domenica 10 gennaio 2010

Rosarno: il razzismo alla n'duja...

Qui di seguito qualche articolo sulle tristi e penose vicende di Rosarno.

E' stato intanto completato nella notte il trasferimento dei migranti da Rosarno ai centri di prima accoglienza di Bari e Crotone, in totale sono andate via 1.125 persone. Mentre circa altri 200 migranti se ne sono andati con i propri mezzi.

Ma anche ieri mattina ci sono stati due agguati. Nel primo un migrante regolare del Burkina Faso è stato colpito con una fucilata caricata a pallini, nel secondo gli assalitori hanno bloccato un auto con tre stranieri a bordo; due sono riusciti a fuggire, il terzo è stato preso a sassate.

E' andata invece un po' meglio a dieci migranti del Ghana, ma solo perché sono riusciti a dare l'allarme: nel cortile del loro casolare si sono presentati alcuni cittadini di Rosarno, con spranghe e taniche di benzina, che hanno dato fuoco alla struttura. I dieci sono riusciti a fuggire e a chiamare la polizia che li ha portati poi all'ex Opera Sila da dove sono partiti con i pullman assieme agli altri.

Complessivamente, nei tre giorni di fuoco i feriti sono stati una cinquantina: 21 migranti - otto dei quali ancora in ospedale ma nessuno fortunatamente in pericolo di vita -, 14 italiani che si sono fatti solo medicare, 10 agenti di polizia e 8 carabinieri.

Per le rivolte e le violenze delle ultime 48 ore sono stati convalidati gli arresti di cinque dei sette migranti fermati. Mentre per i tre italiani bloccati - due per violenza e resistenza a pubblico ufficiale e uno per aver sparato a un immigrato - il gip del Tribunale di Palmi si pronuncerà domani.

Uno dei tre sarebbe figlio di uno degli elementi di spicco della cosca Bellocco che, assieme ai Pesce, si spartisce il territorio di Rosarno.

E oggi inoltre il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, Alberto Cisterna, in un'intervista al quotidiano Avvenire ha detto che "A sparare agli immigrati sono stati sicuramente uomini della 'Ndrangheta, per far vedere che sono loro a controllare il territorio. Quando la gente si e' sentita aggredita si e' rivolta ai mafiosi che sono stati costretti ad intervenire perche' non possono perdere la faccia".
Insomma un perfetto connubio popolazione - 'ndrangheta, esempio tipico di civiltà italiota...

E' proprio un gran bell'inizio di 2010 per il cosiddetto Belpaese....


Rosarno, caccia al nero. Giornalisti minacciati
di Gianluca Ursini - Peacereporter - 8 Gennaio 2010

E' caccia al nero per le strade di Rosarno. La polizia deve difendere gli immigrati di colore dalla rabbia e dalla violenza dei rosarnesi, scesi in strada per 'farsi giustizia' dopo che ieri, in risposta al ferimento di alcuni di loro, centinaia di migranti avevano attaccato e dato alle fiamme alcune automobili.

La ritorsione e' scattata nella notte e nel corso della mattinata, e pochi minuti fa la polizia si e' scontrata con i residenti. "Oggi è tutto chiuso e tutto aperto", dicono dei ragazzi rosarnesi che ad un angolo di strada fumano con i volti scuri.

Le pattuglie della polizia intanto fanno la ronda nelle strade vicine ai campi per salvare i pochi immigrati che si avventurano da soli dal linciaggio tentato dai calabresi. In più occasioni, in venti, in trenta hanno provato a scagliarsi contro due o tre camminavano nelle strade intorno alla stazione.Trecento poliziotti sono affluiti nella cittadina calabra dalle Questure di Palmi, Siderno, Gioia Tauro, Vibo Valentia.

Durante gli scontri, ancora in corso mentre scriviamo, intimidazioni sono state rivolte ai giornalisti dai cittadini di Rosarno: "Non fare foto che te la passi male", e' stata la frase indirizzata al sottoscritto. "Fatti i cazzi tuoi", ha gridato al cronista un ragazzo dalla pelle più scura di alcuni dei magrebini che stanno protestando. Alcuni colleghi della Rai sono stati cacciati a sassate.

La rabbia tra i rosarnesi e' stata alimentata anche dal ferimento di una donna che viaggiava con i figli e che ieri sera e' stata lievemente ferita alla testa dagli immigrati extracomunitari che hanno attaccato le automobili di passaggio lungo la Statale 18.

Qui, oggi, il desiderio di vendetta dei residenti preme contro un cordone di cinquecento poliziotti, che stanno cercando di separarli dai centinaia di braccianti di colore, anche loro in piazza per gridare la loro protesta contro l'aggressione di ieri, compiuta da ignoti con un fucile ad aria compressa.

Il paese è da alcune ore off-limits. I residenti impediscono a chiunque l'accesso. Rosarno è 'chiusa per rivolta'.


Ancora rabbia a Rosarno
di Gianluca Ursini - Peacereporter - 8 Gennaio 2010

Nuova rivolta dopo un nuovo agguato mafioso ai lavoratori stranieri

"I fatti sono molto più seri degli incidenti seguiti alle proteste del dicembre 2008, quando la comunità ghanese e burkinabè scese in piazza per protestare contro il ferimento di due ragazzi a colpi di kalashnikov sparati da un'autovettura in corsa. Oggi a Rosarno alcuni ragazzi africani sono stati raggiunti nel primo pomeriggio da colpi sparati da un fucile ad aria compressa, e tutta la rabbia della comunità degli immigrati africani per la raccolta di clementine e olive è venuta fuori.

