giovedì 21 gennaio 2010

Processo breve: l'ennesima vergogna ad personam

E così un'altra vergogna ad personam è stata approvata ieri dal Senato con 163 voti a favore, 130 contro e 2 astenuti.

L'ennesima vergogna di una lunga serie cominciata nel 2001 e che sembra non aver mai fine.

Resta ora solo da vedere se i forti dubbi di costituzionalità intorno a questa legge, una volta che sarà approvata anche dalla Camera, saranno fatti propri dal presidente Napolitano ed esplicitati con il rifiuto della sua firma.


Processo breve approvato al Senato. Analisi di un privilegio
di Luca Rinaldi - lucarinaldi.blogspot.com - 21 Gennaio 2010

Silvio Berlusconi l'ha definita una legge "ad libertatem", l'opposizione una legge "ad personam". La funzione della legge è quella, in realtà, di mandare a casa prosciolti una certa serie di imputati se il processo durerà entro un certo termine.

Tutta la discussione sulla giustizia che occupa le principali pagine di giornali e telegiornali sul tema gisutizia sta tuttta nell'introduazione di un articolo all'interno del codice penale di un nuovo articolo, il 513 bis. Il nuovo articolo prevederà infatti la sentenza di proscioglimento "per violazione della durata ragionevole del processo".

Presentato il ddl 1880 si è scatenato lo scontro politico, soprattutto nella parte concernente l'applicazione della legge a diversi processi in corso come lo stralcio Mills e quello sui diritti tv Mediaset, dove è imputato anche il Presidente del Consiglio Berlusconi.

Con questo disegno di legge si pretende quindi di individuare principalmente i principi di "ragionevolezza" della durata, e dei "tempi certi" del processo.

Individuare la "ragionevolezza" è stato, per gli estensori del del disegno di legge, un autentico Sudoku dal livello di difficoltà altissimo (come testimonia questo finto Ghedini interpretato da Neri Marcorè). Non è un caso infatti che il ritocco del testo si sia reso necessario immediatamente dopo il deposito al Senato.

Si è arrivati così al testo finale in cui i termini del processo, superati i quali interviene la prescrizione, aumentano all'aumentare della gravità del reato contestato. Altri termini però sono stabiliti per i processi già in corso all'entrata in vigore della legge, i quali attivano una vera e propria tagliola dei procedimenti.

Fanno discutere molto questi ultimi, con pareri apertamente contrari sia del Csm, sia dell' Anm, i quali vedono nel provvedimento un'amnistia di fatto e il macero sicuro per centinaia di processi. Perchè? La norma sull'estinzione dei processi penali si applica a quelli in corso da più di due anni da quando il pm ha chiesto il rinvio a giudizio, ma con alcune limitazioni.

Vi sono date ben precise in tutto questo: il colpo di spugna riguarderò i processi per i reati commessi fino al 2 maggio 2006 e puniti con una pena inferiore a 10 anni di reclusione. Il termine sale a 2 anni e 3 mesi nel caso in cui all'imputato siano state mosse nuove contestazioni durante il processo. Sempre in questo ambito rientrano l'estinzione dei processi contabili di primo grado, in corso da cinque anni presso la Corte dei conti.

La maggioranza è compatta nel sostenere che il ddl dà attuazione all'articolo 11 della Costituzione sul giusto processo e all'articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo sulla ragionevole durata dei processi.

E' proprio Felice Casson, ex magistrato, relatore di minoranza del ddl 'processo breve', a lanciare l'allarme sul colpo di spugna davanti alla Corte dei Conti: "Il processo breve approvato in Senato non cancellerà solo i dibattimenti ma anche almeno 500 milioni di euro che sindaci, parlamentari, ministri e sottosegretari hanno rubato truffando e sprecando.

Soldi che devono essere restituiti in base alle sentenze della Corte dei Conti. Ma che il ddl 1880 Gasparri-Quagliariello, nella sua versione allargata anche ai procedimenti contabili e societari cancella in un colpo solo".

