giovedì 17 settembre 2009

Afghanistan: tra finta democrazia e vera guerra

Come è noto da tempo, in Afghanistan la situazione per il contingente NATO-ISAF si sta facendo sempre più dura.

Oggi è stato il contingente italiano ad essere preso di mira. Almeno 6 militari italiani sono morti e altri quattro sono rimasti feriti in modo grave a Kabul in seguito ad un autobomba che ha colpito un convoglio della NATO sulla strada che porta dal centro cittadino all'aeroporto.
Oltre ai 6 militari italiani morti, che viaggiavano a bordo di due blindati Lince (i famigerati Lince...), ci sono tra i civili anche 10 vittime afghane e 55 feriti.

Questo attentato segue di 24 ore il discorso di Hamid Karzai, riconfermato presidente ma al centro di aspre critiche su presunti brogli, che ovviamente smentisce "Nelle elezioni di agosto non ci sono state frodi massicce, se ci sono stati brogli devono essere accertati e accertati equamente, senza prevenzioni".

Parole polemiche indirizzate agli osservatori dell'Ue che ieri avevano appunto gridato all'irregolarità di almeno un milione e mezzo di voti, tre quarti dei quali espressi proprio a favore di Karzai che ha però contrattacato così: "La stampa ha parlato di frodi massicce, non sono state così numerose, se ci sono state frodi sono di poco conto, questo accade in tutto il mondo. Credo fermamente nell'integrità delle elezioni, nell'integrità del popolo afgano e nell'integrità del governo in questo processo. Spero che i nostri amici stranieri rispettino il popolo dell'Afghanistan e permettano alla Commissione Elettorale Indipendente di adempiere i suoi compiti. Senza pregiudizi".

Ieri infatti la Commissione Elettorale aveva fornito i risultati finali ma non ancora ufficiali, con Karzai che avrebbe racimolato la maggioranza assoluta col 54,6%, sufficiente a evitare il ballottaggio con il suo principale contendente Abdullah Abdullah, che ha ottenuto invece solo un 27,8%.

Nessun ulteriore commento su questa farsa delle elezioni afghane e sullo scontato coro dei politici italioti che naturalmente s'inchinano alle vittime di oggi e promettono che la missione militare continuerà per la libertà e la sicurezza dell'Afghanistan e perchè l'orgoglio dell'Italia è sempre alto...

A quando invece un dibattito serio e concreto su quale exit strategy adottare al più presto? Visto che anche il generale Arpino (ex capo di stato maggiore) dice che "Ormai nemmeno Kabul è sotto controllo"?


Afghanistan tra luci rosse ed exit strategy
di Luca Mazzucato - Altrenotizie - 15 Settembre 2009

Le foto dei contractors americani della ArmorGroup, ubriachi, nudi e dediti a pratiche sessuali a bordo piscina, hanno fatto il giro del mondo in un baleno e stanno provocando reazioni a catena a Washington. A mezza strada tra Villa Certosa e “Il signore delle mosche”, i responsabili della società di mercenari che gestisce la sicurezza dell'ambasciata americana a Kabul, hanno sistematicamente abusato e minacciato i 450 dipendenti americani e il personale locale afghano lungo un periodo di due anni.

Il contratto da 189 milioni di dollari della ArmorGroup, rinnovato due volte da un Pentagono già al corrente di questi episodi, è ora sotto scrutinio. Con il consenso per la guerra in caduta libera, lo scandalo sta spingendo l'ala più liberale dei democratici a parlare di una exit strategy dall'Afghanistan, a cui per il momento Obama si oppone fermamente.

Il cocktail letale di vodka, sesso e mercenari ha portato al licenziamento in tronco di tutti i diciotto supervisori della ArmorGroup a Kabul. Secondo le testimonianze e le numerose foto apparse sui media, oltre agli americani, anche i dipendenti afghani venivano costretti ad ubriacarsi (pratica proibita dai precetti musulmani) e prendere parte alle umiliazioni; in varie occasioni, anche prostitute venivano portate all'interno della Zona Verde, in barba alla massima sicurezza che i mercenari stessi avrebbero dovuto assicurare. Dopo aver persino urinato sui propri dipendenti, i manager dell'azienda ottenevano il loro silenzio, minacciandoli nel caso avessero parlato.

La totale debacle del sistema di protezione dell'ambasciata americana ha fatto colare a picco il morale del personale diplomatico americano a Kabul - circa un migliaio di persone - ed è l'ennesimo caso in cui le società di sicurezza privata mettono in grave difficoltà il Dipartimento di Stato. L'episodio più eclatante, nel 2007, fu l'efferata strage di diciassette civili iracheni perpetrata a sangue freddo da un commando di mercenari della Blackwaters a Bagdad, che portò infine all'espulsione dell'azienda dall'Iraq.

Il vero scandalo nel caso dell'ArmorGroup è il fatto che il Dipartimento di Stato è sempre stato al corrente degli abusi, notificati ufficialmente ben undici volte, ma l'azienda ha visto il proprio contratto rinnovato ugualmente. Durante la recente conferenza stampa al Dipartimento di Stato, il portavoce Ian Kelly è stato letteralmente grigliato dai giornalisti. Alla richiesta di spiegazioni sul perché con una mano i funzionari del Dipartimento denunciavano questi abusi come una falla fatale nel sistema di sicurezza, mentre con l'altra rinnovavano la firma sui contratti milionari, Kelly non ha saputo rispondere.

Le successive inchieste giornalistiche stanno portando alla luce una situazione drammatica di sfruttamento, corruzione e abusi continui sui dipendenti da parte dei supervisori delle società di sicurezza privata, della cui gravità il Dipartimento di Stato è pienamente al corrente.

Secondo l'associazione di diplomatici americani “Concerned Foreign Service Officers,” la scusa delle “poche mele marce” va respinta senza appello: il continuo ripetersi di questi atti è “dovuto alla cultura dell'impunità,” alla base della condotta di tutto il personale privato americano in territorio straniero. A conferma di questa tesi, il New York Times sostiene che il governo americano è in sostanza ostaggio delle aziende di sicurezza privata: a causa della doppia occupazione militare di Afghanistan e Iraq, le forze regolari sono del tutto insufficienti a gestire entrambi i fronti e devono chiedere aiuto ai mercenari, che sono nella posizione di chiedere e ottenere un regime d’impunità. Il governo, infine, non può permettersi di rescindere i contratti con i mercenari, pena pesanti perdite finanziarie. Resta da vedere come il Segretario di Stato Hillary Clinton gestirà questo scandalo.

