domenica 3 gennaio 2010

Crisi economica: un 2010 peggiore del 2009?

Ci siamo lasciati alle spalle un 2009 molto difficile dal punto di vista economico, ma le prospettive per il 2010 non sono affatto rosee.

L'anno scorso infatti gli Stati si sono barcamenati alla meno peggio nella tempesta finanziaria globale con provvedimenti eccezionali di espansione del debito pubblico e i conseguenti salvataggi di banche e aziende. Misure ora impossibili da ripetere.

Sarà quindi durante quest'anno che si vedranno effettivamente le conseguenze a lungo termine della crisi, soprattutto sul fronte occupazionale.

Solo pochi giorni fa l'Istat ha comunicato che a ottobre l'occupazione nelle grandi imprese, al netto della cassa integrazione, è calata del 1,9% rispetto a un anno prima.

Mentre nell'industria è calata del 3,7% su base annua (il dato peggiore dal 2002). E' invece aumentato l'utilizzo della cassa integrazione (+54,3 ore per ogni mille nelle grandi imprese dell'industria).

Buon 2010....


2010. Si pagheranno care le scellerate politiche economiche del governo
di Alfiero Grandi - www.dazebao.org - 1 Gennaio 2009

Anche se non è facile scegliere gli emblemi di un anno, si può dire che il 2009 ha avuto certamente due punti di grande rilievo economico e sociale: la forte crescita della disoccupazione e la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro (con conseguente caduta del reddito complessivo dei lavoratori) e lo scudo fiscale, in altre parole il condono tombale regalato dal Governo agli evasori fiscali, per di più a prezzi talmente bassi da essere introvabili nel resto del mondo.

Lo scudo fiscale merita un approfondimento.

Da come il Ministro Tremonti ha presentato i risultati dello scudo fiscale - con l’amplificazione di una grancassa mediatica fin troppo compiacente - sembra che ora l’economia italiana avrà a disposizione quasi 100 miliardi di euro, ma è una balla perché in realtà lo Stato incasserà il 5%, quindi meno di 5 miliardi di euro, in altre parole un decimo dei 50 miliardi che avrebbe dovuto incassare. La differenza se la terranno gli evasori con un enorme guadagno personale rispetto ai cittadini che hanno regolarmente pagato le tasse.

Gli evasori fiscali non possono che essere grati al Governo per questo incredibile regalo, mentre lo Stato avrà quasi 50 miliardi di entrate in meno.
Per di più gran parte di questo denaro resterà all’estero o verrà impiegato in attività speculative e quindi darà ben poco aiuto alla ripresa economica. Il resto è propaganda.
Se il Ministro Tremonti è veramente sicuro dell’efficacia dei risultati del contrasto all’evasione perché ha rinunciato ad incassare di più ? Perché ha preferito fare questo scellerato favore agli evasori fiscali, che è un autentico schiaffo a chi ha sempre compiuto il suo dovere fiscale?

Il 2010 vedrà proseguire - purtroppo .- la perdita di posti di lavoro, perché gli effetti della crisi economica si fanno sentire con ritardo sull’occupazione e nel 2010 si esauriranno gradualmente i cosiddetti ammortizzatori sociali.

Quando si afferma con grande leggerezza che la crisi è alle spalle si dimentica di dire che la crisi non ha colpito tutti allo stesso modo e che non basta la ripresa delle borse per mettere la parola fine alla crisi. Ne hanno subito i colpi anzitutto le aree sociali più deboli, i tanti precari che hanno perso per primi il lavoro, i lavoratori che hanno già perso il lavoro e che vedono esaurirsi la protezione - pur parziale - degli ammortizzatori sociali.

L’Italia che uscirà dalla crisi avrà una base produttiva più ristretta e avrà meno occupazione, lascerà fuori dal mercato del lavoro la nuova generazione, senza dimenticare che sta crescendo l’area del lavoro nero, e quindi anche la ripartizione del reddito sarà ancora più ingiusta di quella pre-crisi. In altre parole l’Italia farà un balzo all’indietro di almeno 15 anni.

Questa Italia più piccola, più ingiusta socialmente, più chiusa per timore vedrà crescere l’area della società sempre più relegata ai margini e continuamente alle prese con il problema della sopravvivenza.

Le classi dominanti che hanno la responsabilità della crisi sono ben determinate a restare al loro posto e a perpetuare l’attuale ingiustizia sociale.

