Niscemi sfida gli Stati Uniti. Abitanti in lotta contro il radar
di Giampaolo Cadalanu - La Repubblica - 5 Marzo 2010
A Niscemi il cancro fa più paura di Al Qaeda. Poco fuori da questo paese, 26mila abitanti nel sud della Sicilia, le forze armate americane vogliono installare un nuovo potentissimo sistema radar, all'inizio previsto per Sigonella e poi spostato, anche per non togliere spazio ai nuovi aerei senza pilota, così da trasformare il lembo estremo d'Italia in un pilastro del controllo globale.
Se in passato la Sicilia era il fronte e Sigonella il baluardo contro i sommergibili sovietici, con la fine della Guerra fredda dal mare sembra poter arrivare tutt'al più un'invasione di affamati. Così l'entusiasmo dei locali per la presenza degli apparati militari oggi è a livelli molto modesti. La minaccia vera, dicono a Niscemi, sono proprio i radar: la Us Navy ha scelto la piccola base aperta nel 1991 in contrada Ulmo per piazzare le parabole del sistema satellitare "Muos".
L'incubo sono le emissioni elettromagnetiche: la gente teme tumori e malformazioni genetiche. Dopo un primo via libera delle istituzioni locali, il comune di Niscemi ha revocato il suo nulla osta, necessario anche per la valutazione di impatto ambientale: la base sorge nel mezzo di una riserva naturale protetta. "Finora nessuno controllava le antenne già esistenti. Adesso abbiamo fatto fare delle rilevazioni, e abbiamo scoperto che già ora l'impianto sfiora spesso i limiti di legge per le emissioni elettromagnetiche", spiega il sindaco Giovanni Di Martino.
Revocato il via libera, il comune di Niscemi ha fatto controllare ai suoi periti le relazioni tecniche prodotte dalle Forze armate americane. E il giudizio degli esperti è stato secco: la documentazione è insufficiente e inadeguata.
In parole povere, non ci sono garanzie per la salute degli abitanti. La rabbia della gente di Niscemi si è rapidamente diffusa anche nei centri vicini: nel maggio scorso migliaia di persone hanno sfilato chiedendo che i radar finissero altrove. Persino l'amministrazione regionale si è schierata apertamente contro la realizzazione dell'impianto.
"Per ora la questione sembra sopita", dice il sindaco, "ma non ci facciamo illusioni". In realtà l'intera questione può essere risolta d'imperio dal ministero della Difesa, che ha il potere di scavalcare le amministrazioni locali, imponendo la costruzione dell'impianto sgradito.
Ma non sarebbe una decisione facile: se la giunta di Niscemi è di centrosinistra, anche molte amministrazioni di centrodestra, dei centri vicini, si sono opposte al nuovo radar.
Per gli Usa la sostituzione del sistema satellitare lanciato nel 1993 è urgente. Le esigenze sono cambiate dopo l'11 settembre, e l'attuale rete satellitare continua a perdere colpi.
Il Muos in più garantisce ai militari canali sempre aperti, anche perché prevede la possibilità per "utenti speciali" di bloccare gli altri utilizzatori, in modo da disporre di una banda di comunicazione molto ampia in caso di necessità.
Insomma, la Marina Usa, responsabile del sistema, voleva averlo pronto già per questo mese, ma l'allestimento dei satelliti è in ritardo e ci sono problemi di compatibilità con la vecchia rete.
Va invece avanti rapidamente lo schieramento degli aerei senza pilota "Global Hawk", presto in arrivo in Sicilia. Questi droni, fratelli maggiori dei "Predator", possono volare senza rifornimento per distanze enormi "da Sigonella a Johannesburg e ritorno", dicono i tecnici della Northrop Grumman. Le forze Usa li schierano già in Arabia Saudita e presto anche a Guam, nel Pacifico.
Le date le ha confermate a Defense News il colonnello Ricky Thomas, responsabile dei Global Hawk: "I progetti prevedono l'arrivo dei droni nell'ottobre 2010, l'operatività nei primi mesi del 2011". E non sarà una presenza da niente: "Sigonella ha il potenziale per diventare una base grandissima di Global Hawk", dice l'ufficiale.