La dottrina Bush, secondo la quale l'impegno dell'esercito regolare deve essere ridotto al minimo e rimpiazzato dalle corporations di mercenari, è il vero cuore del problema. Come emerge sempre più chiaramente, Barack Obama sta seguendo in Afghanistan la strada tracciata dal suo precedessore George W. Bush. Il presidente, infatti, ha chiesto e ottenuto dal Congresso più truppe e più soldi per continuare l'occupazione, ma la mancanza di obiettivi chiari, il fallimento della campagna militare contro i Talebani e l'aumento delle vittime tra i soldati americani, stanno erodendo di mese in mese il sostegno dell'opinione pubblica all'invasione. Secondo l'ultimo sondaggio della CNN il cinquantasette percento degli americani è contrario alla guerra in Afghanistan e la percentuale sale al settanta per cento tra i democratici.

A fronte di questo improvviso cambiamento di umore, molti deputati e senatori democratici cominciano a temere per la propria rielezione ed è ufficialmente cominciata la fronda legislativa contro la guerra. Dopo aver visto passare per una manciata di voti lo stanziamento di ventimila nuove truppe nel giugno scorso, Nancy Pelosi, speaker del Congresso, ha escluso per il futuro l'invio di ulteriori truppe chiesto da Obama e, grossa novità, sta pensando di aprire un dibattito su un eventuale piano di ritiro. Molti dei democratici che hanno votato a favore in giugno, infatti, hanno dichiarato che d'ora in poi voteranno contro.

L'unica possibilità per Barack Obama di aumentare l'impegno militare in Afghanistan rimane chiedere l'aiuto dei repubblicani e dell'ex-candidato John McCain, che sostengono la guerra senza se e senza ma. Con la popolarità in caduta libera a causa della battaglia sulla riforma sanitaria, resta da vedere se Obama sceglierà questa strada, mettendo a rischio l'ormai vacillante sostegno della propria base progressista. E magari fare la fine del presidente democratico Lindon Johnson, ricordato non già per l'introduzione della sanità pubblica in America con “Medicare”, ma per l'escalation militare in Vietnam.


I cowboys di Kabul
di Daniel Schulman per Mother Jones - http://byebyeunclesam.wordpress.com - 16 Settembre 2009
Traduzione di F. Roberti

Come una coppia di nonni texani falliti trae guadagno dalla miniera degli appalti in Afghanistan

Era il marzo del 2002, e Del e Barbara Spier erano completamente al verde. La coppia texana, nonni di cinque nipoti e proprietari di una piccola ditta di investigazioni private con sede a Houston, si ritrovava con un debito superiore ai 260.000 dollari. Avevano esposizioni fino a 18.600 dollari su oltre una dozzina di carte di credito ed erano zavorrati di scoperti su prestiti bancari per 80.000 dollari e su mutui per altri 95.000. Nella pratica di fallimento, la ditta degli Spier, fondata nel 1987 e denominata “Agenzia per Servizi di Investigazione e di Protezione”, veniva giudicata di “nessun valore di mercato”.

Benché le circostanze apparissero disastrose, gli Spier erano in procinto di diventare milionari. A maggio, Barbara Spier aveva svolto le pratiche per costituire una nuova azienda chiamata US Protection and Investigations (USPI). Presto, grazie alla fonte inesauribile di contratti che era la guerra in Afghanistan, ella stava firmando un accordo di 8,4 milioni di dollari con il Louis Berger Group. La società multinazionale di costruzione e progettazione aveva ottenuto un contratto di 214 milioni per ricostruire le infrastrutture dell’Afghanistan – strade, impianti idrici e di depurazione, centrali elettriche e dighe – dall’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale statunitense (USAID).

Il compito dell’USPI era quello di fornire sicurezza ai lavoratori che riparavano una strada di 300 miglia che collega Kabul a Kandahar.
Molto del lavoro doveva essere svolto in un territorio remoto e pericoloso, soggetto a sporadici attacchi dei Talebani ed afflitto dalla presenza di bombe e mine inesplose risalenti all’epoca dell’invasione sovietica. “Alcuni tratti della strada sono soggetti a sequestri, rapine ed assassinii” riconosceva il Berger nei termini contrattuali. “Gruppi terroristici organizzati operano nei dintorni del corridoio stradale, ed alcuni stranieri sono stati intenzionalmente presi di mira in recenti incidenti”. Salvaguardare le centinaia di lavoratori all’opera lungo la strada, avvertiva il gruppo costruttore, sarebbe stato “una sfida”.

Dati i rischi del progetto – importante nello sforzo di stabilizzare l’Afghanistan – l’USPI rappresentava una strana scelta. Il Berger avrebbe potuto rivolgersi ad un agenzia per la sicurezza consolidata con forte esperienza nelle zone di conflitto. Invece, affidò un contratto senza bando di gara ad una ditta con nessuna reputazione sulla piazza e con un gruppo dirigente di fresca bancarotta.

Per gli Spier, il colpo di fortuna con il Berger rappresentò una svolta nella loro vita. Ed essi, da allora, avrebbero potuto vivere felicemente per sempre, eccetto per una cosa: stavano truffando il governo, secondo il Dipartimento di Giustizia, emettendo ricevute fasulle e fatturando per impiegati fantasma al fine di frodare milioni di dollari dai programmi finalizzati alla ricostruzione dell’infrastruttura afghana distrutta dalla guerra. Le loro presunte imprese, molto delle quali non sono mai state precedentemente descritte, offrono una delle più vivide immagini mai emerse della miniera degli appalti nel Selvaggio West afghano.
(…)

La storia della rapida trasformazione dell’USPI da azienda familiare a gigante della sicurezza inizia nel 2002, prima che le venga ancora affidato un singolo contratto. Quell’anno, il Berger prese Del Spier come suo direttore della sicurezza in Afghanistan. “Al dirigente del programma per Berger del tempo, Jim Myers, piaceva il modo in cui Del lavorava e lo portò dentro” dice un ex marine che lavorava per l’USPI. Un altro ex impiegato spiega come l’USPI entrò nel giro: “Quando si misero a cercare un operatore di sicurezza a tempo pieno, Del fu la scelta naturale. Egli stava già lavorando per il Berger. Era l’uomo giusto. Così il Berger gli disse: “Non abbiamo intenzione di bandire una gara d’appalto. Daremo a te un contratto intra-aziendale”.

