lunedì 18 gennaio 2010

Follie di inizio 2010

Un collage di articoli su questo pazzo mondo nell'anno domini 2010, a riprova del fatto che più si avanza nel XXI secolo e più la follia collettiva regna incontrastata.

Esemplare la dichiarazione di oggi del presidente afghano Karzai dopo i più sofisticati e coordinati attacchi in diversi punti di Kabul, tra cui
il palazzo presidenziale, alcuni ministeri, la banca centrale, il palazzo delle telecomunicazioni, l'hotel Serena, un centro commerciale, un ospedale e un cinema. Ha detto Karzai "Kabul è sotto controllo".
Certamente...come direbbe il petomane di Ciprì & Maresco.

Oppure un altro esempio di follia globale in un periodo di crisi economica (provocata soprattutto dalle banche) è la notizia di oggi che le banche creditrici di Dubai World - in particolare Hsbc e Royal Bank of Scotland - hanno collocato sul mercato il suo debito nel disperato tentativo di ridurre la propria esposizione ad un prezzo che, secondo il Financial Times, dovrebbe aggirarsi intorno al 70% del valore del debito.

Perfetto, avanti così. Dritti a sbattere contro il muro, e siamo solo all'inizio dell'anno....


Gaffe Fbi: per invecchiare bin Laden usata foto di leader comunista spagnolo
da www.ilmessaggero.it, con nota aggiuntiva di Megachip - 17 Gennaio 2010

Lo ha scoperto il quotidiano spagnolo El Mundo: in quel taglio di capelli e in quella fronte rugosa e spaziosa, aveva notato qualcosa di particolarmente affine a un politico iberico. E così, messa a confronto l'immagine diffusa dall’Fbi sull’attuale aspetto di Osama bin Laden, invecchiato e ingrigito, i giornalisti del Mundo hanno scoperto una foto elettorale di Gaspar Llamazares, ex leader di Izquierda Unida, il partito comunista spagnolo:

20100116_c1_bine il Bureau - scrive El Mundo - ha confermato l'errore. In effetti - hanno spiegato dall'agenzia - chi ha utilizzato il programma informatico di ricostruzione dei tratti somatici ha cercato le foto su Google.

E non si sa come, non si sa perché i potenti mezzi investigativi Usa hanno scovato la foto di Llamazares e l'hanno ritenuta verosimile con quella attuale del "ricercato numero uno al mondo".

Il politico, ribattezzato oramai nel suo Paese "Osama bin Llamazares" ha chiesto al governo statunitense spiegazioni sull'accaduto.

Magari è anche un po' preoccupato: sul terrorista numero uno di Al Qaeda, c'è una ricompensa di circa 25 milioni di dollari ha chi fornisce informazioni sulla sua cattura. E vista la somiglianza...


Nota di Pino Cabras per Megachip:

L'articolo de Il Messaggero si conclude in modo ammiccante e cinguettante, ma forse c'è poco da ridere. Si conferma ancora una volta l'immane lavorio manipolatorio intorno all'allarme terrorismo.

Tralasciate pure gli incredibili video di Bin Laden con la barba bianca e poi nera.

Considerate invece per un istante un’incredibile rivelazione del Luglio 2007 – fatta da un generale di brigata americano, Kevin Bergner, alla giornalista Tina Susman – su un terrorista iracheno impersonato da un attore: "Il presunto capo di un gruppo iracheno affiliato ad al-Qā‘ida, è stato dichiarato non-esistente da ufficiali USA. I quali hanno chiarito che si trattava di una persona immaginaria creata per dare una faccia irachena ad una organizzazione terroristica straniera." («Los Angeles Times», 20 luglio 2007).

Testuale. La dichiarazione sorprende, se si pensa che a marzo 2007 Abu Omar al-Baghdadi era stato dichiarato catturato, mentre a maggio fu dichiarato ucciso, e il suo presunto cadavere venne perfino mostrato alla TV di Stato irachena: "È stato utilizzato un attore iracheno per leggere le dichiarazioni attribuite a Baghdadi, da ottobre indicato come il leader dello ‘Stato Islamico in Iraq’, ha detto il generale di brigata dell’esercito USA Kevin Bergner. Bergner ha detto che la nuova informazione è venuta da un uomo catturato il 4 luglio, descritto come l’iracheno più alto in grado nello Stato Islamico in Iraq".

