La febbre del vaccino e il business delle dosi scomparse
di Monica Raucci - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 5 Gennaio 2010
Accordo milionario per 24 milioni di fiale, ma ne sono state utilizzate meno di un milione
Topo Gigio è depresso. Ce l’aveva messa tutta, lui, a convincere gli italiani che dovevano vaccinarsi. Ma quelli niente. E così, dei 24 milioni di vaccini acquistati dall’Italia, finora ne sono stati utilizzati solo 840.000. Gli altri ventitré milioni si stanno accumulando nei centri di stoccaggio.
Una spesa di 184 milioni di euro andata, almeno per ora, in fumo. Anzi, nelle tasche della Novartis, la multinazionale che ha prodotto il farmaco. E con cui il governo ha un rapporto stretto, che risale sin dal 2004.
È l’anno dell’aviaria, un’influenza che non colpisce l’Italia, ma che mette in agitazione il secondo governo Berlusconi: preoccupato per una pandemia che fino ad allora non c’è mai stata e forse non ci sarà mai, decide che bisogna prendere precauzioni. E di stipulare dei contratti che riconoscano allo Stato italiano un diritto di prelazione sulla produzione futura di vaccini.
Un paradosso: io governo ti pago ora affinché in caso di emergenza tu faccia il tuo interesse, ossia vendere a me i farmaci.Neanche due mesi dopo, il ministero chiama a raccolta attorno a un tavolo cinque aziende, che mettono sul piatto le loro proposte di contratto. Il ministero ne sceglie tre: tra queste quella della Chiron, una azienda senese specializzata in vaccini che pochi mesi dopo verrà acquisita dalla Novartis.
A quella seduta partecipa anche Reinhard Gluck. Allora è il presidente di Etna Biotech, una società siciliana. Anche lui fa la sua proposta. "Quando entrai nella stanza capii subito come sarebbero andate le cose – racconta – e che il mio progetto non sarebbe mai passato. Era evidente che tra i rappresentanti del governo e i senesi ci fosse un rapporto consolidato. Ero terribilmente dispiaciuto".
Anche perché la posta in gioco è alta: sulla base di quei contratti verranno stipulati i successivi in caso di pandemia. Una bella torta per le aziende del farmaco. I tre contratti costano in tutto al governo 6 milioni e mezzo di euro. Oltre a sancire un diritto su un bene futuro di cui il governo potrebbe non godere mai, vengono stipulati in modo carbonaro senza alcuna gara di appalto.
L’accordo più oneroso è quello con la Chiron-Novartis: da solo costa 3 milioni di euro ed è alla base del contratto di fornitura per il vaccino H1N1, stipulato il 21 agosto 2009 tra il governo e la Novartis.
L’accordo del 2005 garantiva al ministero la fornitura in caso di pandemia di 15 milioni di dosi di vaccino entro tre mesi dalla consegna del seme da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Ma nel contratto di quest’anno, che di pubblico ha solo il nome, quella clausola fondamentale scompare. Viene sostituita da tre date di consegna (con le relative forniture) che però nel testo sono oscurate. “Motivi di riservatezza”, commenta il ministero.
L’unica cosa certa è che al momento del solo picco pandemico, a inizi novembre, la richiesta di vaccino è più alta dell’offerta. Il contratto, come segnala subito la Corte dei Conti, è totalmente sbilanciato a favore della multinazionale: in caso di mancata consegna nei tempi prestabiliti, per esempio, non sono previste multe o penalità per la Novartis.
Altro punto critico: se l’azienda non avesse ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco, il governo avrebbe dovuto comunque corrisponderle 24 milioni di euro. Una specie di premio per la partecipazione. La Novartis poi è manlevata legalmente, tranne che per difetti di fabbricazione del prodotto.
Il costo del vaccino è piuttosto alto: sette euro e novanta a dose, quando quello di un normale antinfluenzale, che ha le stesse spese di produzione, viene pagato dalle Regioni circa quattro euro. Quattro euro di differenza che non si spiegano solo con i costi di ricerca.
Contratti simili sono stati stipulati in realtà dalla maggior parte dei governi europei, che nella corsa all’accaparramento del vaccino hanno accettato condizioni vessatorie. Eppure si sapeva fin da subito che il virus non era così pericoloso.
A inizio 2009 i membri dell’unità di crisi dell’Oms (alcuni ora sotto inchiesta per presunti conflitti di interesse con le case farmaceutiche) avevano eliminato dalla definizione di pandemia il criterio dell’"alto numero di morti".
E in un batter d’occhio quello che fino ad allora era un normale virus influenzale a bassa mortalità diventò il virus-killer. Con la conseguenza che centinaia di milioni di vaccini ora giacciono nelle celle frigorifere di mezza Europa.
Al di là di quello che dice il neo ministro della Salute Ferruccio Fazio, difficilmente il farmaco, che ha durata di un anno, potrà essere riutilizzato il prossimo inverno, a meno che, evento improbabile, il ceppo non rimanga esattamente lo stesso. Intanto in Italia le Asl cominciano ad avere problemi di stoccaggio. E ancora deve arrivare l’ultima fornitura, prevista per il 31 marzo, quando probabilmente la suina sarà solo una barzelletta.
L’unico a ridere per ora è Ewa Kopzac, Ministro della Sanità polacco, che di vaccino non ne ha comprato neanche uno. In tempi di isteria pandemica disse: "Il nostro Stato è molto saggio, i polacchi sanno distinguere la verità dalla truffa".
