martedì 30 marzo 2010

Astensione farà rima con insurrezione?

Ritorniamo ancora sulle elezioni amministrative e sul suo vero vincitore, il cosiddetto partito dell'Astensione che alle regionali ha ufficialmente ottenuto uno squillante 35,81% confermandosi il primo partito italiano.

Com'era facilmente prevedibile, su questo dato è stata messa la sordina da parte del sistema partitocratico a 360 gradi e dai media mainstream suoi servi.

Ma quando la percentuale di coloro che si rifiutano di legittimare una classe politica autoreferenziale, marcia e incapace supererà il 50% questa sordina salterà da sola, come un tappo di una bottiglia di champagne.


Vade retro voto
di Massimo Fini - Il Fatto Quotidiano - 30 Marzo 2010

In un articolo pubblicato sul Fatto il 13 marzo (“Quale democrazia”) auspicavo che l’indecoroso spettacolo dato dai partiti in campagna elettorale, con le liste taroccate, gli scambi di colpi bassi fra gli esponenti delle opposte nomenklature, inducesse finalmente i cittadini, andando oltre questi fatti contingenti, a riflettere sulla vera natura della democrazia rappresentativa e a capire “che non ha niente a che fare con la democrazia, ma è un sistema (meglio congegnato in altri Paesi, ma che da noi sta perdendo la maschera) di oligarchie, di lobbies, di associazioni para-mafiose, che il cittadino è chiamato a legittimare ogni tot anni col voto perché possano continuare, sotto la forma di un'apparente legittimità, i loro abusi, i loro soprusi, le loro illegalità” e l'occupazione, arbitraria dello Stato.

Mi auguravo quindi una forte astensione, incoraggiato non solo dai sondaggisti (che comunque nelle loro previsioni si sono tenuti ben al di sotto della realtà, perché fan parte anch'essi del sistema di Potere), ma anche da altri segnali che andavano oltre le chiacchiere da bar, pur importanti, ma dal fatto che per la prima volta un’esplicita esortazione all’astensione non veniva da cani sciolti o da gruppuscoli extraparlamentari (fra cui, se permettete, anche il mio “Movimento Zero”), ma dall’autorevole ItaliaFutura, la Fondazione promossa da Luca Cordero di Montezemolo.

I risultati sono andati oltre le più pessimistiche (o ottimistiche, a seconda dei punti di vista) previsioni.

Quasi il 40% dei cittadini italiani si è rifiutato di andare a votare, e di partecipare a questo rito truffaldino. Certo in questa percentuale ci sono anche gli ammalati e gli impossibilitati a vario titolo, abbondantemente com-pensati però dalle schede bianche e nulle che il Viminale è solito dare con molta reticenza e con grande ritardo ma il cui numero, nelle recenti tornate elettorali, è sempre oscillato fra il milione e il milione e mezzo.

Dopo aver cercato di giustificare la débâcle astensionista anche nei modi più fantasiosi e ridicoli (la bella giornata di domenica , l'ora legale e perfino l'assenza dei talk show politici che son quanto di più ributtante si possa vedere in una tv già ripugnante) i partiti tenteranno, come al solito, di cantar vittoria o di minimizzare la propria sconfitta.

Nel momento in cui scrivo non so come le forze politiche si siano ripartite i resti dell’elettorato votante e, per la verità, non me ne frega nulla.

Quello che deve essere chiaro è che l’astensionismo non è solo un non voto contro l’attuale, inguardabile, governo, ma contro il sistema partitocratico nel suo complesso. Un cittadino su tre non è andato alle urne. E fra coloro che ci sono andati una fetta cospicua appartiene agli apparati, ai clientes, ai favoriti di tutte le risme.

Se si fa questa ulteriore tara, il “voto libero”, dato in buona fede, si riduce a ben poca cosa. A ciò si aggiunga che la stragrande maggioranza dei giovani, come risulterà da indagini più approfondite, ha disertato le urne. Non per abulia ma perché questo sistema, che penalizza ogni futuro, gli fa schifo.

Cosa rimane quindi in mano ai partiti? Nulla, se non il loro potere abusivo. Quindi o si affrettano a fare una rapidissima marcia indietro, a liberare le posizioni che hanno illegittimamente occupato, a cominciare dalla Rai-tv, a dismettere le clientele che penalizzano i meritevoli a vantaggio degli affiliati, che umiliano il cittadino riducendolo a suddito costretto a chiedere come favore ciò che gli spetta di diritto, oppure la rivolta silenziosa e pacifica del 28 e 29 marzo 2010 diventerà, prima o poi, violenza.


