domenica 27 settembre 2009

Ancora un attacco alla Rete, gli infami ci riprovano

Finora sono andati tutti a vuoto i tentativi da parte del mondo politico di mettere la mordacchia all'informazione in Rete, gli ultimi solo pochi mesi fa con il famigerato emendamento del senatore D'Alia (UDC) e la disposizione del ministro Alfano da inserire nel DDL intercettazioni.

Ora però la maggioranza parlamentare ci riprova con il disegno di legge firmato dai deputati Pecorella e Costa (PDL).

Un sonoro VAFFANCULO seppellirà nuovamente questo altro infame tentativo.


C'era una volta la libertà d'informazione in Rete
di Guido Scorza - punto-informatico - 17 Settembre 2009

Una proposta di legge per sottoporre alla disciplina sulla stampa tutti i siti Internet che abbiano natura editoriale. Qualsiasi cosa ciò significhi

Il 14 settembre scorso è stato assegnato alla Commissione Giustizia della Camera un disegno di legge a firma degli Onorevoli Pecorella e Costa attraverso il quale si manifesta l'intenzione di rendere integralmente applicabile a tutti i "siti internet aventi natura editoriale" l'attuale disciplina sulla stampa.

Sono bastati 101 caratteri, spazi inclusi, all'On. Pecorella per surclassare il Ministro Alfano che, prima dell'estate, aveva inserito nel DDL intercettazioni una disposizione volta ad estendere a tutti i "siti informatici" l'obbligo di rettifica previsto nella vecchia legge sulla stampa e salire, così, sulla cima più alta dell'Olimpo dei parlamentari italiani che minacciano - per scarsa conoscenza del fenomeno o tecnofobia - la libertà di comunicazione delle informazioni ed opinioni così... come sancita all'art. 11 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino e all'art. 21 della Costituzione.

Con una previsione di straordinaria sintesi e, ad un tempo, destinata - se approvata - a modificare, per sempre, il livello di libertà di informazione in Rete, infatti, l'On. Pecorella intende aggiungere un comma all'art. 1 della Legge sulla stampa - la legge n. 47 dell'8 febbraio 1948, scritta dalla stessa Assemblea Costituente - attraverso il quale prevedere che l'intera disciplina sulla stampa debba trovare applicazione anche "ai siti internet aventi natura editoriale".

Si tratta di un autentico terremoto nella disciplina della materia che travolge d'un colpo questioni che impegnano da anni gli addetti ai lavori in relazione alle condizioni ed ai limiti ai quali considerare applicabile la preistorica legge sulla stampa anche alle nuove forme di diffusione delle informazioni in Rete.
Ma andiamo con ordine.

Quali sono i "siti internet aventi natura editoriale" cui l'On. Pecorella vorrebbe circoscrivere l'applicabilità della disciplina sulla stampa?
Il DDL non risponde a questa domanda, creando così una situazione di pericolosa ed inaccettabile ambiguità.

Nell'Ordinamento, d'altro canto, l'unica definizione che appare utile al fine di cercare di riempire di significato l'espressione "sito internet avente natura editoriale" è quella di cui al comma 1 dell'art. 1 della Legge n. 62 del 7 marzo 2001 - l'ultima riforma della disciplina sull'editoria - secondo la quale "Per «prodotto editoriale» (...) si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici".
Si tratta, tuttavia, di una definizione troppo generica perché essa possa limitare effettivamente ed in modo puntuale il novero dei siti internet definibili come "aventi natura editoriale".

Tutti i siti internet attraverso i quali vengono diffuse al pubblico notizie, informazioni o opinioni, dunque, appaiono suscettibili, in caso di approvazione del DDL Pecorella-Costa, di dover soggiacere alla vecchia disciplina sulla stampa.
Ce n'è già abbastanza per pensare - ritengo a ragione - che nulla nel mondo dell'informazione in Rete, all'indomani, sarebbe uguale a prima.
Ma c'è di più.

Il DDL Pecorella Costa, infatti, si limita a stabilire con affermazione tanto lapidaria nella formulazione quanto dirompente negli effetti che "le disposizioni della presente legge (n.d.r. quella sulla stampa) si applicano altresì ai siti internet aventi natura editoriale".

La vecchia legge sulla stampa, scritta nel 1948 dall'Assemblea Costituente, naturalmente utilizza un vocabolario e categorie concettuali vecchie di 50 anni rispetto alle dinamiche dell'informazione in Rete. Quali sono dunque le conseguenze dell'equiparazione tra stampa e web che i firmatari del DDL sembrano intenzionati a sancire?

Se tale equiparazione - come suggerirebbe l'interpretazione letterale dell'articolato del DDL - significa che attraverso la nuova iniziativa legislativa si intende rendere applicabili ai siti internet tutte le disposizioni contenute nella legge sulla stampa, occorre prepararsi al peggio ovvero ad assistere ad un fenomeno di progressivo esodo di coloro che animano la blogosfera e, più in generale, l'informazione online dalla Rete.
Basta passare in rassegna le disposizioni dettate dalla vecchia legge sulla stampa per convincersene.