Dove va la neonata federazione della sinistra?
da Rivista Indipendenza (http://indipendenza.lightbb.com) - 4 Gennaio 2010
«Pronto ad allearmi anche con il diavolo» pur di battere Berlusconi. Pronto anche ad accettare Pier Ferdinando Casini come candidato di un governo di centrosinistra e Di Pietro nella coalizione con al centro il PD. Non ricorre a mezzi termini Paolo Ferrero nell'intervista a "la Repubblica" (21 dicembre scorso).
Idee che il segretario della Federazione della sinistra, oltre che di Rifondazione, aveva già abbozzate in un'intervista a "il Manifesto" di qualche giorno prima: un fronte comune contro Berlusconi, un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) in difesa della Costituzione.
«Con al centro due questioni-chiave. Primo: difesa della democrazia e legge sul conflitto di interessi. Secondo: una futura legge elettorale, sul modello tedesco, per chiudere con la sventurata stagione del bipolarismo». E fuori da Palazzo Chigi: «non ripeteremo l'esperienza del governo Prodi».
Condizionando almeno, forse, dall'esterno, l'esecutivo? Nemmeno: «con l'attuale legge elettorale, il premio di maggioranza è tale da assicurare pieni margini di manovra all'accordo di governo». In chiusura d'intervista, poi, un passaggio rivelatore della contrattazione già avviata per rimediare qualche eletto alle prossime regionali, obiettivo a breve di questa subalternità mai così sfacciata e penosa.
Alle critiche che seguono, Ferrero risponde, due giorni dopo, con un editoriale su "Liberazione" (23 dicembre), invitando a «discutere della luna e non del dito». Ribadisce che il fronte "democratico" con PD e UDC è solo elettorale, e non riguarda il governo. Che per le regionali l’accordo può essere ricercato «su contenuti programmatici chiari». Che il fronte democratico con PD e UDC non va confuso con il fronte sociale.
Infine, per sostanziare qualcosa 'di sinistra', annuncia che la Federazione della Sinistra interverrà con una campagna referendaria che «avrà al centro l’abrogazione della legge 30», la legge di riforma del mercato del lavoro varata dal secondo governo Berlusconi, sèguito di quel "Pacchetto Treu" (1997) che, votato anche da Rifondazione Comunista (PRC), introdusse –nell'ordinamento italiano del lavoro– l'interinale e altre forme contrattuali di lavoro atipico, uno dei principali atti legislativi che hanno determinato la nascita del precariato.
Questa l'essenza di un'operazione massmediatica che evidenzia un tatticismo peraltro strampalato per la sua manifesta vacuità ed impotenza, funzionale ad una navigazione a vista per posti di micropotere purchessia (almeno per le imminenti regionali...). Prospettive politiche alternative e strategiche di medio-lungo periodo: zero.
Non c'è più nemmeno quella patina di illusorietà PRC-bertinottiana di voler condizionare da sinistra il governo di centrosinistra di turno. In nome di queste «alleanze con il diavolo», in assenza di una visione strategica alternativa effettiva, negli ultimi quindici anni si è accelerata la deriva in generale della sinistra italiana, con atti conseguenti di compartecipazione ai tagli sociali, alle privatizzazioni, allo smantellamento del sistema industriale del paese, alle norme sulla precarietà del lavoro, alla svendita del sistema scolastico, ad istituzioni di lager come i Cpt per gli immigrati, ai crediti di guerra per le missioni ascare al seguito delle aggressioni imperiali dei padroni di questa nazione, gli USA, eccetera. La conseguente scomparsa dal Parlamento è stata la spia terminale del discredito accumulato.
L'opposizione “democratica” cui Ferrero offre i servizi della Federazione della Sinistra si caratterizza in linea generale per una condivisione sostanziale delle direttrici politiche di fondo dell'attuale governo, surrogata da una critica di bassa lega, polemica e gossippara, del personaggio Berlusconi secondo linee americane della lotta politica, in cui individualismo, invettiva, personalizzazione, sono alcuni degli ingredienti fondamentali.
Un antiberlusconismo tanto più viscerale quanto più avulso dalla materialità delle contraddizioni sociali, incapace di presa sugli effetti della crisi e di critica agli attuali assetti sociali e cosiddetti democratici dello stato di cose in Italia e assolutamente incapace di prospettare un cambiamento reale, un’alternativa sistemica.
Insomma, un antiberlusconismo per riproporre, con soggetti e accenti diversi, la solita politica antipopolare ed atlantista che connota le forze bipolari e relative appendici satellitari di questo paese.
La proposta dei novelli "federati di sinistra" è alla fin fine una sostanziale riproposizione in forma peggiore di quella già pessima "desistenza" del 1996.
Vediamo alcuni punti che emergono dalle interviste.
La legge sul “conflitto di interessi” è sempre evocata quando Berlusconi è al governo e costantemente ignorata ogni volta che ci va il centrosinistra. Sembra davvero che sia sinora servita per mantenere in piedi l'argomento principe dell'antiberlusconismo di maniera, funzionale all'acquisizione di consensi.
Sul sistema elettorale “tedesco”, sistema proporzionale basato su soglia di sbarramento del 5%, è indubbio che sia preferibile all’attuale”porcata” del maggioritario, ma non lo si spacci per passaggio democratico: ogni soglia di sbarramento di per sé nega l'elementare principio democratico dell'uguaglianza dei voti e del principio della rappresentanza proporzionale. E' senza fondamento, poi, che sia anti-bipolare.