Sigonella capitale internazionale dei nuovi aerei spia USA
di Antonio Mazzeo - www.pane-rose.it - 13 Febbraio 2010
La base siciliana di Sigonella è destinata a diventare uno dei principali scali operativi a livello mondiale dei velivoli senza pilota UAV Global Hawk delle forze armate di Stati Uniti e NATO. Lo ha annunciato in un’intervista alla rivista Defense News il colonnello Ricky Thomas, direttore del programma Global Hawk dell’US Air Force. “Sigonella possiede le potenzialità per trasformarsi in una grandissima base per questi velivoli senza pilota”, ha dichiarato Thomas.
“I tecnici della Northrop Grumman, la società produttrice dei sistemi, valutano che potrebbero essere ospitati nella base sino a 20 Global Hawk. L’aeronautica militare statunitense ha in programma di trasferire i primi velivoli a Sigonella entro l’ottobre del 2010 per effettuare i test di orientamento ed addestramento. Essi saranno pronti ad eseguire vere e proprie missioni operative e di sorveglianza all’inizio del 2011”.
Sempre secondo l’alto ufficiale dell’US Air Force, Sigonella ospiterà inizialmente un gruppo di volo composto da tre Global Hawk e una unità di lancio e manutenzione che coordinerà le operazioni di decollo e atterraggio degli UAV grazie ad un sistema di comunicazioni a distanza.
La struttura centrale di controllo dei Global Hawk funzionerà invece dalla base di Beale, California, sede del Comando Usa per la guerra aerea. “Per il funzionamento dei velivoli senza pilota, nella base siciliana opereranno stabilmente 66 militari dell’US Air Force e 40 dipendenti civili della Northrop Grumman”, ha aggiunto il colonnello Rocky Thomas.
Un primo nucleo composto da 12 avieri e 2 tecnici della società contractor è giunto a Sigonella nell’ottobre 2009 ed è stato pure attivato il comando del nuovo distaccamento Global Hawk dell’US Air Force, denominato “9th Operations Group/Detachment 4”.
“Il programma d’installazione dei Global Hawk risponde all’esigenza dell’US Air Force di espandere il teatro operativo dei velivoli senza pilota”, ha spiegato Thomas. “Gli UAV che opereranno da Sigonella saranno posti sotto il comando Usa per le operazioni in Europa (Useucom) e risponderanno alle sue richieste operative nei cieli del continente europeo e dell’Africa.
I velivoli saranno in grado di raggiungere Johannesburg e fare rientro in Sicilia senza la necessità di rifornimento in volo. Attualmente sono utilizzati per operazioni di sorvolo del Golfo Persico; oltre al piano di Sigonella, si sta lavorando per installare i Global Hawk pure a Guam, nell’Oceano Pacifico”.
I velivoli che saranno trasferiti in Sicilia saranno configurati nella versione “Block 30”, tecnologicamente più avanzata di quella oggi operativa nei teatri di guerra di Iraq, Afghanistan e Pakistan. Saranno dotati di un sistema di trasmissione integrata a banda alta e bassa e di un Payload avanzato per captare i segnali d’intelligence (ASIP - Advanced Signals Intelligence Payload), ancora una volta prodotto dalla Northrop Grumman, che ne accrescerà il raggio di azione e il volume delle informazioni raccolte.
L’US Air Force ha tuttavia l’intenzione di utilizzare le basi di Sigonella e Guam per l’installazione dei Global Hawk nella versione “Block 40”, in via di realizzazione, che trasporteranno il nuovo radar di sorveglianza MP-RTIP AESA prodotto dal consorzio Northrop Grumman/Raytheon.
Il Pentagono ha in programma l’acquisizione di 22 velivoli “Block 40”, 7 dei quali già finanziati con il budget militare dell’ultimo biennio. Il centro di comando e controllo operativo dei “Block 40” funzionerà dalla base aerea di Grand Forks (North Dakota).
“Ciò significa che il numero dei Global Hawk destinati a Sigonella potrà aumentare”, sottolinea Defense News. “Oltre all’US Air Force, anche l’US Navy è intenzionata a installare nella base siciliana i Global Hawk acquistati, mentre i programmi NATO prevedono di trasferire in Sicilia 8 Global Hawk nella versione “Block 40” con il nuovo sistema di sorveglianza terrestre alleato AGS (Alliance Ground Surveillance)”.