Al momento non sembra ci siano feriti ma sicuramente alcuni calabresi, gente del posto che rientrava a casa mentre la rivolta era in corso, sono stati aggrediti mentre i migranti inscenavano la loro protesta; la polizia ha riferito come diverse autovetture siano state ribaltate e alcune addirittura date alle fiamme mentre percorrevano la statale di fronte alle fabbriche abbandonate (come l'impianto ‘Rognetta') dove i lavoratori stagionali hanno trovato un riparo.

Molti mi hanno raccontato di rosarnesi costretti a abbandonare l'auto mentre i migranti li aggredivano per ribaltare la vettura in strada"; a parlare è uno dei ragazzi dell'Osservatorio Migranti , mentre mette in ordine la sua valigia, afferra al volo le chiavi della sua auto e lascia Rosarno.

Stanotte meglio non dormire in città. "Per me e per tutti quelli che in questi anni hanno aiutato i migranti"; la rabbia degli extracomunitari covava da tempo, nonostante in maggio finalmente i primi tre sfruttatori avessero pagato con l'arresto per ‘'riduzione in schiavitù''.

Ma gli africani non conoscono la Calabria. Non immaginano che possa essere più dura del continente dal quale sono scappati, lasciandosi alle spalle guerre e pallottole. Guerre e pallottole di altro tipo.

Ma oggi chi ti parla da Rosarno dall'altro lato della cornetta, ti fa capire che il peggio deve ancora venire. "I ragazzi hanno spaccato vetrine, attaccato negozi, dato fuoco ad alcune auto, senza saper chi potessero essere i proprietari di questi negozi e di queste autovetture", spiega una fonte che prega di rimanere anonima per timore di sempre più probabili conseguenze.

La paura che adesso attanaglia i rosarnesi è che i soliti picciotti possano vedere gli episodi di violenza del 7 gennaio come uno ‘sgarro' che il loro codice dell'onore non può fare passare sotto silenzio. E la voce che sta correndo in queste ore sulla Piana di Gioja Tauro è che domani, nelle prossime ore, a parlare saranno le lupare degli uomini delle ‘ndrine, che non possono tollerare sul loro territorio una tale violazione della Pax mafiosa.

I due ragazzi aggrediti a colpi di fucile ad aria compressa sono fuori pericolo, all'ospedale di Gioja Tauro. Sulla statale degli ulivi che collega Rosarno a San Ferdinando nel pieno della Piana, e dall'altro lato al mar Tirreno con Gioja e il suo porto, sembra sia tornata la calma, restaurata dall'intervento di una decina di auto del comando di polizia gioiese.

Presidiate le fabbriche ex Rognetta, dove dormono in 200 e la ex Opera Sila di gioia Tauro, dove dormono altre centinaia di immigrati non registrati. Le pantere della questura della Piana pattugliano la statale.

Ma alcune vetture bruciano ancora; e rimangono i danni a negozi. Impossibile contattare qualcuno alle caserme di carabinieri o polizia, ma sembra che alcuni cittadini italiani durante le proteste siano stati aggrediti dalla folla, inferocita per l'ennesimo trattamento disumano, per l'ennesimo assalto ai danni di chi attraversa i continenti per venire qui a lavorare come bestie per 20 euro al giorno, deprivati di ogni conforto materiale.

Ma stavolta i migranti potrebbero aver passato il segno, e aver commesso un errore fatale, accecati dalla loro rabbia. Nelle prossime ore le bocche taceranno in Calabria, e chi sente dentro di sé di aver subito un torto, molto probabilmente cercherà di porre rimedio. Da soli. Senza ricorrere alla polizia. Come si faceva una volta. Con le carabine sempre pronte, sempre ben oliate, tenute dietro le dispense e nelle cantine.


Gli africani di Rosarno
di Gianluca Ursini - Peacereporter - 31 Dicembre 2009

"In tanti anni di indagini sul territorio della Piana di Gioja, poche volte abbiamo visto condotte collaborative ed efficaci come con i due giovani africani vittima di intimidazione in Rosarno. Le loro deposizioni, e quelle degli altri immigrati, hanno condotto all'arresto del colpevole"; il capitano Ivan Boracchia della compagnia dei Carabinieri di Gioja Tauro fu molto chiaro con la stampa nel dicembre 2008: gli extracomunitari, i lavoratori irregolari che mandano avanti il comparto agricolo del Sud raccogliendo pomodori nel Tavoliere delle Puglie e nel casertano, olive e arance in Calabria e ortaggi in Sicilia, sono stati finora "un caso unico di 'collaborazione non omertosa' con la giustizia nella storia della Calabria", precisa al telefono Tiziana Barillà di 'Libera', associazione contro le mafie; "l'unico precedente viene dalle denunce dei volontari dell'Ulivo nell'ottobre 2005 quando dopo l'omicidio del vicepresidente regionale Domenica Fortugno si arrivò in pochi giorni al fermo di un killer".

"I migranti africani e arabi, non regolarizzati - spiega lo studioso dei fenomeni mafiosi Antonello Mangano - sono una presenza fondamentale per l'economia del Sud, senza i quali fallirebbe questo comparto, affonderebbero le economie di parecchie regioni e non vedremmo più arrivare i fondi europei di sostegno all'agricoltura".

Proprio nei giorni in cui si andava in stampa, la Lega Nord otteneva il voto di fiducia sul Decreto sicurezza che prometteva perpetua insicurezza e illegalizzazione per i migranti extracomunitari: "Le campagne su sicurezza e criminalizzazione dei migranti rendono difficile comunicare il disagio degli irregolari a gran parte dei lavoratori locali.