Alle regionali già si vota con il sistema proporzionale con sbarramento, ma proprio i "federati di sinistra" sono i primi a mettere al centro la necessità delle alleanze. Dunque non è quel sistema a svincolare dalla logica delle “coalizioni forzose”, quanto piuttosto una volontà politica.
Bizzarro, poi, l'annuncio della raccolta firme per «l’abrogazione della legge 30» che fu mantenuta, nonostante ben altri impegni elettorali, durante l'ultimo governo di centrosinistra ed anzi riconfermata anche dal PRC incluso l'allora ministro Ferrero, appena due anni fa, con il famigerato accordo sul Welfare.
Ora questa raccolta firme viene proposta come fiore all'occhiello di un rilancio delle lotte sociali, per un referendum che, forse, si terrà tra due anni, ed i cui quorum da anni non vengono mai raggiunti.
Se si punta all’alleanza con PD e UDC nelle regioni ed in prospettiva per il governo del paese, non li si può certo irritare. Ecco allora che una raccolta firme è un'operazione-immagine discreta e poco irritante, ed allo stesso tempo consente di accumulare una massa critica contrattuale da spendere sul terreno negoziale con PD e UDC.
Quanto ai “contenuti programmatici chiari e condivisi” sulle alleanze regionali, PRC e PdCI da molti anni sono parte di giunte (Campania, Calabria, Liguria, Marche, Toscana, Umbria) che stanno cercando di confermare (talvolta allargandole all'UDC) ed il cui triste lascito, non messo effettivamente in discussione, si chiama dissesto delle politiche sanitarie, cliniche private, speculazioni affaristiche, sostegno finanziario alle scuole private, incuria ambientale, devastazione del territorio, insensibilità alla cura dei beni comuni, precariato, eccetera.
Insomma, dalla “svolta a sinistra” opposta a Vendola, quando si trattava di ottenere i voti congressuali, all'apertura all'UDC.
Questa deriva è figlia di un antiberlusconismo irrazionale e strumentale. Da quindici anni andiamo sostenendo che si tratta di un allucinogeno ideologico che svia dall'individuazione dei veri poteri e dei veri decisori in questo paese. Le aspettative sociali di cambiamento sono candidate ad un destino di illusorietà e a determinare impotenza e frustrazione se, nell’indicazione anche condividibile di una serie di ambiti e tematiche di lotta da rilanciare, si elude questo nodo, che è anche la vera questione morale e di democrazia di questo paese.
La pericolosità di Berlusconi, che pure esiste, si batte solo con una rivendicazione della piena sovranità ed indipendenza di questa nazione, una conseguente e coerente opposizione sociale ed una prospettiva, almeno di massima, di cambiamento sistemico.
E' infatti sull'idea di CLN, evocata da Ferrero, che l'equivoco è patente, tanto più se la si lega alla difesa della Costituzione. Centrodestra e centrosinistra sono referenti servili delle politiche neoliberiste impresse dai dominanti di questo paese, gli Stati Uniti, direttamente e per via interposta dell'Unione Europea.
Ma ad essere disattesa, ed in molti suoi articoli divenuta carta straccia, la Costituzione lo è da molto, molto tempo e ad opera di entrambe queste compagini neoliberiste. L'attacco ai principi e valori della Costituzione, se si vuol scendere su questo terreno, è condiviso a destra come a sinistra nelle politiche antipopolari ed atlantiste sinora condotte. Il centrosinistra è inoltre responsabile per averla minata con l'introduzione della legge elettorale maggioritaria e la modifica del Titolo V.
Se di CLN si vuole parlare, si evidenzi la necessità di mettere in discussione, innanzitutto, la condizione servile di questo paese e di conseguenza gli attori politici (i sub/dominanti di centrodestra e centrosinistra) che occupano il proscenio per gli interessi delle oligarchie, di cui sono parte, e per la loro funzione contoterzista di tutelare quegli interessi nell'ambito della dipendenza imperialista che in ultima istanza hanno fatto propria. È da una critica politica e sociale alla condizione servile di una nazione che si arriva ad una sensata messa in discussione degli attori politici di casa propria, a qualunque cordata appartengano.
La catena di comando all'origine della dipendenza di questo paese è trasversale agli schieramenti politici sub/dominanti, che tra loro si contrastano per ragioni di potere e di tutela di confliggenti interessi imprenditoriali interni. Non prendere atto di questa condizione, e trarne le debite conseguenze politiche, come emerge dalla direzione politica su cui si è incamminata la Federazione della Sinistra, più che un errore di lettura o di omissione, pare sempre più diventare una consapevole connivenza ed accettazione dell'esistente.Regionali, nel Lazio il Pd vicino alla Bonino. L'Udc:"Se è così stiamo con la Polverini
da www.repubblica.it - 6 Gennaio 2010
L'Udc sembra sciogliere le ultime riserve per le regionali nel Lazio. "Se i candidati sono Bonino e Polverini, noi siamo con la Polverini", ha detto il centrista Pier Ferdinando Casini, in un'intervista al Tg2.
Anche Zingaretti ha terminato le consultazioni per individuare un candidato di centrosinistra: "A questo punto - ha detto al segretario Bersani - o si individua una forte e autorevole candidatura di carattere nazionale o occorre verificare la possibilità di sostenere la candidatura di Emma Bonino".