I gestori di tutti i siti internet dovranno, infatti, pubblicare le informazioni obbligatorie di cui all'art. 2 della Legge sulla stampa, procedere alla nomina di un direttore responsabile (giornalista) in conformità a quanto previsto all'art. 3, provvedere alla registrazione della propria "testata" nel registro sulla stampa presso il tribunale del luogo ove "è edito" il sito internet così come previsto all'art. 5, aver cura di comunicare tempestivamente (entro 15 giorni) ogni mutamento delle informazioni obbligatorie pubblicate e/o richieste in sede di registrazione (art. 6), incorrere nella "sanzione" della decadenza della registrazione qualora non si pubblichi il sito entro sei mesi dalla registrazione medesima o non lo si aggiorni per un anno (art. 7), soggiacere alle norme in tema di obbligo di rettifica così come disposto dall'art. 8 che il DDL Pecorella intende modificare negli stessi termini già previsti nel DDL Alfano e, soprattutto, farsi carico dello speciale regime di responsabilità aggravata per la diffusione di contenuti illeciti che, allo stato, riguarda solo chi fa informazione professionale.

Sono proprio le disposizioni in materia di responsabilità a costituire il cuore del DDL Pecorella e converrà, pertanto, dedicargli particolare attenzione.
Cominciamo dalla responsabilità civile.

L'art. 11 della Legge 47/1948 prevede che "Per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore". Non è chiaro come il DDL Pecorella incida su tale previsione ma qualora - come appare nelle intenzioni del legislatore - con l'espressione "a mezzo della stampa", domani, si dovrà intendere "o a mezzo sito internet", ciò significherebbe che i proprietari di qualsivoglia genere di piattaforma rientrante nella definizione di "sito internet avente natura editoriale" sarebbero sempre civilmente responsabili, in solido con l'autore del contenuto pubblicato, per eventuali illeciti commessi a mezzo internet.

Fuor di giuridichese questo vuol dire aprire la porta ad azioni risarcitorie a sei zeri contro i proprietari delle grandi piattaforme di condivisione dei contenuti che si ritrovino ad ospitare informazioni o notizie "scomode" pubblicate dai propri utenti. Il titolare della piattaforma potrebbe non essere più in grado di invocare la propria neutralità rispetto al contenuto così come vorrebbe la disciplina europea, giacché la nuova legge fa discendere la sua responsabilità dalla sola proprietà della piattaforma.

Si tratta di una previsione destinata inesorabilmente a cambiare per sempre il volto dell'informazione online: all'indomani dell'approvazione del DDL, infatti, aggiornare una voce su Wikipedia, postare un video servizio su un canale YouTube o pubblicare un pezzo di informazione su una piattaforma di blogging potrebbe essere molto più difficile perché, naturalmente, la propensione del proprietario della piattaforma a correre un rischio per consentire all'utente di manifestare liberamente il proprio pensiero sarà piuttosto modesta.

Non va meglio, d'altro canto, sul versante della responsabilità penale.
Blogger e gestori di siti internet, infatti, da domani, appaiono destinati ad esser chiamati a soggiacere allo speciale regime aggravato di responsabilità previsto per le ipotesi di diffamazione a mezzo stampa o radiotelevisione.
A nulla, sotto questo profilo, sembrano essere valsi gli sforzi di quanti, negli ultimi anni, hanno tentato di evidenziare come non tutti i prodotti informativi online meritino di essere equiparati a giornali o telegiornale.

Si tratta di un approccio inammissibile che non tiene in nessun conto della multiforme ed eterogenea realtà telematica e che mescola in un unico grande calderone liberticida blog, piattaforme di UGC, siti internet di dimensione amatoriale e decine di altri contenitori telematici che hanno, sin qui, rappresentato una preziosa forma di attuazione della libertà di informazione del pensiero.

Ci sarebbe molto altro da dire ma, per ora, mi sembra importante iniziare a discutere di questa nuova iniziativa legislativa per non dover, in un futuro prossimo, ritrovarci a raccontare che c'era una volta la libertà di informazione in Rete.


L'indifferenza per la Rete

di Massimo Mantellini - http://punto-informatico.it - 21 Settembre 2009

Una scarsa consapevolezza del mezzo Internet da parte dei cittadini italiani lascia campo aperto a strumentalizzazioni. Dai media al mondo politico

Il giorno successivo alla strage del militari italiani a Kabul Il Giornale è uscito con un titolo a tutta pagina su una notizia piccola piccola: qualcuno, nei recessi più nascosti della rete Internet, aveva offeso e dileggiato la tragedia appena occorsa.

Con qualche difficoltà un giornalista del quotidiano era riuscito a trovare un blog nel quale si scherniva la fine dei soldati uccisi nell'attentato, con qualche ulteriore difficile ricerca, nei commenti del blog di un giornalista dell'Unità e nell'immenso marasma dei commenti del blog di Beppe Grillo, aveva scovato qualche frase dai toni offensivi verso i militari italiani.