Ma se per assurdo, adottassimo anche coi residenti un sistema che lega il soggiorno a un contratto di lavoro in regola, quanti calabresi che campano dell'economia sommersa, sfuggirebbero alla clandestinità?" è la provocazione di Mangano, che nasce dalla constatazione delle condizioni di sfruttamento in cui vivono gli immigrati nelle campagne meridionali, che rende profittevole la raccolta delle patate a Cassibile (Siracusa) in marzo, delle olive ad Alcamo in giugno, dei pomodori a Foggia in settembre... E dire che a Rosarno le condizioni non sono così brutte; i proprietari terrieri garantiscono tra venti e venticinque euro a giornata, col minimo sindacale per la Provincia a trentadue; ma tenendoli a giornata in nero si risparmiano i contributi, che porterebbero il conto a quaranta euro.

"Le leggi razziste volute dalla Lega non mirano a espellere gli immigrati, vogliono mantenerli in una condizione servile, sotto ricatto. La fascia di immigrazione irregolare che lavora nei campi non accetterebbe mai condizioni tanto dure in presenza di un'alternativa; inizierebbe ad organizzarsi ed a rivendicare diritti: sanno di essere indispensabili e di sostenere un intero settore economico. Senza loro tante lande del Meridione sarebbero condannate allo spopolamento. Dunque che rimangano a lavorare, ma da schiavi" è la conclusione di Mangano sullo sfruttamento del lavoro, fondato sulla artificiosa condizione di clandestinità dei migranti.

"Abbiamo raccolto le lezioni da trarre dal caso Rosarno in un volume intitolato "Gli Africani salveranno la Calabria. E forse, l'Italia intera", ricorda Barillà di Libera, che con Don Ciotti qui nella piana di Gioja, terra dei clan Piromalli Pesce Bellocco, aveva portato trentacinquemila giovani in marcia contro le mafie il 21 marzo 2007.

"Ma non solo - incalza Barillà - oltre all'omicidio Fortugno, il 'caso Rosarno' in decenni di lotta alle 'ndrine, essendo concluso dall'arresto del delinquente grazie alla collaborazione delle vittime, viola il patto d'omertà quasi egemone in certi paesini. Gli africani hanno bloccato un abitato intero la mattina del 13 dicembre 2008, rovesciando cassonetti e protestando di fronte alla caserma di Polizia, per dire che non accettavano che gli si sparasse addosso. In altri Paesi chi viene colpito non ha la forza di reagire e subisce in silenzio. Possono essere anche loro, o forse, provocatoriamente, solo gli immigrati, a salvare noi calabresi dalle mafie".

Finora un'altra rivolta di immigrati si era registrata nel gennaio 2003 quando la Asl aveva chiuso un dormitorio occupato abusivamente; avevano portato i loro materassi davanti il municipio per ottenere un nuovo tetto asciutto dove dormire. E negli anni a seguire avevano subito almeno altre due aggressioni e ripetuti tentativi di rapina a tarda sera, quando sono gli unici a girare a piedi per le strade del paese.

"Ho visto quei ragazzi, dopo l'agguato portato (a colpi di pistola, ndr) l'11 dicembre, mettersi in coda per l'identificazione degli aggressori con il confronto delle fotografie", ricorda Peppe Pugliese, ragazzone calabrese la cui stazza si staglia di una spanna sopra quella di altri volontari come lui, che distribuiscono coperte e vestiti alla fabbrica 'Cartiera' occupata dai migranti; idealista con una sua vita agiata a Rosarno, Pugliese ha deciso di aiutare fin dal 2002 le migliaia di ragazzi che venivano nella Piana da ottobre ad aprile, tempo di arance e olive.

Nel 2008 fonda l'Osservatorio Migranti, per organizzare l'aiuto: coperte per l'inverno donate dai cittadini dei comuni vicini, i container per dormire al riparo dalla pioggia, arrivati in febbraio, e da gennaio bagni chimici e docce che i Comuni di San Ferdinando Rosarno e Rizziconi hanno predisposto negli insediamenti abusivi, utilizzando un fondo di 50mila euro disposto dalla Regione Calabria.

Il 12 dicembre due teppistelli avevano sparano nel mucchio, fuori da una ex fabbrica abbandonata contro i lavoratori africani, a fine giornata: colpiscono a casaccio due ragazzi, un ivoriano e un ghanese, sui 21 anni. Vittime e loro amici riconosceranno un volto tra quelli presentati loro dai carabinieri: un rosarnese con vari precedenti penali contro il patrimonio.

Il giorno dopo i migranti si rifiutano di andare nei 'giardini' (qui si dice così dei campi, perché gli agrumeti un tempo erano ornamentali) a raccogliere frutti sugli alberi, ma gridano ''Mai più'' e chiedono giustizia. "Nella nazione che ha esportato nel mondo Mafia Camorra e 'Ndrangheta - ha scritto di recente Roberto Saviano - sono gli immigrati a Castelvolturno (strage di 6 ghanesi nel settembre 2008) e a Rosarno a ribellarsi allo strapotere mafioso sul territorio e a scendere in piazza per dire 'Noi non ci stiamo'.

La Piana di Gioja è stata terra di lotte popolari nel dopoguerra, per appropriarsi della terra. E ha visto anche lotte di antimafia, come testimonia il sacrificio di Peppe Valarioti, candidato capolista del Pci alle elezioni amministrative del 1979, ucciso la sera seguente il voto, mentre festeggiava oltre il 30% di consensi per la lista comunista.