L'astensione, il successo dei "grillini" e la tenuta di Berlusconi
da http://sollevazione.blogspot.com - 30 Marzo 2010

Commentando a caldo il dato sull’astensione ieri scrivevamo:
«L’astensionismo di massa è dunque il dato più eclatante, il fatto topico di questa tornata. Certo, a partire da questa sera assisteremo al solito spettacolo per cui i predoni, i ladri del voto, gli abusivi delle istituzioni, si azzufferanno su come spartirsi il bottino. Ma sarà uno spettacolo surreale come non mai, poiché è vero che i seggi della rapina elettorale saranno sempre pari a cento, ma il loro valore reale è come quello di una valuta dopo un default, dimezzato».

Mai pronostico fu più azzeccato. Lo spettacolo surreale è in corso: si sta cercando di rimuovere e di cancellare “il dato più eclatante”. Il teatrino delle scimmie politiche è in piena attività, si discute su chi abbia vinto qui e chi abbia perso la.

Di contro alla pantomima della casta politica, noi riconfermiamo la conclusione del discorso:
«La disobbedienza civile, la Resistenza, l’esodo dalle istituzioni, l’Aventino popolare, costituiscono un fiume in piena, che non può essere arrestato o deviato da nessuno. La disobbedienza anticipa la rivolta, è questa la tendenza su cui occorre concentrarsi, per quanto spuria o “sporca” potrà essere. Chiunque faccia spallucce o si attardi a disperdere forze sul terreno elettorale, rischierà di essere travolto, assieme alla casta, dalla corrente».

Solo su un punto dobbiamo fare autocritica rispetto all’articolo di ieri: il non aver previsto il successo delle liste “cinque stelle” dei “Grillini”. Anzitutto complimenti a loro! Un risultato che non solo ci rallegra, ma che a noi pare confermi l’asse della nostra analisi.

Se i “Grillini” hanno avuto successo è perché essi hanno raccolto il vento della protesta e del disprezzo verso la Casta, vento che le loro vele hanno saputo intercettare non solo per la radicalità del messaggio, ma per essersi presentati apertamente contro la Casta, ovvero contro la partitocrazia e fuori dal recinto bipolare.

Significativo il dato del Piemonte, dove i “Grillini” hanno punito l’arroganza del centro-sinistra, confindustriale e sviluppista, rappresentando con coraggio la lotta più importante avvenuta in Piemonte nell’ultimo decennio, quella del “popolo No-Tav”.

Non pensiamo che quest’affermazione smentisca l’asse del nostro ragionamento, per cui «…occorre smettere di considerare quello elettorale il terreno su cui può crescere e transitare la spinta all’alternativa».

Anzitutto perché l’astensionismo è stato alto anche dove c’erano le liste “Cinque stelle”, ma in secondo luogo i fenomeni dell’astensionismo e del “Grillismo”, se non omologhi, sono certamente analoghi. Può questo successo dei “Grillini” invertire la tendenza di fondo dell’Aventino popolare e del distacco dalle elezioni e dalle istituzioni? Noi pensiamo di no.

Perché questo accada dovremmo assistere nei prossimi anni alla trasformazione del “grillismo” in un vero e proprio movimento politico elettorale di massa, tale da invertire la tendenza astensionista. Dovrebbero sfasciarsi la “seconda repubblica” e il sistema bipolare perché questo accada, ovvero occorrerebbe un profondo cambio di fase e il ritorno ad un sistema proporzionale e più democratico.

Nella sconfitta globale della Casta, dei blocchi bipolari e dei due principali “partiti”, emerge la tenuta del blocco sociale berlusconian-leghista.