L'Udc. Casini ha spiegato di stimare la candidata del Pdl sia per "il lavoro svolto all'Ugl" sia per la sua "grande battaglia a favore del quoziente familiare". "In Puglia - ha sottolineato Casini - abbiamo scelto un moderato, perché Boccia è un moderato. Nel Lazio la patata bollente è nelle mani del nostro segretario Cesa, che vedrà come dipanarla". Quanto alle accuse di Berlusconi di praticare "alleanze variabili", Casini ha risposto: "La nostra scelta di alleanze variabili serve ad uscire da questo schema di una politica bipartitica finta e fittizia in cui i grandi partiti litigano su tutto al loro interno".
Scambio di auguri Bonino-Polverini. "Faccio gli auguri ad Emma Bonino che è una donna che stimo. La strada non è mai in discesa. Le campagne elettorali sono importanti: bisogna conquistare voto per voto", ha detto la candidata del Pdl alla presidenza della Regione Lazio, Renata Polverini, nel corso di una intervista al Tg5. "Stimo Renata - ha replicato Emma Bonino sempre dagli schermi del Tg5 - e penso che nessuna delle due ne uscirà battuta se sapremo dare vita a un confronto civile, senza lacerazioni, veramente antipartitocratico, solo se sapremo liberare la politica da questa nausea che riesce a provocare in tutti".
Intanto Nicola Zingaretti ha concluso il suo mandato esplorativo. Il presidente della Provincia di Roma ha già inviato le sue riflessioni al leader del Pd Pierluigi Bersani. "A questo punto, emerge l'invito al Partito Democratico di assumere una iniziativa politica che, sulla base dei colloqui avuti, a mio giudizio dovrebbe concentrarsi su una scelta tra due ipotesi: o l'individuazione di una forte e autorevole candidatura di carattere nazionale, una novità da cui ripartire, o la verifica di un possibile sostegno alla candidatura di Emma Bonino".
"E' evidente - spiega in una nota il presidente della Provincia di Roma - che il centro sinistra debba chiudere in tempi rapidi la questione della candidatura nel Lazio. Per questo, in questi due giorni, ho svolto molti colloqui con gli esponenti politici coinvolti nella ricerca di una candidatura del centrosinistra e sostenuta dall'Udc". "Purtroppo - osserva - in base a quanto ho potuto appurare in questo momento, ancora non esistono le condizioni per una candidatura che coinvolga tutte le forze di una coalizione così larga. Prevalgono ancora valutazioni e attese sia di carattere programmatico che di ricerche di equilibri di carattere nazionale che possono sicuramente avere una soluzione positiva".
Ma per il Pd sembra profilarsi un travaglio anche più sofferto di quello provocato dal caso Vendola in Puglia. Almeno così sostiene Paola Binetti: "Un sostegno alla candidatura di Emma Bonino sicuramente sarebbe per me una ragione forte per andare via", dice la deputata teodem in un'intervista che sarà pubblicata domani da Liberal: "Ci sarebbe una vera e propria emorragia - spiega - pensiamo davvero che la componente popolare, ad esempio, potrebbe mai far accettare al proprio elettorato la candidatura di un personaggio dal profilo senza dubbio internazionale, forte, ma anche così scolpito da essere in antitesi con tutta una serie di valori?".
Puglia. Continua intanto il lavoro esplorativo di Francesco Boccia in Puglia. Nel pomeriggio il deputato del Pd e il segretario regionale pugliese del partito, Sergio Blasi, daranno il via alle audizioni con i partiti del centro sinistra nel tentativo di trovare un'intesa per l'individuazione di un candidato unico alla carica di governatore.
Lunedì scorso Boccia ha ricevuto dalla segreteria nazionale del Pd un mandato esplorativo di 48 ore per ricercare un nome che possa allargare il più possibile l'alleanza. Ieri l'Udc si è detta disposta ad appoggiare Boccia a condizione che entro lunedì prossimo il candidato presenti la coalizione che lo appoggia, indipendentemente dalla posizione del governatore uscente, Nichi Vendola (Sinistra ecologia e libertà).
Quest'ultimo ha confermato la candidatura alla quale rinuncerebbe solo se venisse sconfitto nelle primarie rispetto alle quali Boccia è indisponibile. L'audizione più attesa, quella di Boccia e Blasi con Vendola, è in programma - fanno sapere dalla segreteria del candidato-esploratore - non prima di domani al rientro del governatore da un viaggio all'estero.
Idv: "Con il Pd confronto sospeso in Emilia e Umbria". L'Italia dei valori continua ad incalzare il Pd. "In attesa dei chiarimenti sulle alleanze, che il presidente dell'Italia dei valori Antonio di Pietro ha richiesto inviando una lettera aperta al segretario del Pd Pier Luigi Bersani, l'Idv dell'Emilia Romagna sospende momentaneamente ogni trattativa con il Pd emiliano romagnolo in vista delle prossime elezioni regionali di marzo". Lo dice Silvana Mura coordinatrice regionale dell'Idv.
Ancora più duro il comunicato di Leoluca Orlando, garante regionale Idv Umbria: "Gli attacchi, gli atteggiamenti di sufficienza e di mancato rispetto nei confronti dell'Italia dei valori da parte del Partito democratico, nelle persone dell'onorevole Enrico Letta e dell'onorevole Marina Sereni - recita un comunicato - non consentono in Umbria, come nelle altre regioni, l'avvio di quel confronto che auspicavamo e per cui eravamo pronti". In precedenza anche l'Idv piemontese aveva sospeso il confronto con il Pd.
Umbria. Intanto per il Pd c'è da affrontare anche il caso Umbria, dove per evitare le primarie tra Mauro Agostini, ex-tesoriere del Pd, e la presidente uscente Rita Lorenzetti, si potrebbe arrivare a una soluzione unitaria magari sul nome di Marina Sereni, vicepresidente del Pd ed ex-numero due alla guida del gruppo parlamentare alla Camera.