Il nome del terrorista mostro fu poi usato in altre giravolte vivo/morto.

Fiction, più che politica. Teatro dell’assurdo, anziché indagini e informazione. Il caso bin Laden-Llamazares aggiunge una nota buffa, ma non troppo.

«Queste nuove immagini sono un buon esempio di come i progressi nella scienza e nella tecnologia possono essere usati per assicurare alla giustizia un ricercato», aveva affermato appena un giorno prima dello scoop spagnolo un funzionario dell'Fbi.

Siamo in buone mani!


Talebani attaccano Kabul: esplosioni e feroci combattimenti vicino al palazzo presidenziale
da Peacereporter - 18 Gennaio 2010

Attaccati il palazzo presidenziale, i ministeri, la banca centrale, il palazzo delle telecomunicazioni, l'hotel Serena, un centro commerciale, un ospedale e un cinema

Nel giorno in cui si insedia il nuovo governo Karzai, i talebani lanciano nel cuore della capitale afgana il più grande attacco coordinato dal 2001.

Almeno una ventina di guerriglieri, facendosi strada a colpi di bombe a mano e raffiche di mitra, hanno assaltato il Palazzo Presidenziale, diversi ministeri e altri edifici governativi, come la Banca Centrale e il Palazzo delle Telecomunicazioni.

Secondo il portavoce talebano Dabihullah Mujahid, gli attaccanti sarebebro penetrati nei palazzi del ministero della Giustizia, in quello delle Finanze e in quello delle Minierie e anche nel Palazzo Presidenziale: principale obiettivo dell'azione.

I talebani si sono poi asserragliati sui tetti e all'interno dei palazzi, da dove hanno continuato a sparare con armi automatiche e lanciarazzi.
Nella zona sono quindi scoppiati violenti combattimenti con le centinaia di truppe governative e Nato accorse con blindati e carri armati.

Ci sono state diverse forti esplosioni.
Una dovuta a un kamikaze che, con un'autobomba, si è fatto esplodere davanti al centro commerciale Feroshgah-e-Afghan, dal quale ora si alza una densa colonna di fumo nero. Ci sarebbero motli morti tra agenti di polizia afgana.

Un'altra è avvenuta davanti ai cancelli del Palazzo Presidenziale.

Altre due esplosioni pare siano razzi sparati contro il Serena Hotel, l'albergo di lusso degli stranieri, dove si è sviluppato un incendio e all'interno del quale poi si sarebbe scatenata una cruenta sparatoria. Gli ospiti dell'hotel sono asserragliati nelle camere.
Altre esplosioni hanno colpito il palazzo delle Telecomunicazioni, un ospedale e un cinema del quartiere.

Al momento si contano almeno sette guerriglieri talebani, un bambino e due militari afgani uccisi negli scontri. Una quarantina i feriti.

Dall'ospedale di Emergency a Kabul, non lontano dalla zona dei combattimenti, riferiscono che la situazione in città è tornata calma. "Finora abbiamo ricevuto 17 feriti, sia civili che soldati e poliziotti afgani. Cinque di loro sono stati ricoverati. Uno, in gravi condizioni, è ancora in sala operatoria".

Altre esplosioni sono poi state udite. La situazione appare ancora fulida e molto confusa. Le forze di sicurezza avrebebro ripreso il controllo del centro commerciale Feroshgah-e-Afghan.

Nel primo pomeriggio, le 11 in Italia, il presidente Karzai ha dichiarato che "la situazione della sicurezza a Kabul è sotto controllo", anche se ci sarebbero ancora sporadiche sparatorie in corso.
La cerimonia di insediamento del governo è stata rinviata a domani.

Il commando talebano sarebbe entrato questa mattina in città utilizzando divise della sicurezza afgana per superare i controlli degli agenti.