Per di più la crisi lascia un conto finanziario pesante per lo Stato. In pratica è come se l’Italia fosse tornata in rapporto al PIL al debito che aveva all’inizio anni 90, come se le politiche di risanamento di oltre 15 anni fossero state spazzate via e tutti i sacrifici relativi vanificati. Stiamo tornando al 120 % di debito pubblico, esattamente come all’inizio degli anni 90.
Chi pagherà nei prossimi anni il buco aperto nel bilancio dello Stato dalla crisi finanziaria prima e da quella economica dopo?

La previsione non è poi difficile. Se chi comandava prima resterà in sella anche dopo la crisi si può scommettere che la soluzione verrà trovata in una miscela di tagli massicci alla spesa pubblica (soprattutto pensioni, sanità e Enti locali) e di nuove tasse, magari nascoste spostando il prelievo fiscale sui consumi, quindi dalle classi sociali più deboli.

La somma da trovare è enorme: 80/90 miliardi di euro in pochi anni per riprendere il sentiero del risanamento finanziario. Si profila un rovesciamento sociale di proporzioni enormi, a cui va aggiunto il pericolo inflazione che è già iniziata malgrado la crisi dovrebbe avere l’effetto contrario, senza che il Governo abbia fatto nulla, probabilmente perché ha fatto un pensierino sull’uso dell’inflazione come uno dei mezzi per fare pagare la crisi al reddito fisso.

Siamo almeno al riparo da nuove crisi finanziarie? No perché in sostanza non è cambiato quasi nulla nelle regole e nei controlli sulla finanza, sulle speculazioni. In Italia nulla e anche in Europa è tutto da decidere. Malgrado le grida manzoniane contro speculatori e banche lanciate nel momento più acuto della crisi, la realtà dei controlli e dei divieti nei mercati finanziari è sostanzialmente quella precedente.

Anche le banche sperano di cavarsela con un poco di autoregolamentazione come Patti Chiari. I prodotti finanziari che possono circolare sono gli stessi di prima, la speculazione è di nuovo all’attacco ed è tra le ragioni dell’aumento del prezzo dei prodotti petroliferi. I risparmiatori sono serviti.

C’è bisogno di un progetto paese, ovviamente in un quadro europeo, in grado di mettere in campo un’alternativa alle soluzioni alla crisi che propongono i ceti dominanti.
E’ curioso che proprio mentre anche Governi conservatori hanno proposto di introdurre la Tobin tax per controllare e regolare la speculazione finanziaria non ci sia stata un’iniziativa ancora più forte e determinata delle sinistre politiche e sociali.

Quando anche le classi dominanti sono attraversate da dubbi e contraddizioni dovrebbe essere in campo un’alternativa di proposte, capaci anche di cogliere le opportunità messe in campo da altri per diverse ragioni. Purtroppo non è stato così e il rischio concreto che dopo la crisi tutto torni come prima, cioè nelle mani degli stessi che l’hanno prodotta è molto serio.

E’ un errore pensare che le alternative si confronteranno una volta superata la crisi. Superata la crisi, tornate in sella le classi dominanti, passato lo spavento di pochi mesi fa, lo spazio per un’alternativa politica, economica e sociale sarà ridotto al lumicino e i soliti noti nel frattempo saranno chiamati a sopportare non solo il costo della crisi ma anche il suo superamento.

Dopo il danno la beffa. Un’alternativa è possibile ma occorre avere il coraggio di fare delle scelte e di chiamare a pagare la crisi –ad esempio - anche quelli dello scudo fiscale.


Il 2010 sarà peggiore
di Monty Pelerin - www.americanthinker.com - 2 Gennaio 2010
Traduzione a cura di Antonio Pagliarone

Il 2010 sarà probabilmente l'anno di svolta in cui esperti smetteranno di riferirsi alla recessione e cominciano a parlare apertamente di depressione. Il problema economico è piuttosto semplice da descrivere: c'è troppo debito rispetto al reddito e / o alla ricchezza prodotta.

Di seguito è riportato il grafico che rappresenta la situazione dell’ economia americana, nel quale viene mostrato il debito complessivo degli Stati Uniti come percentuale del PIL dal 1870 in avanti.

I dati sul debito comprendono tutti i debiti pubblici e privati, non comprende gli oneri legati al mandato del governo come la Social Security e la Sanità che non vengono finanziate. (Nota: Secondo i depositari di questi fondi fondazione negli Stati Uniti il valore attuale delle passività sarebbe di circa 106 mila miliardi di dollari, che se venissero incluse farebbero aumentare il rapporto Debito/PIL fino al 1.000%).


