - a grandi linee - è il seguente.
Come gli affezionati lettori ben sanno, i quando ha titoli di stato vengono emessi da una nazionefinito i soldi e non è in grado di far fronte alle spese.
Lo stato deve pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, i fornitori di cemento per i muri delle scuole, il fornaio che porta le brioches alla buvette di Montecitorio e mille altre cose.
Se non ha soldi non puo’ pagare.
Così, alla fine dell’anno, per evitare di fare bancarotta, deve rastrellare i soldi che gli mancano.
I soldi li rastrella in un modo molto semplice, oltre alle tasse: emette in pratica grosse cambiali, dei grossi paghero’, che chiama “titoli di stato”, “buoni del tesoro”, o anche “titoli di debito”.
In fin dei conti le cambiali sono titoli, pero’ vuoi mettere la differenza tra chiamarli cambiali e chiamali “buoni del tesoro”?
Suona tutta un'altra cosa, Buoni Del Tesoro.
Lo stato così emette quei titoli.
Diciamo che ogni titolo vale 100 euro.
I cittadini, le banche, chiunque nel mondo puo’ comprare quei fogli che sono in sostanza promesse di pagamento.
Il titolo funziona come tutti i titoli: il signor Oreste Lavolpe (lo chiameremo così, il nostro brillante amico) decide di acquistarne uno e si impegna a dare subito 100 euro allo stato italiano.
Lo stato italiano, per contropartita, gli dà un titolo cartaceo con il quale lo stato stesso si impegna a restituire dopo un anno gli stessi 100 euro al signor Lavolpe, più una piccola somma di interessi, diciamo 1 euro (pari all’1% circa), totale 101 euro.
Dopo un anno, il signor La Volpe si presenta alla porta del Ministero del Tesoro con in mano il titolo, e, se lo stato italiano non ha fatto default, il ministero ritira il titolo di stato e mette in mano al signor Lavolpe 101 euro: 100 euro più 1 euro di interessi. Fin qui, tutto in ordine.
Debito in valuta estera: la storia di Furbetto, Oreste Lavolpe e i Gettoni Colorati del Western Badombia (c)
Abbiamo visto che, in fondo, il titolo di debito è in sostanza una cambiale, un paghero’, tra due entità, su una somma di denaro.
Cosa succede quando questa somma di denaro è denominata in una valuta straniera, che so, in Gettoni Colorati del Western Badombia (copyright zio linucs)?
Succede che delle due parti, una guadagna e l’altra perde, e tanto più guadagna o perde in funzione della fluttuazione del cambio.
Facciamo un esempio caprino.
Furbetto ha bisogno di 100 euro per pagare la bolletta della corrente. Pensa subito al suo amico, il brillante Oreste Lavolpe.
Furbetto, prima di uscire di casa, da’ un’occhiata al tasso di cambio tra Euro e Gettoni Colorati del Western Badombia (c) e vede che il tasso di cambio è, come sempre, 1:1: 1 Euro vale 1 Gettone Colorato del Western Badombia e viceversa.
Egli pero’ sa che il Western Badombia(c) sarà presto costretto a svendere le sue riserve in oro per finanziare la guerra con il vicino Badombestan, e il Gettone Colorato perderà valore contro l’Euro molto presto.
Così Furbetto convoca Lavolpe e gli propone un affare: Lavolpe gli dà subito 100 Gettoni Colorati, e Furbetto li restituirà a fine mese con un interesse del 10%, pari ad una somma finale di 110 Gettoni Colorati.
Un ottimo affare (forse)
Un buon affare, degno di Oreste.
Il signor Lavolpe infatti intuisce che il 10% in un mese è un bel colpo, tanto più che il suo amico Furbetto ha un buon lavoro da dipendente che lo rende sicuramente solvibile, e così si precipita in banca a cambiare 100 Euro in 100 Gettoni Colorati grazie al cambio 1:1.
Subito Lavolpe porta i Gettoni Colorati appena cambiati a Furbetto, che ringrazia e firma la cambiale con la quale si impegna a restituire a Lavolpe 100 Gettoni Colorati più altri 10 come interesse a fine mese, totale 110.
Naturalmente Furbetto corre in banca a cambiare i 100 Gettoni Colorati in 100 Euro per pagare la bolletta.
Durante il mese il tasso di cambio Euro-Gettoni Colorati Western Badombia(c) inizia a fluttuare.
Poi, accade l’evento previsto da Furbetto: il Western Badombia (c) vende le sue riserve in oro per finanziare la guerra contro il vicino Badombestan.
Subito la notizia appare su un noto blog italiano, Informazione Scorretta, mescolata tra la storia di uno stupratore di conigli e quella del cagnolino ingoiato dal pitone.
La notizia si diffonde rapidamente, facendo crollare del 50% il Gettone Colorato del Western Badombia, al punto che 1 Euro vale 2 Gettoni Colorati.
Viene la fine del mese, e Furbetto deve onorare il suo debito.
Così si reca in banca a procurarsi i 110 Gettoni Colorati. Che paga solo 55 Euro, perchè nel frattempo il Gettone Colorato è crollato e vale la metà di prima.
Puntuale si presenta a casa di Lavolpe con in mano i 110 Gettoni Colorati del Western Badombia.
Lavolpe, felicissimo dell’affare fatto, straccia la cambiale, ringrazia l'amico per la sua puntualità, e corre in banca per cambiare i Gettoni Colorati in Euro.
L'amaro risveglio di Oreste Lavolpe
Lì avviene l’amaro risveglio del nostro eroe Oreste: la banca cambia diligentemente i 110 Gettoni Colorati in 55 Euro freschi di stampa.
Il signor Lavolpe si guarda intorno stranito: si aspettava 110 Euro e invece il cambio sfavorevole tra il momento della cambiale e il momento della riscossione gli ha fatto perdere 55 Euro.
Furbetto invece si frega le mani: ha preso 100 Euro e ha restituito 55 Euro, con un guadagno netto di ben 45 Euro.
Un buon affare. Per Furbetto.
Debito in valuta estera: la storia di Tremonti e Oreste Lavolpe
Il ministero del tesoro sta tentando il gioco di Furbetto.
Oggi emette titoli di stato in dollari con scadenza a 5 anni, contando che da qui a 5 anni il dollaro crollerà o scenderà rispetto all’Euro (capirai che scommessa).
Oggi prende dollari, che convertirà subito in Euro per pagare gli stipendi e le brioche della buvette.
Tra 5 anni, quando dovrà onorare il debito, si procurerà i dollari per la restituzione agli sveglioni di turno. Probabilmente li pagherà direttamente in carta igienica, neanche più in euro.
Tremonti stesso ha anche parlato chiaramente di eventuali plusvalenze che saranno destinate a fare del bene.
Evidentemente il furbetto Tremonti prevede il crollo o una discesa forte del dollaro da qui a 5 anni (altrimenti è impazzito, e non lo sembra ancora).
Se avrà ragione, lo stato incasserà le plusvalenze e chi accetterà l’affare, l'Oreste Lavolpe di turno, pagherà il conto.
Sui colli romani la chiamano ...sòla. Qui la chiamiamo truffa all’italiana, e ci ricorda parecchio Toto’.
Vediamo chi sarà il prossimo Oreste Lavolpe.
Ma soprattutto...sareste felici di avere Toto’ al ministero del tesoro?