martedì 26 gennaio 2010

Primarie del Pd in Puglia: vince Vendola, perde il Pd

Una serie di articoli sulle elezioni primarie svoltesi in Puglia domenica scorsa e stravinte dal presidente della regione Nichi Vendola che ha battuto per la seconda volta Francesco Boccia, dopo l'altra vittoria ottenuta nelle primarie del 2005.

Primarie organizzate dal Pd in cui però il Pd ha clamorosamente perso, dando l'ennesima dimostrazione di essere un partito completamente allo sbando, senza un vero leader e senza una dirigenza capaci di capire gli umori dei militanti e sostenitori del partito che sono invece accorsi in massa a votare per Vendola.

Avranno capito la lezione stavolta? Mah....


L'esplosione del laboratorio
di Massimo Franco - Il Corriere della Sera - 25 Gennaio 2010

È la nemesi di chi vede le primarie come la «vera» e unica fonte di legittimazione dei vertici del Pd; e insieme l’esplosione del «laboratorio pugliese» messo su da Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani per lanciare l’alleanza con l’Udc.

In apparenza è tutto facile, perché ci sono vincitori e vinti. Ma nell’analisi di quanto è accaduto ieri, fattori locali e nazionali si mescolano. Così, si può affermare che la vittoria netta del governatore uscente Nichi Vendola riapre i giochi congressuali; e che hanno prevalso le nomenklature locali sui diktat nazionali del segretario Bersani, affiancato e quasi sovrastato da D’Alema.

Ma forse l’aspetto più eclatante delle elezioni primarie è che si siano svolte, abbiano mobilitato quasi 200 mila persone, e siano state vinte contro la volontà e le indicazioni dei vertici del Pd. Significa che continuano ad esistere non uno, ma due partiti.

Quello ufficiale si è imposto nel congresso d’autunno. Ha una vocazione governativa e vede nell’Udc l’interlocutore naturale della propria strategia alternativa a Silvio Berlusconi: un progetto prima che di sfondamento al centro, di smantellamento progressivo del bipolarismo in sintonia con Pier Ferdinando Casini.

Anche per questo maneggia con diffidenza lo strumento delle primarie: lo considera congeniale ad un rafforzamento del bipolarismo, non al sistema che Bersani e D’Alema pensano di fare emergere dalla trattativa fra gruppi dirigenti. Questo Pd emerge dalla prova di ieri come il grande sconfitto. E non soltanto perché Vendola vuol dire il naufragio del matrimonio di interesse con l’Udc.

Il problema è che la segreteria nazionale, e soprattutto D’Alema, avevano innalzato la Puglia al rango di laboratorio delle strategie future. Doveva diventare la vetrina di un centro-sinistra plasmato da Roma secondo i canoni di una liquidazione progressiva dell’identità abbozzata negli ultimi due anni. L’operazione subisce un altolà che ha del clamoroso.

Dopo avere riproposto il bis del primo scontro nelle primarie, avvenuto nel gennaio del 2005 proprio fra Vendola e Francesco Boccia, con la vittoria anche allora di Vendola, la Puglia riconsegna lo stesso risultato. Con un paradosso in più.

Il governatore ha issato la bandiera dell’identità storica del Pd, lasciata cadere con miopia dai suoi custodi. Ed ha vinto a dispetto della guerra spietata che i presunti maggiorenti gli hanno fatto; e nonostante gli scandali politici che sporcano la Puglia.

Ritenere però che questo segni la rivincita postuma dell’Unione prodiana sarebbe fuorviante. Più che la nostalgia di un progetto bocciato dagli elettori alle politiche del 2008, si assiste alla difficoltà di riempire quel vuoto.

Quanto è accaduto sembra rivelare un’incomprensione radicata, di più, un rifiuto per operazioni a tavolino che l’elettorato non è disposto ad avallare. E’ vero che rappresenta un concetto ambiguo e oggi incontrollabile, nel limbo dopo il tramonto dei governi di Romano Prodi e della segreteria di Walter Veltroni.