L'ammontare percentuale del debito in rapporto al PIL dal punto di vista storico è veramente sconcertante. Vale la pena di fare alcune considerazioni sul grafico:

* Sul lungo periodo la "norma" del rapporto sembra essere di circa il 150% e le linee rosse delimitano la "norma" compresa tra il 130% e 170% rispettivamente.

* Il rapporto non è mai superato la fascia superiore eccetto due periodi di impennata: nel 1920 e nel 1980.

* Ogni intersezione delle linee ha comportato un enorme boom nel settore del credito. Il primo si concluse con la Grande Depressione. Il secondo produrrà una catastrofe simile se non peggiore. (siamo solo agli inizi).

* L'espansione del credito che ha portato alla Grande Depressione non è stata così rilevante come quella attuale.

* Il picco del credito si è verificato dopo che la depressione era cominciata. L’andamento della spesa pubblica e la contrazione del PIL hanno continuato a condizionare il rapporto fino all'inizio della Grande Depressione.

* Dopo la pubblicazione di questo grafico, il rapporto è cresciuto ed attualmente ha raggiunto quasi il 380%, quasi il doppio del livello raggiunto dagli Stati Uniti all’inizio della depressione.

* Mentre sembra che i prestiti privati abbiano raggiunto attualmente il picco, l’enorme finanziamento del disavanzo pubblico continua a far innalzare il rapporto , così come la contrazione del PIL.

Nessuna teoria economica riesce a razionalizzare una vera e propria "norma", ma intuitivamente, sappiamo che un tale valore limite esiste. Il debito non deve superare una certa percentuale di reddito, altrimenti non vi può essere un prestito.

Per oltre un secolo il settore bancario ha utilizzato il concetto dei rapporti equivalenti come criterio per l’erogazione di prestiti ai singoli e alle imprese. Per varie ragioni, nel corso degli ultimi due decenni le banche hanno trascurato queste linee guida contribuendo notevolmente alla bolla del credito.

Il governo ha deciso che la cura per l'eccessivo indebitamento consiste nel fare più debito. Questa soluzione non può funzionare, soprattutto quando il credito è già così sovraesposto. I redditi e la ricchezza prodotta non possono sostenere gli attuali livelli di indebitamento..Il credito tornerà ai livelli medi, indipendentemente dagli intenti del governo, che questo avvenga attraverso il pagamento ordinato o l’insolvenza, la riduzione del debito sarà inevitabile.

Ludwig von Mises ha affrontato i limiti del credito nella Teoria della moneta e del credito, originariamente pubblicato nel 1912. In lavori successivi così si esprimeva sulla questione:

Non vi è alcuna possibilità di evitare il collasso finale derivante dal boom dall’espansione del credito [debito]. Una alternativa vi è solo se la crisi dovesse arrivare prima, come il risultato di un abbandono volontario di ulteriore espansione del credito [debito], o più tardi come una catastrofe finale e totale del sistema monetario in questione.

Nel 2009, non è stato possibile finanziare le richieste di capitale negli Stati Uniti attraverso i mercati tradizionali. Il governo è stato in grado di finanziare il suo deficit del 2009 solo attraverso Quantitative Easing [1] esplicite (e occulte) della Fed. In Discutendo del 2009, Zerohedge ha dichiarato:

Vi è stato un credito enorme e una crisi di liquidità, e poi c'era il Quantitative Easing, questo'ultimo equivale per la Fed al band-aiding [2] di uno zombie e di un organismo infettato dagli schemi di Ponzi, meglio conosciuto come “l'economia americana”. Ha funzionato per un po', ma ora la zombie è in procinto di tornare in crisi, seguito da uno stato comatoso e, infine, ridotto in condizioni di non morte (e con una riduzione della linea 401 k)[3] .

Zerohedge ha stimato che negli USA, per poter finanziare le esigenze di capitale nel 2010, la domanda (il finanziamento) di titoli a rendita fissa dovrebbe aumentare di undici volte. Intanto continua a declinare la partecipazione straniera nei titoli a rendita fissa sui mercati finanziari americani che contribuirà a rendere impossibile tale finanziamento.

Per quanto riguarda le esigenze di finanziamento del 2010 esitono solo tre possibilità:

- La Fed continuerà il suo Quantitative Easing oltre la loro cessazione prevista nel marzo 2010.

- La Fed alza i tassi di interesse a livelli che potrebbero attirare i capitali necessari per finanziare le operazioni di governo attraverso i mercati del credito tradizionale.

- La Fed non prende alcuna iniziativa e allora si avrebbe un insolvenza del governo su alcune sue obbligazioni.