Casson non parla a caso di procedimenti societari, infatti una novità importante introdotta, rispetto alla concezione originaria del testo, prevede l'applicazione della prescrizione processuale alla responsabilità amministrativa delle società per reati commessi dai propri dirigenti e ai procedimento presso la Corte dei Conti.

I tempi di prescrizione "a regime" presso la magistratura contabile sono di tre anni per il primo grado e due per l'appello. Gli anni diventano ora cinque oer il primo grado in corso al momento dell'entrata in vigore della legge, ma, perchè c'è un ma, se il danno erariale contestato per ogni singolo fatto non supera i 300.000 euro il termine di prescrizione del primo grado scende addirittura a due anni.

Poi arrivano i "tempi certi" del processo. Per i reati con pena inferiore a 10 anni non potranno durare più di tre anni in primo grado dalla richiesta di rinvio a giudizio. due anni in appello e un anno e mezzo in cassazione. Al termine, nel caso in cui la Suprema corte decida di annullare il processo con rinvio, si prevede un anno supplementare per ogni grado del nuovo processo.

Nei processi per reati più gravi, ovvero quelli con pene dai 10 anni in su, si allungano i tempi del primo grado di giudizio, che diventano quattro, mentre l'appello si dovrà celebrare in due anni e un anno e sei mesi per la Cassazione.

Per i reati di mafia e terrorismo si allunga il procedimento: cinque anni in primo grado, tre in appello e due in cassazione, con la facoltà del giudice di poter proprogare i termini fino a un terzo, durata forse ragionevole se non si continuasse a sfaldare i procedimenti anzichè farli proseguire in modo unitario.

Questo disegno di legge, oggi passato al vaglio del Senato con 163 sì, 130 no, e due astenuti, sarà nelle prossime settimane alla Camera dei Deputati. Sta per arrivare un' autentica sanatoria per quanto riguarda i danni all'erario, che non sono pochi, e una serie di misure che si scontra in modo netto con la realtà dei fatti e la velocità dei procedimenti in Italia.

Processi lenti per i giudici fannulloni per alcuni, ma la realtà, soprattutto nelle grandi città, dove si rilevano i maggiori numeri di cause, parlano di un'altra situazione, ovvero di procure vuote e pochissimo personale a sobbarcarsi un alto numero di cause anche nelle sezioni più delicate.

Attenzione dovrà essere data poi ai processi di mafia, spesso sfaldati e per interessi 'di Stato' e di difficile conduzione da parte della magistratura. Occorre fare attenzione, i segnali per una nuova stagione di fuoco mafioso sono dietro l'angolo, la politica sembra essere l'unica a non averli colti, rischiando di mandare al macero anche una serie di processi paralleli da cui spesso prendono origine quelli per mafia, anche ai livelli più alti.

"Ad libertatem" o "Ad personam", per ora sappiamo per certo che i privilegiati saranno i delinquenti di alto rango, e ancora una volta, la delinquenza delle fasce più basse della popolazione quella più colpita senza mezzi termini e con maggior durezza. Intanto continua il sistema del privilegio e l'amnistia dei ricchi.


La pretesa immunitaria
di Giuseppe D'Avanzo - La Repubblica - 21 Gennaio 2010

Il "processo breve" è la ventesima legge approvata nell'interesse di Silvio Berlusconi dai commessi nominati in Parlamento dalla Lega e dal Partito della libertà. È una legge che salva l'Egoarca (morirà il rognosissimo processo Mills, dove è accusato di corruzione).

Qualche effetto immediato.

La legge sfascia la già malmessa macchina giudiziaria. Non c'è, infatti, nessun contemporaneo provvedimento che asciughi le procedure, depenalizzi i reati, renda più efficiente l'organizzazione giudiziaria, qualifichi le risorse umane e incrementi gli strumenti materiali.

Il "processo breve" impoverisce le casse dello Stato perché si creano condizioni favorevoli alla "casta" (ministri, sindaci, amministratori pubblici) per non risarcire il danno di sperperi e distrazioni.