Ma è altrettanto evidente che non esistono più neppure quelle macchine oliate dell’ex Pci in grado di mobilitare e orientare i consensi. L’illusione di sostituire il «partito liquido» con le solide radici degli apparati locali è andata a sbattere contro una realtà più sfibrata e insieme arrabbiata.

La sinistra non ha identità di riserva. E le primarie rimangono una fonte di legittimazione discutibile eppure condivisa: più forte di qualunque scomunica più o meno larvata.


Laboratorio pugliese

di Pino Cabras - Megachip - 25 Gennaio 2010

Le primarie del centrosinistra pugliese si presentano come il trionfo personale di Nichi Vendola e lo sfogo di un popolo compresso che non trova altre sedi in cui partecipare, nel momento in cui gran parte della politica istituzionale è inabitabile.

Il voto dei 200mila suona anche come una pesantissima sconfitta del PD, che si dimostra strutturalmente incapace di sintonizzarsi con le scelte in materia di governo e opposizione di questo popolo.

Il laboratorio pugliese è dunque il laboratorio di una crisi di classi dirigenti che avrà importanti ripercussioni nei mesi a venire.


Quando il capo non sa vedere

di Adriano Sofri - La Repubblica - 26 Gennaio 2010

Primo: non infierire. Ma come si fa? Mettiamola così: ci sono due buone notizie. In Puglia si sono svolte le primarie con un'adesione sentita, e finalmente abbiamo il candidato. A Bologna il sindaco si è dimesso, che è proprio la cosa che andava fatta. Tutto bene, dunque. E ora facciamo due chiacchiere.

Bersani ha ribadito lealmente il sostegno del Pd a Vendola, caldo di una così larga investitura. E ricapitolando - mi viene sempre questo verbo, mannaggia - le ragioni dell'impegno per Boccia, ha ribadito il proposito di guadagnare adesioni fuori dai confini della sinistra, dentro i quali invece è destinata a restare la candidatura di Vendola.

Una prima obiezione possibile riguarda la riduzione della ricerca di consensi cosiddetti moderati all'alleanza con l'Udc. Tanto più quando non ci si misuri con tempi tagliati e fronti uniti, come sarebbe stato se Berlusconi avesse imposto elezioni politiche anticipate.

L'obiezione maggiore è un'altra: e cioè che i dirigenti del Pd commettono un serio peccato di appropriazione indebita quando parlano del "proprio" elettorato, dei "proprii" suffragi già acquisiti e bisognosi di allargamento.

Non mi riferisco tanto agli elettori che si sono presi da tempo una libera uscita dalle fedeltà di schieramento. Mi riferisco piuttosto alle persone, ancora tantissime, che si sentono tuttavia fedeli a un ideale, o almeno a un'idea, di sinistra e di democrazia, e stentano a riconoscerla nel Pd.

Persone che dirottano il loro voto sulla costellazione di partiti e movimenti che affettano un'intransigenza eroica, o lo conservano al pulviscolo di etichette che furono già della sinistra malamente detta "radicale" e diventata extraparlamentare, dai verdi ai comunisti, o, più consistentemente, decidono che non voteranno più, con uno spirito amaro o punitivo.

Si faccia un conto, come suggeriscono i politici "esperti", e ne risulterà una somma di voti superiore a quella promessa dall'alleanza con l'Udc. Il saldo diventa più allarmante se si consideri la disaffezione crescente dentro la base che si definì un po' rozzamente "lo zoccolo duro" (formula non così distante da quella borsistica del "parco buoi", e non per caso).

Ogni volta che i dirigenti del Pd fanno appello alla necessità di andare oltre i "propri" elettori, stanno ingannando se stessi. Frughino bene: hanno le tasche bucate. Ognuno dei voti che presumono "loro" va riguadagnato. E non al prezzo di un sovrappiù di irresponsabilità, di rinuncia all'intenzione di governare, di demagogia: al contrario.