Un uomo tranquillo con un contegno aspro, con una forte pronuncia texana e gli stivali da cowboy per fare il paio, Del, che ora ha 73 anni, raccontava al suo personale di aver lavorato come operatore d’intelligence durante la guerra in Vietnam per l’Air America, la compagnia aerea gestita dalla CIA. Nei primi anni novanta, quando conduceva una società chiamata “Del Spier & Associates”, lavorava in Algeria per la Bechtel, per proteggere gli impiegati di quest’ultima dagli attacchi dei militanti islamisti.

Barbara, che ha 59 anni, ha sempre gestito la parte amministrativa degli affari.
Era una molto presente a Houston, attiva nelle organizzazioni professionali locali. Una volta fu presidente della Federazione delle Donne Professioniste di Houston; l’Associazione Nazionale delle Imprenditrici la nominò anche Imprenditrice dell’Anno nella sua città. In Afghanistan, prese uno smanioso interesse circa le difficoltà delle donne afghane.
Il contratto dell’USPI obbligava la compagnia a proteggere pezzi di terreno così vasti che sarebbe stato troppo costoso assumere personale statunitense o di altri Paesi stranieri in misura sufficiente per il lavoro.

Ma Del aveva una soluzione. Egli concluse un accordo con il Ministro degli Interni afghano, che acconsentì a prestare all’USPI centinaia di uomini delle sue truppe – un sodalizio di poco rispettabili miliziani sotto il comando di un famigerato signore della guerra che risponde al nome di generale Din Mohammad Jurat. Accusato di una serie di attività criminali (compreso l’assassinio di un uomo la cui donna desiderava per sé), Jurat è stato descritto a Human Rights Watch nel 2003 come un “maniaco” e “pericoloso”.

Nel 2007, l’allora procuratore generale dell’Afghanistan, Abdul Jabar Sabet, accusò Jurat ed i suoi guardiaspalla di averlo attaccato con un abborracciato tentativo di omicidio. “La sua devozione era rivolta soltanto ad una cosa ed una cosa soltanto” dice un ex dipendente dell’USPI che ebbe a che fare con Jurat. “Quella cosa sono i dollari americani”.
In una transizione che avrebbe poi avuto conseguenze a lungo termine, l’USPI si associò sostanzialmente con l’ex comandante dell’Alleanza del Nord, pagando i suoi soldati 5 dollari al giorno per svolgere compiti di sorveglianza.

Secondo diverse fonti a conoscenza delle operazioni dell’USPI, quest’ultima continuò a concludere accordi similari con i vari potentati presenti nel Paese – fondamentalmente comprando la lealtà dei capi tribali e funzionari provinciali mano a mano che i lavori per la costruzione della strada passavano attraverso il territorio sotto il loro controllo. “Se vuoi sicurezza, devi pagare il signore della guerra o chiunque controlli quella determinata regione” dice l’ex funzionario del Berger. In alcuni casi – egli aggiunge – i comandanti delle milizie erano pagati semplicemente per assicurare “che non ci fossero attacchi”.
Ed aggiunge: “C’era un detto a Kabul: “La lealtà è a pagamento””. E veniva aggiudicata al miglior offerente.

Le reclute afghane della compagnia erano male allenate ed imprevedibili, secondo un ex coordinatore per la sicurezza dell’USPI. “In caso di scontro a fuoco, ci avrebbero lasciato in braghe di tela” egli afferma. “Molti di loro erano davvero ragazzini. Ricordo di quando cercavo di insegnare loro come sparare e non avevano alcuna idea di come maneggiare un kalashnikov”. “Altri – aggiunge – erano ex talebani, od ancora talebani, ma il fatto che non venissimo attaccati da loro lungo la strada… qualunque cosa lavorasse in nostro favore ci andava bene.”

Utilizzare guardie afghane poteva aver risolto il problema della manodopera. Ma aveva anche funzionato contro uno degli obiettivi cruciali della comunità internazionale: smilitarizzare le fazioni armate. Nel 2005, l’International Crisi Group riferì che le prassi di assunzione dell’USPI avevano effettivamente contribuito a rafforzare i comandanti delle milizie “politicamente, militarmente ed economicamente”.

Molte degli uomini dell’USPI – diceva l’ong – hanno “usato la loro autorità per svolgere attività criminale, incluso il traffico di droga”. Un ex supervisore dell’USPI mi ha raccontato di alcune guardie che come attività collaterale erigevano blocchi stradali in alcuni punti della strada che avrebbero dovuto proteggere, estorcendo denaro a coloro che vi passavano. L’ex funzionario del Berger descrive la situazione come un circolo vizioso. “Se non li paghi, uccidono gli addetti alla sicurezza ed i lavoratori” sostiene. “Se li paghi, peggiora il problema per il futuro”.

Per quanto questa relazione potesse sembrare rischiosa, l’impiego di guardie afghane supervisionate dai coordinatori per la sicurezza statunitensi ed internazionali assunti dall’USPI, diventò il modello operativo dell’agenzia, ed un modello redditizio. A partire dal suo legame con il Berger, l’USPI stipulò contratti con la Banca Mondiale, l’Agenzia per la Cooperazione Internazionale del Giappone (la versione giapponese di USAID), le Nazioni Unite, ed una serie di aziende private, inclusi banche ed alberghi locali. Nel settembre 2004, vinse un altro subappalto dell’USAID, attraverso il Berger, per un valore superiore ai 20 milioni di dollari. Praticamente, l’USPI forniva sicurezza per tutti i lavori che il Berger svolgeva in Afghanistan.