A chi voleva diventare sindaco come Giuseppe Lavorato ( primo cittadino fino al 2002) bruciarono la macchina a una settimana dalla elezioni, "Ma non abbiamo mai piegato la schiena davanti la mafia", spiega Lavorato "perché fu proprio da quelle elezioni che i comunisti denunciarono l'arrivo del voto mafioso, piegato agli interessi delle cosche. Erano gli anni della costruzione del porto, arrivava un fiume di soldi, e la 'ndrangheta capì il valore del controllo dei fondi pubblici e del controllo della politica". Le ditte mafiose che parteciparono allo sbancamento per costruire il porto di Gioja acquisirono quella dimestichezza con trasporto inerti e il movimento terra che ha fatto loro egemonizzare anche la Brianza e il territorio milanese trenta anni dopo.

Con il porto arrivò il raddoppio della ferrovia e l'autostrada Salerno-Reggio: miliardi ghiotti per le 'ndrine. "In quegli anni ci fu il passaggio dalle 'ndrine di Guardianìa, che facevano soldi col contrabbando di sigarette, al salto in grande stile dell'economia mafiosa. Noi comunisti capimmo che lo Stato doveva combattere per il controllo del territorio e poteva farlo solo dando lavoro ai braccianti, per il lavoro e contro la mafia".

Gli immigrati da anni oramai vivevano ammassati per almeno quattro mesi l'anno in edifici abbandonati: un vecchio capannone poco fuori il centro di Rosarno, la 'Rognetta' sulla via Nazionale, dove un tempo si lavoravano le arance. Solo quest'anno a ridosso dello stradone era stato allacciata una conduttura all'acquedotto comunale; i vetri del capannone erano rotti da tempo.

Per anni immigrati burkinabè, maliani, ivoriani, ghanesi hanno accozzato alla bell'e meglio baracche con cartoni e vecchie reti da materasso, lamiere. Mentre Pugliese ci fa strada nei corridoi dove i ragazzi africani accendono fuochi improvvisati dentro bidoni arruginiti, ci viene incontro Khaled, un ragazzo algerino.

Avrà venticinque anni. Chiama Peppe in disparte, lo fa entrare nella sua baracca fredda e umida. "Adesso il peggio è passato, qui in gennaio le temperature possono anche scendere sotto lo zero", puntualizza Pugliese, commosso mentre mostra il dono che Khaled e altri algerini gli hanno voluto fare per essere riuscito a portare i container dove stare caldi: due pacchi di arance, parte del raccolto di giornata. La stagione è finita e i ragazzi possono portare via qualche frutto dai rami; tanto gran parte delle arance non verrà raccolte: quest'anno il prezzo al chilo è crollato a sette centesimi e conveniva soltanto raccogliere mandarini e clementine.

Alla Cartiera, verso il comune di San Ferdinando, erano più di quattrocento nei giorni dell'emergenza a trovare un tetto dove dormire sotto un capannone moderno; la "Modul System srl" era stata fondata negli anni '90 da un imprenditore emiliano venuto a Sud a sfruttare i fondi europei per lo sviluppo: venne tirato su un capannone ma la cartiera non entrò mai in funzione.

Ora lo scheletro vuoto nato da un raggiro ospita un altro figlio illegittimo dell'economia meridionale: stipendi in nero e vite mai dichiarate, o respinte alla frontiera. Sul lato della strada c'è l'accampamento dei sudanesi: sono una cinquantina e stanno in disparte; quasi tutti hanno richiesto asilo politico e ne avrebbero diritto, sono una comunità a parte con rituali diversi.

I ragazzi del 'Kollettivo onda rossa' di Cinquefrondi, distribuiscono maglie in lana e vestiti smessi dai calabresi. Gli africani si mettono in coda, berretti e calze pesanti vanno a ruba, servono nelle fredde notti del capannone, quando si accendono fuochi per cucinare e scaldarsi al buio delle volte industriali.

Qui sono venuti gli avvocati volontari dell'Osservatorio in gennaio a recensire le condizioni giuridiche dei migranti e dare assistenza. "Ne abbiamo trovati quasi quattrocento - spiega Anna Foti, avvocato in Reggio - in minima parte con permessi non rinnovati, a maggioranza con decreti di respingimento alla frontiera e parecchi dinieghi di asilo. Per molti di loro l'atto amministrativo che segna la loro permanenza in Italia, era stato emesso in maniera illegittima.

Ma per quasi tutti erano scaduti i termini per presentare ricorso, che varia dai quindici ai sessanta giorni. Ad alcuni a Lampedusa avevano consegnato un foglio di via e quasi contestualmente un decreto di espulsione. Procedure invalide. Ma siamo arrivati troppo tardi. Per casi singoli proviamo a recuperare: è il caso di una ghanese incinta, per la quale proporremo la inespellibilità".

I decreti di espulsione erano in gran parte emessi tra luglio e agosto 2008. Una grande ondata passata da Lampedusa; alcuni poi per il Cpt di Crotone, molti direttamente qui in Calabria in cerca di denaro contante. Per parecchi l'unica scelta futura sarà la clandestinità: dopo il decreto di esplusione per dieci anni non possono chiedere il permesso di soggiorno.