In verità, secondo quanto dichiarato dai portavoce della Northrop Grumman, il contratto sottoscritto con Bruxelles prevede la fornitura di velivoli “Block 40” ulteriormente modificati, in modo da rispondere alle “richieste inter-operative e di telecomunicazione” dei sistemi integrati dell’Alleanza Atlantica.
Ciò avrà come conseguenza diretta l’aumento del numero d’ingegneri e tecnici dell’industria militare statunitense di stanza nella base siciliana. Lo ha ammesso Ed Walby, direttore della sezione business development della Northrop Grumman. “La possibilità di aggiornare i sistemi a bordo dei Global Hawk potrà significare una forte presenza della nostra società a Sigonella”, ha dichiarato. “I cambi del software sui Global Hawk sono più semplici della maggior parte dei sistemi a bordo dei velivoli con pilota. Ci sarà tuttavia la necessità di trasferire nuove professionalità e ciò significa tecnici esperti nella base”.
Il periodico statunitense Defense News rivela infine che le autorità governative statunitensi e quelle italiane si sarebbero già incontrate in vista della creazione “di corridoi negli spazi aerei italiani per i decolli e gli atterraggi dei Global Hawk”.
Top secret l’esito di queste discussioni, a cui comunque non sarebbero stati invitati i rappresentanti degli enti civili responsabili del traffico aereo (ENAC ed ENAV), anche se le operazioni degli UAV incideranno pericolosamente sulla sicurezza dei voli nello scalo di Catania-Fontanarossa (oltre sei milioni di passeggeri nel 2008), poco distante da Sigonella.
L’altissimo rischio rappresentato dai Global Hawk non sembra aver mai preoccupato il governo italiano. Negli Stati Uniti, invece, è tema di discussione e conflitto tra forze armate, autorità federali e statali. Nel documento The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision, in cui l’aeronautica militare statunitense delinea la “visione strategica” sul futuro utilizzo dei sistemi di guerra, si ammette che «i velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche».
«Il rischio d’incidente del Predator e del Global Hawk è d’intensità maggiore di quello dei velivoli con pilota dell’US Air Force», si legge ancora, anche se, «al di sotto dei parametri stabiliti nei documenti di previsione operativa per questi sistemi». Secondo alcuni ricercatori indipendenti, il rischio d’incidente per i Global Hawk, a parità di ore di volo, sarebbe invece 100 volte superiore a quello registrato con i cacciabombardiere F-16.
Numerosi i velivoli senza pilota precipitati in occasione di test sperimentali o durante le attività belliche in Medio oriente. Uno dei primi prototipi del “Block 20” cadde nel maggio 1999 nei pressi del poligono di China Lake, California, a seguito “dell’invio involontario di un segnale elettronico di fine volo”.
Il 30 dicembre 2001, un Global Hawk precipitò in una regione impervia dell’Afghanistan. Secondo l’inchiesta dell’US Air Force, all’origine dell’incidente “l’impropria installazione” di un congegno che avrebbe danneggiato il sistema di controllo. “Non sono state effettuate le giuste procedure ispettive”, fu la conclusione della commissione d’indagine.
Meno di sette mesi dopo, un altro Global Hawk precipitò in Pakistan per il “non funzionamento ad un motore”, dovuto, ancora una volta “ad una cattiva manutenzione del velivolo”. Un velivolo “Block 30”, la versione in via d’installazione a Sigonella, ha invece rischiato di schiantarsi al suolo, il 28 dicembre 2009, durante un tentativo di atterraggio in una base aerea californiana.
Il gran numero d’incidenti che hanno visto protagonisti i velivoli senza pilota ha generato vibranti proteste tra i piloti delle compagnie aeree Usa. Secondo le due maggiori associazioni di categoria, la Air Line Pilots Association (ALPA) e la Aircraft Owners and Pilots Association (AOPA), “gli UAV di grandi dimensioni sono autorizzati a percorrere anche corridoi aerei usati per il volo civile, e questo senza che siano state studiate le necessarie misure di sicurezza”. “Come può considerasi sicuro un aereo in volo come il Global Hawk, con un’apertura alare simile a quella del Boeing 737?”, domandano ALPA e AOPA.
Si assiste tuttavia all’inarrestabile escalation del numero degli aerei senza pilota utilizzati a livello mondiale. Tra il 2002 e il 2008, solo la flotta degli UAV del Pentagono è cresciuta da 167 a oltre 6.000 unità, e le ore di volo nel 2008 sono state 400.000, più del doppio di quanto registrato l’anno precedente.
