martedì 19 gennaio 2010

Elezioni in Ucraina: la fine della cosiddetta "rivoluzione arancione"

Alcuni articoli sulle elezioni presidenziali che si sono svolte in Ucraina domenica scorsa.

Il prossimo 7 Febbraio andranno al ballottaggio Victor Yanukovich e l'attuale premier Julia Timoshenko, mentre il presidente in carica Victor Yushchenko ha raccolto solo le briciole mettendo fine con ogni probabilità alla sua carriera politica.

La cosiddetta "rivoluzione arancione", fomentata e finanziata nel 2004 dall'Occidente, è ormai acqua passata dal momento che la situazione economica interna e la realpolitick imporranno al prossimo presidente dell'Ucraina di ristabilire buoni rapporti con la Russia.

E la Timoshenko, data per favorita al ballottaggio, l'ha già capito bene.


Ucraina, finale scontato
di Micol Sarfatti - Peacereporter - 18 Gennaio 2010

Yanukovich in testa, ma al ballottaggio la favorita è Yulia Timoshenko

Nessuna sorpresa in questa prima tornata elettorale delle elezioni presidenziali ucraine.
Come previsto, al ballottaggio del 7 febbraio si sfideranno Viktor Yanukovich, e Yulia Tymoschenko.

Il leader filo-russo del Partito delle Regioni ha raccolto il 35,7 percento dei consensi, la maggior parte nell'area sudorientale del paese, soprattutto a Donetzk, sua città e capitale della regione mineraria.

L' ex pasionaria, attuale primo ministro, ha ottenuto il 24,7 percento dei voti, conquistando Kiev e l'ovest del paese. La vera sconfitta di queste elezioni è la rivoluzione arancione:il presidente uscente Viktor Yushchenko, uomo simbolo del movimento liberale filo-occidentale che trionfò nel 2004, ha ottenuto solo il 5,5 percento delle preferenze.

"Il suo declino è cominciato nel 2005, con i litigi con i compagni di partito che lo hanno poi abbandonato. Non ha avuto sostegno in questa campagna elettorale, era sconfitto in partenza, anche se sperava di prendere il 20 percento", racconta Serhij Rudenko, giornalista e scrittore ucraino.

Sarà l'outsider Serhij Tihipko, favorito dell'intellighenzia ucraina, a fare da ago della bilancia: i due papabili alla presidenza si contenderanno il suo pacchetto di voti. Entrambi, in caso di vittoria, potrebbero nominarlo Primo Ministro, ma l'ex banchiere non sembra voler appoggiare nessuno, pensa a candidarsi alle elezioni amministrative della prossima primavera.

L'affluenza alle urne è stata scarsa, ulteriore prova della disaffezione degli ucraini verso la politica. Solo il 47 percento dei 36 milioni di elettori si è presentato alle urne, sette punti percentuali in meno del primo turno 2004 e molto al di sotto le stime ufficiali.

Su 18 candidati 13 hanno ottenuto meno del 13 percento e la Maidan, piazza principale di Kiev e teatro della rivoluzione è rimasta desolatamente vuota: a ravvivarla solo le luminarie del natale ortodosso, passato peraltro da tempo.

Gli schermi di bar e ristoranti trasmettono in tempo reale gli aggiornamenti sull'esito delle elezioni, ma nessuno li segue. Tra gli ucraini è tangibile il pessimismo riguardo alle sorti del paese, vessato da una pesante crisi economica che ha infranto i sogni europei della rivoluzione arancione.

L'entusiasmo del 2004 è ormai un ricordo lontano, ma secondo, Konstantin Zatulin, direttore dell'Istituto dei Paesi della Csi, al ballottaggio di febbraio l'atmosfera sarà incandescente. Il clima gelido di questi giorni non lo fa subodorare. Ma staremo a vedere.


Kiev, la rivoluzione inesistente
di Stefano Grazioli - Megachip - 18 Gennaio 2010

Per favore non si venga adesso a parlare di restaurazione. E non solo per il fatto che comunque bisogna aspettare il secondo turno. Perché ci possa essere una restaurazione ci deve essere stata una rivoluzione. E non sembra proprio che nel 2004 in Ucraina ce ne sia stata una.