Abbiamo intravisto sugli schermi le lunghe file di cittadini pugliesi alle primarie, e anche la folla entusiasta a festeggiarne il risultato. È improbabile che quei cittadini siano ostili per principio alle alleanze e ai ragionati compromessi: però non si rassegnano alle primarie negate per non dispiacere a Casini.

Chissà quanti di quei cittadini che si sobbarcano all'impegno di una domenica d'inverno per scegliere un candidato avrebbero deciso di non andare a votare nelle elezioni "vere" se il candidato fosse stato imposto d'autorità.

I dirigenti del Pd non lo vedono? Vivono altrove, e di che cosa? Massimo D'Alema ebbe un'uscita magistrale, qualche giorno fa, quando all'improvviso dichiarò, delle cose di Puglia, di non capirci niente. È un buon punto di partenza.

Le primarie per la segreteria del Pd furono in fondo, per chi non fosse legato stretto alle cordate concorrenti, un apprezzabile modo per restituire autorevolezza alla leadership di un partito che l'aveva perduta, chiunque vincesse fra candidati senz'altro rispettabili. Questa ennesima intenzione responsabile portò un numero ingente di persone a votare, e non la passione per i rivali in gara.

Ancora una volta, come ora in Puglia, le persone che vogliono bene all'Italia e alla democrazia e a un ideale, o almeno un'idea, di sinistra, si mostrarono disinteressate e lungimiranti, e disposte a dare una spinta - fisicamente, come si fa con una macchina che è restata col motore spento in salita - a chi aspirava a rappresentarle.

Il piccolo gruzzolo in più di consensi che si registrò subito dopo (già dilapidato) non andava tanto alla corrente che era stata più votata, ma alla speranza che una leadership fosse stata investita, e facesse il suo mestiere.

Quanto al merito, proprio dalla corrente di Bersani e di D'Alema ci si aspettava caso mai che fosse la più determinata e capace di recuperare l'adesione di quella larga diaspora perduta fra antipolitica, risentimento, giustizialismo e caudillismo - o pura stanchezza. Tutto precipitato nello strettissimo imbuto dell'Udc serva di due padroni, o padrona di due servi.

Ma bisogna pur limitare i danni della perdita di regioni che ci appartenevano - diranno i dirigenti esperti. (Dai quali ci si aspetta che prima o poi mettano all'ordine del giorno la questione sempre più spaventosa della sistemazione personale di chi "fa politica", e della sua influenza soverchiante sulla politica da fare). Ammesso che sia il punto, e non è mai bello far politica con l'acqua alla gola, o più su, il risultato è lontanissimo dal confermarne il realismo.

Se non si perderà la Puglia, sarà grazie all'insipienza della destra, che a sua volta non scherza, ma non gliene importa granché, le piace così, e grazie alla ribellione degli elettori delle primarie a una politica di partito in cui l'ottusità ha fatto a gara con la prepotenza. D'Alema, che non si tira indietro dalle proprie responsabilità, farebbe però male oggi ad ammettere semplicemente una sconfitta.

Le sconfitte prevedono una misura: qui non c'è stata partita. Qui, semplicemente, uno dei contendenti "non ci aveva capito niente". E se invece ci aveva capito, e ci si è infilato lo stesso, occorre rivolgersi ai professionisti, ma della psicoanalisi o della vita monastica.

Se non si perderà il Lazio, sarà grazie alla speranza suscitata da una candidata come Emma Bonino che, qualunque opinione si abbia delle sue singole opinioni, non appartiene a quel modo di praticare la politica.

Parliamo di candidati a presiedere regioni, Bonino e Vendola, che starebbero comunque al proprio posto in un Partito Democratico come quello che si era immaginato, e per il quale ancora a distanza di anni e di disinganni la gente si mette in fila d'inverno, a rimetterlo in carreggiata e dare una spinta.