Alla base del boom, le immancabili ragioni di ordine economico-finanziario. I velivoli senza pilota stanno generando un business senza precedenti nella storia del complesso militare industriale.
Solo nel 2009, il giro di affari mondiale degli UAV ha superato i 4.000 milioni di dollari, mentre l’80% del fatturato è in mano a due grandi società statunitensi, la Northrop Grumman e la General Atomics.
Il resto se lo dividono le imprese russe, cinesi, indiane, iraniane, israeliane ed europee (Thales, EADS, Dassault, Finmeccanica, Sagem e BAE Systems). Secondo uno studio del gruppo di consulenza finanziaria “Teal”, le commesse per gli UAV sono destinate a raddoppiare in meno di un decennio. Per il 2019 si stima un giro d’affari di 8.700 milioni di dollari.
I missili di Obama in Polonia
di Carlo Benedetti - Altrenotizie - 3 Marzo 2010
Passata l’euforia per l’elezione di Obama alla presidenza americana, le diplomazie dell’Est cominciano a fare i conti con la nuova strategia militare della Casa Bianca. E, in primo luogo, sul tavolo del Cremlino si evidenzia il “dossier” relativo alla decisione statunitense sul dispiegamento di elementi dello scudo antimissile nell’Europa orientale; precisamente sul territorio della Polonia, ad una distanza di circa 100 kilometri dal confine con la regione russa di Kaliningrad, nella città di Morag, affacciata sul Mar Baltico.
Gli Usa puntano a realizzare in questa zona una base strategica (con una batteria di missili “Patriot” e con 100 soldati addetti al loro puntamento) per controllare lo spazio aereo sopra l’enclave russa e annunciano di voler dislocare postazioni antimissile anche in Romania e in Bulgaria.
Per Mosca tutto questo sta a significare che, nella regione dell’Europa centrale, si sta creando una situazione di crisi. Sempre più aggravata dalle notizie diffuse negli ambienti miltari, secondo le quali il trattato tra Washington e Varsavia servirà a favorire “manovre congiunte” con successivi insediamenti di basi dotate di missili balistici.
Sarà questo un passo decisivo per la penetrazione militare dell’Ovest all’Est, dopo la fine del Patto di Varsavia avvenuta nel 1991. Si amplia così quella strategia che il Pentagono definisce come una “nuova architettura antimissile”.
Gli strateghi americani difendono la scelta del Pentagono sostenendo che i militari Usa si dedicheranno esclusivamente ad aiutare le forze armate polacche a sviluppare le proprie capacità di difesa aerea e missilistica.
Ma da Mosca si fa subito notare che se i precedenti piani per installare in Polonia missili di media gittata (basati a terra) erano giustificati da una presunta minaccia missilistica da parte dell’Iran, ora è chiaro che i Patriot potranno essere diretti solamente contro la Russia. L’appuntamento per questa escalation è alle porte.
Perchè a partire dalla prima settimana di Aprile il Pentagono avvierà il suo piano, dislocando una batteria missilistica terra-aria Patriot, attualmente in dotazione al personale dell’US Army di stanza nella base tedesca di Kaiserslautern. Si tratterà in particolare di otto lanciatori per missili MIM-104 e della relativa stazione di comando e controllo gestita dal 5° Battaglione del 7° Artiglieria difesa aerea dell’US Army.
Ma non c’è solo la Polonia nei piani americani. Perchè anche la Romania si appresta ad “ospitare” i missili balistici ‘Interceptor’ a medio raggio, che faranno parte del nuovo ’scudo antimissili’ voluto dagli Stati Uniti.
Lo ha annunciato il presidente rumeno Traian Basescu, precisando che ”la Romania è stata ufficialmente invitata dal presidente Usa, Barack Obama, a prender parte al sistema di difesa missilistico”. Stessa situazione anche per Sofia. E così i due paesi potranno contare su finanziamenti statunitensi di 100 milioni di dollari ed una presenza di 4100 militari delle forze d’oltreoceano.
Tutto questo avviene mentre l’Alleanza atlantica sta finanziando anche la ristrutturazione e il potenziamento di sette basi aeree e delle due maggiori stazioni navali polacche nel mar Baltico, quelle di Gdynia e Swinoujscie.
