E ieri si è avuta un'altra conferma di quanto le banche saranno sempre più al centro dei nostri pensieri, con il commovente messaggio lanciato dal governatore della Banca Centrale Europea (BCE), Jean-Claude Trichet, alle banche europee.
Trichet ha iniziato disquisendo sull'uscita dalla crisi dell'intera economia europea, specificando comunque che non è ancora arrivato il momento ma che "a un certo punto le exit strategy dovranno essere implementate. La Bce ha una exit strategy, che sarà messa in campo al momento opportuno".
Bravo Trichet, ma di che si tratta?
E qui entra nello specifico "Nel caso della Bce l'uscita si riferisce in particolare al ritiro delle misure eccezionali messe in campo per contenere le minacce alla stabilità del sistema finanziario della zona euro e per sostenere il flusso di credito alle imprese e alle famiglie, oltre e al di sopra di quello che si sarebbe potuto ottenere solo attraverso una politica di riduzione dei tassi di interesse".
Certamente...
Peccato che poi lo stesso Trichet riconosca che "L'espansione monetaria e del credito continua a decelerare. La ripresa nei prestiti alle imprese è in ritardo e penso che resterà debole nelle prossime settimane. È per contrastare questo scenario che il consiglio dei Governatori considera appropriato l'attuale livello dei tassi".
E quindi? Dove vuole andare a parare?
Ma ecco la perla da lacrime agli occhi "Noi continuiamo a ripetere alle banche che quello che stiamo facendo non lo facciamo per i loro begli occhi, ma perchè loro riescono a svolgere il proprio mestiere. Fate il vostro lavoro per finanziare l'economia reale e soprattutto le piccole e medie imprese".
Sì sì, certo...
Finalmente Trichet chiosa e svela dove vuole arrivare veramente "Dunque diciamo alle banche che se hanno bisogno di più capitali devono utilizzare quanto accantonato dai vari governi per questo fine. Finora solo il 55% del capitale accantonato per le ricapitalizzazioni è stato utilizzato, ma il 45% no. Appare chiaro che attualmente la ragione principale delle persistenti difficoltà nel settore del credito è legata al fatto che la crescita dell'economia è diminuita moltissimo e dunque la domanda è molto meno dinamica rispetto al passato. Comunque il 77% della domanda di credito nell'ultimo periodo ha avuto esito positivo da parte delle banche, mentre solo nel 12% dei casi la risposta è stata no. Questo vuol dire che l'erogazione del credito tutto sommato funziona".
Quindi ricapitolando: prima Trichet afferma che "La ripresa nei prestiti alle imprese è in ritardo e penso che resterà debole nelle prossime settimane", poi finge di lamentarsi esortando le banche a fare il proprio lavoro di erogatrici del credito e infine però si smaschera affermando che "l'erogazione del credito tutto sommato funziona" ma che comunque il tempo stringe, l'exit strategy sta per arrivare e quindi le banche si devono sbrigare a utilizzare il 45% restante del capitale accantonato dai vari governi europei.
E per farne cosa poi? Ma per ricapitalizzare ulteriormente, non certo per erogare credito alle piccole e medie imprese.
Perchè questo è il vero "mestiere delle banche" che intendono Trichet e affini.
FT: dai risparmiatori fiducia in picchiata nelle banche
da www.valori.it - 28 Settembre 2009
La fiducia dei risparmiatori nelle banche vacilla sempre di più. E non è ormai inusuale vedere molte persone preferire agli istituti di credito gli investimenti immobiliari o le società finanziarie indipendenti. A riferirlo è un sondaggio pubblicato dal Financial Times, che ha fotografato le condizioni attuali del rapporto tra cittadini e banche, fatto di grande incertezza.
A dispetto della crisi finanziaria, molte persone negli Stati Uniti, in Francia, Germania, Italia e Spagna non hanno modificato le proprie scelte di investimento, né il livello di rischi assunti negli ultimi due anni. Ma la maggior parte di loro ha sottolineato di fare affidamento solo sul proprio “intuito” nelle decisioni riguardanti i risparmi. Ai partecipanti al sondaggio è stato chiesto anche, al contrario, quali siano gli istituti nei quali ripongano meno fiducia, e la risposta è stata netta: le banche e gli adviser delle società immobiliari.