Ministro in overdose, urge mega vaccino
di Alessandro Robecchi - www.alessandrorobecchi.it - 17 Gennaio 2010

Statisticamente è più facile morire nel centro di Milano stritolati da un calamaro gigante con la pipa e la sciarpa del Milan che di influenza A.

Nonostante questa evidenza, il ministero della sanità italiano ha acquistato 24 milioni di dosi di vaccino per 184 milioni di euro stipulando con la Novartis un contratto che persino un caporale di Rosarno avrebbe considerato troppo iniquo.

Nell’occasione, gli italiani si sono rivelati meno fessi del previsto: magari guardano il Tg1 e credono che Craxi era un santo.

Magari guardano il Tg5 e sono convinti che c’è il boom economico. Ma quando si è trattato di farsi il vaccino si sono così espressi: Marameo (44,3 %), Vaccinati tua sorella (30,7%), Manco se mi paghi (14%), Vaffanculo (7,1 per cento, quasi tutti medici), mentre il 3,99 per cento è corso alla asl a farsi siringare.

Si dovrebbe considerare quest’ultima cifra come l’effettivo gradimento al governo e ai suoi terrorizzanti mass media. Per le grandi aziende farmaceutiche è stato un regalo prezioso, e se ne potrebbe trarre lezione per il tanto atteso rilancio economico. Tipo: se non compri una macchina entro marzo morirai tra atroci sofferenze.

Ora, questo paese caritatevole ed enormemente buono che è l’Italia ha deciso di regalare il 10 per cento delle dosi acquistate all’Oms, che dovrebbe girarle ai paesi poveri. Ma i poveri dei paesi poveri, pur di rompere i coglioni e di remare contro non si ammalano nemmeno loro di influenza A.

Preferiscono morire di fame, o in mare cercando di venire qui, o bastonati dalla brava gente di Rosarno, o sparati dalla camorra a Castel Volturno. Noi non siamo un paese razzista, ma loro sono proprio delle merde.

Ora il sistema-Italia si trova con 23 milioni e 173.000 dosi di vaccino sul groppone, che scadono a dicembre 2010, tra 348 giorni. Per sfruttarle iniettandole tutte al ministro della sanità gli si dovrebbero fare 66.589 punture al giorno da oggi fino a Capodanno. Pensiamoci, perché no?



Commozione indotta
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 18 Gennaio 2010

Un paio di anni fa, a Roma, nel popoloso quartiere di Porta Pia, un portinaio che stava pulendo delle vetrate al quarto piano di un palazzo perse l'equilibrio e precipitò sul selciato, morto.

La gente che passava aggirava il cadavere oppure disinvoltamente lo scavalcava, badando bene a non inzaccherarsi le scarpe. La settimana scorsa passavo per via Fabio Filzi, a Milano, una strada piena di negozi e di gente. Un uomo era riverso per terra, la testa fra il basello del marciapiede e la strada.

La gente passava, guardava e tirava dritto. Lo feci anch'io. Avevo fretta. Ma dopo cinquanta metri mi bloccai. “Ma sono diventato pazzo, indifferente a tutto, disumano, solo perché potrei mancare un appuntamento che mi preme?”. Ritornai sui miei passi e mi chinai sull'uomo. Era un ubriaco in coma etilico.

Poiché era caduto proprio davanti a un grande magazzino, una Upim mi pare, chiesi alla guardia giurata che vi stazionava davanti se aveva chiamato l'ambulanza. “No” rispose. “La chiami”. “Non è affar mio”. “Come non è affar suo? È affare di tutti”. “È solo ubriaco”. “Ma non vede che sta male?”.

Intanto poiché io mi ero fermato ed ero chino sull'uomo si era formata una piccola folla di curiosi. Ma non faceva nulla, era lì solo per godersi lo spettacolino fuori ordinanza.

Quando succedono tragedie come quella dell'Aquila o di Haiti gli italiani sono prontissimi a metter mano al portafoglio. Vespa raccontava l'altra sera che solo attraverso il suo programma aveva raccolto quattro milioni di euro. E anche questa volta, per la ben più lontana Haiti, gli italiani si sono mossi con rapida generosità.

