lunedì 8 marzo 2010

L'Islanda dice NO ai creditori

Ieri si è svolto in Islanda il referendum popolare per decidere se restituire a Olanda e Gran Bretagna 3,9 miliardi di euro di debiti. E il 93% dei votanti ha urlato un netto NO.

Cosa comporterà per l'Islanda questo risultato?
Se ne parla qui di seguito.


Islanda, al referendum trionfa il no. Ma il voto riapre il negoziato
di Enrico Franceschini - La Repubblica - 8 Marzo 2010

L'Islanda ha detto di no nel modo più risoluto alla legge che prevedeva il rimborso di quasi 4 miliardi di euro di debiti a Gran Bretagna e Olanda. Ma sul tavolo delle trattative fra i tre paesi, mentre gli islandesi ieri andavano alle urne nel referendum sul debito, c'era già un'altra proposta di ripagamento del debito, con termini più vantaggiosi per il governo di Reykjavik.

Il voto dunque non chiude bensì riapre il negoziato, limitandosi a esprimere una sonora protesta a livello politico: la rabbia della gente per il modo in cui banchieri, speculatori e un capitalismo senza regole hanno messo in pericolo e poi messo in ginocchio un intero paese.

Il referendum chiedeva di pronunciarsi su un piano, approvato dal governo dell'Islanda, per restituire ai governi di Regno Unito e Olanda una somma complessiva di 3,9 miliardi di euro. Era l'equivalente dei risparmi di centinaia di migliaia di cittadini britannici e olandesi che avevano tenuto i loro soldi nelle maggiori banche islandesi, fallite nel giro di pochi giorni, nel 2008, all'apice della crisi finanziaria globale.

Il governo britannico, così come quello olandese, avevano immediatamente garantito i propri risparmiatori, indennizzandoli per le somme perdute nel fallimento delle banche islandesi; ma poi sia Londra che l'Aia hanno chiesto indietro quei soldi all'Islanda.

Facile a dirsi, più difficile a farsi. Grande un terzo dell'Italia, ma semidisabitata, per l'Islanda quel debito di 4 miliardi di euro corrisponde al 40 per cento del prodotto interno lordo ovvero a 15 mila euro di debito a testa per ciascuno dei suoi 317 mila abitanti.

Ripagarlo, subito e in concomitanza con una crisi economica che ha portato la disoccupazione all'8 per cento, il debito esterno al 300 per cento e la corona islandese, la moneta nazionale, a perdere in due anni la metà del suo valore, sarebbe a giudizio di molti una spesa insostenibile.

Per questo il presidente della repubblica islandese, Olaf Ragnar Grimsson, è stato il primo a dire di no alla proposta di legge sul rimborso, rifiutandosi di firmarla. Diventando così il portavoce di un diffuso malcontento popolare: durante le operazione di voto, sabato, molti hanno esposto cartelli con slogan come "salviamo il paese, non le banche" e "no al capitalismo strozzino".

I risultati preliminari indicano che il 93 per cento dei partecipanti hanno votato no alla proposta di restituire il debito, solo l'1,7 per cento ha votato sì e il resto delle schede sono state annullate o erano bianche. "Non è una sorpresa", ha commentato il primo ministro Johanna Sigurdartottir, osservando che il referendum è comunque servito a spingere Gran Bretagna e Olanda a fare offerte migliori all'Islanda e che i negoziati dunque continueranno.

Dello stesso parere il ministro del Tesoro britannico, Alistair Darling: "Il punto fondamentale per noi è riavere indietro quei soldi, ma i termini e le condizioni per riaverli sono negoziabili, su quello siamo flessibili. Non è nel nostro interesse mettere in ulteriore difficoltà l'Islanda, vogliamo che sia parte del processo di integrazione europeo. Non puoi andare da una piccola nazione che ha la popolazione di Wolverhampton (una città inglese di medie dimensioni, ndr.) e pretendere che ripaghi immediatamente tutti i suoi debiti, stiamo cercando di essere ragionevoli".

In gioco, a questo punto, non c'è solo il rimborso a Gran Bretagna e Olanda, ma anche il possibile ingresso dell'Islanda nell'Unione Europea: in passato orgogliosamente contraria a entrare nella Ue, all'indomani del crack finanziario mondiale del 2008 l'isola al limitare del mar glaciale artico aveva guardato con improvviso entusiasmo alla prospettiva di un'adesione all'Europa dei 27. Bruxelles l'ha messa in una sorta di corsia preferenziale che prevede la possibilità di accesso, insieme alla Croazia, forse già nel 2012.

Ma i negoziati sul debito con Londra e l'Aia, l'impressione di essere ancora una volta sfruttati da banche e banchieri, ha fatto cambiare umore a molti islandesi e ora i sondaggi dicono che circa metà della popolazione è di nuovo contraria all'adesione.

Nel frattempo è in dubbio anche la sopravvivenza del governo di centro-sinistra di Reykiavich, che potrebbe diventare la prima vittima del referendum. Questo sarebbe il male minore: per decenni, in Islanda, destra e sinistra hanno governato armoniosamente insieme in accordi di coalizione.

