giovedì 4 marzo 2010

La Repubblica dei peracottari

La ridicola vicenda della lista del Pdl non ammessa in Lazio e quella di Formigoni in Lombardia da ancora una volta la misura di quanto l'Italia sia in mano a una combriccola di peracottari corrotti e irresponsabili.

Producendo così un'ennesima vampata di quel nauseante miasmo che ha invaso ormai tutti i pori della penisola italiota.

Ma, come ben si sa, al peggio non c'è mai limite e quindi attendiamo fiduciosi un bel decreto legge da parte del governo che rimetta a posto i cocci, rinfocolando però la ciminiera da cui proviene il mefitico miasmo.


Il vuoto al potere
di Massimo Giannini - La Repubblica - 4 Marzo 2010

La democrazia è in pericolo, tuonano le corti berlusconiane di fronte alla bocciatura dei listini di Roberto Formigoni e di Renata Polverini decretata dalle Corti d'appello di Milano e di Roma.

Certo, una tornata decisiva di consultazioni regionali dalla quale mancasse l'insegna del partito di maggioranza relativa in Lombardia e nel Lazio sarebbe un test elettorale assai incompleto e incomprensibile.

Ma nell'attesa che i tribunali amministrativi dicano l'ultima parola sui ricorsi presentati dal Pdl, e al di là delle complicate valutazioni giuridiche del caso, una considerazione politica si può e si deve trarre.

In base a quanto si è visto in questi mesi e in questi giorni, ad essere in pericolo non è la vita della democrazia, ma piuttosto la sopravvivenza del Pdl. Cos'altro è questa farsesca tragicommedia delle liste, taroccate o presentate fuori tempo massimo, se non la plastica dimostrazione di un partito che sta morendo in culla?

Cos'altro dicono le convulsioni e i veleni interni al mistico Popolo delle libertà, se non il dilettantismo e l'avventurismo di un esperimento identitario che non ha funzionato perché in realtà (come avevamo scritto su questo giornale la settimana scorsa) un centrodestra italiano moderato e moderno non è mai nato, né dal punto di vista politico né dal punto di vista culturale?

Secondo la bugiarda vulgata berlusconiana, dagli anni Novanta in poi i "comunisti" hanno usato le toghe "rosse" per liquidare la vecchia Cdl per via giudiziaria: pm invasati, pool milanesi esagitati, e così via sragionando.

Adesso gli stessi "comunisti" starebbero usando le toghe "grigie" per liquidare il nuovo Pdl per via amministrativa: discreti magistrati di Corte d'appello, anonimi giudici di Tar, e via sproloquiando. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.

Quello che il Cavaliere non dice, e i suoi scudieri non ammettono, è che questa volta non reggono il teorema dell'opposizione barricadera e dei pubblici ministeri torquemadisti né la teoria del "nemico esterno".

Stavolta, molto più semplicemente, questo centrodestra si sta auto-liquidando per via politica.

Questa è la pura e semplice verità, disvelata in modo quasi grottesco dal patetico autodafé politico in cui sono involontariamente incappati Formigoni e Polverini. La crisi è tutta interna al Pdl, e nemmeno il collante puramente ideologico del berlusconismo di guerra sembra più reggere.

Dal trionfale successo del 13 aprile 2008 in poi, archiviata in troppa fretta la sorprendente parentesi da "federatore" della destra e da "uomo di Stato" dei primi due mesi, il premier si è illuso di poter affrontare e risolvere l'intera legislatura sull'onda del suo autoritarismo populista e plebiscitario. Lui è il "messaggio", tutto il resto non conta niente. L'intera proiezione del governo si esaurisce nell'esibizione della forza e nella manipolazione della propaganda.

L'intendenza seguirà, come diceva il generale De Gaulle. Ma questa è la gigantesca, miope illusione, che oggi si infrange e va in frantumi per una banale questione di firme e di timbri. Se non c'è la politica, oltre i decreti urgenti, le ordinanze in deroga e i sondaggi confidenti, l'intendenza non segue affatto. Semmai si auto-tutela, quando addirittura non si auto-distrugge, come dimostrano i sospetti e i veleni che si consumano nella Capitale sulle candidature, tra le correnti forziste e i luogotenenti finiani.

E senza una solida struttura politica basta una risibile stortura burocratica per smascherare un bluff, per capire che il partito di plastica non è diventato di ferro, e insomma per accorgersi che il re è nudo. Su questo limite genetico dovrebbe riflettere il premier.

Su questo deficit originario dovrebbero interrogarsi i suoi accoliti, invece di attaccare e delegittimare l'unico che l'ha capito fin dal primo giorno, cioè il presidente della Camera Gianfranco Fini.

Rischia di essere tardi, adesso. Come diceva ieri un ministro, "ormai siamo al capolinea, il Pdl così non regge più e presto ognuno di noi tornerà a fare il mestiere che faceva prima...".

Come dire: l'amalgama Forza Italia-An rischia di sciogliersi per sempre. E serve a poco urlare contro i sedicenti "furbi" che vorrebbero alterare il risultato delle elezioni (come fa il ministro per la Semplificazione) o invocare improbabili "prove di forza" (come fa la candidata del Lazio).