Feltri, contro Fini attacco senza freni. "Poveraccio, non sa quello che fa"
da www.repubblica.it - 6 Gennaio 2010
Lo scontro non accenna a placarsi. Nonostante gli inviti ad abbassare i toni che arrivano dall'interno del Pdl, Vittorio Feltri continua la sua campagna personale contro il presidente della Camera Gianfranco Fini. Prima con l'ennesimo titolo ad effetto sul giornale che dirige: "Perchè Fini resta nel centrodestra?".
Poi, nel pomeriggio, ospite di Cortinaincontra, rincara la dose: "Non so quello che succederà tra Fini e Berlusconi nel corso di quest'anno, poichè nessuno sa cos'abbia in testa Fini e, forse, nemmeno lui". E così, anche oggi, la polemica è servita. Condita da toni duri che non sono una novità: "Fini? Poveraccio capisco che lui si trovi in difficoltà, dato che probabilmente ha poche idee e confuse. E le prende a prestito dalla sinistra'' dice il giornalista. Un'uscita che provoca l'ira dei finiani che chiedono a gran voce l'intervento di Berlusconi.
Non usa metafore il direttore del quotidiano berlusconiano. E ripercorre, a suo modo, l'iter politico di Fini: "Aderì al Pdl perchè aveva paura di contarsi, chiese un ruolo istituzionale e lo ottenne divenendo presidente della Camera con una bella poltrona, un grande appartamento, camerieri, servitori: capite, per uno che non ha mai lavorato avere tutto quel po' po' di roba. Poi, una volta abituato agli agi si è accorto di non avere più un partito in cui comandare, perchè in quello nel quale era confluito uno che comandava c'era e c'è già: Silvio Berlusconi".
E' un fiume in piena Feltri. E a Fabrizio Cicchitto che gli ricorda come i suoi attacchi a Fini siano dannosi per il Pdl, ribatte così: "Il mio pensiero non è il pensiero del PdL: io non faccio politica, la faccia piuttosto Cicchitto che mi sembra pure abbia la faccia giusta per farla.' Poi la fosca previsione: "Alle prossime elezioni regionali ci sara' un travaso di voti dal Pdl alla Lega, questo avverra' perche' quelli che Fini al Nord ha deluso, voteranno per la Lega''.
Le parole di Feltri sono benzina sul fuoco. E la reazione dei fedelissimi di Fini si fa sentire. C'è chi, come il senatore Andrea Augello, dalle pagine del 'Secolo' chiede un documento del direttivo del Pdl contro Vittorio Feltri. Chi, come Flavia Perina, spiega che "le vacanze sono finite ed è ora che si pronunci chiaramente Silvio Berlusconi". Chi, come Marcello De Angelis, parla di "vera e propria campagna d'odio al cospetto della quale l'aggressione della stampa ai danni di Berlusconi è una cosetta da bambini...".
Contro Fini a testa bassa, dunque. E contro tutti coloro che il direttore del Giornale individua come vicini al presidente della Camera. "Adesso hanno candidato una amica di Fini, Renata Polverini. Tutti i giornali di sinistra la appoggiano, ha un tale di nome Claudio Velardi, amico di D'Alema che gli fa la campagna elettorale, non si capisce più niente. Praticamente, in questo modo se prima nel Pdl c'era un'ala destra, ora c'è un'ala sinistra . Su di lei ho avuto anche una polemica con Daniela Santanchè: lei dice che è una donna e va incoraggiata. Io non mi ero accorto che fosse una donna, per questo non sono stato Cavaliere".
Montecitorio discount
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 3 Gennaio 2010
Prendi 5 e paghi 1. Fosse un’offerta di una qualche catena di supermercati, a quest’ora i punti vendita sarebbero stati presi d’assalto da orde di massaie inferocite; ma della ghiotta promozione in questione si può usufruire solo se si è titolari di un partito politico. Sebbene nel 1993 i 90,3% degli italiani si sia espresso negativamente riguardo ai finanziamenti pubblici ai partiti, è cosa nota che l’odioso meccanismo è stato sostituto da quello ancor più subdolo dei rimborsi per le spese elettorali.
Quello che ancora non si sapeva - e che la Corte dei Conti nella sua relazione annuale ha puntualizzato - è che per ogni Euro speso in campagna elettorale sono almeno 4 e mezzo quelli che ritornano nelle casse dei singoli partiti. Le cifre esatte dell’ultima tornata elettorale ammontano a 110 milioni di euro per le spese e a 503 milioni di euro per i rimborsi. Decisamente troppo.
Il problema però non sta tanto nell’eventuale lievitazione nei rendiconti di spesa che le formazioni politiche sono tenute a presentare subito prima e immediatamente dopo il voto: la vera e propria beffa sta nelle norme che regolano la pratica.
In base alla legge del ’93, infatti, quelli che formalmente sono rimborsi, ma che effettivamente sono finanziamenti di denaro pubblico, non vanno calcolati in base alle effettive spese sostenute, ma vengono erogati in base ad una cifra fissa calcolata non tanto sulle reali preferenze alle urne ma sul numero degli aventi diritto.
E pazienza se il numero di persone che vanno effettivamente a votare sono molte meno di quelle che ne avrebbero costituzionalmente diritto.