Allontana dalla condanna le società che hanno la responsabilità amministrativa dei reati commessi dal management nell'interesse dell'azienda. Prepara soprattutto un processo ingiusto e diseguale. Lasciate immutati, oltre ogni ragionevolezza, i reati, le procedure e le garanzie processuali, il processo non potrà che avere tempi lunghi.

Effetti a lungo termine.

Un processo - da un lato, nato per essere dilatato nei tempi e, dall'altro, strozzato nella durata - è uno strumento destinato a diventare superfluo, inutilizzabile, inutile. Soprattutto è un arnese che non potrà essere mai "giusto", nonostante le filastrocche a uso televisivo delle ugole obbedienti.

Perché danna i poveri cristi senza risorse e premia chi ha il denaro per pagarsi legulei competenti nell'esplorare i labirinti della procedura. In conclusione, il paese sarà più fragile, insicuro e criminofilo con giubilo dei delinquenti con e senza colletto bianco: c'è finalmente il modo legale per arraffare, arricchirsi, farsi prepotente senza danno, malvivere senza pagare dazio né allo Stato né agli innocenti diventate vittime.

Il "processo breve", frutto avvelenato di un'arrogante pretesa immunitaria, è soltanto l'intimidatoria ipoteca che, per ora, Berlusconi lascia sul tavolo. È già accaduto appena ieri, nel 2008. Con un emendamento al decreto sicurezza, il capo del governo si fa approvare la sospensione di un anno dei processi per fatti commessi prima del 1 luglio 2002, la cui pena non ecceda i dieci anni (è il suo caso).

La norma manda all'aria centomila processi. Berlusconi l'agita per rendere accettabile come "danno minore" un provvedimento che lo rende immune fino a fine mandato (il "lodo Alfano" sarà approvato l'11 luglio 2008 e bocciato dalla Consulta, perché incostituzionale, il 7 ottobre 2009).

Il quadro tattico, in apparenza, non pare diverso in quest'anno di grazia 2010. Distruttivo dell'intero sistema giudiziario, il "processo breve" è il mostruoso sgorbio che dovrebbe convincerci ad accogliere, come riduttivo di un rovinoso danno, un altro provvedimento che, senza umiliare l'interesse collettivo, può ottenere lo stesso risultato: il congelamento dei processi del Cavaliere. E soltanto apparenza. In realtà, in quest'occasione la strategia che si intravede dietro mosse rituali guarda più lontano, è più pericolosa perché vuole essere definitiva.

Il "male minore" (per i cittadini, per lo Stato), che dovrebbe salvare l'Egoarca dalle sue rogne giudiziarie, è il disegno di legge sul "legittimo impedimento" (da lunedì alla Camera). È la riformulazione, ancora per via ordinaria e quindi incostituzionale, del "lodo Alfano". La definiscono "disposizione temporanea in materia di legittimo impedimento del presidente del consiglio a comparire nelle udienze penali". Prevede che "costituiscano motivo di rinvio delle udienze gli impegni istituzionali del capo del governo".

La norma sarà valida, per "tutti i processi in corso in ogni fase, stato o grado", solo per 12 mesi in attesa di una riforma costituzionale che reintroduca l'immunità parlamentare (già pronta la proposta bi-partisan Chiaromonte-Compagna).

Naturale che Berlusconi non si fidi dell'escamotage o della solidità di quel "ponte". Perché dovrebbe vedere garantita la sua salvezza in una legge (il "legittimo impedimento") che oltraggia la Costituzione in attesa che la Costituzione venga poi riscritta per cicatrizzare la ferita? Un pasticcio, come nemmeno un Ghedini potrebbe organizzare.