C'è un legame fra questi comportamenti apparentemente così contraddittori? Sì. L'uomo ha una capacità limitata di emozionarsi, di soffrire per gli altri, di solidarizzare. Non può farlo per il mondo intero.

Invece la Tv globalizzata lo costringe a questo esercizio. Un tempo, poiché non vedevamo nulla, ci importava assai poco di un terremoto ad Haiti, per quanto terrificante.

In una bella commedia anni '50, "Buonanotte Bettina", Walter Chiari si chiedeva: “Se schiaccio un bottone e muore un cinese in Cina ho veramente ucciso qualcuno?”. La distanza contava.

Oggi la Tv ha abolito questa distanza. Ma a noi di un terremoto ad Haiti continua a non importarci nulla. Però, poiché, diversamente da Walter Chiari, che non vedeva il cinese ucciso in Cina, ci sentiamo in colpa per questa indifferenza, ci precipitiamo a mandare denaro.

Ma questa mitridatizzazione delle emozioni, cui ci costringe la continua sollecitazione dei media, finisce per colpire anche il nostro vicino, colui che potremmo veramente e concretamente aiutare o per il quale potremmo provare un'autentica compassione.

Ho vissuto per una decina di anni fra Italia e Svizzera (avevo una fidanzata che abitava a Lugano) e ho potuto notare che gli svizzeri sono instancabili, ancor più degli italiani, nello staccare assegni per qualsiasi calamità che capiti in qualsiasi posto del mondo.

Nel periodo in cui ero lì un immigrato italiano, un giorno, prese un kalashnikov e fece fuori, d'un colpo, sei svizzeri (con la sotterranea soddisfazione della comunità italiana di Lugano). Quale il movente? Viveva da vent'anni nella Confederazione e non era riuscito a farsi un solo amico svizzero.

La Modernità ha abolito le distanze. Noi siamo in contatto, via Tv o Internet, con il mondo intero. Con tutti e con nessuno.

Conosciamo tutti ma non il vicino della porta accanto. Spargiamo la nostra emotività per tutto l'orbe terracqueo ma, al momento del dunque, non siamo in grado di riservarla al vicino, al vero "prossimo", che è colui che possiamo toccare e che, come nota lo psicologo junghiano Luigi Zoja in uno splendido libro, è scomparso dalla nostra vita ("La morte del prossimo", Einaudi).



Sei mesi di vita?
di James Howard Kunstler - http://kunstler.com/blog - 11 Gennaio 2010
Traduzione a cura di Jjules per www.comedonchisciotte.org

Per l’economia, intendo. Specialmente la parte che consiste nello scambiarsi certificati di carta. Sono queste le voci che ho percepito nelle prime due settimane del 2010, e perdonatemi se non ho un fascio di tabelle e grafici per dimostrarlo. Tutti gli altri, o quasi, che blaterano di queste cose sul web forniscono abbondanti analisi statistiche: Mish, The Automatic Earth, Chris Martenson , Zero Hedge, The Baseline Scenario . Vale la pena visitarli tutti.

Le cifre sui bonus bancari stanno per essere diffuse da un momento all’altro. La rivolta che mi aspettavo in merito alla pubblicazione di queste cifre potrebbe arrivare da un luogo diverso rispetto a quanto avevo immaginato – non da ciò che rimane dei “normali” lavoratori ma dai leader di pensiero e dai comuni addetti dell’amministrazione (compresi i pubblici ministeri) che, per una ragione o per l’altra, negli ultimi due anni hanno distolto la loro attenzione, o rimanendo alla finestra o adducendo scuse.

Se Frank Rich del New York Times inizia il suo articolo chiedendo la testa di Robert Rubin, allora forse la grande e cigolante nave da carico dei media sta virando e sta tracciando una nuova rotta verso il porto della realtà.

