Anche in queste elezioni Regionali s'è registrato un notevole aumento della percentuale di coloro che hanno disertato le urne. L'affluenza al voto s'è assestata infatti intorno al 65% e quindi un sonoro 35% s'è astenuto, costituendo in teoria il primo partito d'Italia.
Un chiaro messaggio di rifiuto verso questa classe politica autoreferenziale, corrotta, incompetente e incapace di dare risposte concrete ed efficaci alla maggioranza della popolazione alle prese con una pesantissima crisi economica di cui non s'intravede la fine in tempi brevi.
Naturalmente questa cosiddetta classe politica farfuglierà che sull'aumento dell'astensione si dovrà riflettere, ma lo farà solo per pochi istanti rituffandosi a pesce immediatamente nella sterile discussione su chi ha vinto e chi ha perso. Il solito teatrino in cui tutti si dichiarano a loro modo vincitori.
Intanto però la percentuale del Partito dell'Astensione continua ad aumentare costantemente ad ogni tornata elettorale e la speranza è che sfondi al più presto la soglia del 50%.
Forse a quel punto nessuno s'azzarderà più a dichiarare di avere avuto il mandato per governare dalla maggioranza degli italioti - cosa che tra l'altro non è vera neanche adesso -, rendendosi conto magari di non avere più alcuna legittimazione per continuare a farsi i cazzi propri.
Italia-Partitocrazia: 2-1
di Carlo Bertani - http://carlobertani.blogspot.com - 29 Marzo 2010
Sono le 23 di Domenica sera: ho appena letto i risultati sull’affluenza delle 22. Sconcertante: non so come andrà a finire, ma il dato politico – vinca l’uno o l’altro, siano di più o di meno gli astenuti – è chiaro.
Non conosco, mentre scrivo (voi, quando leggerete, li saprete), i dati definitivi ma vorrei rammentare che in anni non lontanissimi – alle Regionali del 1995 – votò circa l’85% degli aventi diritto: un abisso, rispetto ad oggi.
L’Italia sta votando, ma un terzo degli italiani non ha più partito, patria politica alla quale appartenere: se scorporiamo un 10% d’astensionismo “fisiologico”, un italiano su quattro ha deciso che non era il caso.
Non era il caso di sprecare del tempo per andare ad accasarsi in ruoli conosciuti e marcescenti, costruiti su nani e ballerine da un lato, su cariatidi muffite dall’altro.
Il percorso è stato lungo, travagliato, ma alla fine il dato è chiaro: un partito che avrebbe una consistenza paragonabile a quella della vecchia DC o del PCI è sull’Aventino, che attende.
Quel “partito” composto soprattutto da giovani, che un sondaggio SWG affermava essere orientati – il 51% del campione! – verso l’astensionismo come forma di protesta politica.
Si fa presto a dire “qualunquismo”: chi lo fa è già intellettualmente marcio, perché non si rende conto delle enormi differenze che ci sono fra i movimenti “qualunquisti” degli anni ’50 ed oggi.
All’epoca, si poteva urlare il proprio dissenso per una partitocrazia che omologava, ma era una partitocrazia in grado d’esprimere fior di statisti: aveva idee, programmi, certezze.
Una su tutte, la preminenza del “pubblico” come Stato – ossia dello Stato come unità rappresentativa dei cittadini – un percorso che non riuscirono mai a compiere seguendo appieno i dettami della Costituzione, ma almeno ci provarono. E si viveva meglio.
Il cosiddetto “qualunquismo” d’oggi è rivolto invece ad una partitocrazia che ha messo il concetto di “Stato” al servizio del capitale finanziario, delle multinazionali, degli asservimenti più squallidi ai potentati occulti. Per, in ultima istanza, ricavarne dorate e paradisiache “estraneità” rispetto alla sempre più difficile vita della gente comune.
Si dirà che due terzi degli italiani ancora credono in questa marcescente rappresentazione, ma si dimentica che sono – per la gran parte – persone che sono state schiavizzate da decenni di TV non “spazzatura” – è comodo gettarla nel cassonetto – bensì da un lunghissimo lavorio subliminale d’addestramento, nel quale destra e sinistra sono filate d’amore e d’accordo.