Il quotidiano sottolinea anche come sia ai minimi storici la credibilità dei governi, soprattutto per quanto riguarda la loro capacità di garantire protezione agli investitori. Per quanto riguarda le scelte di questi ultimi, la maggior parte degli intervistati in Italia e Francia ha dichiarato di preferire il mercato immobiliare, mentre i classici conti correnti sono la prima scelta in Germania, Gran Bretagna e Spagna. Negli Usa, invece, l’opinione è divisa tra gli stessi conti correnti e le partecipazioni azionarie.
Inoltre, mentre la maggior parte dei risparmiatori europei non ha modificato i propri orientamenti dopo la crisi, tre americani su dieci, il 25% dei francesi e dei tedeschi, e un quinto degli italiani e degli inglesi ha spiegato di preferire attività finanziarie meno rischiose rispetto al passato.
La maggior parte degli intervistati del Regno Unito, metà dei francesi e una quota importante di italiani, spagnoli, tedeschi e americani mantiene comunque gran parte dei propri risparmi nelle banche o nelle società immobiliari.
GB, Darling annuncia la fine dei “bonus automatici” nelle banche
da www.valori.it - 28 Settembre 2009
Il Cancelliere allo Scacchiere inglese, Alistair Darling, ha lanciato un nuovo attacco ai bonus delle principali banche britanniche. A queste ultime è stato imputato infatti un comportamento fatto di «avidità e spregiudicatezza». Darling incontrerà a breve i dirigenti dei quattro più grandi istituti di credito del Regno Unito, ai quali chiederà un cambiamento immediato nelle politiche di remunerazione dei manager. A riferirlo è il suo stesso ufficio.
«Voglio rassicurare il Paese e avvertire le banche che non potranno più tornare al business as usual», spiegherà oggi Darling alla conferenza annuale del Partito laburista inglese, secondo le indiscrezioni sul suo discorso riportate questa mattina dall’agenzia Bloomberg. «Introdurremo una legislazione apposita - proseguono gli stralci dell’intervento - che segnerà definitivamente la fine della cultura della spregiudicatezza, e imporrà punti di riferimento di breve termine sui pagamenti. Significherà la fine dei “bonus automatici”».
Il primo ministro Gordon Brown appoggia il Cancelliere nella sua offensiva, convinto che una mossa d’impatto contro la pratica dei premi facili nelle banche possa avere un importante impatto elettorale. Nel prossimo giugno, infatti, il Labour dovrà confrontarsi con i conservatori inglesi, che appaiono in vantaggio, con il governo attuale alle prese con la peggiore crisi dai tempi del dopoguerra.
Credit Suisse, possibili bonus da 1,2 miliardi di euro in primavera
da www.valori.it - 24 Settembre 2009
Circa trecento banchieri e dirigenti di Credit Suisse sono in attesa di ricevere bonus in azioni pari alla cifra stratosferica di 1,9 miliardi di franchi svizzeri (1,2 miliardi di euro). I pagamenti fanno parte di un piano di incentivi istituito quasi cinque anni fa, quando l’istituto di credito faticava a trattenere alcuni manager nel proprio organigramma.
Ai dipendenti che saranno premiati verrà riconosciuta una cifra che sarà compresa tra un quinto e la metà dello stipendio percepito nel corso del 2005, sulla base di un programma che, a suo tempo, fu criticato dagli stessi manager della banca. Non si trattava di una perplessità etica, tuttavia, bensì di un malumore derivante dalla lunghezza del piano, e quindi dal vedersi costretti a non poter lasciare liberamente Credit Suisse.