Oltre a Pugliese e i volontari, c'è chi da anni riconosce chi viene a lavorare e prova compassione per le condizioni ignobili in cui noi italiani li facciamo lavorare: Norina Ventre. Volontaria dell'Unitalsi, immancabile ai pellegrinaggi a Lourdes, questa zelante cattolica 81enne, si trova fianco a fianco coi ragazzi del ''Kollettivo'' nel dare una mano. "Sono poveri ragazzi, venuti qui a spaccarsi la schiena nella raccolta; senza pane, senza coperte, senza un tetto e un fuoco che riscaldi: come possiamo dirci cristiani se non apriamo le porte a chi ha bisogno?"

Norina da dieci anni, ogni domenica, da ottobre a marzo, apre la sua casa di campagna in contrada Rognetta, vicino la vecchia fabbrica occupata e sotto un pergolato mette un tavolaccio con sessanta, ottanta a volte cento coperti: il pranzo della domenica di 'Mamma Africa', una consuetudine per i migranti della Piana oramai.

Pasta al forno, parmigiane e prelibatezze calabre. "In febbraio sono arrivata anche a 180 coperti! - ride - ma in quel caso solo un sugo semplice, erano troppi anche per me. E con del nostro peperoncino calabrese, così si rinfrancano". Non ha intenzione di smettere. "Sono una cristiana. E Nostro Signore Gesù Cristo ha dato un messaggio dalla Collina degli Ulivi: date da mangiare agli affamati. Come mi potrei presentare di fronte a Nostra Signora di Lourdes, se non aiutassi questi poveri ragazzi?".

Norina non ha smesso nemmeno quando quasi tutti sono partiti, a stagione terminata. "A maggio ne sono rimasti solo una ventina, trentina, ma la domenica io preparo lo stesso: come faccio a non dargli da mangiare, soprattutto ora che non trovano più lavoro? I miei ragazzi hanno tanta fame..." Norina Ventre non è l'unica persona con spirito cristiano a Rosarno: anche il parroco della chiesa di San Giovanni Battista, don Pino, lo scorso Natale ha messo nel presepe un Gesù nero, per ricordare '' i fratelli migranti''.

Anche la famiglia di don Pino ha un fondo con degli aranci fuori paese: lo comprò il suo nonno, con i soldi fatti in America da migrante. E a quel santo si rivolgono anche i nuovi arrivati: "Adesso siamo tutti presi dall'organizzare il battesimo di uno dei loro bambini - ricorda al telefono Mamma Africa - una tale eccitazione: non ho ancora completato il corredino. Lo chiameremo Giovanni, come il nostro patrono".

Ma non tutte le belle storie hanno un lieto fine. Bisognerà verificare in questo mese una vergogna emersa raccogliendo queste testimonianze: al ghanese e all'ivoriano che con la loro denuncia hanno assicurato alla giustizia uno 'ndranghetista, non è ancora stato assicurato un permesso di soggiorno regolare. "In base all'articolo 18 della legge vigente Bossi Fini, spetterebbe loro un permesso, per 'collaborazione'" spiega Valentina Loiero di 'Terra', giornalista specializzata sul tema migranti. L'art.18 era stato pensato per le prostitute che denunciavano gli sfruttatori, ma calza a perfezione al caso. A rilasciare il documento è il prefetto su istruttoria di Pubblico ministero e giudice delle indagini, che hanno seguito il caso al quale ha collaborato l'immigrato. "Al momento non abbiamo novità sul permesso per i due" ci riferiscono dallo studio legale che segue la pratica.

E' presto per gridare allo scandalo: i tempi medi di concessione di un permesso superano i 6 mesi, quindi nessuna fretta ai signori Prefetti Domenico Bagnato di Gioja Tauro e Francesco Musolino di Reggio Calabria. Ma al signor Ministro dell'interno Roberto Maroni si vorrebbe chiedere: se davvero questo esecutivo vuole colpire solo i migranti che delinquono, perché non premiare gli immigrati che hanno aiutato la giustizia, come anzi mai successo prima in regioni ad alta omertà mafiosa?

Aiutiamoli a restare con noi: con la loro presenza in Calabria, Ministro, c'è da giurare che migliorerebbero il tenore civile delle nostre terre piagate dalle Mafie.


L'inferno di Rosarno
di Rosa Ana De Santis - Altrenotizie - 10 Gennaio 2010

Le scene sono quelle di un girone dantesco. L’Africa degli schiavi è sotto gli occhi di tutti e gli immigrati fuggono da Rosarno scortati dalla polizia. Lasciano gli agrumeti e i terreni su cui hanno lavorato anche più di dieci ore al giorno, sottopagati e minacciati dai padroncini italiani. Su quelle strade che ora abbandonano in un esodo di paura, era nata qualche giorno fa la loro protesta.

Quella che il Ministro dell’Interno aveva sbrigativamente spiegato come un effetto collaterale da eccesso di tolleranza. La scintilla della guerriglia urbana scoppia per il ferimento di un ragazzo del Togo, rifugiato politico con regolare permesso di soggiorno, da parte di persone non identificate. Ma la disperazione di una rivolta che diventa da subito un assedio viene da lontano. Dall’omertà diffusa sul feroce sfruttamento in cui sono abbandonati e dalla segregazione in cui sopravvivono.

In queste ore i neri della protesta scappano da una spietata caccia all’uomo partita tra gli abitanti subito dopo la rivolta. I casolari sperduti di campagna, in cui erano costretti a vivere in condizioni bestiali, sono diventati celle per topi. La task force del Viminale ha come obiettivo quello di portarli via tutti da Rosarno verso i centri di accoglienza di Bari e Crotone o altrove, per quanti hanno regolare permesso di soggiorno.