Secondo questi dettami, possiamo vedere come per le politiche del 2008 il Pdl abbia incassato ben 206 milioni di Euro, a fronte di una spesa reale di circa 53 milioni di Euro. O come il Pd abbia sopportato costi elettorali per 18 milioni, ma sarà risarcito con 180 milioni. La Lega abbia avuto uscite per meno di 3 milioni e riceva entrate per 41 milioni.
E persino un ipotetico baluardo della legalità, come l’Italia dei Valori, pur avendo più volte cercato di invertire la rotta legislativa in materia di rimborsi pubblici, abbia anticipato 3 milioni per incamerare poi, senza fiatare, ben 21 milioni di rimborso.
Ma c’è di più. Anche altre formazioni partitiche che non sono approdate in Parlamento hanno diritto al rimborso pubblico. Così è andata per La Destra di Storace, che a fronte di 2 milioni spesi ne riceve 6 e per la Sinistra Arcobaleno che ne dà 8 e ne riceve 9.
Per fortuna però, non si danno contributi a cani e porci e così per liste come “Associazione difesa della vita - Aborto? No grazie” - quell’abominio politico scaturito dall’incontenibile fervore cattolico di Giuliano Ferrara - non avendo raggiunto la soglia dell’1%, non ci sarà l’obbligo d’indennizzo.
C’è però un altro punto che dovrebbe far riflettere più degli smisurati cachet (perché di questo alla fine si tratta) che vengono elargiti agli attori politici. Nel dicembre 2005, agli sgoccioli del governo Berlusconi III, la legge 5122 ha stabilito che i fondi pubblici destinati al rimborso sono dovuti per tutti e cinque gli anni della legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva. Perciò, anche in caso di crisi e cambiamento di governo, i soldi arrivano comunque.
Se infatti prendiamo la XV legislatura - l’ultima del governo Prodi, per intenderci - scopriremo che da quella gli attuali partiti di maggioranza e opposizione hanno guadagnato e stanno guadagnando circa 300 milioni, cento milioni all’anno fino al 2011, data della scadenza naturale della legislatura iniziata proprio nel 2006.
Insomma, non importa che il mandato si sia concluso, l’erogazione continua lo stesso e se i pagamenti arrivano in ritardo, si aggiungono pure gli interessi legali!
Ora, non che si voglia insinuare che i partiti debbano svolgere il loro - per quanto pessimo - lavoro cavando di tasca propria tutto il necessario per far ingranare macchine burocratiche così pantagrueliche; la democrazia ha dei costi e solo nei regimi dispotici non esistono partiti da foraggiare.
La cosa che preme di più sottolineare è l’assoluta sproporzionalità di questo do ut des squisitamente italiano. La legge attuale è un insulto all’intelligenza e come unico obbligo prevede di dichiarare spese al di sotto di un certo tetto, che corrisponde a circa 50 milioni di euro.
Oltre ad essere lautamente rimborsati i partiti, pur non sforando il tetto, tendono a gonfiare le loro dichiarazioni di spesa allo scopo di evitare che i parametri di rimborso vengano fissati proprio sul rapporto effettivo della spesa. Perciò i costi delle campagne elettorali sono cresciuti in maniera smisurata: i contributi statali prescindono da essi e sono molto superiori.
Dal 1994, anno zero della Seconda Repubblica, i cittadini italiani hanno contribuito al mantenimento dei partiti con ben 2.253.612.233 Euro, contro 579.004.383 di spese accertate. Il guadagno netto della compagine politica ha i numeri di una finanziaria: c’è di che congratularsi. Cin cin.Toponomastica riabilitativa
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 30 Dicembre 2010
Chi da bambino non si è mai chiesto chi fossero i signori e le (sempre poche) signore a cui erano intitolate magari la via di casa o la piazza del paese? Chi non ha mai spiegato al proprio figlio o nipote chi fosse l’Aldo Moro del piazzale di fronte casa del nonno, oppure cosa fossero le Fosse Ardeatine a cui è titolata la via della scuola?
La toponomastica, fin dalla sua lontana nascita, è frutto di una precisa esigenza di identificazione storica e culturale, ed è forse per questo motivo che in molti hanno già sollevato una dura polemica nei confronti dell’intenzione di dedicare una via o un parco comunale milanese al defunto leader socialista Bettino Craxi.
Probabilmente, nella frenesia di celebrare degnamente il decimo anniversario dell’illustre trapasso, il sindaco di Milano Letizia Moratti ha scordato di pensare alle risposte scomposte che un nonno o una mamma dovranno dare all’eventuale prole, curiosa di sapere chi mai sia l’uomo che dà il nome al loro indirizzo o al giardinetto sotto casa.
Delle monete lanciate all’hotel Raphael ne abbiamo tutti vivida memoria, ma se si tratta di ripercorrere la lunga vita politica del primo uomo di sinistra assurto a palazzo Chigi, sono molte le amnesie che colpiscono chi deve raccontare e sono altrettanti i buchi di chi vuole ricordare.
Bettino Craxi è stato il delfino di Pietro Nenni e come tale è divenuto segretario del Partito Socialista Italiano all’indomani della crisi dinastica scaturita dall’anomala tornata elettorale del giugno 1976, che vide il PCI di Berlinguer balzare ad un inaspettato 34,4% e minacciare così la supremazia incontrastata della DC.
Dopo 7 anni e svariati governi di breve respiro, il nostro riesce a farsi affidare da Pertini la presidenza del Consiglio grazie a quella raffinatissima opera di inciucio politico che fu il Pentapartito (formato da PSI, DC, repubblicani, democratici e liberali).