Vendola: con me torna a vivere una sinistra che sa emozionare

di Curzio Maltese - La Repubblica - 26 Gennaio 2010

Il giorno dopo, il giorno del trionfo a reti quasi unificate, dai salotti di Bruno Vespa e Gad Lerner, la celebrazione più inattesa è arrivata al compagno Nichi da un vecchio nemico, l'ex fascistone Salvatore Tatarella, l'uomo più popolare della destra pugliese, fratello del mitico Pinuccio. All'aeroporto di Bari, dove Vendola è in partenza per Milano, Tatarella gli viene incontro: "Omaggi a sua eccellenza!". "Sua eccellenza sarà lei..." sorride Nichi. "Quant'è bravo 'sto ragazzo, che spinge i suoi avversari al suicidio" aggiunge Tatarella.

E rivolto al cronista: "Ha vinto ieri e vincerà a marzo. Lo sa lui, lo so io, lo sapete pure voi". Poi s'accendono le telecamere e parte la dichiarazione ufficiale: "Rocco Palese è il miglior candidato possibile per smascherare i cinque anni d'inganno". Un vero Tatarella. Ma tutti sanno, Vendola, Tatarella che il vento ormai tira a favore del ciclone Nichi.

E' diventato di colpo un principe fortunato, Nichi Vendola. Una fortuna bipartisan. D'Alema l'ha trasformato in eroe, Berlusconi gli sceglie l'antagonista di minor carisma, Rocco Palese, ombra dell'oscuro Fitto. E perfino Casini gli regala la candidatura di Adriana Poli Bortone. E dire che Vendola ha sempre considerato un limite l'appartenenza a una generazione "sfigata" di neo cinquantenni, quelli che non avevano fatto il '68 e ora sono troppo vecchi per il famoso ricambio.

E' del '58. Famiglia della piccola borghesia, classe destinata all'estinzione secondo il piccolo borghese Marx, "eterna" invece per Hans Magnus Enzensberger. "Padre partito fascista per la guerra e tornato comunista come tanti". L'hanno chiamato Nicola in onore al patrono di Bari e di tutte le Russie, ma Nichi per via di Nikita Kruscev, il profeta della destalinizzazione. "E tu hai dedalemizzato la Puglia!" gli hanno detto la notte della festa. Pronta replica: "Calmi, guagliò. Non è proprio il momento d'infierire".

Non ha infierito, infatti. Da quando è arrivato il pazzesco risultato del feudo di D'Alema, Gallipoli città (85 Vendola, 15 Boccia), lo sforzo del governatore è stato di ricucire. Con perle di diplomazia: "Ringrazio D'Alema d'aver indicato la soluzione democratica delle primarie". Roba da ridere per chi ha assistito alle telefonate furibonde ai delegati democratici per evitare le primarie "a tutti i costi", agli sms secchi a Michele Emiliano ("Ora è tutto nelle tue mani"), agli avvertimenti di Nicola Latorre agli aspiranti candidati.

Ma nel ciclone Vendola sarebbe sbagliato ridurre tutto al duello rusticano con D'Alema. La Puglia, con queste primarie, è diventato un vero laboratorio nazionale. "Non di nuove alleanze, ma di un modo nuovo di fare politica a sinistra".

Non è una vanteria. Si sono viste cose davvero nuove attorno al fenomeno Vendola. Nessuno in Italia aveva mai usato così il web, l'invenzione fortunata della "videolettera". "Abbiamo pensato che la piazza virtuale di Internet e quella reale non fossero pianeti diversi, ma evocative l'una dell'altra. E ha funzionato nel riportare alla partecipazione soprattutto i giovani".