Ad ogni modo, la grottesca baldoria di inganni e di menzogne che è diventata l’economia americana – tenuta insieme con il nastro adesivo fatto di pacchetti di incentivi, contabilità manipolata, sussidi per i mutui, carry trade, salvataggi alle banche “troppo grandi per fallire”, TARPS, TALFS, i rapporti truffa del BLS e l’infervoramento della MSNBC per i “primi segnali di ripresa” – mostra tutti i segnali di un crollo imminente.

Ci sono troppe cose ovvie che possono andare in rovina, e ciò significa che ne esistono molte meno ovvie, cose nascoste che possono andare in rovina. Non è tragicamente sciocco sfidare la legge di Murphy , visto che funziona così bene anche senza aiuti da parte nostra?

Ultimamente c’è stato addirittura l’appello per l’incriminazione dell’attuale Segretario al Tesoro, Geithner, per aver architettato la liquidazione a Goldman Sachs di 14 miliardi di credit default swaps da parte di AIG nel corso del salvataggio della stessa AIG. Va bene, e allora perché non Paulson, Bernanke, Blankfein…?

Ma le altre gradinate del circo sono stipate anche di pagliacci e di orsi danzanti. Anche con la bozza delle prospettive del mercato azionario per il 2010, è difficile spiegare perché il mondo debba investire in Buoni del Tesoro americano, specialmente tra pochi mesi, dopo l’iniziale corsa al bene sicuro – voglio dire, quando si potrebbe altrettanto facilmente acquistare titoli di stato a breve termine espressi in dollari canadesi o franchi svizzeri.

E allora cosa succederà quando la Federal Reserve dovrà mangiarsi tutti i Buoni del Tesoro avanzati, mentre sta già soffocando con le obbligazioni di debito collateralizzate e i relativi titoli tossici spazzatura privi di alcun valore? Dopotutto, i biglietti verdi che ci scambiamo sono chiamati Banconote della Federal Reserve.

Perché qualcuno dovrebbe pensare che il mercato immobiliare continuerà a lievitare? Un grasso “maiale” fatto di mutui ARM (cioè mutui che non saranno mai ripagati in modo regolare) sta per spostarsi nel “serpentone” del mondo immobiliare, spingendo altri milioni di famiglie verso la morosità e i pignoramenti.

Nel frattempo, le banche locali e regionali sono strangolate da un settore immobiliare già inadempiente sul quale avevano paura ad effetturare i pignoramenti e sono rimaste lontano dai mercati nel corso del 2009 per non far diminuire ulteriormente i prezzi delle abitazioni e non mettere “con l’acqua alla gola” altre famiglie per case che valgono molto meno del valore nominale del loro mutuo.

Dubito che le banche stiano facendo questo per bontà di cuore ma, qualunque sia la ragione, questa truffa di assorbire i prestiti difficili non può andare avanti per sempre. Ad un certo punto, un sistema bancario deve basarsi sulla credibilità, su prestiti che possono effettivamente essere restituiti, oppure si spezzerà, e siamo vicini al punto di rottura.

La patetica verità che sta al centro del fallimento dell’immobiliare è che i prezzi devono scendere ancora se un normale lavoratore a busta paga potrà mai permettersi di comprarsi una casa in America a condizioni normali. Ad ogni modo, presto o tardi il sistema bancario dovrà espellere l’”inventario fantasma” di abitazioni tolte dai pignoramenti, e rivenderle al miglior prezzo che riusciranno a spuntare, altrimenti moltissime banche falliranno.

Potrebbero scendere comunque, perché la catastrofe del mercato immobiliare commerciale sta seguendo esattamente il fallimento del mercato immobiliare residenziale. L’offerta eccessiva di piccoli e grandi centri commerciali, centri direzionali e altri accessori dell’economia del “consumatore” ormai al tramonto sta per diventare la più grande passività che l’economia abbia mai visto nella storia dell’umanità.

Chi vorrà mai comprare a buon mercato queste assurde proprietà, quando non riusciranno mai a trovare nessun affittuario per strutture costruite così malamente, né staranno al passo con la manutenzione (pensate ai tetti piatti che perdono), né per nessuna ragione verranno risistemate?