Spranghe, taniche di benzina, fucili, i primi gravi feriti di questi giorni documentano una pagina pericolosamente somigliante alle più note persecuzioni xenofobe e razziali. Per le violenze delle ultime ore sono stati arrestati 5 dei sette immigrati fermati e 3 italiani, uno dei quali figlio di una delle più note cosche locali.

La rivolta degli immigrati rompe la tregua sociale vigente a Rosarno e a Gioia Tauro. Quella che vede la n’drangheta dominare indisturbata gli affari e le terre e che nella manodopera a basso costo degli stranieri clandestini, trova il suo business più facile. Niente di sommerso e di invisibile, dicono alcuni abitanti.

I nuovi lavoratori neri li vedono tutti, così come i capannoni della vergogna che soltanto adesso il governo ha deciso di smantellare. A Rosarno, in pochi giorni di guerriglia urbana, viene fuori l’intreccio scivoloso e incandescente tra potere locale e mafia, tra clandestinità ed economia, tra il governo della regolarità propagandata e la banale routine degli affari guadagnati sulla pelle degli immigrati. Il succulento piatto della clandestinità.

La condanna della feroce intolleranza da parte degli abitanti contro i lavoratori stranieri arriva, ma troppo sottovoce, dalle Istituzioni. Sottovoce soprattutto quando, già nel maggio del 2009, un’inchiesta della Direzione Investigativa Antimafia documentava per i lavoratori di Gioia Tauro condizioni di estorsione e riduzione in schiavitù.

Ma è più facile raccontare la rivolta rabbiosa con i cassonetti dati alle fiamme e i video di una città barricata dietro le finestre di casa che non raccontare tutta la storia. Quella dei diritti negati ai più deboli, dati in pasto alle cosche locali. Quelle di cui per prima sono diventate vittime nel tempo gli agricoltori del posto.

La fuga degli stranieri in pericolo restituisce alla collettività l’immagine più cruda e più autentica dell’intolleranza che scorre nelle vene degli italiani. Intolleranza per chi lavora duramente sulle nostre terre. Per chi può farlo solo se disponibile ad essere trasformato in uno schiavo.

Sugli agrumeti di Rosarno, in un passato che oggi sembra preistoria, altri lavoratori hanno combattutto le loro battaglie per i diritti del lavoro. Battaglie di cui non si ha più memoria, mentre mafie e istituzioni sembrano riuscire a convivere in pace in una reciproca comoda cecità.

Tutto bene fintanto che le vittime non decidono di rompere il patto dell’omertà. Ma se hanno il colore di pelle sbagliato e non sono cittadini italiani è facile chiudere la vicenda con la tesi dell’immigrazione difficile. E l’inferno che è qui, nella nostra terra, continua a rimanere il paradiso promesso ai tanti, tantissimi disperati pronti per il prossimo viaggio della speranza.


Maroni, basta con le menzogne. Questo caos lo hai creato tu.
da www.terrelibere.org - 8 Gennaio 2010

Secondo il ministro dell'Interno l`immigrazione clandestina a Rosarno alimenta criminalità e degrado. Maroni dimentica la rivolta antimafia dello scorso dicembre, la collaborazione degli africani con le forze dell'ordine, le terribili condizioni in cui sono costretti a lavorare e contro cui protestano da sempre. E soprattutto non ricorda di aver annunciato - lo scorso anno - 200 mila euro per far fronte all`emergenza.

Oggi ne sono arrivati 900 mila, solo a Rosarno. Come sono stati spesi?

"A Rosarno c'è una situazione difficile come in altre realtà, perché in tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, un`immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall`altra ha generato situazione di forte degrado". Il ministro dell`Interno, Roberto Maroni, parla della rivolta degli extracomunitari ieri sera in Calabria. "Abbiamo posto sostanzialmente fine all`immigrazione clandestina: a poco a poco riporteremo alla normalità le situazioni che lo richiedono".

Questa è la realtà che il ministro finge di non conoscere:

1) nel marzo del 2009, Maroni arrivava a Reggio Calabria e - colpito dalla situazione dei migranti nella Piana - annunciava 200 mila euro del PON Sicurezza per l`emergenza migranti, in particolare "primi interventi assistenziali in relazione alla situazione di forte disagio presente a Rosarno ed in altre aree della provincia per la presenza di immigrati". Oggi quei fondi sono arrivati, anzi di più: 930 mila euro per il “recupero urbano delle aree degradate” di Rosarno. Come sono stati spesi? Perché l`emergenza annunciata (che si presenta ogni inverno dal 1990) non è stata affrontata?

2) Non tutti sono "clandestini". Tanti lavoratori hanno il permesso di soggiorno in scadenza, sono stati licenziati nelle aziende del Nord dove lavoravano fino a ieri e rischiano di perdere i documenti se non trovano un altro contratto entro pochi mesi. Sono le regole disumane della Bossi Fini.

3) Tanti irregolari sono denegati (richiedenti asilo a cui è stato opposto un rifiuto). Molti hanno il permesso di soggiorno, ad esempio uno dei due ragazzi feriti nell`attentato che ha scatenato la rivolta.

4) Dire che gli stranieri portano degrado a Rosarno è assolutamente falso; il degrado è frutto dello strapotere mafioso, prodotto da italiani, contro cui il suo governo non ha fatto nulla e che viene di fatto accettato dagli abitanti locali. Gli africani, invece, si sono ribellati alla mafia nel dicembre 2008 ed hanno collaborato con i carabinieri, portanto all'arresto dei loro aguzzini.