A Bydgoszcz (Pomerania) è inoltre operativo dall’aprile 2005 uno dei due principali centri di addestramento in Europa dei reparti entrati a far parte della Forza di reazione rapida della NATO (l’altro è quello di Stavanger, in Norvegia). Mosca - a quanto risulta - non assiste passivamente e ha già annunciato le prime contromosse: verranno rafforzate subito le componenti navali di stanza nelle basi aeronavali di Kaliningrad e Kronstadt e, sempre a Kaliningrad, verrà trasferita a breve una batteria di missili tattici “Iskander” (SS-26). E così il Baltico torna ad essere uno dei mari più militarizzati e nuclearizzati del pianeta.
Mentre si dispiega questo nuovo piano di guerra fredda, c’è la notizia di un vertice internazionale sulla sicurezza nucleare che si dovrebbe tenere a Washington il 12 e 13 aprile. "Lo scopo di questo vertice - ha detto in proposito un portavoce statunitense - è quello di discutere le misure che possono essere prese a titolo collettivo per garantire la sicurezza dei materiali nucleari vulnerabili e per prevenire atti di terrorismo nucleare".
L'iniziativa del vertice nucleare era stato annunciata a suo tempo dal presidente Obama in uno storico discorso l'anno scorso a Praga. "Vogliamo la pace senza armi nucleari” affermò in quell’occasione il capo della Casa Bianca. “Nel mondo c'è ancora il pericolo atomico".
Obama spiegò che servivano "nuove relazioni con la Russia per prospettive comuni. Una di queste è il futuro delle armi nucleari nel ventunesimo secolo. L'esistenza di migliaia di armi nucleari è l'eredità più pericolosa della guerra fredda. Intere generazioni hanno vissuto con la consapevolezza che il mondo potesse essere distrutto in pochi istanti. Città come Praga avrebbero potuto cessare di esistere in un attimo.
La guerra fredda è finita, ma le armi ci sono ancora. Il rischio di attacchi nucleari, anzi, è aumentato: più Paesi si sono dotati di armi atomiche, c'è il mercato nero, i terroristi sono orientati a comprare e rubare armi nucleari. Ci sono ancora nazioni e popoli che violano leggi contro la proliferazione e si potrebbe arrivare al punto in cui non ci si potrà più difendere da loro".
Per questo, secondo il Presidente statunitense, "dobbiamo agire, per vivere liberi dalla paura nel ventunesimo secolo. Gli Stati Uniti sanno di avere una responsabilità nel guidare questo processo. Lo faremo e chiederemo agli altri di fare altrettanto. Guideremo il mondo verso una pace senza armi nucleari. Fino a che queste armi ci saranno, gli Stati Uniti manterranno un proprio arsenale necessario per garantire la difesa di tutti gli alleati. Ma con la Russia – concluse - negozieremo un nuovo trattato di riduzione degli armamenti strategici".
A questa situazione conflittuale fanno ora riferimento i politologi e i diplomatici dell’Istituto moscovita impegnato nello studio delle relazioni con gli Usa. Dice in proposito Viktor Kremenuk, che dell’Istituto è vice direttore: “La Russia non accetterà mai una situazione in cui la NATO, alle spalle del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, possa arrogarsi il diritto di decidere dove usare la forza militare e dove no. L’unica struttura autorizzata dal diritto internazionale a prendere decisioni in questo senso è il Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Se la NATO vuole adoperarsi per arrogarsi un simile diritto, ci sarà sempre una fonte di problemi. La Russia provvederà ad usare la forza per difendere i suoi interessi e gli interessi dei suoi alleati, contro l’eventuale azione miliare da parte dell’Alleanza.
Il che implica uno stato di tensione permanente tra Russia e NATO. Si deve sapere che Mosca è in grado di opporre una degna resistenza a qualsiasi tentativo di minacciarla con l’uso della forza. Anzi, la Russia ha avvertito che in questo caso è pronta ad usare l’arma nucleare.
Perciò la nuova dottrina della NATO non mira affatto alla ricerca di soluzioni pacifiche dei conflitti, al contrario ha un carattere esplicitamente provocatorio”. Parole dure che, in questo momento, non sembrerebbero lasciare spazio a compromessi diplomatici.