In un mondo veramente giusto, molti di questi edifici andrebbero demoliti – se non per il fatto che tutto questo costa, e chi esattamente oggi vorrebbe avere un mercato di blocchi frantumati di calcestruzzo e finestre a ghigliottina in alluminio? Mi aspetto che quei posti vengano occupati abusivamente da dei senza tetto disperati.

Poi ci sono gli stati in fallimento, guidati dai più grandi, naturalmente – California e New York – ma con tanti altri dietro, che stanno scendendo vorticosamente dallo stesso tubo di scarico (probabilmente quarantanove con l’eccezione del Nirvana fiscale, il Nord Dakota!).

Anche se riusciranno ad ottenere un salvataggio truffa da un governo federale ormai stanco di elargire salvataggi, gli stati dovranno comunque ridurre le schiere dei loro dipendenti pubblici (gettando nell’indigenza altre famiglie del ceto medio) mentre verranno ridotti enormemente i servizi pubblici, soprattutto per i poveri, gli ammalati e gli invalidi. Questo si riverserà su aspetti molto evidenti della vita di tutti i giorni, dalla sicurezza (aumento dei reati) al deterioramento di strade e ponti.

Forse la notizia più preoccupante che circola in questo primo mese dell’anno sono le voci delle imminenti carestie a causa di numerosi raccolti andati a male in tutto il mondo nella stagione dei raccolti del 2009 (Emergency Food Supply , Food Crisis For Dummies,Le previsioni di Wall Street per il 2010).

Se il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti non ci ha mentito spudoratamente sui numeri nel 2009, c’è qualche segnale che i loro rapporti siano perlomeno incoerenti con le cifre reali delle scorte di granaglie e con i prezzi delle materie prime.

E perché mai il Dipartimento dell’Agricoltura dovrebbe dire la verità se tutte le altre agenzie federali stanno riportando dei numeri fasulli? Considerata la crisi nei capitali e nei prestiti, bisogna anche chiedersi come faranno quest’anno gli agricoltori a chiedere prestiti per i loro raccolti.

Infine, c’è il mondo dell’energia globale. Il prezzo del petrolio parte questa settimana sopra gli 83 dollari al barile, collocandolo a circa 1,50 dollari dalla “zona pericolosa” nella quale inizia ad annientare l’attività economica negli Stati Uniti. Le cose e le procedure stanno cominciando a costare troppo. Benzina. Diesel (e, a proposito, questo significa un altro problema per la produzione di cibo che sta entrando nella stagione di interramento del 2010).

Una situazione particolarmente inquietante nelle ultime settimane è stato il disaccoppiamento tra i rialzi del prezzo del petrolio e i rialzi del valore del dollaro. Ultimamente, il petrolio è aumentato sia che il dollaro fosse aumentato o meno. Due settimane fa il dollaro è sceso sotto quota 1,42 nei confronti dell’euro e oggi è sopra quota 1,45 e il petrolio, in tutto questo tempo, è aumentato costantemente dal valore che era di poco superiore ai 70 dollari.

Il 2010 potrebbe essere l’anno in cui ci renderemo conto definitivamente che la domanda mondiale di petrolio supera l’offerta mondiale di petrolio – e che la produzione globale non può sostenere più di 85 milioni di barili al giorno, e non ci si può fare nulla.

Questi sono i pensieri che si agitano nella mia mente alle tre del mattino quando si alza il vento e risuonano rumori sinistri. Prepariamoci ad una o due stagioni molto dure.


Rim-bamboccioni
di Gianna Fregonara e Maria Teresa Meli - http://politicamentescorrette.corriere.it - 17 Gennaio 2010

L'esuberante ministro Renato Brunetta, in astinenza da provocazioni da qualche settimana, vuole far uscire di casa i diciottenni per legge. Noi, come mamme, saremmo d'accordo. Però:

1 - Li prende a casa lui o vanno tutti in tenda nel parco di Arcore (noi un po' meno d'accordo in entrambe le ipotesi);

2- Paga lui l'affitto del monolocale e/o bilocale in condivisione (in questo caso, ha già avvertito Tremonti?);

3- Ha pensato alla paghetta;

4- In caso i diciottenni non escano di casa, è previsto l'uso delle forze armate di ritorno dalle missioni internazionali?