Nel 2006, l’USPI dichiarava di impiegare più di 3.000 guardie afghane, oltre a 160 addetti statunitensi e stranieri, e di avere una significativa presenza in tutto il Paese, soprattutto a Kabul, dove le guardiole contrassegnate con il suo stemma erano una visione comune. “Praticamente diventò un mostro” dice l’ex funzionario del Berger. Sul suo sito internet, la compagnia si descrive come “la principale compagnia privata di sicurezza che lavora a sostegno dell’operazione Enduring Freedom in Afghanistan”. Il suo scopo dichiarato? “Agevolare il cambiamento ed il miglioramento per il popolo dell’Afghanistan”.
(…)

Il 28 agosto 2007, la polizia afghana, agenti del FBI e USAID, e personale Blackwater, calarono negli uffici USPI di Kabul, armi alla mano. “Avete mai visto un ingresso dinamico, di persone che perquisiscono le stanze con le armi pronte e cariche e sospingendo una pistola verso la tua faccia? Questo fu il modo in cui Blackwater fece il suo ingresso dentro la casa” afferma un ex supervisore dell’USPI. Gli agenti requisirono computer ed armi di contrabbando, e portarono via borse piene di registri della ditta. Nel frattempo, le autorità federali stavano eseguendo un mandato di perquisizione presso la sede texana dell’USPI. A partire dal 2005, gli investigatori federali avevano via via raccolto evidenza che l’USPI aveva frodato il governo statunitense insieme ai suoi subappaltatori USAID. Adesso stavano facendo la loro mossa.
(…)

Una copia della richiesta di mandato di perquisizione, chiedendo l’autorizzazione a svolgere la ricerca nella sede texana, notava come il contratto iniziale fra USPI ed il Berger, aggiudicato nel giugno 2003 per 8,4 milioni di dollari, si fosse gonfiato fino ad arrivare a 36 milioni nel agosto 2005 – e riportava uno stuolo di accuse circa la potenziale causa di alcuni di questi incrementi. Gli investigatori dicevano di “aver ottenuto evidenza che l’USPI emetteva deliberatamente e sistematicamente ricevute e fatture fasulle atte a giustificare spese milionarie per le quali non possedeva documentazione a sostegno”.
(…)

C’era di più: un altro impiegato dell’USPI “ha dichiarato che soltanto circa la metà delle guardie per le quali l’azienda emetteva fatture al Berger esisteva davvero” e che Del Spier sovrafatturava regolarmente in tema di personale. Non solo c’erano registri dei lavoratori creati dal nulla, dice questa fonte, ma il vice di Del, un afghano di nome Behzad Mehr, di consuetudine produceva fatture false da inesistenti società per il carburante ed i veicoli.

Secondo un informatore dell’USPI, Bill Dupre – il dirigente responsabile della gestione dell’azienda in Afghanistan – insegnava ai nuovi impiegati come gonfiare i costi per coprire spese quali forniture per l’ufficio, munizioni ed altri articoli.”Dovevi mettere in busta paga dieci o quindici guardie che in realtà non esistevano”. Il governo sosteneva che “Del Spier fosse al corrente di tutte queste attività”. Ed anche che Barbara fosse anch’ella coinvolta nella truffa, e che sia stata anche colta nel tentativo di ingannare un ispettore federale circa la fatturazione al Berger per un lavoratore che non operava più per l’azienda.

Dopo le perquisizioni a Kabul ed in Texas, l’inchiesta è rimasta a lievitare per più di un anno. Poi, ad inizio dell’ottobre 2008, i federali sono piombati in picchiata, arrestando i coniugi Spier in Texas e Bill Dupre in California. Fra i denunciati compare anche il nome di Behzad Mehr, benché una nota rilasciata dall’USAID sosteneva che il braccio destro di Del “rimanesse contumace”. (Diverse fonti mi hanno riferito che Mehr era invece in prigione a Kabul al tempo, e che vi rimane ancora oggi.) I quattro hanno sul groppone svariate accuse di frode, addebiti che nel complesso possono condurre a condanne carcerarie fino a 35 anni e multe fino ad un milione e mezzo di dollari.

L’atto d’accusa cita altre prove della truffa, incluso un messaggio di posta elettronica del 29 maggio 2005 in cui Mehr chiedeva il permesso di Del per inserire indirizzi e numeri di telefono nelle fatture false. Non solo Del glielo diede, afferma l’atto, ma gli disse anche “di ricavare spazio in ufficio qualora il Berger chiedesse di vedere gli uffici aziendali”. Secondo le fonti giudiziarie, i caratteri di stampa usati per creare le fatture false sono stati trovati nei computer di Mehr e di Barbara Spier. Vi sono stati anche scoperti i files grafici contenenti le firme digitalizzate dei funzionari del Ministero degli Interni afghano, presumibilmente utilizzate per rendere verosimiglianti le fatture.

“Si facevano fatturazioni doppie e triple per i soldati e si raddoppiavano i costi per il noleggio delle automobili” mi ha raccontato un ex impiegato dell’USPI. “Se veniva noleggiata un’auto per 750 dollari, ne fatturavano 1.500 ad USAID. Se avevano 1.000 soldati al lavoro, imprimevano sui fogli di paga 3.000 impronte digitali del pollice e li mandavano per l’incasso”. E aggiunge: “Questo era il genere di cose che facevano”.

C’erano tanti segnali di avvertimento, dice Steve Appleton. Colonnello dell’esercito canadese in pensione, Appleton nel giugno 2005 diventò responsabile dei progetti per la costruzione delle strade in Afghanistan per conto dell’Ufficio per i Servizi di Progettazione dell’ONU (UNOPS). L’UNOPS aveva ricevuto da USAID uno stanziamento di 35 milioni di dollari per costruire una rete di strade secondarie in tutto il Paese.

Questo appalto poteva andare al Berger, se i suoi progetti non fossero andati abbondantemente fuori bilancio. (Il tetto di prezzo del suo contratto da 214 milioni ultimamente ha superato i 700.) “Non c’era più l’intenzione” di rendere il Berger primo appaltatore, mi ha detto recentemente Appleton da Kabul, ma ancora una volta USAID assicurò al Berger un pezzo dell’affare. L’agenzia stabilì che l’UNOPS dovesse subappaltare gli aspetti progettuali del lavoro al Berger. E con il Berger arrivò l’USPI.
(…)

Nel settembre 2005, uno degli addetti americani dell’USPI ammazzò con un colpo di pistola alla testa un afghano, un trentasettenne di nome Noor Ahmed che lavorava per l’azienda come traduttore. Benché l’incidente avesse brevemente portato la compagnia alla ribalta delle cronache, l’identità dello sparatore non è mai stata resa nota finora. Due ex lavoratori dell’USPI mi hanno riferito che si trattava di un ex marine di nome Todd Rhodes. (Egli fu ucciso in Iraq nell’agosto 2006 mentre lavorava per l’agenzia privata di sicurezza Cochise.) L’ex supervisore dell’USPI insisteva nel dire che lo sparo fosse giustificato, che Ahmed “si era posto in una posizione per far fuoco contro di lui e Todd gli aveva sparato per autodifesa”. Rimangono ancora aperte le domande sulle circostanze dello sparo e se siano state pienamente indagate. Mentre l’ex supervisore dell’USPI dice che il Ministero degli Interni afghano “svolse un’indagine veloce” e scagionò Rhodes da qualsiasi illecito, la compagnia lo fece uscire di nascosto dal Paese prima che potesse essere intrapresa un’inchiesta formale.