Scuola Obama, insomma. Ci si dava appuntamento in piazza via Internet. Lo chiamano il "Berlusconi rosso". "E io non mi offendo, perché sulla capacità di comunicare dal Cavaliere qualche lezione a sinistra la potremmo prendere. Ma certo sui contenuti, non c'è messaggio più lontano del nostro dal populismo della destra. Sull'immigrazione, l'ambiente, la conservazione dei beni comuni come l'acqua, la difesa dei lavoratori. La questione è che la sinistra deve riuscire a tradurre tutto questo in senso comune, attraverso anche le emozioni, perché no. E' rimasta a metà del guado fra la difesa d'ufficio, con toni vagamente sociologici, di un'identità sempre più genericamente progressista, oppure la suicida rincorsa alla destra sui temi della sicurezza".

Ecco un altro che vuole incarnare "la terza via", si dirà. "Ma una terza via fra la casta e il populismo bisognerà pur trovarla. Qui in Puglia nessuno ha identificato me con la nomenclatura di sinistra, anche dopo cinque anni di governo. Mentre, tanto più dopo lo spettacolo delle primarie, confrontato con i vertici romani per designare lo sfidante, è il centrodestra ad apparire come una banda di politicanti. Ci sarà un motivo".

"Dicono che io ho personalizzato la campagna fra me e D'Alema - continua il governatore - . Ma si tratterebbe sinceramente una misera vittoria. La questione è stata fra modi diversi di far politica a sinistra. Quello che ha prevalso in questi anni, incarnato non solo da Massimo, lo possiamo definire il fascino stringente della realpolitik. Che è stato la cifra dominante della nostra ultima esperienza di governo con Prodi, fallita non per Mastella o questo o quello, ma perché gli italiani si sono ribellati alla casta. E la destra è stata bravissima a far passare il messaggio che la casta era il centrosinistra. Io credo invece che si possa criticare il populismo dalla parte del popolo, riuscendo a evocare un senso comune alternativo a quello di Berlusconi. Ed è possibile su tutti gli argomenti dove oggi la sinistra perde".

L'immigrazione, per esempio, o la giustizia? "Ma si pensa che gli operai del Nord, negli anni '50 e '60, fossero contenti di veder arrivare milioni di meridionali? Eppure il sindacato, la sinistra hanno saputo lavorare al senso comune, comunicare l'importanza dell'accoglienza. Lo stesso vale per la giustizia. Io non sono giustizialista, ma neppure reclamo l'impunità se parte un avviso di garanzia. Mi rivolgo agli elettori, come ho fatto con la videolettera, con chiarezza e nulla da nascondere"

Alla fine la Puglia rimane laboratorio nazionale. Anche delle ambizioni di Vendola? "Questo si vedrà. Da oggi sono soltanto uno che deve vincere le elezioni di marzo, altrimenti, diciamo qui, sò mazzate. La vicenda pugliese è stata un'epifania, una storia che ne ha chiarite in maniera direi plastica tante altre precedenti. Spetta ai dirigenti del centrosinistra trarne le conseguenze".


Vendola, la politica nel tempo di Obama

di Luca Telese - Il Fatto Quotidiano - 25 Gennaio 2010

Adesso, il giorno dopo la vittoria di Nichi Vendola, sembra che tutti lo avessero previsto, tranne che Massimo D'Alema e Pierluigi Bersani.

Se è vero che il segretario e la sua "balia" (Nichi dixit) hanno dimostrato di aver capito poco o nulla, non è esattamente così (anche senza contare la politica, nessun giornale, tranne il nostro aveva dato una indicazione su Vendola).

In realtà il successo del vendolismo parte da più lontano, e si spiega solo se si considerano tre fattori.

Il primo: il carisma particolarissimo e raro del governatore della Puglia (che D'Alema ribattezzava in modo sprezzante "Jacopo Ortis", e che invece ha dimostrato di essere amato).

Secondo: l'accecamento di tutti gli oligarchi del centrosinistra (non vanno dimenticati i "dodici" partiti che si erano già iscritti a sostenere Francesco Boccia).