Certo, le proteste di piazza andate in diretta televisiva in tutto il mondo, lo sventolio di bandiere arancioni, le cronache di dozzine di giornalisti occidentali incantati come babbei dalle trecce della bella Yulia Timoshenko, gli urlati assensi e gli assordanti silenzi delle cancellerie europee hanno fatto passare un regime change per una rivoluzione popolare, la vittoria della moderna democrazia filoeuropea contro la vecchia dittatura filorussa. Ma poi?

Poche voci in Occidente avevano avvertito che si trattava di un bluff. Peter Scholl Latour, decano degli inviati tedeschi, ha scritto che a Kiev mancava solamente l’arrivo dal cielo di paracadusti americani per far capire anche ai più stolti di che cosa di trattava. Altro che rivoluzione.

Ora, cinque anni dopo, con il povero Victor Yuschenko costretto a leccarsi le ferite dopo un primo turno disastroso che lo ha spedito a casa con la coda tra le gambe, anche i più ingenui possono trarre le loro conclusioni.

Per favore non si venga a dire che l’Ucraina ha fatto passi avanti. E non lo si faccia nemmeno presentando la solita classifica di Freedom House. Perché avvenga una rivoluzione non si deve tagliare solo qualche testa: si deve cambiare, rivoluzionare tutto il sistema di potere.

Cosa che ovviamente non é avvenuta a Kiev e non bisognava essere dei profeti giá cinque anni fa per capire che ciò sarebbe stato impossibile. Conoscendo gli attori in gioco. Che oggi sono rimasti quelli di allora.

L’avvelenatore Victor Yanukovich é stato votato in massa. L’alfiere della democrazia Yuschenko spedito a casa con un calcio nel sedere. La pasionaria di bianco vestita ha pensato bene di convertirsi al putinismo pur di non far la fine del suo vecchio alleato.

L’Ucraina di oggi é bloccata come ieri dalla devastante commistione tra potere politico ed economico e da un sistema costituzionale che paralizza ogni tentativo di riforme. E non si confonda la libertá di stampa con un pluralismo su base oligarchica.

Per favore, infine, si aiuti sí l’Ucraina a non precipitare nel baratro, ma senza pensare a interessi terzi. Il Paese deve trovare la sua via tra Occidente e Oriente, ma proprio per la sua funzione di ponte non puó affidarsi a una classe politica che non consideri gli interessi nazionali e non sia capace di trovare un compromesso.

Il principale errore di Yushchenko in politica estera (con inevitabili e disastrosi influssi su quella interna) é stato proprio questo: c’é solo da sperare che il suo successore non lo ripeta.


Il ballottaggio ucraino
di Carlo Benedetti - Altrenotizie - 19 Gennaio 2010

In Ucraina, per ora, la “rivoluzione arancione” continua, pur se il suo leader massimo - il presidente Viktor Juscenko - esce sonoramente battuto dalla consutazione elettorale di domenica. Perchè le urne delle presidenziali lo hanno relegato al quarto posto con un umiliante 5%, mentre la sua ex alleata - Julia Timoshenko - ha raggiunto il 25%.

E’ andata quindi bene al maggiore sfidante, il leader del “Partito delle regioni”, Viktor Janukovic che ha superato il 33%. Ora sarà necessario andare al ballottaggio e il giorno fissato è il 7 febbraio.

Comincia da questo momento una nuova battaglia elettorale che verrà giocata, in particolare, ai tavoli delle trattative, poiché sulla scena politica del Paese sono attive varie formazioni minoritarie, che assumeranno un ruolo determinante quando si avvierà il ballottaggio tra Janukovic e Timoshenko.

Nel conto generale andrà poi messo quel 13% di voti riportati da Sergej Tighipko - ex presidente della banca nazionale e uno dei trenta uomini più ricchi del Paese - e quel 4% incassato dal leader comunista Piotr Simonenko.