È ovvio che il capo del governo vorrà raddoppiare la sua pressione sull'opposizione, sul capo dello Stato, sulla magistratura, sull'opinione pubblica con l'uno e l'altro dei provvedimenti ("processo breve" e "legittimo impedimento") per ottenere il consenso ad aprire subito (e al diavolo il governo e le difficoltà del Paese) una "stagione costituente" che assegni alle Camere il potere di "disporre, a garanzia della funzione parlamentare, la sospensione del procedimento per la durata del mandato" (così si legge nel disegno di legge Chiaromonte-Compagna).

Ora si ascoltano molti pareri favorevoli al ritorno irrobustito dell'immunità parlamentare. Poco male. Allarma che l'opposizione - e anche segmenti di una magistratura stressata e "stanca di guerra" - non si accorgano che la revisione dell'immunità (il Cavaliere deve farsela approvare anche dall'opposizione perché, impopolarissima, non supererebbe il referendum) è nelle manifeste intenzioni di Berlusconi la cruna attraverso cui infilare il cammello della "costituzionalizzazione" di se stesso, dell'anomalia dei suoi interessi confusi e sovrapposti, il congegno per potenziare un potere che immagina limitato da troppi contrappesi (parlamento, ordine giudiziario, capo dello Stato, Corte costituzionale).

A Bonn è stato fin troppo chiaro, a questo proposito. È dunque la riforma della Costituzione l'ancoraggio finale di una strategia cominciata oggi con l'approvazione al Senato del "processo breve". L'agenda politica può essere favorevole per il progetto.

Dopo le elezioni regionali (marzo), non si voterà per tre anni. Lontano dagli elettori, il sistema politico potrà ritornare sordo e autoreferenziale. Le carte sono già in tavola, se le si vuole vedere.

L'Egoarca chiede che la Costituzione diventi strumento di chi governa, Instrument of Government, dispositivo per esercitare il potere. Ci si sarebbe aspettato che, nella sinistra nouveau style, qualche autorevole oracolo ricordasse che la Carta fondamentale della Repubblica è figlia di un costituzionalismo che non l'ha immaginata strumento di governo ma di garanzia contro gli abusi del potere.

Al contrario, evocando la "bozza Violante" (fine del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei deputati, Senato federale), le menti soi-disant "realiste" dell'opposizione sembrano convolare verso la linea tracciata dall'Egoarca. Enfatizzano la modernità della "bozza", ne occultano in pubblico il più autentico obiettivo: il rafforzamento dei poteri del premier. Che, una volta immunizzato per sempre, è appunto l'obiettivo dell'Egoarca.

Bisogna prendere atto oggi che non si odono voci responsabili che denuncino quanto possa essere pericoloso imboccare questa strada. "Chi ci salverà da Berlusconi, "padre costituente"?", si chiedeva nel 2004 lo storico Sergio Luzzatto.

La risposta provvisoria è oggi questa: a livello politico, nessuno sembra aver voglia di salvarci. Chi potrebbe farlo o tace o dissimula le sue intenzioni. Soffiano arie bicamerali e, dopo il voto regionale, infurieranno impetuose, aggressive e libere.


Fretta, errori e conseguenze: manca una riforma di sistema
di Luigi Ferrarella - Il Corriere della Sera - 21 Gennaio 2010

Da 6,5 a 10 anni per un processo non sarebbero pochi, a patto di risorse commisurate. Ma senza misure coerenti e complessive sulla giustizia, e fuori da riassetti costituzionali delle immunità, spicca la norma retroattiva che farà evaporare due interi processi del premier in corso.

Mai prima d’ora in Parlamento, con pari evidenza in nessuna delle 7 leggi approvate dal 2001 dalla maggioranze di Silvio Berlusconi e poi applicate ai suoi processi, una norma retroattiva si appresta ad avere l’immediato effetto di far evaporare non due figure di reato, o due prove d’accusa, ma addirittura due interi processi del premier già a metà del loro percorso verso la sentenza di primo grado: quelli nei quali il presidente del Consiglio è imputato di frode fiscale sui diritti tv Mediaset, e di corruzione in atti giudiziari del testimone David Mills. Ascolta, una volta un giudice come me giudicò chi gli aveva dettato la legge: prima cambiarono il giudice, e subito dopo la legge.