Nessuna di queste alternative è attraente. Le scelte sgradevoli derivano dalle politiche adottate precedentemente dalla Fed e dal Governo. Per evitare la recessione, il governo nel corso degli ultimi cinquant'anni ha abusato e poi alla fine ha esaurito tutte le opzioni ragionevoli.

Dopo anni di cattiva gestione, il governo è in imbarazzo di fronte a quello che deve fare e non può sfuggire. Tutte le alternative saranno molto dolorose, e nessuna è in grado di garantire la possibilità di una ripresa di tipo tradizionale.

Non importa quale alternativa si scelga, il paese non può evitare una depressione. A questo punto la politica dovrebbe preoccuparsi di "non nuocere ulteriormente". Delle tre alternative, ciò che è meglio economicamente è peggiore politicamente.

Questo conflitto naturale tra buona economia e una buona politica non è insolito.Il paese subirebbe un grave danno economico se si attuasse la alternativa n 2.. Da un punto di vista politico, le alternative 2 e 3 sono probabilmente inaccettabili. Pertanto, è probabile che venga tentata (ancora!) la 1° alternativa. Ma è stato proprio il continuo abuso di questa alternativa, che ha portato a questo stato penoso.

Alternativa 1 non può funzionare, non riuscirà ad evitare una depressione, anzi peggio ancora, porterà probabilmente all'iperinflazione. Così, finiremo probabilmente con l’avere una situazione peggiore, infatti con l’iperinflazione, il denaro cesserà di essere un mezzo di scambio, i mercati cesseranno le loro attività, se non basandosi sul baratto, verrà spazzata via la classe media i cui risparmi perderanno valore come il dollaro. Alla fine si verificherà ciò che Mises ha previsto molti anni fa.

In una qualsiasi delle alternative si corre il rischio di perdere la nostra forma di governo, cosa che porterà a disordini ed alle lotte. Tutto ciò risulterebbe possibile se si adottasse l’alternativa 1 per gli effetti corrosivi provocati da inflazione elevata unita ad una depressione.

Attenzione al calendario. Le cose si stanno facendo sempre più interessanti e probabilmente molto presto.

NOTE

1 - Il termine anglosassone Quantitative Easing si traduce in italiano con alleggerimento quantitativo ed indica la creazione di moneta da parte della banca centrale e la sua iniezione, con operazioni di mercato aperto, nel sistema finanziario ed economico

2 - “band-aiding” significa aiutare a mantenere entro i limiti massimi le fluttuazioni dei tassi di cambio del dollaro rispetto ad un'altra valuta

3 - Il tipo di pensionamento 401k è stato progettato in modo tale che esso incoraggi i dipendenti a risparmiare una notevole somma di denaro per il periodo post-pensionamento.


Ecco il prezzzo della crisi che pagheremo nel 2010
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 31 Dicembre 2009

Se esiste qualcosa di peggiore dei bilanci di fine anno, queste sono le previsioni per l’anno in arrivo. Cosa dobbiamo quindi aspettarci dal 2010: la famosa ripresa annunciata da almeno un anno e mezzo da politici e banchieri di varia foggia oppure un’altra crisi?

Tre sono le certezze. La prima, tutti gli analisti seri concordano con il fatto che il tasso globale di disoccupazione continuerà a salire almeno per tutta la prima metà del prossimo anno. Certo, gi interventi dei vari governi potranno cercare di rendere meno drammatica la situazione, ma il dato tendenziale è incontrovertibile.

Secondo, chiunque punti su un particolare titolo sta lanciando freccette a caso. Il 2010 sarà l’anno, ancora una volta, delle commodities: petrolio, minerali, oro ma anche zucchero e cacao.

Chi vuole speculare, sa dove gettarsi: d’altronde, fino a quando non verrà imposto l’obbligo di consegna - ad esempio - per il petrolio comprato attraverso i futures nelle dark pools grazie a squeezes e corners speculativi, la gente continuerà a speculare. E fa bene, visto che se i regolatori non regolano, non sta certo a chi investe l’obbligo di “autocastrazione”.

Terzo, il comparto bancario non sarà più lo stesso. Fallirà più di un istituto in Europa, la Germania e l’Austria pagheranno un prezzo pesantissimo alla loro spavalda esposizione verso l’Est europeo. Negli Usa, ieri, è stata diffusa la notizia che lo Stato garantirà altri tre miliardi e mezzo di dollari a Gmac per non crollare sotto le nuove perdite legate ai mutui: stiamo parlando del 30 dicembre e di un istituto che dal dicembre dello scorso anno ha già ottenuto dallo Stato qualcosa come 13 miliardi di dollari in aiuti. La dimensione della catastrofe è questa.