5) I migranti irregolari della Piana hanno sempre chiesto di "poter lavorare in condizioni dignitose". Non vogliono essere "clandestini": si trovano a non avere documenti per le assurde leggi razziste varate da uno Stato irresponsabile.

6) Molti arrivano al Sud perché sperano di trovare uno Stato meno asfissiante, e di sfuggire al clima da caccia allo straniero creato dalla Lega.

7) Gli stranieri - sia "clandestini" che regolari - sostengono l'economia agricola del Sud. Senza di loro, arance, pomodori ed ortaggi marcirebbero nei campi. I loro salari da fame sono indipendenti dal prezzo di mercato. Braccianti e consumatori pagano una filiera malata, caratterizzata da passaggi parassitari, forme estorsive, presenze mafiose.

8) Qual è la "normalità" che Maroni vuole portare nella Piana, cacciando i "clandestini"? Quella dei morti ammazzati a colpi di kalashnikov dopo una lite per un posteggio? Quella delle autobombe? Quella dei razzi anticarro di provenienza jugoslava trovati in normali appartamenti? Quella dei ragazzini di 14 anni ammazzati con un colpo alla nuca?

Se proseguirà l`azione criminale della Lega, la rivolta di Rosarno si estenderà rapidamente al Nord. Milioni di lavoratori stranieri - che sostengono la nostra economia, pagano le nostre pensioni, tengono in piedi interi settori produttivi - non ne possono più di essere criminalizzati e sfruttati.


L'inferno di Rosarno e i suoi responsabili

di Eugenio Scalfari - La Repubblica - 10 Gennaio 2010

A Rosarno ha infuriato per due giorni e due notti prima una sommossa e poi una caccia al "negro" con ronde armate che sparano a pallettoni per ferire e ammazzare. Nel terzo giorno, cioè ieri, gran parte degli immigrati è stata portata via dalla polizia nei centri di concentramento chiamati centri di accoglienza, sulla costa jonica della Calabria, ma la caccia al "negro" continua contro i pochi dispersi che vagano ancora nella piana di Gioia Tauro.

Un incidente mortale potrebbe ancora accadere, visto lo stato d´animo dei "cacciatori" che ricorda quello degli aderenti al "Ku Klux Klan" nell´America degli anni Sessanta. Siamo arrivati a questo? Perché ci siamo arrivati?

I calabresi hanno difetti e virtù, come dovunque in Italia e nel mondo. Fra le virtù più radicate c´è quella dell´ospitalità, che ha un che di antico ed è tipica della civiltà contadina. Ma anche l´ospitalità si è logorata col passare del tempo e il mutare delle condizioni sociali. E con l´arrivo della mafia.

Fino ai Sessanta non esisteva mafia in Calabria. Esisteva il brigantaggio nei boschi dell´Aspromonte e delle Serre. Esisteva da secoli, ma non la mafia. Ora, da quarant´anni, la mafia calabrese è diventata la più potente delle organizzazioni criminali che operano nel Sud d´Italia e la gestione degli immigrati è una delle sue attività, specie nella piana di Gioia Tauro, dove le "´ndrine" possiedono anche fertili terreni coltivati ad aranci. Il caporalato è diffuso e utilizza il lavoro dei clandestini.

Attualmente sono valutati a circa ventimila i braccianti destinati alla raccolta delle arance, dei mandarini e dei bergamotti. Ma non è un fenomeno recente, dura da quindici o vent´anni in qua. Riguarda solo i maschi, non ci sono femmine tra loro né famiglie. Sono maschi singoli, senza dimora, alloggiati in ovili diroccati, senz´acqua, senza luce, senza cessi. E vagano per quelle terre in cerca di lavoro giornaliero.

Vagano in Calabria, in Sicilia, in Basilicata, in Puglia. Secondo le stagioni raccolgono agrumi, olive, uva, pomodori. Il lavoro è in mano ai caporali, quasi tutti affiliati alle mafie locali. Dodici ore per venti o venticinque euro sui quali i caporali trattengono un pizzo di cinque e i camionisti che li trasportano sui campi un prezzo di due o tre euro.

«Cercavamo il paradiso abbiamo trovato l´inferno» ha detto ieri uno di loro avvicinato da un cronista. Eppure, se continuano a cercar lavoro in quell´inferno vuol dire che sono fuggiti da inferni ancora peggiori. Sono gli ultimi della Terra. Quelli ai quali Gesù di Nazareth nel discorso della Montagna promise che sarebbero stati i primi nel regno dei cieli. Alla fine dei tempi. Dodici ore di lavoro a 15 euro di paga. I tremila di Rosarno e gli altri come loro non hanno tempo di pregare, stramazzano in un sonno da cavalli o da maiali grufolosi. È questo l'amore, è questa l'ospitalità?

I calabresi di Rosarno non sono certo abitanti di un paradiso. Sono quindicimila di povera gente e vivono in un paese sotto il tacco della mafia. Il Comune fu sciolto per infiltrazioni (si fa per dire) mafiose ed è amministrato da un commissario prefettizio. Ma quando si faranno nuove elezioni vinceranno ancora le "´ndrine" perché in quella piana la mafia è un potere costituito, in attesa che lo Stato lo sconfigga.

Speriamo che avvenga presto, ma se mi domandate quando sarò tentato di rispondervi: «alla fine dei tempi», quando verrà il regno dei giusti e il giudizio universale. Prima ci sarà stata l´Apocalisse. Che sembra già cominciata.