5 - Ha detto una stupidaggine.


Figli e bamboccioni di Europa. Ecco a che età se ne vanno di casa
di Vera Schiavazzi - La Repubblica - 18 Gennaio 2010

Brian, 26 anni, ha mollato tutto quando la "tigre celtica" irlandese ha smesso di fare miracoli. "Ma a Dublino vivevo già da solo - ci tiene a ricordare - anche se questa scelta non aveva fatto piacere ai miei".

Ha chiesto e ottenuto una borsa di studio del programma Leonardo, ora da due anni ha anche un lavoro (da tecnico informatico, precario ma ben pagato), vive a Glasgow e intende restarci: "Se torno indietro finirò col tornare anche dalla mamma, è molto più comodo: fino a quando sono rimasto con lei lasciavo che mi facesse anche il letto, ora mi vergogno a ricordarlo".

Solo l'Irlanda, del resto, compete con Italia e Spagna per l'altissima percentuale di giovani tra i 20 e i 30 anni che scelgono di restare in famiglia: 61 per cento, contro il 70% degli italiani e il 72 degli spagnoli, mentre la Francia, col 35%, si colloca in una posizione intermedia, la Gran Bretagna viaggia verso l'autonomia dei figli col 28% e la Svezia straccia tutti col suo irrisorio 18% di bamboccioni attaccati al divano e alle comodità garantite dai genitori.

Così, dopo la sentenza del giudice di Trento che ha condannato un padre a mantenere la figlia trentenne, fuoricorso all'università e ancora senza un lavoro, e mentre il ministro Brunetta invoca una legge che costringa a uscire dal bozzolo familiare fin dai 18 anni, le famiglie italiane si confrontano con una mappa d'Europa che - in questo campo - offre una fotografia ricca di contrasti.

A fare la differenza sono i sistemi di welfare (dove non esiste sussidio statale per chi studia e per chi cerca lavoro, restare in casa è spesso una scelta obbligata), le usanze e i modelli familiari, i livelli di istruzione e la durata degli studi, che in Italia è tra le più lunghe e registra come normale o quasi l'arrivo del diploma di laurea tra i 25 e i 30 anni.

Non è un caso se tra i ragazzi d'Europa chi vuole andarsene mette il maggior numero di chilometri possibili tra sé e la casa paterna, e se le storie di questi "coraggiosi" si trovano soprattutto sui blog di chi ha partecipato almeno una volta a programmi come Erasmus o Socrates.

E non è un caso neppure se Italia, Spagna e Irlanda presentano cifre così simili, pur partendo da situazioni economiche e da sistemi di welfare piuttosto diversi: il denominatore comune è la religione prevalente, quella cattolica, e un'idea di famiglia che vede ancora il matrimonio come il principale motivo per allontanarsi da casa.

"Parlando con gli amici che sono passati da noi - racconta da Parigi Alexandre Heully, 31 anni, amministratore delegato di cafebabel. com, il giornale online nato dagli scambi Erasmus e pubblicato in sei lingue che si propone di parlare ai nuovi europei - ho verificato che molto dipende dalla durata degli studi, che in Francia è assai più breve e in Germania e in Italia molto lunga. I nostri colleghi italiani lasciano i genitori solo, o perlopiù, per andare a vivere con la fidanzata, mentre sia in Francia sia in Inghilterra è normale affittare un piccolo monolocale o coabitare con altri studenti".

Ma le ragioni economiche e sociali prevalgono su quelle culturali secondo Chiara Saraceno, che ha curato con Manuela Olagnero e Paola Torrioni il primo rapporto comparativo tra famiglie, lavoro e reti sociali in Europa: "In Italia, come in Spagna o in Grecia, gran parte del welfare è affidato alle famiglie e gran parte delle famiglie non può semplicemente permettersi di sostenere le spese di un figlio fuori di casa.
Altrove, come nel nord Europa, dove le borse di studio vengono assegnate in modo più ampio e con criteri diversi e dove esiste un vero welfare per i giovani, è considerato anomalo che un ragazzo resti in famiglia. Diverso è anche il mercato immobiliare: dove gli affitti sono facili e accessibili, i giovani se ne vanno".