Pochi giorni fa scrivevamo:
« Non va confuso il Pdl col blocco sociale che esso rappresenta. Il Pdl è infatti solo la rappresentazione momentanea, o se si preferisce la maschera, che quel blocco sociale ha indossato dopo la scomparsa della prima repubblica, nella limacciosa e interminabile fase di passaggio della seconda e dalla quale siamo destinati ad uscire presto, in un modo o nell'altro. (…) Ma non è questo il vero punto di forza del berlusconismo. La sua forza è che ha saputo mettere assieme il diavolo con l'acqua santa, coalizzare, com'era riuscito a suo tempo solo a Mussolini (vi ricordate l'accozzaglia che di nome faceva "Blocco nazionale anti-bolscevico"?) padroni e servi, capitalisti e operai, furbetti del quartierino e morti di fame, ex-comunisti ed ex-fascisti, beghine e fanatici del progresso all'americana, sanfedisti e pagani. Il tutto nella più classica e schmittiana logica "amico-nemico", sapendo indicare a questa paccottiglia sociale vittimista irrancidita da un crisi che viene da molto lontano, il bersaglio, il nemico, i colpevole delle loro disgrazie. Gli oligarchi del capitalismo, la casta dei burocrati politici, i magistrati, i sindacati, i comunisti, gli immigrati. Proponendo una visione sociale che è un instabile combinato composto di corporativismo e egoismo sociale americanista, di liberismo e assistenzialismo, di apperente meritocrazia col più becero pietismo per "i meno fortunati".

Si illude chi ritiene che fatto fuori il berlusconismo questo blocco sociale evapori. In un contesto di crisi sistemica che annuncia un periodo durissimo di austerità, e che quindi sarà segnato da aspri conflitti sociali per decidere chi debba accollarsi il grosso dei costi della crisi medesima e come verrà ripartita la calante ricchezza sociale disponibile, questo blocco sociale è destinato a radicalizzare le sue posizioni e cercherà una nuova forma politica.

Al periodo post-berlusconiano in cui stiamo entrando, che sarà segnato dall'inasprimento dei contrasti ad ogni livello, corrisponderà un post-berlusconismo come movimento politico-sociale, che sarà più radicale, populista e aggressivo di quello che l'ha tenuto in grembo in questi anni».

Concludevamo infine:

«L'animale ferito ha insomma fatto intendere che vuole giocarsi il tutto per tutto. Tanto peggio tanto meglio. Mors tua vita mea. Non è quindi difficile prevedere che i prossimi mesi e anni saranno segnati da uno scontro furibondo tra le diverse cosche politiche e tra gli apparati istituzionali. La guerra strisciante in atto da un ventennio tra le diverse fazioni che compongono l'oligarchia dominante va precipitando nella battaglia finale e decisiva».

Dove, in questa battaglia finale, dev’essere chiaro quale sia il disegno di cui il PD è l’asse portante: «cacciare Berlusconi per far posto ad un governo super-capitalista di unità nazionale o di emergenza istituzionale, destinato a fare due cose fondamentali: rimettere ordine nella sfera politico-istituzionale e in quella economico-sociale. Cosa questo significhi è presto detto: un sistema istituzionale che consolidi, sul solco tracciato dalla seconda Repubblica, il suo carattere oligarchico, partitocratico e autoritario (un presidenzialismo senza Berlusconi), e un programma di misure sociali d'urgenza e draconiane per salvare il capitalismo italico dal rischio di bancarotta e i cui costi saranno le masse popolari a pagare».

L’opposizione è chiamata ad una grande sfida. Saldare la questione sociale e quella democratica, in un nuovo movimento politico di massa che sia ostile ad entrambi i blocchi. Esso non potrà crescere se non saprà fuoriuscire dal recinto e dal terreno in cui i due blocchi oligarchici si stanno battendo e si batteranno.

L’astensionismo di massa ha indicato che la nuova opposizione dovrà condurre la sua battaglia contro il populismo e le smanie autoritarie di Berlusconi, scegliendo un terreno suo proprio, quello che abbiamo chiamato dell’Aventino popolare.


Ci hanno convinti a non votare
di Marco Cedolin - http:/ilcorrosivo.blogspot.com - 30 Marzo 2010

Non possono esistere dubbi sul fatto che il dato più emblematico uscito (o sarebbe meglio dire mai entrato) dalle urne di queste elezioni regionali di marzo 2010 sia costituito dai quasi 3 milioni e mezzo in più di cittadini che non si sono recati a votare, portando il “partito” dell’astensione a sfiorare il 37%, diventando di fatto il maggiore partito del Paese.

Un incremento nell’ordine dell’8%, con punte fra il 14%, il 12% e il 10% in Puglia, Lazio e Toscana, che qualifica il partito del non voto come l’unico reale vincitore di questa tornata elettorale.

Una vittoria, quella del non voto, determinata da una campagna elettorale sincopata, nevrotica al limite del parossismo, giocata esclusivamente intorno allo screditamento dell’avversario, totalmente priva di qualsiasi abbozzo di programma credibile.