* * *

Qualche domanda però è di rigore. La rivolgiamo al ministro dell´Interno, a quello del Lavoro, a quello delle Attività produttive, a quello dell´Agricoltura, competenti e quindi politicamente responsabili di quell´inferno. Ma le rivolgiamo anche al Prefetto, al Questore, al Comandante dei carabinieri, al Governatore della Regione. Non sapevate? Non sapevate che la raccolta dei frutti di quelle terre è affidata a ventimila immigrati, in maggior parte clandestini, gestiti da caporali e pagati in nero?

Non sapevate come vivevano? Non vi rendevate conto che si stava accumulando un materiale altamente infiammabile e che l´incendio poteva divampare da un momento all´altro? Non avevate l´obbligo di intervenire? Di attrezzare un´accoglienza decente? Di regolarizzare i clandestini e il loro lavoro, oppure di rimpatriarli ma sostituirli visto che gli italiani quel tipo di lavoro non sono disposti a farlo?

Maroni ha messo le mani avanti ed ha dichiarato l´altro ieri che c´è stata troppa tolleranza: bisognava cacciare i clandestini o processarli per il reato di clandestinità. Ma se di tolleranza si tratta, a chi è rivolta l´accusa di Maroni se non a se stesso? Non è lui che predica la sera e la mattina la tolleranza zero? Se ne scorda per le terre a sud del Garigliano? Oppure si rende conto che, clandestini o no, gli immigrati sono indispensabili all´economia italiana? E che la tolleranza zero ci ridurrebbe alla miseria?

Al Nord è diverso: la miriade di piccole imprese della Val Padana e del Nordest hanno bisogno degli immigrati e organizzano un´accoglienza decente, salvo poi dare i voti alla Lega a tutela dell´"integrità urbana", della separazione o dell´integrazione col contagocce. Si può capire: l´immigrazione in Italia è arrivata tardi ma in dieci anni siamo passati da un milione a quattro milioni di immigrati. Il tasso d´aumento è stato dunque molto alto ed ha determinato inevitabili tensioni sociali. La classe politica avrebbe dovuto gestire questo complesso processo; invece ha puntato le sue fortune sulla paura e ne ha ricavato consenso.

Nel Sud non poteva che andare peggio. Lì non c´è purgatorio ma inferno. Lì sono i volontari i soli che tentano di sfamare gli "ultimi" e dar loro una parvenza di riconoscimento. Maroni e Scajola e Zaia e Sacconi preferiscono far finta che non esistano. Aprono gli occhi solo quando scoppia la sommossa e poi la caccia al negro. Ma non hanno altra ricetta che l´espulsione, anche se ieri Maroni ha smentito che di questo si tratterà per i clandestini di Rosarno. Ma chi raccoglierà le arance, i pomodori, le olive? Chi attrezzerà l´accoglienza?

Il partito dell´amore dovrebbe materializzarsi in quelle terre dove regna invece la violenza mafiosa, i bulli di paese che si spassano giocando al tiro a segno con i fucili ad aria compressa e sparando sul negro per vincere la noia.
Noi aspettiamo risposte alle nostre domande, anche se sappiamo per esperienza che questo potere non ha l´abitudine di rispondere.


1° Marzo, lo sciopero degli immigrati

da www.corriere.it - 10 Gennaio 2010

Cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno? E se a sostenere la loro azione ci fossero anche i milioni di italiani stanchi del razzismo?

La domanda nasce del movimento Primomarzo2010 e non è astratta: su internet c'è un gran fermento per l'organizzazione di quello che viene chiamato lo sciopero degli immigrati e che si terrà appunto il 1° marzo. Un'iniziativa di cui i fatti tragici di Rosarno mostrano, casomai ce ne fosse bisogno, l'attualità.

IL MOVIMENTO - Sarà, spiegano gli organizzatori, una manifestazione per far capire all'opinione pubblica italiana quanto sia determinante l'apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società.

Il movimento - che riunisce «italiani, stranieri, seconde generazioni e chiunque condivida il rifiuto del razzismo e delle discriminazioni verso i più deboli» - si ispira a un omologo gruppo francese, La journée sans immigrés: 24h sans nous, che sta organizzando un identico sciopero degli immigrati nella stessa data.

Il colore scelto è il giallo (già usato in altre manifestazioni contro il razzismo), con l'invito a indossare braccialetti o nastri, la testimonial è Mafalda, nel logo del movimento ci sono i volti di otto persone di colore. In diverse città - Genova, Milano, Bologna, Roma, Napoli, Palermo e altre - sono nati dei comitati organizzativi i cui riferimenti sono pubblicati sul blog.

Anche il tam tam su internet sta andando forte: su Facebook è nato a fine novembre il gruppo "Primo marzo 2010 sciopero degli stranieri", che conta già più di 11mila iscritti.

CALDEROLI - Il leghista Roberto Calderoli ha commentato così l'ipotesi dello sciopero: «Escluderei che vogliano farlo i regolari. Se l'iniziativa partisse invece dagli irregolari, si tratterebbe soltanto di espellerli».

Gli ha replicato Andrea Orlando del Pd: «Memore dei brillanti risultati ottenuti sfoggiando la famosa maglietta anti-Islam, il ministro Calderoli continua a gettare benzina sul fuoco commentando con poco equilibrio e responsabilità istituzionale l'ipotesi di uno sciopero dei lavoratori extracomunitari. Proprio in un momento così drammatico, nel quale il governo non trova ancora il modo per uscire dall'emergenza di Rosarno, sarebbe saggia più cautela nei commenti di un ministro».