Ora il tappo sta per saltare anche in Europa: in Inghilterra gli analisti scommettono sul crollo della sterlina entro le elezioni di maggio, una scommessa di cross monetario che potrebbe far la gioia dei forex e un po’ meno quella del governo britannico.

Il quale viene dato sì per spacciato, ma con la quasi certezza di un hung parliament, ovvero l’assenza di una maggioranza in grado di governare all’atto di chiusura delle urne: a quel punto, toccherà mettere in piedi una sorta di governo di salute pubblica visto che almeno un paio di banche stanno per annunciare perdite record e svendendo gli assets più pregiati. Il debito pubblico inglese, però, non consente altri salvataggi pena la perdita del rating AAA per il paese e quindi costi ulteriori per ripagare il debito contratto.

C'è poi l'incognita cinese. Come si muoverà Pechino è difficile poterlo dire con certezza, sicuramente si muoverà e non con la delicatezza di una libellula. Lo shopping di assets strategici è già partito e ieri è stata registrata la terza seduta consecutiva in rialzo per le Borse del Dragone, dopo la notizia che il Consiglio di Stato avrebbe approvato i contratti future sugli indici azionari, attesi da molto tempo, notizia che non è stata però ancora confermata.

Lo Shanghai Composite Index ha guadagnato l'1,58%, a quota 3.262,6, il Shenzhen Component Index ha chiuso in rialzo dell'1,04%, a 13.644,47: scambi complessivi in crescita a 254,09 mld di yuan (37,2 mld di dollari), da 194,38 mld di yuan nella seduta precedente.

La Cina, inoltre, potrebbe sfruttare le rinnovate tensioni geopolitiche tra Usa e Russia, non tanto a livello di muso duro rispetto a scudo spaziale e nuovi armamenti, quanto sul fronte energetico: il fluttuare allegro dei cds sul rischio di default sul debito e il fatto che il nodo della questione gas - che rischia di lasciare al freddo o almeno sotto ricatto l'Europa - passi da lì, mette pesantemente nel mirino di azioni speculative l'Ucraina, Stato di fatto al collasso tecnico ma che è anche controparte di molti prestiti elargiti senza troppo raziocinio dai paesi europei.

Farla saltare potrebbe voler dire rimettere in moto il risiko energetico e piazzare un colpo devastante ad almeno tre Stati, ovvero Germania, Austria e Repubblica Ceca. Pensare che certe cose succedano solo nei film rende la vita meno amara ma il mese di febbraio potrebbe rivelarsi determinante, anche perché operazioni di questo genere lasciano poche tracce ma inviano segnali molto chiari quando sono in fase di attuazione.

È la geofinanza di cui abbiamo già parlato molte volte in passato: basta guardare alle cronache di questi giorni. Il fallito attentato che riaccende la lotta al terrorismo e la volontà Usa di un attacco contro le basi di Al Qaeda nella penisola araba, le tensioni di piazza in Iran, gli scontri in Nigeria scatenati dalla setta islamica Kata Kalo, la tensione tra Cina e Gran Bretagna: tutte aree caldissime ma soprattutto strategiche.

Infrastrutture energetiche, materie prime, petrolio, riserve: tutto può salire o scendere se una guerra scoppia oppure no, se un missile parte oppure no, se un aereo esplode oppure no. Certo non si scatenano le guerre all'ultimo piano della sede di una grande banca d'affari, ma certamente si guarda con molta attenzione al loro evolvere: la gente che muore può far fare molti soldi, è la faccia pulita e in grisaglia delle guerra a bassa intensità.

Per Natale l'America ha regalato a Pechino un nuovo aumento dei dazi anti-dumping sull'acciaio, certamente non un gesto di disgelo: come reagirà la Cina è tutto da vedere, certamente non potrà scaricare di colpo il debito Usa che detiene.

Potrà però continuare a diversificare le riserve monetarie, mandando in altalena le valute e magari continuando in questo modo a tenere basso il valore dello yuan: l'anno che ci aspetta, più di quello che stiamo per lasciare, passerà alla storia per i veri cambiamenti epocali.

Quest'anno abbiamo pagato e vissuto la crisi, da domani ne pagheremo le conseguenze. E non solo per mutui e posti di lavoro. Nel frattempo, non fasciamoci la testa. A volte i cambiamenti, anche drastici, non portano solo cose negative. Buon anno a tutti i lettori.