Come già accaduto in passato poche flebili tracce in rete sono più che sufficienti a confortare il proprio teorema, a generare un editoriale di Vittorio Feltri in prima pagina, a far comporre il titolo enorme "Quelli che sputano sui nostri morti".

Non si tratta solo di cattivo giornalismo, la rete italiana in queste ora trabocca di testimonianze commosse e preoccupate sulla strage di Kabul, il fatto è che queste persone odiano Internet. La odiano i tanti giornalisti che non hanno mai saputo accettare la presunta concorrenza altrui nel commercio delle parole, la odiano i politici, come la senatrice del PDL Laura Allegrini che letti gli articoli de Il Giornale si è precipitata a chiedere che venga immediatamente oscurato il sito in questione e che vengano individuati i responsabili, la odiano molti cittadini di questo paese, convinti in questi anni dalle informazioni che hanno ricevuto in merito, della natura ambigua e pericolosa di questo "nuovo" strumento di comunicazione.

E tuttavia il problema oggi non riguarda tanto costoro, che sono complessivamente solo una discreta e pericolosa minoranza, quanto la maggioranza degli italiani senza parere. In fondo Internet in Italia non è mai piaciuta quasi a nessuno, ce lo dimostrano un decennio di legislazioni sciagurate, di divulgazione malevola e di demonizzazioni di bassa lega.

Il Parlamento sforna a ritmo continuo progetti di legge che la regolino, che ne chiudano delle parti, che soprattutto individuino i responsabili di qualsiasi azione e parola così che possano essere ridotti ad una qualche normalità, anche magari attraverso l'enorme dito puntato dei quotidiani su una pagina web letta normalmente da quattro persone.

Senza voler essere eccessivamente ideologico la differenza fra il governo attuale e quelli precedenti (non solo quelli del centro sinistra ma anche il precedente governo Berlusconi) è che oggi sembra sia stato superato il punto di non ritorno, che un residuo fastidioso diaframma sia infine caduto.

Ciò che non poteva essere detto ora è sulla bocca di molti: questi signori odiano Internet perchè in un paese fortemente polarizzato ed impoverito in termini di discussione ed elaborazione culturale, la rete amplia il raggio dei punti di vista e costringe a nuovi sforzi di apertura verso gli altri. Quello che altrove è diffusamente percepito come un valore da noi è in molti casi una richiesta finalmente dichiarata come irricevibile. Comprendere i punti di vista altrui? Capire che anche quelli distantissimi dal nostro hanno diritto di asilo su Internet? Non sia mai.

Guido Scorza nei giorni scorsi ha lanciato dalla pagine di questo giornale l'ennesimo allarme su un progetto di legge capace di minare alle basi la libertà della rete. Il disegno Pecorella è solo l'ultimo di una lunga serie e non fa altro che confermare una tendenza già nota. Ma oltre al disegno di legge in sé, che in fondo si occupa delle "solite" cose come aggiungere strumenti di controllo sui cittadini che decidono di esprimere liberamente i propri punti di vista, è forse interessante osservare ciò che accade a margine.

Il numero crescente di minacce legislative alla rete ha creato una sorta di tolleranza farmacologica, ad ogni giro l'indignazione in rete è minore, ad ogni grido di allarme si moltiplicano, anche fra i pochi utenti di Internet interessati a queste questioni, gli sbadigli e le alzate di spalle.

Come sempre poi l'indignazione digitale è un movimento di opinione a costo zero e le sempre più rare proteste diffuse in rete, più o meno organizzate su blog e siti Internet, sono fenomeni destinati a vaporizzarsi alla prima chiamata ad un impegno concreto nella vita reale, una discesa in piazza, una telefonata al proprio parlamentare di riferimento ecc.

Accanto a quelli che odiano Internet in Italia c'è un popolo assai più ampio di cittadini che ignorano Internet. Un italiano su due la ignora perché non sa o non vuol sapere cosa sia, ma fra l'altra metà dei cittadini collegati esiste una grande maggioranza che semplicemente non considera rischi e conseguenze di ciò che sta accadendo. Che semplicemente non è interessata.

Come se ne esce? Per quanto mi riguarda non se ne esce se non attaccandosi con le unghie ancora una volta alla transnazionalità della rete, all'Unione Europea e ad altri santi simili. Dipendesse da questo paese reclinato su se stesso Internet non sarebbe nemmeno nata o sarebbe morta in culla, felicemente soffocata da un numero molto ampio di mani differenti.

C'è una modesta speranza residua, affidata ai tanti che "non sanno", a quell'italiano su due che, molto in teoria, potrebbe svegliarsi domani, accendere il suo nuovo router ed avere improvvisamente a cuore l'apertura e la libertà di questo strumento di collegamento fra le persone. A questi cittadini sconosciuti erano dedicati i fondi (800 milioni di euro circa) che il sottosegretario alle Comunicazioni Romani aveva promesso sarebbero stati investiti per lo sviluppo della banda larga. Poi, chissà perché, questi soldi sono scomparsi, destinati a più urgenti emergenze.