Non a caso appena tre anni or sono l'Islanda era indicata nella graduatorie internazionale come "il paese più felice della terra", tra boom economico, omogeneità sociale, eguaglianza uomo-donna e giustizia sociale.

Oggi, come dimostra il risultato del referendum, vincerebbe probabilmente il titolo di "paese più arrabbiato della terra".


Un referendum per il default
di Uriel - www.wolfstep.cc - 7 Marzo 2010

Le ridicole vicende greche hanno fatto distogliere l'attenzione su quanto accaduto in un altro paese, che e' l'Islanda. Come ricorderete, l' Islanda aveva scommesso molto sulla finanza di carta e al botto del credit crunch si era trovata sovraesposta e i cittadini pieni di debiti. Ma non solo: una delle loro banche , che di fatto pesa sul governo, era esposta finanziariamente in maniera enorme.

Quello che e' successo e' che inglesi e olandesi , ovvero i loro finanzieri, si sono presentati a battere cassa, pretendendo che dopo aver causato i disastri che ben conosciamo gli islandesi li finanziassero anche , come se il disastro fosse stato un'operazione in attivo.

Il primo ministro del luogo a quanto pare si e' rifiutato di sbattere sul lastrico la popolazione islandese, e ha convocato un referendum, che ha vinto con percentuali bulgare.

In pratica, l'Islanda ha dichiarato default, e lo ha fatto con uno strumento democratico, che e' il referendum. Questo atto probabilmente li portera' fuori dall' FMI (beati loro) e potrebbe , come dice l'articolo, creare dei problemi al loro accesso nella UE.

Ma non e' qui il punto: il punto e' che a loro e' accaduto quanto accadde al Dubai. Non appena il governo dichiara default, i finanzieri si precipitano a trattare, e si accordano per una restituzione molto limitata dei soldi.

Cosa significa?

Se lo facessimo in italia, cosa che auspico da sempre, e annunciassimo che il governo NON paghera' il debito pubblico, non succederebbe quanto accaduto in Argentina (ove la crisi che e' seguita e' stata dovuta ad ALTRI fattori e il default e' stato semmai una conseguenza), succederebbe esattamente la stessa cosa: i contraenti del debito si presenterebbero a roma a cercare un accordo , e probabilmente ci troveremmo a restituire si e no il 20% dei soldi, solo avendo un governo che faccia la voce dura, o che non abbia scelta (Solo il 13% e' allocato ai cittadini. Il resto sono banche. Piu' del 50% e' all'estero).

Lo strumento del referendum, in effetti, e' micidiale. Il debito pubblico in se', non essendo materia fiscale, non e' compreso nella norma costituzionale che vieta referendum sulla politica fiscale.

Così, e' possibile anche in Italia organizzare un referendum che proponga al governo di NON pagare il debito pubblico. Una volta fatto il referendum, comunque lo gestisca il governo, il debito pubblico e' esaurito.

Faccio presente che una volta fatto il referendum, non ci sarebbe bisogno di aspettare le sue conseguenze, perche' il rischio sara' cosi' alto che gli investitori abbandonerebbero in massa i titoli di stato, o comprerebbero quantita' enormi di CDS, ammesso che qualcuno glieli venda ad un prezzo decente , cosa che non e'.

Cosi', e' possibile portare il paese al default in maniera democratica.

Occorre che qualcuno, lavorando con un basso profilo, costituisca un comitato per il referendum contro il debito. Diciamo un referendum che, di punto in bianco, ridimensioni il deficit al 20% del suo valore attuale.

Questo deve essere fatto in sordina, quasi per passaparola, senza troppa pubblicita' sui giornali, solo coi banchetti per le strade. In caso arrivi un giornalista, si fugge o si risponde "no comment".

Poi si presenta il referendum alla consulta, e si aspetta che venga dichiarato attuabile. Una volta che la notizia finisca sui giornali, DI FATTO il referendum avrebbe aumentato il rischio cosi' tanto che tutti molleranno l'osso e si precipiteranno a trattare.

Cioe', il default e' dichiarato nel momento stesso nel quale e' ufficiale che potresti anche farlo; l'esito referendario e' quasi irrilevante.

La cosa sulla quale vorrei essere chiaro e' che non-succede-nulla. Come nel caso greco, come nel caso di Dubai, come nel caso islandese, a quel punto iniziano trattative su come gestire la cosa. Sapete perche'?

Perche' di fatto la finanza e' considerata molto piu' potente di quanto non sia in effetti. Sinora il finanziere ti ha detto "se il governo non fa come dico io, allora ritiro gli investimenti e il tuo paese fara' la fame".

Davvero? Dimentichiamo pero' che se il tuo "investimento" consiste nella costruzione di una ferrovia, per dire, tu non ritiri proprio nulla. E anche se non fosse un investimento materiale, non e' che hai investito nel mio paese per farmi un favore: hai investito perche' ci guadagnavi, e se adesso non ci guadagnerai piu', ai tuoi azionisti non piacera'.