Il capo della polizia provinciale ha affermato di aver mandato una squadra presso la cittadella dell’USPI per indagare ma che le guardie della compagnia non permisero loro di entrare.
Bastò l’incidente ad alimentare le preoccupazioni di Appleton. Egli decise di darsi da fare per tagliare il rapporto dell’USPI con l’UNOPS – comunque, il contratto sarebbe terminato non più tardi dell’estate. L’USPI poteva concorrere nuovamente per l’appalto, ma Appleton era determinato a trovare la compagnia meglio attrezzata per difendere i lavoratori. Alla fine, egli dice – “USAID si tirò indietro”, convincendolo ad estendere il contratto di UNOPS per altri tre mesi in cui la situazione della sicurezza sarebbe stata rivista. (USAID non ha risposto ad una dettagliata richiesta di commento in merito.)

“Nel frattempo subivamo pesanti danni in termini di incidenti e morti violente nell’ambito del progetto sulle strade”, afferma Appleton. “Penso che nessuno abbia mai chiarito quali fossero i numeri. Avevamo più perdite dei soldati statunitensi in Afghanistan nel 2005 e 2006. Venivamo scremati. Avevamo coordinatori stranieri per la sicurezza dell’USPI che erano decapitati. Lavoratori turchi che venivano eliminati. Guardie afghane al servizio dell’USPI che erano fatte fuori. Andava così male che condussi un gruppo con rappresentanti del Berger a prendere contatto con l’ambasciata statunitense per dire: “Dovete armarci meglio perché là fuori noi veniamo massacrati”. Ed aggiunge: “L’USPI aveva adottato un approccio in stile cowboy, ‘Avanti con loro. Costruiremo la pace semplicemente ammazzandone abbastanza’”.

Appleton tentò ancora di cancellare il contratto. Finalmente diverse compagnie per la sicurezza – inclusa l’Aegis, una ditta britannica di buona reputazione – vennero sondate circa l’eventualità di prendere in carico l’incombenza. Ma subito il Berger fece resistenza.
Nel giugno 2006 Fred Chace, allora vice dirigente per le operazioni del Berger in Afghanistan, mandò ad Appleton una memoria nella quale si raccomandava di non rimuovere l’USPI dal progetto.
(…)
Appleton aveva colpito un muro di mattoni. Era sconcertato. “Era solo un’azienda a conduzione familiare fuori dal Texas” egli dice. “Queste persone erano dilettanti. Si trattava di una cosa completamente priva di senso.”

Ma Appleton crede di aver finalmente scoperto perché i funzionari del Berger fossero così riluttanti a mettere in discussione il contratto con l’USPI – e perché Del Spier e la sua azienda avevano potuto piombare per primi sull’appalto. Una volta, Appleton chiese ai funzionari del Berger perché fosse stata incaricata l’USPI. “Mi risposero che Jim Myers e Del se la filavano” egli dice. Myers era il progettista responsabile delle attività afghane del Berger, ed il funzionario che lavorava più in contatto con l’USPI. “Jim Myers era un sostenitore incondizionato dell’USPI e di Del” spiega l’ex funzionario del Berger. “Egli non avrebbe accettato critiche al loro riguardo. Non si sarebbe mai sognato – mai, mai – di rimuovere l’USPI. Mai, a dispetto di nulla. Nessuno aveva a che fare con il loro contratto.” E continua: “Si era ben capito che ci doveva essere stato un rapporto tra l’USPI e qualcuno al Berger, o Jim. Così andavano le cose. Era l’unico motivo logico per cui accadesse ciò… Si trattava di una questione di conoscenza.”
Altre fonti mi hanno riferito che Myers e Del Spier erano amici di lunga data. “Era tutto veramente incestuoso” afferma un ex impiegato dell’USPI. “Avevano un rapporto molto stretto” conferma l’ex supervisore.
(…)

Adesso, per Del e Barbara Spier i nodi sono venuti al pettine. Sono usciti dal fallimento ritrovandosi ricchi, solo per ricadere nel rischio di perdere tutto un’altra volta. A febbraio, il Dipartimento della Giustizia ha avviato la procedura per sequestrare la casa di Hempstead, nel Texas, dal valore di mezzo milione di dollari, comprata nel 2005 in parte con i profitti della truffa descritta. Sono stati loro tolti i passaporti, e per lasciare il Texas hanno bisogno di un permesso. L’USPI ha esaurito i suoi ultimi subappalti con USAID lo scorso inverno, subito dopo essere stata inserita nella Lista degli Interlocutori Esclusi elaborata dal governo federale. Questa designazione preclude la società dal ricevere ulteriori incarichi governativi in pendenza del procedimento penale, che andrà in giudizio a fine settembre. (Gli Spier ed i loro avvocati hanno declinato le richieste di intervista.)

Ma l’USPI rimane veramente molto attiva in Afghanistan, con gli Spier che comandano dal Texas. Un visitatore recente di Kabul mi ha raccontato di aver visto le guardie dell’USPI appostate nei pressi di vari ristoranti ed attività locali. “Più le cose diventano pericolose, più fanno affari” dice l’ex marine che lavorava per l’USPI e che rimane in contatto con Del Spier. Ma Appleton, che adesso dirige una sua ditta di consulenza incentrata sul rafforzamento dell’economia afghana, dice che l’USPI non è più la controparte di una volta. “Adesso svolgono lavori da poco, un ristorante qui ed uno là. Non sono certamente diffusi.”