I "furbi" di Calderoli non esistono: sono fantasmi evocati per confondere e intorbidare le acque. E la "piazza" della Polverini è a dir poco surreale: contro chi marcia, stavolta, il vasto Popolo delle libertà? Contro il Tar del Lazio?

Viene da sorridere, solo a pronunciare lo slogan. Senza contare, da ultimo, che i giudici amministrativi applicano, come sempre, solo le regole. E quelle sì, assicurano la vita della democrazia.

Ma questo resta un arcano troppo complesso da far capire a Silvio Berlusconi. Fin dalla sua epica "discesa in campo", il Cavaliere concepisce la democrazia come pura estensione della sua signoria.


Allarme ambientale: le macerie della Polverini gettate nel Tevere
di Alessandro Robecchi - www.alessandrorobecchi.it - 2 Marzo 2010

Grande allarme a Roma per il crollo della lista PdL alla regione Lazio.

Dai sismologi arrivano notizie confortanti, ma molti cittadini ed elettori del centrodestra hanno preferito comunque passare la notte all’addiaccio e dormire in macchina per timore di nuovi crolli nel partito.

Il capo della protezione civile si è recato sul posto subito dopo il crollo: “Ho fatto in fretta perché il Salaria Sport Village è qui a due passi”, ha detto Guido Bertolaso.

Per i tecnici le priorità dell’intervento sono chiare, ma non mancano i rischi e non si sa quando gli elettori di destra potranno tornare nel loro partito. Dice un ingegnere della protezione civile: “Per prima cosa bisogna mettere in sicurezza la Polverini. La stiamo transennando e stabilizzando con le impalcature, ma i lavori sono difficoltosi perché quelli che di solito vincono questi appalti sono tutti in galera”.

Il governo, per bocca del premier, si è detto deciso ad agire senza indugi, per non ripetere le lungaggini del passato: “Noi siamo il partito del fare – ha dichiarato Silvio Berlusconi – ed è già pronto il progetto per ricostruire Renata Polverini su un terreno abbandonato a Frosinone, avrà tutti gli elettrodomestici, e lo champagne in frigo, anche se per andare a Roma dovrà prendere un treno di pendolari e quindi ci metterà due giorni”.

Intanto, nella notte, nuovo allarme: qualcuno ha gettato le macerie della Polverini nel Tevere, cosa che provoca molta preoccupazione perché la lista del PdL a Roma conteneva non pochi materiali fortemente inquinanti e non biodegradabili.

Intanto, i dirigenti del PdL cercano i responsabili del disastro: quelli di Forza Italia li cercano in An e quelli di An li cercano in Forza Italia. Ma si pensa anche al rilancio della zona in cui è crollata la Polverini. “Forse ci faremo un G8 o forse le Olimpiadi – ha detto Bertolaso – in ogni caso il buffet sarà affidato alla società del genero di Gianni Letta”.


Chi è causa del suo male

di Lietta Tornabuoni - La Stampa - 4 Marzo 2010

Nessuno ama la burocrazia, si capisce: ma si può riflettere, semplificando le scemenze che hanno per ora escluso dalle elezioni regionali le liste della maggioranza a Milano e a Roma, prendendo per buone le giustificazioni impossibili che sono state offerte per i ritardi nel presentare le liste stesse, per le loro cialtronerie e mancanze.

Che non si possa impedire a una lista di venir votata a causa di piccoli errori commessi in buona fede, è vero: le votazioni, anche se da noi sono continue e variate, rappresentano un momento essenziale della democrazia, e se qualcuno ha commesso sbagli di poco conto è sostanzialmente giusto accoglierne le scuse e il ricorso (non le bugie e i tentativi di attribuire la colpa ad altri).

L’atteggiamento che ad ogni costo vuole punire l’episodio, facendo pagare la pena della leggerezza e irresponsabilità, è intollerante ma anch’esso giusto. Non c’è di peggio, democraticamente parlando, che contare sul proprio potere di maggioranza governativa per ignorare le regole e violarle, per comportarsi con lassismo e menefreghismo, per immaginare che tutto sia consentito e rimediabile.

Un simile atteggiamento non riguarda certo soltanto l’impiegato incaricato di presentare le liste. È uno stato d’animo comune a ogni livello nel partito di maggioranza, i cui dirigenti sono spesso politici dilettanti e padroncini professionisti.

Risultano, a cominciare dal vertice, persone abituate a dare ordini ai dipendenti e a venire prontamente obbedite, persone use a fare i comodi propri scavalcando con insofferenza regole e leggi: ma la democrazia non funziona così.

Poi, può darsi che la faccenda delle liste ritardatarie e imperfette nasconda chissà quali altri segreti: ostilità interne, ritorsioni & vendette, lotte intestine, truffe & trabocchetti. Allora tutto sarebbe più facile, proverbiale: chi è causa del suo male, pianga se stesso.