La nuova crisi europea del 2010
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 30 Dicembre 2009

La guerra, ora, è quella contro il debito. E se da un lato il 2010 sarà l'annus horribilis del corporate debt, ovvero aziende che subiranno ristrutturazioni feroci tali da cambiare la loro fisionomia e che già nella City vengono appellate come “zombie firms”, saranno gli Stati a mettere in campo le mosse principali da qui al prossimo mese di aprile, quando in molti temono che i ricaschi sociali della crisi economica toccheranno un po' dappertutto il punto più critico.

Nel silenzio generale, dovuto anche alla nuova emergenza terrorismo negli Usa che ha silenziato ogni altra decisione, il Senato statunitense ha rialzato di altri 290 miliardi di dollari il tetto di indebitamento del governo, portandolo a 12.394 miliardi di dollari: hanno votato a favore di tale mossa 60 senatori e contro in 39.

Cosa significhi questo è presto detto: l'iniziativa consentirà infatti al governo di emettere altre obbligazioni sul debito e avere due ulteriori mesi di operatività. Siamo, cioè, all'emergenza bella e buona. Segnale che negli Usa, a differenza che in Europa, la politica sta guardando in faccia la realtà e non sta nascondendosi dietro il dito del “ormai si vede la luce in fondo al tunnel”: ricordatevi, infatti, che con ogni probabilità quelle luci sono di un treno in arrivo.

Di più. Sempre nel silenzio la Federal Reserve ha messo in campo una mossa strategica nella lotta a quello che sarà il potenziale nemico del domani, ovvero l'inflazione, creando il “term deposit facility”, un meccanismo con il quale si è in grado di prelevare denaro dal sistema bancario in caso la politica decida per una rafforzamento della politica monetaria.

Attraverso questo, le banche potranno guadagnare interessi sui prestiti basati su maturities lunghe e si vedranno accordato un interesse anche sulle riserve overnight. Insomma, le riserve bancarie, la liquidità degli istituti diviene un nuovo strumento per la Fed al fine di supportare un'implementazione effettiva della politica monetaria. Ovviamente, le somme prestate alla Banca Centrale non possono essere ritirate dagli istituti se non sui tempi voluti dallo schema.

Insomma, se Francoforte dorme il sonno degli incoscienti, Washington lavora e si prepara alla ripresa evitando che l'ormai prossimo rialzo dei tassi d'interesse si trasformi in una trappola iper-inflattiva ingestibile in una tale situazione di debolezza e instabilità dell'economia.

Questo, inoltre, pone rimedio al problema delle riserve in eccesso, una sorta di bolla creata negli anni che ha portato a un esubero di credito verso il sistema bancario di 2,2 trilioni di dollari: come trasformare un problema, in una soluzione.

E l'Italia, costretta a muoversi tra le tenaglie dell'Ue e la cronica mancanza di fondi per intervenire, si lancia ancora sul mercato. È infatti italiana l'ultima emissione di titoli pubblici del 2009 nella zona euro.

L'asta di oggi dei titoli a medio lungo termine della Repubblica - il maggior emittente di Eurolandia - cade in un momento di nervosismo del mercato internazionale per la grave situazione finanziaria di un Paese ad alto debito come la Grecia, non certamente nostro gemello ma non molto dissimile se prendiamo il puro dato del rapporto di indebitamento, almeno quello percepito.

Peccato che la percezione, così come i giudizi delle agenzie di rating, spesso siano fallaci. Il nervosismo imperante nell'eurozona - come sottolineava l'altro giorno il Wall Street Journal - non si infatti è riversato sull'Italia anche perché quest'anno il deficit pubblico del Paese è stimato a circa il 5% del Pil contro l'oltre 12% previsto per la Grecia. L'asta italiana riguarderà i Btp e i Cct con gli ammontari indicativi e le caratteristiche dei titoli che saranno pubblicati nell'ultimo giorno lavorativo pieno dell'anno.

Ma l'asta non sarà - segnalava il quotidiano statunitense - pienamente indicativa di come i mercati accolgano il debito pubblico italiano a causa del probabile basso volume in emissione. Per i titoli pubblici ma anche per le obbligazioni societarie, intanto, gennaio si preannuncia come un mese di fuoco.

L'attenzione del mercato si concentra sulla Germania visto che il governo di Berlino ha programmato quattro aste per un totale di 22 miliardi di euro, oltre un decimo dell'ammontare in emissione per l'intero 2010 escludendo i titoli indicizzati all'inflazione.