Terzo: le primarie hanno dimostrato ancora una volta tutto il loro potenziale "eversivo" quando si svolgono in condizioni chiare, senza risultati preconfezionati.

Sul "fattore V." (come Vendola) abbiamo già scritto in questi giorni su il Fatto, ma occorre dire qualcosa di più. A partire dall'affermazione di Obama contro la potenza di fuoco dell'apparato della famiglia Clinton, si è simbolicamente ribaltato uno dei luoghi comuni della politica di fine novecento.

Ovvero: che le macchine organizzative cancellano sempre le individualità, che la potenza economico burocratica degli apparati sia invincibile. Obama ha dimostrato che nel tempo moderno, l'uso intelligente dei nuovi media, a partire dalla rete, permettono di ribaltare il gap tecnologico, esattamente come a fine ottocento i moderni partiti di massa mandarono in soffitta il vecchio liberalismo giolittiano.

L'esperienza della "Fabbrica di Nichi", con i suoi giovani internauti entusiasti (e solo 30mila euro di budget per mobilitare 200mila persone!) mette un paletto anche in Italia.
Boccia aveva a disposizione tutte le armi tradizionali: i sei per tre in tutta la Puglia, il consenso di tutti i dirigenti locali, soldi e strutture di partito, un grandissimo comitato (vuoto), i suoi assistenti parlamentari (è deputato), e non è riuscito a raggiungere nemmeno il 30%.

Perché? La prima risposta è ancora quella di Obama. E' finito il tempo dei candidati che tendono al leggendario centro, al moderatismo, ai colori pastello (e in definitiva al nulla).
Nel terzo millennio e nel tempo di internet, vincono le storie, o – come direbbe Vendola - "le narrazioni".

La storia di Vendola, figlio della Puglia, omosessuale, diverso, comunista, nato come dice lui "con le pezze al culo" e asceso alla leadership, è una storia in cui si può riconoscere anche una parte di elettorato di centrodestra, una storia che abbatte le ideologie malgrado la radicalità che esprime.

Il secondo aspetto è la coerenza: Vendola non è nato estremista per finire moderato, non ha contratto la malattia fatale di tanti post-comunisti italiani. Si candidò la prima volta con il suo orecchino, e la sua campagna choc ("Sovversivo") ed è tornato da governatore proponendo la stessa radicalità: "Solo con(tro) tutti" (come recita un'altra geniale campagna della stessa agenzia, i creativi della Pro-forma).

Uno slogan così azzeccato che è finito su tutti i giornali e sulle bocche di tutti malgrado non ci fossero i soldi per comprare manifesti. La narrazione di un leader non tollera il lifting, ma ha bisogno vitale della coerenza.

Infine Vendola ha un naturale intuito per i simboli: i fuorisede che hanno fatto i master pagati dalla regione ("Bollenti spiriti") che tornano con gli autobus non sono mille voti cammellati dai capibastone, ma contano molto di più perché diventano una iniezione di entusiasmo che mobilità e appassiona, un altro capitolo del romanzo.

E' per questo che le video-lettere di Vendola su Internet facevano più clamore dei comizi del segretario del Pd a favore di Boccia. Quanto a D'Alema (e al suo Bersani). Fino a ieri i giornali gli lasciavano passare frasi deliranti come: "Non ho mai perso una elezione".

In realtà si fatica ricordare quand'è l'ultima volta che abbia vinto. Sconfitto come premier, sconfitto come bicameralista, battuto come candidato al Quirinale e alla presidenza della camera.

I 200 voti pugliesi hanno dimostrato che l'unica cosa virtuale era lui, esattamente come i 500 mila del No-B-day hanno dimostrato che era virtuale il boicottaggio del Pd e reale la mobilitazione della gente.

D'Alema ha provato fino all'ultimo a far vincere Boccia confidando nel potere salvifico del suo carisma: ha portato il povero Bersani sul baratro imponendogli le sue scelte (che oggi si rivelano suicide).