Un'analisi confermata dai dati dell'Isae (l'Istituto di studi e analisi economica) che dimostra come un lavoro, anche precario o a tempo parziale, o comunque un reddito autonomo sia alla base della scelta di lasciare il nido un po' in tutta Europa: se si guarda ai giovani che guadagnano, infatti, la percentuale italiana di chi resta a vivere con i genitori scende dal 70 al 60 per cento, quella svedese precipita al 12%, quella irlandese scende al 57, e così via.

Gioca contro, invece, la diffusione della precarietà contrattuale: in Italia e in Spagna i lavori a progetto, interinali e simili si sono diffusi soltanto negli ultimi anni, contribuendo a frustrare ulteriormente l'autonomia di ventenni e trentenni.

Per andare a vivere da soli, i giovani inglesi sono disposti a fare debiti e a vivere in affitto, così come i loro coetanei svedesi, francesi e irlandesi, mentre la casa di proprietà o prestata gratuitamente da un parente prevale in Italia e in Spagna.

La crisi economica non aiuta: non solo in Italia la percentuale di ragazzi che restano a casa è salita in pochi anni di 6 punti percentuali, ma i ricercatori dell'Isae ritengono che "il fenomeno sia destinato a durare, penalizzando chi vive nei piccoli centri, chi è iscritto all'università ma non si è ancora laureato, i maschi e in generale i giovani del Sud".

Sara, Kiko, Luza, Leire e Mario sono cinque ragazzi spagnoli tra i 22 e i 26 anni che dividono un appartamento a Parigi: "Se fossimo rimasti a Madrid - raccontano sul loro blog - vivere fuori casa sarebbe stato impossibile. I nostri genitori si sono convinti a darci un aiuto iniziale solo perché sanno che in Francia è meno difficile trovare un lavoro dopo la crisi che ha colpito il nostro paese e che essere di lingua madre spagnola ci avrebbe aiutato".

E quanto sia diversa la situazione dei ragazzi italiani, spagnoli e greci rispetto a quella di inglesi e scandinavi lo dicono anche i dati, recentissimi, dell'analisi Istat sulla "transizione allo stato adulto": il matrimonio resta al primo posto (col 43,7 per cento delle risposte) tra le ragioni per le quali è opportuno andarsene, seguito (ma solo col 28%) da "esigenze di autonomia", mentre le "difficoltà economiche" (47,8%) sono tra le buone ragioni per restare solidamente installati nel salotto (e nella cucina) di mamma e papà, seguiti (col 44,8%) dal fatto che "in famiglia si sta bene, si ha ugualmente la propria libertà".

Il 23 per cento (un dato inquietante se si pensa che la ricerca comprendeva un'ampia fascia di età, dai 19 ai 39 anni) non se ne va perché "sta ancora studiando". La paura di volare colpisce soprattutto i maschi (che non sono obbligati a contribuire ai lavori domestici e godono di maggiore libertà): il 7,1 dichiara, candidamente, di "non sentirsela" di vivere da solo, mentre lo stesso motivo è citato soltanto dal 4,9 delle coetanee.

E se la ragione di tanta differenza tra il Nord e il Sud d'Europa fosse da ricercare, come sostiene invece un gruppo di studiosi che, all'Università di Lione, si occupa della "sindrome di Peter Pan", nell'infanzia e nei modelli educativi?

Forse è proprio così, se è vero che in Norvegia il 70% dei piccoli frequenta un asilo già prima dei 3 anni, e che entro i dodici anni oltre il 60% ha già vissuto fuori casa per almeno una settimana grazie ai campi estivi e ai soggiorni di studio.

In Italia, invece, il 56% delle madri, secondo un sondaggio sulle abitudini alimentari, non ritiene necessario insegnare a cucinare né ai maschi né alle femmine: "Sporcano troppo la cucina, preferisco farlo io".