Risuona De Andrè (1973) nella legge che, approvata ieri dal Senato, paradossalmente Berlusconi fa mostra di non apprezzare perchè «prevede tempi ancora troppo lunghi, sino a 10 anni è eccessivo». Ha proprio ragione. Solo che non è il suo caso.

E’ piuttosto il caso delle 465 vittime di altrettanti reati che ogni giorno in Italia restano con un pugno di mosche in mano davanti a imputati graziati dalla prescrizione.

E’ il caso delle parti offese dei 12 processi che, ogni 100, «saltano» per un difetto nei 28 milioni di notifiche manuali l’anno che affannano 5mila cancellieri. Ed è il caso dei 30mila italiani che reclamano indennizzi per l’eccessiva durata dei loro processi, già costata allo Stato 118 milioni.

Non è invece il caso di una politica che finge di ascoltare l’Europa quando Strasburgo condanna la lentezza italiana (per la verità raccomandando, invece di rigide gabbie temporali, l’adeguamento di risorse proporzionali al tipo di cause), ma fa orecchie da mercante quando l’Europa condanna l’Italia a risarcire i detenuti in 2,7 metri quadrati a testa. Se almeno accompagnassero una coerente e sistematica riforma della giustizia, le controverse norme sull’estinzione dei processi troverebbero forse maggiore asilo.

Anche perché tre anni per arrivare a una sentenza di primo grado, altri due per l’Appello e 18 mesi per la Cassazione non sono pochi, a patto di ben ponderare la congruità, e quindi la sostenibilità, delle attuali dotazioni della Giustizia rispetto alla nuova tempistica con la quale lo Stato vuole garantire ai cittadini, per il futuro, di non far durare tre gradi di giudizio appunto più di 6 anni e mezzo nella maggior parte dei casi (7 anni e mezzo per gli altri, 10 anni per mafia e terrorismo elevabili a 15).

Ma nessuno può ignorare la norma transitoria retroattiva che a gamba tesa cambia, a metà partita, le regole sulla cui base si stanno celebrando i processi in primo grado per reati con pene sotto 10 anni e commessi prima del 2 maggio 2006: appena in vigore, la norma transitoria ne determinerà l’estinzione se sono trascorsi 2 anni non dall’inizio del dibattimento, e neanche dal rinvio a giudizio, ma addirittura dalla richiesta del pm di rinvio a giudizio.

Un totale non senso. Che però ne acquista uno solo, se si bada al fatto che il giudizio sui diritti tv Mediaset nasce da una richiesta del 22 aprile 2005, e il processo Mills da una del 10 marzo 2006: entrambi saranno dunque estinti dalla norma transitoria retroattiva.

Che, come danni collaterali, falcidierà anche tutti gli altri processi nelle medesime condizioni. Quanti non si sa, ma quali, in alcuni casi, sì: per esempio la scalata Antonveneta, l’aggiotaggio Parmalat contestato ai colossi bancari mondiali, i dossier illegali Telecom e Pirelli, le truffe allo Stato sui rifiuti da parte di Impregilo, le corruzioni Enipower-Enelpower.

Peccato che l’altra domanda nel testo di De Andrè, oggi un giudice come me lo chiede al potere, se può giudicare, non riesca a trovare risposta in una equilibrata disciplina costituzionale delle immunità, e in un rinnovato bilanciamento di contrappesi tra politica e magistratura a garanzia dei rispettivi terreni di autonomia: guasti sempre più profondi sarebbero risparmiati all’ordinamento, e acute tensioni smetterebbero di lacerare la società.

Invece si stanno tramutando i proclami sulle «immunità» in sotterfugi di «impunità». E si sta scegliendo di mettere la colonna sonora di De Andrè (Tu sei il potere: vuoi essere giudicato? Vuoi essere assolto o condannato?) pure sotto il nuovo «calendario» dei processi.