Kabul: otto pessimi anni
di Raffaele Matteotti - Altrenotizie - 10 Settembre 2009

Dopo otto anni di occupazione dell'Afghanistan la situazione è quantomai caotica e fallimentare. Il presidente Karzai, secondo l'ONU, ha truccato le elezioni, senza peraltro riuscirci troppo bene. E’ ormai fin troppo evidente che la situazione nel paese stia sfuggendo al controllo degli occupanti. Che Karzai alla fine riesca a vincere le elezioni oppure no, gli Stati Uniti affideranno il paese ad un governo parallelo, perché il presidente uscente ha ormai perso la fiducia di Washington e il suo principale concorrente ne ha ancora meno. Karzai peraltro non ha mai governato oltre la capitale, il soprannome di “sindaco di Kabul” se l'è assicurato proprio perché la sua autorità non si estende oltre i confini della capitale.

Nonostante l'aumentato impegno dell'amministrazione Obama è evidente che la situazione sia ormai compromessa oltre ogni rimedio e le notizie degli ultimi giorni aggiungono benzina alle critiche incendiarie rivolte all'intera operazione. L'invasione dell'Afghanistan decisa da Bush è stata chiaramente un passaggio interlocutorio per legittimare quella dell'Iraq e a lungo l'amministrazione Bush ha abbandonato l'Afghanistan a un'occupazione senza pianificazione e senza alcun sostegno reale alla ricostruzione del paese.

Anche l'avventura afgana, come quella irachena, sta naufragando nel disonore e sotto il colpo delle inchieste, ogni giorno si svelano nuovi dettagli e si mettono a nudo altre menzogne. In pochi giorni allo scandalo delle elezioni truccate si è aggiunto quello dei mercenari che costringevano a porno-iniziazioni i dipendenti afgani. I mercenari in Afghanistan sono più dei soldati americani, 68.000 contro 52.000 e, come in Iraq, il loro status e il loro operato sfugge ad ogni controllo.

Dopo l'emersione dello scandalo, il Dipartimento della Difesa (DOD) americano ha mandato gente per controllare: guardie che sorvegliano altre guardie. Una realtà insostenibile, che si aggiunge ai rapporti sempre più numerosi su prigioni segrete, esecuzioni illegali, malversazioni nella (mancata) ricostruzione e sulla commissione di stragi di cittadini afgani attraverso bombardamenti quantomeno azzardati.

Anche un maldestro tentativo minore di propaganda si è risolto in un disastro. Qualcuno ha pensato bene di riecheggiare analoghe accuse proposte in Iraq, sostenendo che l'Iran fornisce ai talebani la “tecnologia” per gli attentati ai convogli della coalizione. La dichiarazione a un giornalista di un (uno) anonimo “capo talebano” che sosteneva l'ipotesi è diventata “di alcuni capi talebani” in un documento del DOD e poi verità vera sulla stampa occidentale. Ma poi si è “scoperto” che gli ordigni esplosivi che fanno saltare i blindati occidentali sono costruiti principalmente mettendo insieme due o più mine TC-6. Mine prodotte dall'italianissima Tecnovar e spedite a milioni dalla Cia in Afghanistan negli anni ottanta per contrastare i tank sovietici.

Prima dell'invasione gran parte dell'impegno “umanitario” occidentale in Afghanistan consisteva proprio nell'opera di sminamento, oggi i talebani attingono da questo arsenale sepolto e riutilizzano le stesse mine, che sono in vendita anche sugli scaffali di Peshawar e Quetta, gran bazar delle retrovie talebane in Pakistan. Non è neppure il caso di aggiungere che gli Ayatollah persiani sono da tempo fieri avversari dei talebani e del loro Islam “eretico”, le dimostrazioni fattuali rendono inutile il perdere tempo per obbiettare agli alfieri della propaganda a gettone su questo punto.

Se c'è un dato “positivo”, sicuramente figlio dell'impegno nella “guerra al terrore” è proprio quello dell'aumento della quota di mercato statunitense nel mercato delle armi. Quasi 38 miliardi di dollari (dai 25,4 del 2007) e una quota che supera il 68% del mercato mondiale nel 2008, un successone in tempi di crisi e a ruota c'è proprio l'Italia che, pur a distanza, si piazza al secondo posto con vendite per 3,7 miliardi di dollari, superando anche la Russia, solo terza, che non è riuscita a ripetere l'exploit del 2007.

Per il resto è notte fonda e non sembra che siano all'orizzonte idee in grado di illuminare la situazione o di prevedere un futuro migliore per il paese o per le sorti dell'occupazione, che a questo punto si può dichiarare fallita senza tema di smentita. Nessuno degli obiettivi espliciti o impliciti che hanno dato vita all'occupazione del paese è raggiunto o sembra raggiungibile in tempi inferiori ai decenni e l'occupazione si rivela sempre più costosa politicamente, economicamente e umanamente senza che il paese o gli occupanti riescano a trarne il minimo vantaggio.

Si continuerà allora sul filo della propaganda a ripetere stancamente che questo enorme falò di vite e di risorse serve a questo o a quello, magari tirando in mezzo ancora una volta le povere donne afgane e la loro misera condizione o dicendo che siamo laggiù per “portare la democrazia” a un popolo ignorante che vive ancora organizzato in tribù.

Balle che si sapevano tali anche prima dell'invasione, ci sono parecchi paesi nei quali la democrazia è un miraggio e sono quasi tutti alleati di ferro dell'Occidente virtuoso, così come ci sono paesi nei quali la condizione della donna è ugualmente medioevale, l'Arabia Saudita su tutti, senza che la cosa turbi minimamente le coscienze dell'Occidente democratico.

Il fallimento dell'occupazione non significa però il suo termine, forze potenti continuano a ritenerla necessaria (a scopi inconfessabili) e continueranno a sostenerla a forza di menzogne ed ipocrisie fino a che non diventerà insostenibile per il collasso di uno dei tre campi di battaglia sui quali si sviluppa il moderno modello di guerra occidentale: quello strettamente militare, quello economico e quello mediatico.

Fino ad allora saremo deliziati da pessima propaganda e gli afgani continueranno cercare di sopravvivere al caos di un'occupazione ormai insensata e alle violenze dei fanatici talebani, rinvigoriti proprio da quell'incapacità che lo stesso Occidente ha provveduto ad auto-certificare negli ultimi otto anni.