In 1093 giorni - perché questa fu la lunga durata della sua prima prova - Craxi riuscì a gonfiare smisuratamente la spesa pubblica, ad aumentare il rapporto Pil-debito pubblico dal già pessimo 70% al disastroso 90%; compì condoni edilizi e pur di aiutar l’amico Silvio (allora solo un gretto palazzinaro con il vezzo della tivvù) arrivò a porre la fiducia sul decreto che con un geniale colpo di spugna rendeva legali le illegali trasmissioni propagate da Cologno Monzese.
Tentò poi una riforma costituzionale in chiave presidenzialista e per poco non fece scontrare l’esercito italiano con quello americano durante i famosi 5 giorni della cosiddetta “crisi di Sigonella” e del sequestro dell’Achille Lauro. Un curriculum politico sicuramente degno di nota, che per chiudere in bellezza aveva bisogno di un’azione plateale e fragorosa come in effetti fu lo scoppio di Tangentopoli.
Bettino se la cavò con una ventina di avvisi di garanzia per corruzione e finanziamento illecito - mossi a suo dire da un “preciso disegno politico” della Procura di Milano (ricorda niente?) - e seppur condannato rispettivamente a 5 anni e 6 mesi, e a 4 anni e 6 mesi, non scontò nemmeno un giorno di carcere in quanto nel maggio del 1994 si auto-esiliò ad Hammamet, in Tunisia.
Una latitanza a tutti gli effetti, in cui, oltre a trovare la morte per cause ovviamente fisiologiche, trovò anche un degno riparo dai numerosi processi che lo vedevano coinvolto e che furono puntualmente chiusi nel 2000, ad avvenuta dipartita dell’imputato.
Ora, non che si voglia condannare questo ex presidente alla damnatio memoriae che colpì Comodo così come Caligola - è roba antica e mal si confà alla già corta memoria storica del popolo italiano - ma dedicare un qualsiasi luogo ad un personaggio di tal risma, a soli 10 anni dalla morte, sfugge ad ogni logica, oltre che al buon gusto.
Negli anni in molti hanno cercato di far titolare qualsivoglia oggetto al vecchio Bettino: la prima è stata la figlia Stefania che già nel 2002 scriveva accorata al sindaco Albertini, affinché la città di Milano restituisse all’uomo Craxi un po’ dell’affetto che egli le aveva elargito (via mazzetta); ad un certo punto si arrivò quasi a posizionare una targa sul portone del suo ufficio, in piazza Duomo 19, ma le dure reazioni dei componenti dell’ex pool di Mani Pulite mandarono all’aria il nobile progetto.
Il 19 gennaio si compirà il decennale della morte di Craxi e, stando al trend imperante dell’agenda berlusconiana, i tempi sono ormai maturi per riabilitare quello che in molti chiamavo “Bottino” ma che, proprio per la sua particolare posizione politico-giudiziaria, è un ottimo testimonial; un baluardo che riporti alla mente la terreur di Tangentopoli, ricordando implicitamente quanto cattivoni siano anche i magistrati odierni che, per “preciso disegno politico”, stanno perseguitando il povero e disarmato Silvio. O no?Le nuove rotte dei rifiuti
di Alessandro Iacuelli - Altrenotizie - 6 Gennaio 2010
Potrebbe sembrare un controsenso, quanto appare da alcune indagini condotte dalla magistratura e dalle autorità doganali del nostro Paese. Eravamo abituati a vedere i rifiuti industriali italiani, in particolare quelli tossici, prendere la via dell'Africa, a fare compagnia a quelli di quasi tutto il resto d'Europa, invece il nuovo quadro che emerge, alla soglia del secondo decennio del XXI secolo, indica una inaspettata inversione di tendenza: dall'Italia all'Africa, e poi di ritorno nel nostro Paese. E' questo il nuovo affare (economico) che circonda gli scarti velenosi del nostro mondo produttivo. Quei rifiuti tossici tornano in Italia.
Si tratta per lo più di scarti industriali e rottami ferrosi contaminati con sostanze nocive, o a volte radioattive. Sostanze che per legge non sono più riutilizzabili nei cicli di produzione industriale, ma sono destinate ad essere smaltite come rifiuti speciali.
Invece succede che... vengano riutilizzate, e non si tratta certo di riciclaggio o riutilizzo di materie prime seconde, ma di avvelenamento pericoloso di nuovi prodotti che finiscono sul mercato.
Il percorso dei rifiuti si fa più accidentato: viene imbarcato via mare in porti già noti per questo tipo di attività, in particolare quelli di Liguria, Toscana e Campania, in misura minore anche in Calabria e Sicilia.
Spesso, sfuggono ai controlli doganali, con tecniche già note: sulle bolle di accompagnamento c'è scritto che si tratta di generi alimentari, veicoli, materiali edili e, nel caso di rifiuti elettronici, addirittura come materiale informatico per lo sviluppo e la cooperazione con i Paesi del Terzo Mondo.
L'Agenzia delle Dogane, notevolmente sottodimensionata rispetto alle esigenze del Paese, fa quel che può, ma in Italia ci sono porti che movimentano oltre trenta milioni di container l'anno, il che significa una media di un container al secondo: impossibile controllarli tutti senza paralizzare le operazioni di imbarco e di sbarco dei mercantili.
Vengono usate alcune tecniche di campionamento, per selezionare i container da sottoporre a controlli, ma molti sfuggono lo stesso. Nonostante ogni mese nei porti italiani vengano sequestrate diverse tonnellate di merci che merci non sono.