Se mister B. era, ovviamente, il depositario dei “file di sistema”, l’altra parte accettò di buon grado di scambiare la schiavitù degli italiani con la sopravvivenza al deragliamento del “Mosca-express”, gettando nel cesso le legittime istanze della popolazione, soprattutto dei meno abbienti.
Altrimenti, spieghiamoci perché giammai fu fatta dalla sinistra una legge sul conflitto d’interesse, al punto che Luciano Violante affermò pubblicamente che “c’erano stati precisi accordi”.
Ma, chi di tecnologia ferisce, di tecnologia perisce.
Che un quarto degli italiani siano approdati ad un astensionismo consapevole – in questo quadro – non è di per sé una vittoria: è un miracolo.
Il miracolo è dovuto in massima parte alla critica che tantissimi siti e blog hanno continuato, per anni, a proporre – senza ricevere in cambio, ovviamente, le dorate poltrone del giornalismo “embedded” – generando altre visioni, analizzando a fondo le menzogne di regime, non lasciano scampo alle caricature che lo schermo proponeva come referenti politici.
Questi giorni saranno ricordati, poiché c’è stato un altro evento a confermarlo: la “migrazione” di Annozero dai protettivi (ed asfittici) giardini di mamma RAI al Far-West di Internet. Vincendo alla grande la partita.
Chi scrive ha spesso criticato Annozero, ritenendolo troppo allineato con i potentati di sinistra, ma non esita a spezzare una lancia in loro favore se continueranno a “farla sempre fuori dal vaso”, come hanno promesso. Vedremo.
Qui, s’inserisce una novità che non è di poco conto e che travalica anche i giornalisti ed i comici presenti: sia Annozero o chi altro, il potere di RAISET ha subito uno smacco. Questo è il dato politico: da quanto tempo non avveniva?
Ancora ricordo il 1978, quando un oscuro imprenditore milanese andava a caccia di frequenze TV in tutta Italia, strapagandole, grazie ai fondi che solo dopo molti anni avremmo saputo provenire…provenire…no, Berlusconi non ha ancora confessato, non ha ancora detto chi gli diede quei soldi. Craxi gli regalò poi la Legge Mammì e ben tre “Decreti Berlusconi”, per consegnargli definitivamente l’etere nazionale, e questo già fornisce una traccia.
Passano 32 anni – un’eternità, gente che nasce e che muore, ma così è la Storia – ed una sera qualunque si scopre che il 13% degli italiani ha guardato la dissacrante puntata di Annozero senza approdare al monopolio RAISET, e moltissimi l’hanno seguita sul Web. Com’è potuto avvenire?
L’evento stocastico è tale soltanto se non s’analizzano i prodromi, le mille cause che possono averlo prodotto.
All’inizio sembrava quasi un gioco: ma guarda questi perditempo…annotano le loro impressioni su dei block notes elettronici…li chiamano “blog”. Che amenità: meglio dedicarsi alla politica “seria”, quella dei minimi sistemi, poiché se si è minimi solo al minimo si può pervenire.
Questi perdigiorno, invece, ambiscono ai massimi sistemi: mettono in discussione lo stesso capitalismo! Che illusi: mostreremo loro, coi fatti, di cosa siamo capaci. E l’hanno fatto.
Sicuri, nei loro harem di puttane pagate con i nostri soldi, giocavano un giorno ad indebitare lo Stato, quello seguente a venderlo a pezzi – prendi otto paghi uno – e, quando qualcuno li metteva in guardia, semplicemente toglievano diritti e mettevano gabelle. Si direbbe l’incedere dell’ultimo Re Capetingio, ma forse hanno fatto ancor peggio.
Si sentivano sicuri, protetti dai loro alfieri nazionali – ossia delle reti nazionali – che osannavano, spiegavano, stemperavano ogni squallida storia nei confessionali elettronici, poiché “la perfezione non è di questo mondo”. La perfezione certo, ma la decenza sì.
Poi, qualcuno inventa un piccolo televisore, minuscolo, che occupa solo una piccola parte dello schermo del computer, ma che in quella piccola parte fa vedere ed ascoltare cose mai viste né sentite: persino un capo del Governo che cerca di “vendere” alcune attricette in cambio di senatori!
Dai e poi dai, un giorno va appresso all’altro, per tirare a campare s’inventano o si sfruttano banali fatti di cronaca – potevano mancare gli “anarchici” e le loro lettere esplosive in concomitanza delle elezioni? – poiché si pensa che l’eternità sia a portata di mano. Illusi: avessero, almeno, studiato qualcosa sui banchi di scuola.