Mad Max in Afghanistan
di Brad Forrest - www.workerscompass.org - 10 Settembre 2009
Traduzione di Freebooter

L'amministrazione Obama continua la politica dell'era Bush di schiacciare l'Afghanistan nella spinta per dominare il Medio Oriente. Persino l'alto comandante americano, il generale Stanley McChrystal, chiama l'Afghanistan una ". . . società tremendamente complessa, da Mad Max, totalmente devastata . . ." (The Economist, 22-28 agosto 2009) Naturalmente, ciò è dovuto a decenni di ingerenza degli USA nella regione. Il governo USA ha sostenuto la jihad (guerra santa) contro i sovietici negli anni '80 e bombarda il paese dal 2001.

Dalla caduta del regime talibano, l'America ha dato al regime afgano $32 miliardi in aiuti all'estero come parte di "sforzi di ricostruzione", ma questo non gli ha fatto guadagnare nessun sostenitore. L'economa rimane in un tale caos che il traffico di oppio l'anno scorso ha contato per $3,4 miliardi, il 33% del PIL.

Avendo invaso il paese nel 2001, il tentativo imperialista del governo USA sta perdendo in Afghanistan una guerra che non si può vincere. Il totalmente isolato governo di Hamid Karzai a Kabul è l'obiettivo di un crescente risentimento. Il suo "governo finanziato dagli stranieri . . . la forza guidata dalla NATO che lo protegge, nota come ISAF, e gli occidentali in generale" (The Economist, 22-28 agosto 2009), sono sempre più alienati dalla popolazione come strumenti di un regime fantoccio per installare l'egemonia imperialista occidentale nella regione. Tuttavia in qualche modo, con l'aiuto delle baionette americane, Karzai è stato rieletto, in delle elezioni dove il vero vincitore è stato l'astensionismo. In realtà Karzai non può neppure spingere il naso fuori dal suo palazzo a Kabul.

Riluttante a schierare altre truppe, a causa del timore di sconvolgimenti negli USA, il governo ha dovuto contare per continuare il combattimento su un sistema di agenti locali inaffidabili. Questo risulta in tutte le sorti di tribù rivali che si spettegolano addosso l'un l'altra rispetto alla cooperazione con i talibani ed impediscono agli occupanti USA di ottenere qualsiasi valida informazione.

Finora, tutto ciò che gli alleati sono stati capaci di fare in Afghanistan è di rotolare da una parte all'altra come un carro armato incontrollabile creando "danni collaterali" e nemici ovunque vadano. Per esempio, nella provincia meridionale di Helmand i marines sganciano sui villaggi bombe da 500 libbre per cercare di sradicare i talibani. Hanno sganciato bombe su matrimoni e su altre occasioni sacre, seminando in lungo e in largo il risentimento contro l'occupazione.

Per cercare di cambiare le cose per la "buona guerra" di Obama rispetto alla "guerra cattiva" in Iraq, Obama ha nominato Richard Holbrooke come inviato americano in Afghanistan e Pakistan. Il generale Stanley McChrystal è il comandante in capo americano in Afghanistan. Il predecessore di McChrystal pensava che la missione avesse bisogno di altre 10.000 truppe, ma gli furono negate. McChrystal afferma di avere un anno per mostrare dei progressi.

Questo anno è certamente troppo breve. Un recente sondaggio YouGov dell'Economist ha mostrato che il 18% degli americani pensava che gli americani stessero vincendo la guerra in Afghanistan. Il 42% degli americani pensava che gli USA stessero perdendo ed il 40% non era sicuro. Per quando riguarda l'aumento del numero di truppe, il 41% era contrario. Ma un sorprendente 65% ha sostenuto che gli USA dovrebbero ritirarsi senza vincere! La perspicacia del popolo americano è stimolante.

L'imperialismo non potrà mai spezzare la volontà del popolo afgano di essere libero dalla dominazione straniera. Un commento assai sagace nell'ultimo Economist osservava che la guerra afgana potrebbe essere per Obama "quello che l'Iraq è stato per Bush o persino quello che il Vietnam è stato per Lyndon Johnson".


Afghanistan, bidoni e pappafichi
di Giancarlo Chetoni - www.rinascita.info - 7 Settembre 2009

Per capire le motivazioni e il significato profondo delle dichiarazioni rilasciate di recente da La Russa a Massimo Caprara sul Corriere della Sera in cui chiede una revisione del codice militare di pace attualmente cogente in Afghanistan per i militari italiani, servirà ricorrere più avanti a Wikipedia e al caso Calipari.

Il nesso tra il funzionario del Sismi ucciso da un marine americano a Baghdad e il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio, morto ad agosto per un’esplosione che ha coinvolto il Lince su cui prestava servizio in Afghanistan, si presta a più di una similitudine. Il ministro della Difesa non ha dichiarato la volontà d’introdurre un codice militare di guerra ma ha fatto capire che quello di pace è di intralcio. Di intralcio a chi? Vorremmo capirlo senza manfrine.

Intervistato da SkyTg24, il titolare di Palazzo Baracchini ha fatto sapere all’opinione pubblica italiana che serve una “terza via” e il dissequestro urgente disposto dalla Procura di Roma di tre (3) “Lince”. Volete sapere quanti VML “bidone” erano in forza a gennaio 2009 al West Rac di Herat? Duecentoquarantanove (249). Proprio così. Avete letto giusto. In Italia ce ne sono come abbiamo già detto a disposizione delle Forze Armate e dell’Esercito la bellezza di 1.270. Con un C130J se ne possono far arrivare due ad Herat in 8-10 ore. Perdiamo efficienza sul terreno avendone operativi 246 anziché 249 da quelle parti? Macché. E allora?

Dal 2002 al 2009 abbiamo movimentato fra Italia-Aghanistan e ritorno 29.000 tonnellate di logistica e materiali militari. Quindici tonnellate in più per rimpiazzare i VLM distrutti che differenza fanno? Semplicemente nessuna. Anche se la Fiat Iveco vende a Inghilterra, Belgio, Croazia, Spagna, Cekia, Slovacchia e Austria dei “bidoni” (la Nato ci fa qualche regalino piccolo, piccolo. In Afghanistan dal 2002 al 2008 abbiamo speso già 2.7 miliardi al netto di 16 morti e decine di feriti), se i Lince rappresentano un pericolo per l’incolumità dei militari italiani la magistratura a pieno titolo deve accettarne i limiti operativi e la pericolosità per chi li ha in dotazione. O no?