Siccome la rovina a cui il Pd sembra destinato se continua su questa strada non servirebbe a nessuno, sarebbe bello se questi leader potessero rinsavire.

Solo in una cosa sono coerenti: temono le primarie come la peste, perché sono il grimaldello che può scardinare le loro scelte di apparato.

Ecco perché la Puglia non è una bella storia locale o un episodio isolato, ma uno dei grandi terremoti – insieme alla manifestazione del popolo viola – che può far risorgere il centrosinistra soffocato dalla burocrazja. A patto che i suoi generali cambino. O che vengano cambiati i generali.


Vince Vendola. La sinistra ha un nuovo leader

di Angela Azzaro - www.mirorenzaglia.org - 25 Gennaio 2010

Una vittoria schiacciante, quella di Nichi Vendola alle primarie del centrosinistra in Puglia. Oltre il 70 per cento dei cittadini e delle cittadine è andato a votare e ha scritto senza tentennamenti il suo nome.

Candidato contro Francesco Boccia, il governatore uscente ne ha dovuto passare davvero di tutti colori a causa della guerra, condotta senza mezzi termini, da quella parte del Pd che ha voluto seguire il canto, ormai discendente, di Massimo D’Alema.

E’ evidente che oggi il vero sconfitto è lui, il baffetto d’oro della sinistra che sull’altare dell’accordo con l’Udc era disposto a giocare il nome di un buon amministratore e di un ancora migliore politico. Ha sbagliato su tutti i fronti. E oggi, all’indomani, dell’esito delle primarie si becca pure lo schiaffo dell’Udc che candida in solitario Adriana Poli Bortone.

Ma quali erano le due opzioni in campo? E qual è quella che ha vinto con il voto al leader di Sinistra ecologia e libertà? Prima di tutto un chiarimento di non poco conto. In queste ore abbiamo sentito ripetere da Boccia, come un autonoma, che le due opzioni si differenziavamo sul discorso dalle alleanze.

E, alla direzione Pd, lo ha ripetuto anche Bersani. Secondo il segretario fantasma la loro proposta si fonda sull’allargamento del centrosinistra, unica possibilità di battere la destra. Mentre, sempre secondo Bersani, la proposta di Vendola taglierebbe la gambe a questa possibilità condannando la sinistra a essere residuale. Menzogna.

Vendola non ha mai chiuso all’Udc e non ha mai detto che non c’era spazio, anche a livello nazionale, per un allargamento delle alleanze. E’ accaduto il contrario: è stato Pierfurby Casini a chiudere, ponendo il veto sul governatore senza mai spiegare il vero motivo (che secondo alcuni è tutt’altro che nobile e men che mai politico).

Allora qual era, ed è, la vera differenza tra Vendola e il Pd?

Vendola ha espresso un punto di vista che ha una base popolare. Non ha fatto giochetti, ma ha posto al centro le cose fatte e quelle da fare. Ha posto al centro i contenuti: giovani, territorio, cultura. Lavoro e libertà. Dall’altra invece i contenuti non venivano mai nominati. Il problema erano le alleanze, le percentuali, gli intrighi di palazzo.

E’ questo il punto. Ed è a quel tipo di politica politicante che il popolo della Puglia ha detto di no. Un no netto, su cui non si può tornare indietro. La politica non è il Palazzo. Sono i grandi temi, ma è anche passione, partecipazione, coinvolgimento.

Vendola è un politico che parla un altro linguaggio. Il linguaggio del fare, ma anche della speranza. Fa cioè quello che la sinistra aveva dismesso: muove la dimensione materiale, ma anche dell’immaginario e del simbolico.

Non è un caso che il governatore della Puglia sia un grande studioso e amante di Antonio Gramsci: colui che non aveva niente a che fare con tentazioni staliniste, ma anche l’intellettuale che parlava di connessione sentimentale con il popolo. Senza quella connessione non si va da nessuna parte.