Oggi, 29 Marzo 2010, il disastro è compiuto.
Come ogni impero che si rispetti, il giorno dopo tutto continua come prima: chi recita solo a soggetto, non può certo impegnarsi in un dramma di Shakespeare.
Tutto quello che non hanno capito è l’incomprimibile voglia dell’essere umano d’esser ascoltato: quello che quei minuscoli blog erano in grado di fare. Non più soloni di tutte le scienze e gli umanesimi, assisi su scranni secenteschi con bianche porte, a dissertare sul nulla senza contraddittorio.
Migliaia, decine di migliaia di piccole stanze dove la gente s’incontrava e discuteva: parti di riflessioni si concatenavano ad altre mai pensate, dissidi finivano in un vaffa o in un abbraccio. Proprio come avviene nella vita di tutti i giorni.
Domani sarà, a prima vista, esattamente uguale ad oggi ma così non sarà: il Vaso di Pandora s’è rotto, ed i venti hanno iniziato ad accarezzare le menti.
Loro continueranno sulla loro strada – non hanno mai compreso l’inesorabile superiorità di un media bi-direzionale rispetto ad uno mono-direzionale – ed hanno perso tempo prezioso.
Anche se domani, per un miracolo (questo, veramente impossibile), decidessero di strambare e di mutare rotta, mare ed orizzonte, si troverebbero a navigare in acque agitate dall’incomprimibile voglia di sapere, conoscere, costruire insieme. Sono acque perigliose per i marinai d’acqua dolce, ed è per loro vero terrore: hanno trascorso l’intera vita a proteggersi proprio da questa evenienza. Dal confrontarsi a viso aperto con gli altri.
Tutto ciò pone chi fino a ieri scriveva per la necessità di farlo – tentando di fornire chiavi di conoscenza alternative alla corazzata di regime – in una nuova situazione: non basterà più criticare le malefatte altrui e proporre soluzioni migliori. Bisognerà dimostrare d’esser in grado di farlo, ossia passare dalla fase di studio e riflessione alla prassi, che significa organizzazione: milioni d’italiani lo chiedono.
Come?
Per prima cosa conoscendosi: tantissime persone che, da anni, scrivono sui loro blog non si conoscono personalmente, e questo è uno scoglio insuperabile. Tanto per capirci – perché le ho vissute personalmente – queste sono le secche nelle quali si sono arenate Italianova e Contragorà. E tanti altri dei quali non sono a conoscenza.
Perciò, prendendoci il tempo necessario – l’avvicinarsi della bella stagione aiuta – poniamoci l’obiettivo di raccogliere in un meeting propositivo le tante persone che hanno saputo mettere in crisi, con i loro piccoli coltelli spuntati, il grande vascello. Potrebbe essere un campeggio all’aria aperta, un incontro informale ma molto, mooolto “formativo”.
Dovremo magari mettere mano al portafogli, viaggiare, organizzare…ma cosa ci potrebbe essere di più utile e, in fin dei conti, divertente e rigeneratore per degli spiriti inquieti?
Personalmente, contatterò parecchie persone ma, come potrete notare, al fondo dell’articolo compare nuovamente una casella postale: senza essere inutilmente prolissi, s’accettano idee e proposte.
Sarà mio dovere informarvi sugli sviluppi.
La dittatura travestita da democrazia
di Massimo Fini - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 26 Marzo 2010
Io credo che la dittatura vera e propria, la dittatura "propriamente detta" per usare un ironico sberleffo di Mino Maccari ("i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti") sia meglio della dittatura mascherata da democrazia che è quella che stiamo vivendo soprattutto da quando Berlusconi è "sceso in campo" ma anche da prima, diciamo dalla metà degli anni Settanta, quando la partitocrazia consociata a difesa dei propri privilegi, intrallazzi, clientelismi, ruberie, formava un unico blocco di potere.
La dittatura vera e propria è meno subdola. Perlomeno ha il vantaggio di rendere le cose chiare. Da una parte ci sono gli oppressori, dall’altra gli oppressi che, se pensiamo al fascismo, vengono emarginati, mandati al confino, costretti all’esilio.