Una campagna elettorale nel corso della quale i problemi reali del paese, che si chiamano crisi occupazionale, disastro economico, crollo del potere di acquisto delle famiglie, inquinamento del territorio, sono stati lasciati a margine da parte delle due coalizioni impegnate a contendersi il governo delle regioni.

Una campagna elettorale imperniata sulla violenza verbale dispensata a piene mani, vissuta fra litigi ed animosità al limite dello scontro fisico, sempre incentrati su differenze artificiali e prive di fondamento, utilizzati per nascondere l’assoluta mancanza di differenze reali fra i due poli che si contendono il governo regionale.

Un italiano su tre ha dunque preferito non recarsi a votare nonostante (o forse anche a causa) la quantità industriale di materiale pubblicitario che ha riempito le buche delle lettere, l’ossessiva tempesta delle telefonate a domicilio, la massa dei manifesti ad abbruttire i muri delle città, la marea di “santini” con faccioni sorridenti e cravatte multicolori.

Tutto materiale che a dispetto degli sforzi esperiti dagli esperti del marketing è apparso intriso di un vuoto cosmico, tanto era infarcito di slogan demagogici che sarebbero parsi artificiosi anche agli occhi di un bambino di 5 anni e miravano unicamente a fare leva sulla tanto stantia quanto ormai sempre più improponibile scelta di campo fra destra e sinistra.

Anche in Italia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, la distanza fra i partiti politici ed i cittadini continua perciò a farsi sempre più siderale, dimostrando in maniera inequivocabile l’inadeguatezza di un sistema come quello della democrazia rappresentativa, soprattutto qualora gestito in termini di bipolarismo. Anche il clima da “guerra civile” creato nell’occasione e gli “epici” inviti a scelte di campo presentate come decisive, non sembrano avere sortito l’effetto voluto.

I cittadini stanno continuando ad allontanarsi ed i partiti politici parlano ogni giorno di più un linguaggio alieno a chi vive e soffre nel paese reale, un linguaggio autoreferenziale che ben presto rischierà di trasformarsi in una lingua morta.

Per quanto riguarda i risultati elettorali non sono mancate le sorprese e neppure gli elementi che meritano di diventare oggetto di riflessione.

Il centrosinistra, nonostante l’operato del governo Berlusconi non sia stato fin qui entusiasmante, ha nuovamente subito una sconfitta cocente. Se la perdita di regioni come la Calabria, la Campania ed il Lazio può trovare la spiegazione all’interno degli scandali di varia natura che hanno caratterizzato le amministrazioni esistenti, ben più grave appare la debacle in Piemonte.

Dove Mercedes Bresso si è vista costretta a cedere il passo a Cota, nonostante fosse riuscita ad incamerare nella propria coalizione tanto l’UDC di Casini quanto la Federazione della sinistra radicale.

E’ indicativo il fatto che l’unica regione “a rischio” nella quale il centrosinistra ottiene un risultato positivo sia proprio quella Puglia dove Nichi Vendola ha difeso con i denti la propria candidatura, imponendo una lista più “di sinistra” rispetto al listone in alleanza con l’UDC che era stato imposto da D’Alema

Le liste 5 stelle di Beppe Grillo hanno ottenuto nel complesso risultati di tutto rilievo, fra i quali spiccano Giovanni Favia in Emilia Romagna che ha ottenuto il 7% e Davide Bono in Piemonte arrivato a superare il 4%, a dimostrazione del fatto che esiste senza dubbio ampio spazio di manovra per chi intenda costruire delle alternative ai partiti politici tradizionali.

L’inesorabile continua discesa del centrosinistra, laddove questo non riesce a proporsi come concreto elemento di alternativa, ma semplicemente come una fotocopia sbiadita di Berlusconi, unitamente al buon risultato delle liste che fanno riferimento a Beppe Grillo e al grande incremento dell’astensione, stanno a dimostrare in maniera inequivocabile tanto il “bisogno” di alternative concrete da parte dell’elettorato, quanto la palese incapacità di esprimere le stesse espresse dal sistema dei partiti.

Proprio questo bisogno di alternative concrete, pensiamo possa considerarsi la vera novità di questa tornata elettorale. Una novità destinata naturalmente ad essere sottaciuta, tanto dal sistema dei partiti ormai incancrenito nella spartizione del potere, quanto dai media mainstream che di quel potere rappresentano uno degli elementi cardine.