La banda del cabaret

di Marco Cedolin - http://ilcorrosivo.blogspot.com - 4 Marzo 2010

I siparietti comici in grado strappare almeno qualche sorriso in salsa agrodolce non sono certo mancati negli ultimi mesi.

Come dimenticare infatti l’invito dell’ad delle Ferrovie Moretti, l’iper tecnologico mentore dell’alta velocità, a portarsi da casa coperte e panini, per meglio fronteggiare i lentissimi viaggi sui convogli in panne nella neonata steppa padana lo scorso dicembre?

La consegna del premio Nobel per la Pace al Presidente americano Obama, impegnato proprio in quei giorni nel rafforzamento del contingente militare in Afghanistan?

Il ministro Rotondi che consigliava agli italiani di abolire il pranzo? La psicosi terrorismo costruita intorno alle mutande del nigeriano Umar Faruk Abdulmutallab? Il blocco del traffico domenicale presentato alla stampa con tronfi proclami da Chiamparino e dalla Moratti e poi rivelatosi un flop totale sotto ogni punto di vista?

Renata Polverini e Roberto Formigoni, candidati a “governatori” per le regioni Lazio e Lombardia con il PDL, sono però riusciti a superare i loro pur illustri epigoni, dando vita ad una vicenda degna di Zelig Circus ed estremamente indicativa della professionalità con cui si muovono i faccendieri della politica nel Belpaese.

La lista a sostegno della Polverini è stata infatti esclusa dalla competizione elettorale nella provincia di Roma, poiché i funzionari del più grande partito italiano non sono riusciti a presentare la stessa in tempo utile, dal momento che la persona deputata a farlo si era attardata a causa di uno spuntino.

Quella a sostegno di Formigoni non è stata accettata, in quanto il più grande partito italiano non è riuscito a presentare 3500 firme regolari, essendo alcune centinaia di esse prive dei timbri regolamentari o addirittura appartenenti a persone decedute.

Di fronte alla situazione, per molti versi comica e per molti disarmante, la reazione dei due candidati e dell’intero PDL è scivolata in una commedia grottesca, condita da dichiarazioni prive di ogni logica e prese di posizioni assolutamente incomprensibili.

A turno candidati, ministri e portavoce del partito si sono infatti scagliati contro la burocrazia, contro gli avversari politici e contro le regole elettorali (da loro stessi stabilite), arrivando a paventare un complotto volto ad impedire agli italiani di esercitare il proprio diritto di voto e ventilare gravi rischi per la democrazia. Senza mancare d’indire perfino una manifestazione che richiamerà questi temi e chiederà la riammissione delle liste, da tenersi giovedì 17 marzo.

Il tutto nonostante la colpa dell’accaduto sia da ricercarsi unicamente nella maniera sprovveduta e nella supponenza con cui il partito ha gestito e sottovalutato le normali questioni burocratiche

Stupisce non poco tanta premurosa attenzione nei confronti del diritto dei cittadini ad essere rappresentati, esternata da chi, tramite gli sbarramenti imposti dalla legge elettorale, ha di fatto impedito che oltre 4 milioni di italiani votanti potessero venire rappresentati in parlamento, durante l’ultima tornata elettorale.

Ma stupisce ancora di più il pressappochismo ed il dilettantismo manifestato nell’occasione dal partito che guida il paese e nutre la velleità di guidarlo nel futuro. Vengono i brividi solamente a pensare che chi non è in grado (nonostante abbia alle spalle enormi disponibilità economiche) di presentare una lista elettorale entro mezzogiorno o produrre 3500 firme a fronte di milioni di elettori, abbia la presunzione di potersi confrontare con problemi come la crisi economica, la disoccupazione, i disastri ambientali e intenda perfino costruire e gestire in Italia nuove centrali nucleari.

Tutte questioni che richiedono ben altra capacità rispetto a quella necessaria a depositare liste e firme nei tempi e nella forma disposti dalla legge. Un’operazione in fondo non così difficile neppure per i piccoli partiti che il paese non hanno mai nutrito l’ambizione di governarlo, ma presentano liste e firme correttamente, magari dopo dure settimane di pellegrinaggio a raccogliere gli “autografi” così come vuole la burocrazia.


Tondo o quadrato, che sarà mai

di Marco Bracconi - http://bracconi.blogautore.repubblica.it - 3 Marzo 2010

Le Corti d’Appello bocciano i ricorsi sulla liste, il Pdl insorge e parla di ”democrazia a rischio”.

Ieri, la nientemeno seconda carica dello Stato aveva detto “si badi alla sostanza e non alla forma”. Oggi i vertici del Pdl dicono che “non si deve decidere in base a un timbro tondo o quadrato”.

La discussione si potrebbe chiudere rapidamente ricordando che in democrazia - e solo in democrazia – la forma è sostanza.

Ma forse vale la pena di inserire un corollario.

Se chi governa un paese dice che non conta se un timbro è tondo o quadrato, se una firma c’è o non c’è, se si arriva in tempo o in ritardo, chi glielo spiega poi ai cittadini che è loro dovere pagare le tasse nei tempi fissati, presentare le domande per le badanti entro la scadenza, conciliare la multa entro i 60 giorni previsti?