I 246 Lince a disposizione del West Rtac di Herat vanno oltre le attuali necessità militari sia di perlustrazione armata che trasporto truppe. Si tratta del solo materiale in esubero? No. Di chi è la responsabilità di questa “svista”? Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, auspica inoltre un nuovo codice che non sia di pace né di guerra - da rimaneggiare - per azzerare i poteri di indagine della magistratura nel Paese delle Montagne. Governo e Difesa non tollerano di fatto occhi indiscreti sulla “missione di pace”. E puntano allo stesso potere di veto che utilizzò il segretario alla Giustizia dell’Amministrazione Bush per mettere a pagliolo le rogatorie internazionali dei pm Ionta e Saviozzi?

Il ministro Angelino Alfano non ha forse annunciato che a settembre prenderà il via il ridimensionamento per legge dei poteri d’indagine della magistratura inquirente? La Russa è uno dei colonnelli di Berlusconi. Allineato e coperto.

Facciamo ora entrare in campo l’enciclopedia “abbastanza libera” del web, la più affermata e conosciuta per la distribuzione di contenuti su Internet che riguarda il funzionario del Sismi ucciso dal marine Lozano. Negli Stati Uniti è stata istituita una commissione d’inchiesta ai cui lavori sono stati ammessi osservatori italiani (nessun inquirente legale) nominati dal governo in carica di centrodestra.

In Italia la magistratura ha incontrato impedimenti e difficoltà (eufemismo) nelle svolgimento degli accertamenti a causa del particolare status in cui si sono svolti i fatti che risultava essere territorio dell’Iraq sottoposto a controllo del codice militare Usa e a sovranità, di fatto assegnata al segretario alla Difesa; negato anche il permesso di far analizzare a magistrati e tecnici della polizia scientifica italiana il veicolo su cui viaggiava Calipari. I giudici italiani hanno dovuto attendere la conclusione dell’inchiesta Usa. Il diniego motivato da esigenze di natura militare ha di fatto provocato lo scadimento del valore probatorio del reperto (leggasi manomissione intenzionale della Toyota Corolla).

La Procura di Roma dopo la morte del mitragliere Di Lisio ha sequestrato tre Lince per capire come stavano le cose. Il Cocer Esercito ha chiesto per bocca del generale Domenico Rossi, il 9 agosto, che i magistrati della Procura di Roma facciano con urgenza sopralluoghi in Afghanistan e tolgano i “sigilli”, senza cercare il pelo nell’uovo. Anche il sindacalista, come il ministro La Russa, chiede un intervento urgente di dissequestro degli Iveco perché servono i “pezzi di ricambio”.

La sicurezza dei Lince sembra interessare poco o nulla. Brunetta, il nano cattivo della Pubblica amministrazione, ha previsto di tagliare dall’organico dell’Esercito 50.000 militari definendoli con disprezzo “pappafichi e pancioni in esubero”.
La guerra della Repubblica delle Banane in Afghanistan costa sempre di più. Quanto?
Ne riparleremo.



Ancora una volta in Afghanistan...
di Danilo Zolo - Il Manifesto - 7 Settembre 2009

In Afghanistan ancora una volta i caccia-bombardieri della Nato, agli ordini del generale statunitense Stanley McCrystal, hanno fatto una strage di innocenti. Nel cuore della notte, sul greto di un fiumiciattolo in secco, è scorso il sangue di decine di civili inerti, colpiti da missili e bombe statunitensi, inglesi e francesi.

Chi si aspettava che le recenti elezioni politiche e il loro probabile risultato - la vittoria di Hamid Karzai - sarebbero stati un passo avanti verso la soluzione della "guerra umanitaria" dell'Isaf e della Nato, si è ancora una volta ingannato. Karzai sopravvive rannicchiato in uno strettissimo settore del centro di Kabul, blindato dalle armate occidentali, mentre gli insurgent controllano oltre il 70% del paese.

Nel frattempo sono migliaia le vittime afghane della guerra in corso. La comoda leggenda secondo la quale le truppe Isaf- Nato, quelle italiane comprese, sarebbero in Afghanistan come "forza di pace" per proteggere il popolo afghano dai suoi nemici (i taliban) si è rivelata ancora una volta per quello che è: una impostura terroristica.

E' la farsa umanitaria di un terrorismo di Stato non meno crudele, violento e sanguinario del cosiddetto global terrorism che Barack Obama e Ilary Clinton pretendono di cancellare dalla faccia della terra con l'imponente operazione militare "Colpo di Spada". Per loro la guerra in Afghanistan e una "guerra necessaria" per salvare il mondo dal terrorismo. In realtà, sembra piuttosto necessaria una radicale revisione della nozione stessa di terrorismo, basti pensare che l'infamia atomica di Hiroshima e Nagasaki non è mai stata qualificata come un atto terroristico.

La realtà è un'altra: la guerra in corso in Afghanistan è una guerra di aggressione non meno grave di quella che ha devastato l'Iraq e non meno crudele di quella che ha trasformato la striscia di Gaza in un immenso patibolo per giustiziare donne, bambini e anziani palestinesi. L'intervento in Afghanistan della missione internazionale di assistenza al governo Karzai - l'Isaf, appunto - non è stato un intervento meno lesivo del diritto internazionale dell'aggressione statunitense del 2001, mai legalizzzata dalle Nazioni Unite.

La risoluzione del Consiglio di Sicurezza per la costituzione dell'Isaf non ha autorizzato - e non avrebbe potuto autorizzare - alcuna operazione militare. Il successivo, prevedibile passaggio dell'Isaf alle dipendenze della Nato ha totalmente violato l'obiettivo della "assistenza" e ha attribuito all'Isaf un obiettivo bellico che il Consiglio di Sicurezza non gli ha assegnato, come non lo ha assegnato e non poteva assegnare alla Nato.

Oggi la Nato - alleanza militare di parte già responsabile di gravissime lesioni del diritto internazionale - opera come un esercito che affianca le milizie Enduring Freedom in una guerra di aggressione contro cittadini che si battono per la liberazione del loro paese dai nemici che lo occupano. Dovrebbe essere chiaro a tutti che è illegale non solo l'aggressione ma anche l'occupazione militare di un paese e che il popolo aggredito ha il diritto di difendersi anche con l'uso delle armi.