I premi saranno attribuiti alla fine di marzo del 2010, e secondo una stima del Financial Times, potrebbero arrivare ad essere pari a 6,36 milioni di franchi svizzeri (4,2 milioni di euro) per ciascun dirigente. La cifra, tuttavia, potrà variare in funzione della quotazione del titolo in Borsa: la stima del quotidiano è basata infatti sull’attuale prezzo di mercato, pari a 57,6 franchi ad azione. Va detto, infatti, che qualora il titolo dovesse crollare sotto quota 30 franchi, i dirigenti non riceverebbero alcun bonus.
Crisi: negli Usa hanno salvato solamente le grandi banche
di Filippo Ghira - www.rinascita.info - 26 Settembre 2009
In questo momento si deve tenere conto che le condizioni della finanza internazionale sono peggiori di quelle all’inizio della crisi. Questo perché ha vinto anzi ha stravinto, in Europa come negli Usa, il principio “certe banche sono troppo grandi per fallire”.
A giudizio dell’economista Marco Vitale, intervenuto al convegno sulla crisi finanziaria promosso dalla Fondazione Courmayeur e dal Centro Nazionale Prevenzione e Difesa Sociale, questo è stato l’effetto più significativo di una crisi scatenata dalle speculazione di banche che alla fine si sono viste premiate con sovvenzioni pubbliche.
Così oggi si assiste al fatto incredibile di una razionalizzazione del mercato nella quale le grandi banche, ridotte di numero anche in seguito a fusioni, sono per questo diventate più grandi e più potenti e, quel che è peggio, si trovano ad essere pure protette dalla possibile concorrenza.
Con tanti saluti al Libero Mercato e alla concorrenza, sta emergendo un oligopolio di colossi finanziari che sono sopravvissuti alla crisi. Un fatto emblematico è il fallimento negli Stati Uniti di tante piccole banche travolte dalla recessione seppure prive di colpe nella speculazione che nel 2008 aveva affossato i mercati.
A giudizio di Vitale, il marcio sta nel manico ossia nel fatto che non si vuole e non si può intervenire a rimuovere le vere cause della crisi finanziaria. In altre parole non c’è nessun governo o nessuna autorità di controllo che voglia intervenire per impedire alle banche di speculare o più semplicemmente di investire senza disporre delle risorse necessarie ma ricorrendo ad un indebitamento a volte mostruoso.
Oltretutto si sta compiendo un nuovo grande errore. Quello di credere che la soluzione si trovi nel rimettere mano agli organi regolatori e dando loro più potere, senza però voler affrontare i problemi di fondo. Nello specifico negli Stati Uniti, l’azione degli organi regolatori “è stata così miserabile perché tale doveva essere”.
Le sue carenze infatti “erano funzionali ad una concezione economica e ad una precisa politica che è sottostante agli interessi che dominano la vita politica americana”. La vecchia tesi marxiana, perfettamente condivisibile, per la quale le isituzioni politiche altro non sono che una sovrastruttura dei rapporti di potere economici di una società e che esse non possono minimamente pensare di metterne in discussione i presupposti.
Barack Obama, portato alla Casa Bianca dai voti del ceto medio Usa inferocito con le banche che avevano messo per strada centinaia di migliaia di cittadini non più in grado di pagare le rate del mutuo, con le stesse banche considerate troppo vicine ai repubblicani, ha fatto le stesse cose che aveva fatto George Bush.
Lasciata fallire la Lehman Brothers, che era indifendibile, ha però salvato banche come la Goldman Sachs, Morgan Stanley ed American Express, dimostrando così che cambierà pure il presidente ma non cambia la sudditanza della politica nei riguardi delle banche. Con la beffa che, nonostante gli impegni presi in tal senso, una banca come la Goldman Sachs, nel cuore di Romano Prodi e di Mario Draghi, una volta rimessasi in sesto, grazie agli aiuti pubblici, ha ripreso a versare ai propri manager dei premi (o bonus) miliardari, permettendosi pure di replicare a muso duro allo stesso Obama che aveva espresso tutte le sue riserve in merito.
Ma quello che vale per gli Usa vale anche per l’Europa. Prendendo ad esempio il caso svizzero, Vitali si è domandato, conoscendo perfettanente la risposta, se un governo, come quello elvetico, può sorvegliare una banca come la UBS, il primo istituto della Confederazione, che ha un bilancio sei volte più grande di quello dello Stato. E la risposta non può che essere negativa.