E la Germania si candida a essere uno dei protagonisti del mercato, considerando che l'ammontare nominale complessivo delle emissioni programmate per il prossimo anno sarà superiore del 35% rispetto all'anno in corso a causa dell'esigenza di copertura del maxi-piano di spesa pubblica a sostegno dell'economia, prima che venga iniziata l'opera di rientro del deficit.

Insomma, Berlino tenta la carta della maxi-emissione perché sa che - come diciamo da mesi su ilsussidiario.net - o si dà vita entro marzo alla bad bank o il sistema bancario - con a cascata quello assicurativo - salterà come un tappo di spumante a Capodanno. Meno chiaro è se la Grecia tenterà di testare i mercati con nuove imminenti emissioni in asta.

Le previsioni infatti indicano il ricorso a consorzi di collocamento bancari senza, dunque, calendari prefissati: negli ultimi giorni i titoli della Repubblica ellenica sono stati sommersi dalle vendite dopo il doppio declassamento subito da Fitch lo scorso 8 dicembre a BBB-plus e successivamente da Standard & Poors. Mosse che, però, hanno fatto festeggiare la Borsa di Atene con un rialzo di quasi il 5%: miracoli del mercato e degli avvoltoi che già si aggirano sopra i cieli del Pireo.

In generale, per quest'anno le emissioni complessive di titoli pubblici di Eurolandia dovrebbero toccare il record di 920 miliardi di euro, 50 miliardi in più dell'anno scorso secondo le stime della banca tedesca WestLb.

Stime che prevedono comunque una buona accoglienza da parte del mercato anche grazie all'opera della Banca Centrale Europea che sta assicurando una sufficiente liquidità al mercato: speriamo, poiché WestLB è tecnicamente fallita e potrà salvarsi solo se parzialmente nazionalizzata - quindi i suoi giudizi potrebbero essere, diciamo così, un po' orientate ed eterodiretti da uno Stato che, come già detto, si prepara ad emissioni record per il 2010 - e la politica monetaria della Bce non appare sufficientemente strutturata per garantire un flusso sia costante che pienamente votato a una politica che cerchi di salvare tutti o quantomeno evitare sacrifici statali per salvare i figli e non i figliastri.

La lezione di interventismo della politica Usa e della Fed dovrebbe insegnarci qualcosa. Purtroppo, non lo farà.


Capitalismo, big crisi e piccola sinistra
di Joseph Halevi - www.ilmanifesto.it - 2 Gennaio 2010

In Italia la sinistra ufficiale ed i suoi frammenti a sinistra non hanno alcuna visione sistematica della crisi. Per ovvi motivi di compartecipazione al potere, quella ufficiale parla solo di regole, spesso credendo nel mercato - senza peraltro averne una teoria appropriata - molto di più della destra, come con originalità ha sottolineato Riccardo Bellofiore. Le sinistrate frange pur pensando che la crisi sia di sistema, hanno il cervello altrove, concentrato sulla mera sopravvivenza politica.

Il 2009 è stato l'anno del travaglio della crisi che continuerà anche nel 2010, basti pensare a tutte le imprese che nel mondo occidentale - dalla Finlandia alla Grecia ed al Portogallo, dall'Italia agli Stati uniti e travalicando l'Oceano Pacifico fino al Giappone - sono in fase di ristrutturazione o di chiusura definitiva, generando comunque disoccupazione e sottoccupazione.

Il 2009 è stato però anche l'anno in cui si è evitata la caduta in una nuova Grande Depressione, sebbene nel primo trimestre tutto andasse verso una vera e propria catastrofe economica.

Lo scorso giugno Barry Eichengreen dell'università di Berkeley in California aveva prodotto dei grafici, pubblicati anche su quotidiani europei, ove si mostrava che, per un periodo di tempo comparabile, l'ampiezza del crollo della produzione in Usa, Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna e Giappone superava l'implosione del 1929-30.

La catastrofe è stata evitata perchè c'è stato ciò che nel linguaggio corrente americano si chiama Big Government (governo di grande spesa) affiancato da una Big (grande) Bank (la Federal Reserve).

Ambedue hanno speso a più non posso seguiti dai paesi europei e dal Giappone. Infine la crescita cinese ha fatto risalire i prezzi delle materie prime ed i connessi mercati finanziari. La continuazione della crisi nel 2010 deve essere studiata a partire da questi fatti.

L'evidenza mostra che i meccanismi che hanno causato lo sfracello finanziario sono in piedi in forma accentuata. Nessun effetto a catena avrebbe potuto spiegare l'entità delle perdite se queste fossero state originate solo dal mercato del subprime.