Morale della storia: persino stati relativamente piccoli quali il Dubai o l' Islanda possono sfidare la finanza, che quando lo stato alza la voce si presenta a coda bassa per trattare. Faccio presente che la somma dei debiti islandesi e' circa 11 volte il PIL, cioe' hanno un debito pubblico del 1100% del PIL.

In passato, l' FMI ha prestato un sacco di soldi all'Islanda, quasi 6 miliardi di euro, tramite le banche socie di Giappone e di alcuni stati scandinavi. Il problema e' che questo referendum forse mettera' l'islanda fuori dall' FMI, con il risultato che giapponesi e scandinavi rimarranno senza garanzie.(1)

Morale della storia: la finanza e' debole, e si piega molto piu' facilmente di quanto si creda, perche' in fondo lavora su convenzioni e leggi, che i governi sono chiamati a far rispettare. Se non vengono rispettati, semplicemente i finanzieri si presentano col cappello in mano a trattare.

Per cui, direi che se qualcuno vuole formare un comitato che raccolga firme per il default, puo' iniziare a rimboccarsi le maniche.

E no, non aspettatevi roba del genere da gente come Grillo, sanno solo fare ammuina.

Note:

1) Cosi' imparano. Il prestito nacque perche' i russi avanzarono l'offerta di un prestito da 4 miliardi di euro, potendo cosi' espanedere l'area di influenza. L' FMI si mosse facendo una controferta da 6 miliardi di euro, provenienti dalla banca centrale giapponese e da quelle scandinave.


Crisi globale: come ti ricatto il popolo d'Islanda
di Moreno Pasquinelli - http://sollevazione.blogspot.com - 4 Marzo 2010

Pagare il debito? No grazie!

Si sa che l’Islanda è stata la prima vittima del collasso finanziario partito dagli Stati Uniti. Anzi, il primo caso di vero e proprio default di Stato. Dopo mesi di negoziati e complesse trattative i creditori dell’Islanda, anzitutto grandi banche inglesi e olandesi, hanno imposto all’isola un piano severissimo di rimborso che alla fine è stato sottoscritto dal governo di Rejkyavik.

Contro questo piano è stato indetto un referendum che secondo tutti i sondaggi vedrà l’ampia prevalenza di No.

I boiardi del piccolo stato islandese hanno cercato in ogni modo di evitare il referendum che si svolgerà il prossimo fine settimana in Islanda, ma ogni sforzo è stato vano.

I sondaggi dicono che quasi i tre quarti degli islandesi respingono l'accordo che il Parlamento aveva approvato, in base al quale il paese si impegna a rimborsare al Regno Unito e ai Paesi Bassi, la cifra di 3,9 miliardi di euro (5,3 miliardi di dollari), equivalente ad un terzo dei soldi persi dalle grandi banche inglesi e olandesi come conseguenza del fallimento del sistema bancario islandese nel 2008.

Il PIL dell'Islanda è di circa 17 miliardi di dollari. La cifra da pagare equivale dunque al 30% del PIL annuale dell’isola! Siccome la popolazione islandese è di 320mila abitanti, la cifra di debito a testa è di 16,500 dollari.

In base all’accordo il denaro sarebbe stato versato lungo un periodo di 14 anni, il che implica che ogni cittadino islandese dovrebbe sborsare 100 dollari al mese fino al 2025.


Nel grafico l'indice del benessere: quando l'Islanda era prima al mondo

Cosa accadrà se al referendum il popolo voterà contro l’accordo?

I grandi banchieri inglesi e olandesi, spalleggiati dai loro governi, minacciano ritorsioni pesanti e paventano “l’isolamento” dell'Islanda, una specie di blocco, come quelli che si fanno contro gli “Stati canaglia”.

Terrorizzando gli islandesi che si recheranno alle urne, il Regno Unito e i Paesi Bassi hanno detto che, in caso di vittoria dei No, impediranno ogni eventuale pacchetto di aiuti da parte del FMI (si parla di 2,1 miliardi di dollari).

C’è di peggio! Il governo inglese ha detto che se il referendum bocciasse l’accordo sul rimborso del debito, all’Islanda verranno applicate le consuete clausole anti-terrorismo, ovvero il congelamento dei risparmi e dei conti in banca degli islandesi.

Nel tentativo di sottolineare la posta in gioco, il ministro islandese dell’economia, ricattando anch’egli gli elettori, ha avvertito che un mancato salvataggio da parte dell FMI potrebbe significare una contrazione dell’economia del 5% anziché del 2% previsto. Il ministro ha infine affermato, e qui c’è lo zampino della BCE, che la vittoria del No al referendum, sarebbe un ostacolo all'adesione dell’Islanda alla UE.

L'Islanda sarà pure un piccolo paese, l'eventuale vittoria del No avrà tuttavia serie conseguenze, se non proprio finanziarie, simboliche. Un popolo europeo avrà detto no ai diktat dell'oligarchia finanziaria e optato di fatto per la misura di legittima difesa più elementare: l'annullamento del debito con l'estero.