Berlusconi, con contenuti opposti, lo ha capito a suo modo. E su questa intuizione è andato avanti come un treno, costruendo consenso. La sinistra, dopo tanti anni di smarrimento in cui ha creduto che l’unico modo per vincere fosse quello di parlare male di Berlusconi, ritrova un leader in grado di fare opposizione alle politiche del Pdl, ma con proposte, programmi. Sogni. Sogni che nel caso della Puglia si sono in parte realizzati.

E’ evidente che l’esito delle primarie avrà una ricaduta anche sugli assetti nazionali della sinistra. Due sono gli obiettivi immediati: capire se veramente, come annunciato da Bersani e dallo stesso D’Alema, il Pd sosterrà davvero Vendola alle elezioni.

Non è tanto importante per la vittoria (Vendola, a questo punto, ha ottime possibilità di farcela comunque), ma per capire su quali alleanze si possa davvero puntare anche nel futuro; aprire una discussione sui contenuti.

E’ cioè arrivato il momento che sull’altare delle alleanze con i centristi non vengano sacrificati i temi cari alla sinistra. I temi cioè che fanno la differenza e che gli uomini e le donne della sinistra rivendicano, inascoltati, da tempo.

E’ quindi finita l’epoca dei D’Alema e dei Casini, di quei politici che pensano agli elettori con disprezzo? La vittoria di Vendola non lascia scampo: e anche se loro si sapranno riciclare (baffetto ha mille vite), il segnale questa volta è inequivocabile.


Dramma dell'infanzia: bocciato alle primarie deve tornare all'asilo
di Alessandro Robecchi - www.alessandrorobecchi.it - 25 Gennaio 2010

Un caso piuttosto clamoroso sta scuotendo la Puglia. Un bambino delle scuole primarie di Gallipoli, Massimo D’A. è stato bocciato con verdetto secco e inappellabile e dovrà ora tornare all’asilo. Il caso di bocciatura alle primarie è piuttosto raro e si fatica a trovare dei precedenti. Secondo la famiglia si tratta di un’ingiustizia:

il piccolo Massimo è sempre stato il più intelligente di tutta la classe e non si capisce come possa essere stato bocciato addirittura prima della fine dell’anno scolastico.

Dal canto suo, il preside della scuola elementare di Gallipoli ribadisce la correttezza dell’operato delle maestre: "E’ vero che si diceva che il piccolo Massimo era molto intelligente, ma va detto che lo diceva soprattutto lui, e questo è un po’ anomalo".

In più, ha aggiunto il preside, "le primarie non devono guardare soltanto alla bravura, ma anche ad altre doti e qualità. Il piccolo Massimo si è rivelato in questi ultimi mesi piuttosto arrogante, e questo ha avuto certo un suo peso nel giudizio".

Le maestre del piccolo sono d’accordo: "Dal punto di vista educativo - dicono - non è bene per un bambino delle primarie essere così sicuro di sé, considerarsi infallibile e più furbo di tutti gli altri".

Ma dietro la sonora bocciatura spunta anche un piccolo giallo: infatti agli esami il piccolo Massimo D’A, non si sarebbe presentato di persona, ma avrebbe mandato avanti un altro bambino, un certo Francesco B., su cui avrebbe un notevole ascendente.

Francesco B. era già stato bocciato alle primarie in Puglia cinque anni fa, e sarebbe stato convinto a riprovarci proprio da Massimo D’A, con la promessa, una volta promosso, di diventare amico dell’Udc.

Alla fine, il risultato è stato a dir poco disastroso. Ora, l’asilo di Gallipoli aspetta il ritorno di Massimo, con qualche preoccupazione dei genitori che hanno costituito un comitato: "Va bene, sarà anche intelligentissimo, ma per favore non mandatelo qui".



Nella foto, il piccolo Massimo D’A, fotografato alle primarie di Gallipoli il primo giorno di scuola.