La dimensione del collasso fu dovuto alla trasformazione di quel mercato nella punta dell'iceberg che caratterizza l'insieme del cosidetto «money manager capitalism» (il capitalismo dei manager dei fondi di investimento/pensione ecc, il termine è di Hyman Minsky).

L'essenza di questo tipo di capitalismo si coglie perfettamente guardando alle regole contabili che lo guidano, osservando che sono ancora operanti, solo vengono sospese di tanto in tanto secondo i vari casi. Le regole di contabilità finanziara fanno emergere i profitti delle banche e la stima del valore capitale delle stesse imprese produttive, da valori fittizi.

Ciò avviene contabilizzando oggi le entrate future, non quelle già dovute, ma quelle ancora lontane nel tempo la cui esistenza è puramente ipotetica. Il pagamento dei bonus, dei dividendi si effettuava e - con la ripresa di Wall Street e compagnia - si effettua tuttora, facendo i conti senza l'oste. E' evidente che un sistema simile non può che portare ad un indebitamento endemico che in gergo si chiama leverage.

Il biennio 2007-2008 ha messo il money manager capitalism in crisi ma le politiche economiche perseguite dal secondo trimestre del 2009 sono state dirette a rimetterne in piedi i perversi meccanismi. Escludo che l'azione delle autorità riesca a guarire il male profondo del money manager capitalism, può però mantenerlo in vita come in effetti sta accadendo sotto i nostri occhi.

Il meltdown bancario è stato evitato ma non è stato ridotto il rischio chiamato sistemico e ciò è connaturato al ruolo ormai subordinato assegnato all'investimento reale e quindi all'occupazione.

Le regole finanziarie riflettono molto bene l'economia politica del capitalismo emerso negli anni Ottanta negli Usa in conseguenza della stagnazione economica e del disorientamento degli anni Settanta. Fu un'operazione istituzionalmente diretta a privilegiare rendimenti finanziari e le valutazioni borsistiche.

Negli anni Novanta Washington trasferì tale preferenza sul piano internazionale. Gli Usa vollero ed ottennero che la valutazione delle imprese e delle attività riflettessero le condizioni di mercato così come emergevavano dagli andamenti borsistici.

Nel 2005 le regole afferenti alla finanza furono codificate nell'International Accounting Standards in cui nel trattamento del debito veniva omesso il costo dei prestiti ed il rischio di non pagamento, cioè il maggior fattore di rischio per le banche.

In questo modo venivano automaticamente inflazionati i profitti virtuali delle medesime incentivando la corsa al disastro.

Keynes osservò che la borsa svaluta e rivaluta molti tipi di investimento ogni istante. Quindi, aggiunse, farvi dipendere l'investimento è come se «un agricoltore avendo controllato il barometro a colazione, decidesse di rimuovere il capitale della sua fattoria tra le 10 e le 11 del mattino e valutare se reimmetterlo o meno più tardi o una settimana dopo» (Keynes, mia traduzione).

Proprio così sono andate le cose e l'investimento effettivo e quindi l'occupazione reale, non la mezza occupazione di semi disoccupati, ed il salario sono stati i principali perdenti.

Oggi per poter continuare come prima l'intera impalcatura economica abbisogna di ininterrotte erogazioni di soldi. Infatti il programma di salvataggio Tarp, varato dal segretario al Tesoro di Bush Hank Paulson, è stato prorogato per 2010 ed analogamente è successo in Gran Bretagna.

Si deve inoltre aggiungere che, avendo la crisi svuotato il credito alle famiglie, è scomparsa l'impulsione alla domanda di beni di consumo proveniente dal loro crescente indebitamento. L'investimento è pertanto destinato ad indebolirsi ulteriormente rispetto a considerazioni di ordine finanziario.

Non è possible ipotizzare la messa in cantiere di politiche keynesiane volte alla piena occupazione.

Semplicemente non vi sono le condizioni di classe e quindi economiche. Non ne esistono le condizioni internazionali che invece si caratterizzano per il permanere degli squilibri nelle bilance commerciali e dei pagamenti (Cina-Usa, Cina-resto del mondo e Germania-Europa) senza adeguati processi compensatori.

Pertanto la messa in cantiere di suddette politiche richiederebbe un complesso di strumenti ed istituzioni anche internazionali oggi inesistenti e molto simili a strutture di pianificazione soprattutto se vengono inserite considerazioni di ordine ambientale. Chimere, la realtà è quella della disoccupazione e dell'assenza di lotte dure.