La dittatura sotto le vesti della democrazia è invece una cosa melmosa, molle, melliflua, confusa dove gli oppressori possono mascherarsi da vittime (si pensi alla manifestazione del governo in piazza San Giovanni) e gli oppressi passare per oppressori.
È facilissimo cambiare le carte in tavola. Tutti possono dirsi vittime di qualcuno o qualcosa e guadagnarsi, al momento opportuno, qualche medaglia "antifascista". Naturalmente qui nessuno ti manda al confino o in esilio (ci va chi ha i soldi per permettersi di togliersi da questo infame paese, come Milva che ha deciso di vivere in Germania).
L’emarginazione è lenta, soft, alle volte addirittura ammiccante e sorridente, ma inesorabile e comunque non può essere provata. Allo stesso modo vengono chiusi, a poco a poco, tutti gli spazi di libertà. Sempre però sotto le forme delle leggi democratiche. E quindi è difficilissimo difendersi. La dittatura vera e propria forma anche un’opposizione altrettanto dura.
La classe politica uscita dalla lotta antifascista e, per la verità, da quell’evento fondante che è la guerra, non ha nulla a che vedere con la nostra attuale opposizione, molliccia, inconcludente, timorosa, indecisa a tutto, che abbiamo ora. La dittatura forgia i caratteri degli oppositori.
Nella dittatura "propriamente detta" si può poi almeno sperare di abbattere il tiranno col proprio fucilino a tappo. È lecito uccidere il tiranno. È un argomento posto per la prima volta da Seneca e che nel dibattito che si è sviluppato lungo i secoli è stato risolto in senso eticamente affermativo. Nella dittatura mascherata da democrazia questo non è eticamente accettabile, apparirebbe, e sarebbe, un assassinio.
E allora come ci si libera del tiranno in una dittatura mascherata da democrazia? Come ci si libera, per parlare delle cose nostre, di Silvio Berlusconi? Non con le leggi perché costui ha ormai acquisito un potere tale da poterle distorcere tutte a suo favore. Sempre nella forma dell’apparente legalità democratica.
Con Berlusconi siamo retrocessi al di là del “monarca costituzionale” che doveva rispettare almeno le leggi che egli stesso aveva emanato e che non poteva cambiare a piacer suo. Io credo che l’unica via pacifica percorribile da parte di quel che resta dell’opposizione parlamentare, e sempre che ne avesse le palle e non fosse connivente, sia l’Aventino.
Dice: ma l’Aventino spianò definitivamente la strada al fascismo. Vero. Ma intanto rese palese una dittatura che era già nei fatti se non nella forma. Ma, soprattutto, oggi la situazione è molto diversa da quella del 1926. L’Italia fa parte dell’Unione europea e che in un paese dell’Unione l’opposizione si ritiri dal Parlamento sarebbe un fatto così clamoroso e sconvolgente da attirare finalmente l’attenzione dell’Europa sulla situazione italiana.
Perché l’Italia non ha più i requisiti democratici per rimanere in Europa. Basterebbe il colossale conflitto di interessi accumulato da Berlusconi per porla fuori da ogni regola. Basterebbe il fatto che quest’uomo, gravemente pregiudicato con la giustizia, si appresta a varare una riforma della giustizia il cui unico scopo è di eliminarla, almeno per sé e il suo direttorio. Del resto per quello che lo riguarda personalmente, dopo infiniti tentativi che hanno scardinato la legge penale italiana, c’è già riuscito col legittimo impedimento.
L’Europa ha usato il pugno duro con l’austriaco Haider, e per molto meno, non si vede perché non si possa, né si debba, farlo con l’onorevole Berlusconi che in Italia è riuscito a delegittimare di volta in volta tre presidenti della Repubblica, il Parlamento, la presidenza del Consiglio (quando non c’era lui, naturalmente), la magistratura ordinaria, penale e civile, la Corte costituzionale, la Corte di cassazione, la Corte dei conti, le Authority e, da ultimo, persino il Tar. Tuttavia io non credo che a spazzar via il tiranno in forma democratica saranno né l’Europa né quella mucillagine chiamata opposizione.
Berlusconi finirà per autocombustione. Il suo delirio di onnipotenza, che ha da tempo perso tutti i freni inibitori, lo porterà, prima o poi, a compiere un atto così clamoroso e incontrovertibile da richiedere l’intervento della forza pubblica. Non per motivi penali, ma mentali.