Una volta usciti dal nostro Paese, dopo un po' ritornano. Nel 2008, la Guardia di Finanza e l'Agenzia delle Dogane hanno individuato 4.000 tonnellate (una quantità modesta, rispetto al totale) di rifiuti pericolosi provenienti dall’Africa, dall'America e dal Nord Europa, oltre che centinaia di tonnellate di rifiuti speciali provenienti dall'Albania e dalla Croazia. Di che materiali si tratta, e perché arrivano da noi?
Si tratta di catalizzatori esausti, contaminati con sostanze tossiche, prodotti chimici e soprattutto pet coke, un sottoprodotto del petrolio che si ottiene dal processo di condensazione di residui petroliferi pesanti e oleosi, viene usato come combustibile economico, ma ha un problema: è altamente cancerogeno in quanto contiene zolfo al di la dei livelli previsti dalla legge.
Ma costa pochissimo, trattandosi di un rifiuto, pertanto se lo si riesce a far entrare in Italia per vie traverse, il guadagno è assicurato. Un carico di pet coke è stato bloccato, nei mesi scorsi, nel porto di Gela.
Le indagini condotte dal sostituto procuratore catanese Antonio Nicastro hanno consentito di ricostruire tutta la filiera di (falso) smaltimento e riuso: il carico proveniva dal Venezuela e arrivato nel porto di Gela ed era destinato ad un cementificio di Siracusa, che l'avrebbe usato come combustibile, rilasciando in atmosfera tutti i suoi pericolosi prodotti di combustione.
Invece a Salerno, la Guardia di Finanza ha sequestrato nel porto un bel numero di containers provenienti dall'Irlanda e da alcuni paesi dell'Africa centrale, contenenti sostanze tossiche e materiali elettronici di scarto: questo materiale era destinato ad una società romana, assolutamente fittizia, che era stata incorporata da anni da un'altra società con sede a Milano. Si trattava degli stessi rifiuti che avevano lasciato illegalmente l'Italia ed avevano preso la via del del Benin.
Tornati in Italia per essere riutilizzati nei processi produttivi di molte industrie italiane, per risparmiare a discapito della nostra salute. Combustibili altamente tossici che ci mostrano, in tutta la loro cruda realtà, quando in Italia siamo lontani dalle logiche industriali che tutelano la salute e l'ambiente.
E si risparmia non solo sul combustibile, ma anche in un altro modo: importando illegalmente le sostanze tossiche, eludendo le dogane, si froda anche il fisco. Nelle scorse settimane, un'indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Bergamo ha portato alla luce un traffico illecito di rifiuti realizzato attraverso società filtro, create appositamente e successivamente trasferite in altre regioni e avviate alla liquidazione, per gestire un'enorme quantità di rifiuti di origine ignota e di qualità chimico-fisiche sconosciute.
Le società fantasma servivano anche a mantenere immacolate e preservare dai controlli della polizia ambientale altre società sempre riconducibili agli indagati, alle quali erano poi rivenduti i rifiuti ripuliti.
L'organizzazione usava fare pagamenti fittizi a mezzo di denaro contante, espedienti finalizzati a celare vere e proprie distrazioni di fondi societari, quantificati in circa 7 milioni di Euro, canalizzati principalmente verso la Repubblica di San Marino, e utilizzando anche nominativi di fantasia.
Il 16 ottobre scorso, era toccato alla Guardia di Finanza di Brescia scoprire una triangolazione societaria, anche questa fatta con la Repubblica di San Marino. Ad essere movimentati erano i materiali ferrosi che compongono gli scarti delle acciaierie, di cui è pieno una parte del territorio bresciano.
Anche in questo caso, il fisco veniva eluso tramite un giro di fatture false: decine di milioni di euro venivano spostate a San Marino mediante meccanismi tali da disperdere le tracce dei pagamenti delle transazioni illecite.
Sul fronte "tecnico" della sparizione dei rifiuti, il comitato Seagull, associazione con sede a Molfetta, dedita alla tutela degli interessi dei marittimi, che prende il nome dall'omonima nave naufragata nel 1977, lancia una pesante quanto importante accusa: la presenza di marinai extracomunitari a bordo delle navi, spesso sotto ricatto.
Non solo lavorano in scarsa sicurezza e con stipendi al ribasso, ma il ricatto che subiscono è l'obbligo, pena il licenziamento, di sversare in mare i rifiuti tossici che non possono essere rivenduti a nessuno, ma che vanno per forza smaltiti.
In pratica, il 2010 inizia con un quadro preoccupante. E ancora si attende una presa di posizione seria da parte delle potenti organizzazioni degli industriali italiani. Così, mentre Confindustria lamenta presso il governo le deboli strategie per uscire dalla "crisi" e tace sui suoi stessi smaltimenti illeciti, l'Agenzia delle Dogane ipotizza per il nuovo anno un boom delle importazioni illegali di pet coke.
Si tratta chiaramente di un riciclo illegale, e pericoloso. Ma l'industria italiana, perennemente in crisi, pur di risparmiare qualcosa sui combustibili appare addirittura disposta ad avvelenare il territorio.
Il bilancio, sempre del 2008, poiché i dati del 2009 non sono ancora stati resi noti, parlano chiaro: l’Agenzia delle Dogane ha sequestrato in tutto l'anno 106.000 tonnellate di pet coke.
La cosa che fa venire i brividi è che molto di questo veleno era destinato a fare da combustibile nei forni d’industrie alimentari, italiane, soprattutto produttori di zucchero e di prodotti dolciari. E i rifiuti arrivano nei nostri piatti.