Ora si tratta. E la partita del ballottaggio vedrà in campo non solo i personaggi tradizionali dello scontro politico locale, ma anche forze esterne. Mosca, in primo luogo. Perchè è chiaro che la Russia di Putin-Medvedev, pur avendo già appoggiato clamorosamente Janukovic, flirta ora con la Timoshenko, le cui azioni sono significativamente salite negli ambienti del Cremlino.

Intanto sul tappeto del ballottaggio tornano i grandi problemi del Paese e il nuovo voto si annuncia cruciale per i rapporti tra Kiev e l’Ovest ed anche per le relazioni generali dell’Est e della Russia con l’Europa.

Tutto questo tra la disillusione degli elettori, colpiti dalla crisi economica ma anche preoccupati per il fatto che l’Ucraina dipende pesantemente dalla Russia per i suoi bisogni energetici.

Soprattutto dopo le tensioni degli ultimi anni dovute alla querelle del gas. Gli ucraini sanno bene che chi uscirà vincente dal ballottaggio dovrà cercare di rivitalizzare l'economia e prendere il controllo delle finanze pubbliche, sostenute da un programma del Fondo monetario internazionale da 16,4 miliardi di dollari.

Non mancano però nubi grigie sull’intera vicenda elettorale di queste ore. Perchè in appoggio a Juscenko e alla Timoshenko sono arrivati dalla Georgia i “fratelli” dell’altra “rivoluzione”. Quella delle “rose”, che nel novembre del 2003 sconvolse l’intera regione avendo ricevuto fondi e sostegni da parte dell’occidente e dei servizi israeliani.

Ora a Kiev sono sbarcati oltre cinquecento personaggi, provenienti da Tbilisi, che si sono presentati come “osservatori” per garantire la normalità delle elezioni. Ma questa vicenda si è subito tinta di giallo.

Perchè - come risulta negli ambienti della diplomazia ucraina e russa - quasi tutti questi “agenti” (così li definisce la stampa russa) fanno parte delle strutture vicine ai servizi segreti georgiani. Una notevole parte sono militari.

Alcuni sono muniti di documenti falsi e tutti hanno seguìto corsi di addestramento per combattimenti corpo a corpo. Scopo di questa “invasione georgiana” - si rileva negli ambienti politici che appoggiano Janukovic - consiste nel prendere contatto con quanti sono restati “fedeli” alle prime mosse della rivoluzione arancione.

E nei piani dei georgiani ci potrebbero essere azioni diversive con l’organizzazione di proteste e manifestazoni contro Janukovic. Su questo pericolo i media della Russia insistono particolarmente, riportando anche la registrazione di un compromettente colloquio tra la Timoshenko e il suo amico presidente georgiano, Saakasvili, notoriamente antirusso e quisling degli americani.

Nello scontro interno ucraino rientra poi il tema religioso, dal momento che nel recente passato il presidente Jushenko lanciò l’idea di fondare una chiesa ortodossa ucraina svincolata dal Patriarcato di Mosca.

Attualmente la chiesa di Kiev è infatti subordinata alla Russia che è di fatto - dal punto di vista delle strutture religiose - l’unica sopravvissuta alla disgregazione dell’Urss. Molti dei territori un tempo parte dell’Unione e oggi indipendenti - come Ucraina, Bielorussia, Estonia, Lituania e Lettonia - continuano a fare riferimento, per ciò che concerne l’organizzazione ecclesiastica, a Mosca.

Il che dà modo alla Russia - che con Putin ha conosciuto una forte saldatura tra potere civile e potere religioso - di esercitare un’altra forma d’influenza, anche se decisamente più soft rispetto alle pressioni energetico-politiche, su nazioni sovrane non più parte dell’Urss ma ancora parte dello spazio russo.

Tutto peserà di conseguenza nel bilancio che gli ucraini dovranno fare nel momento in cui - il 7 febbraio, appunto - dovranno scegliere il nuovo presidente: uno Janukovic schierato sul fronte filorusso o una Timoshenko, pasionaria, volta all’Occidente, ma segnata fortemente dalle mode nazionaliste.