Cambiamo la droga di Bernanke
di Greg Palast - www.gregpalast.com - 22 Settembre 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di P.P.
Provo ancora un brivido quando riesco a mettere le mani su un documento confidenziale con la scritta ‘Casa Bianca, Washington’ sull’intestazione. Anche quando – come quello che sto guardando ora – riguarda un argomento noioso : il summit del G-20 di questa settimana.
Ma il contenuto della lettera mi ha svegliato, e potrebbe tenermi sveglio per il resto della notte.
La lettera di 6 pagine dalla Casa Bianca, datata 3 settembre, è stata mandata ai 20 capi di stato che si incontreranno questo giovedì a Pittsburgh. Dopo qualche iniziale diplo-blabla, il nostro ‘sherpa’ del Presidente per il summit, Michael Froman, compie una piccola danza della vittoria, annunciando che la recessione è stata sconfitta. ‘Il mercato globale delle azioni è risalito del 35 % dalla fine di marzo’, scrive Froman. In altre parole, il mercato azionario sta su e tutto va bene.
Sebbene riconosca che quest’anno l’economia sia andata all’inferno, l’assistente e ambasciatore di Obama al G-20 sembra fare il pappagallo all’esuberanza irrazionale del capo della Federal Reserve Ben Bernanke che la settimana scorsa aveva dichiarato che ‘la recessione è molto probabilmente finita’. Tutto ciò che mancava nella dichiarazione di Bernanke era uno striscione, ‘MISSIONE COMPIUTA’.
E i francesi sono furiosi. La lettera della Casa Bianca ai leader del G-20 era una risposta ad una missiva diplomatica confidenziale dal capo dell’Unione Europea Fredrik Reinfeldt scritta un giorno prima a "Monsieur le Président" Obama.
Abbiamo anche la nota confidenziale di Reinfeldt. In essa, il presidente della UE dice che, nonostante il felice discorso di Bernanke, "la crise n'est pas terminée (la crisi non è finita) e che (continuando la traduzione) il mercato del lavoro continuerà a soffrire le conseguenze di una debole capacità di produzione nei mesi a venire’. Questo è gergo diplomatico per dire Cosa diavolo si sta fumando Bernanke ?
Posso ricordarle Monsieur le Président, che il mese scorso 216,000 americani hanno perso il loro lavoro, portando la perdita totale dal momento della sua inaugurazione a circa sette milioni. In crescita.
Il Wall Street Journal ha anch’esso una copia della lettera della Casa Bianca, anche se non l’hanno pubblicata (io l’ho fatto: leggetela qui, con il messaggio della UE e la nostra traduzione). Il Journal la vende come la Casa Bianca avrebbe voluto: ‘Grandi cambiamenti nella politica economica globale’ per produrre ‘una crescita duratura’. Obama prende il controllo! Ciò che manca nel rapporto del Journal è che il piano di Obama strangola in maniera sottile ma sostanziale le richieste europee di far tirare la cinghia all’industria finanziaria e, più importante ancora, rimbalza la preoccupazione della UE sulla lotta alla disoccupazione.
I capi dell’Europa sono spaventati, coscienti del fatto che l’amministrazione Obama fermerà prematuramente lo stimolo fiscale e monetario. L’Europa chiede che gli USA continuino a pompare l’economia, sotto un programma mondiale salva-culi coordinato internazionalmente.
Come Reinfeldt dice nel suo appello alla Casa Bianca, ‘è essenziale che i capi di stato e di governo, a questo summit, continuino a implementare le misure di politica economica che hanno adottato’ e non agire unilateralmente. ‘Delle exit strategies (devono) esere implementate in maniera coordinata’. Traducendo dal diplomatique: se voi USA fermate lo stimolo fiscale e monetario ora, l’Europa ed il pianeta vanno a picco. L’America con esso.
L’ambasciatore di Obama dice Non! Invece scrive che ad ogni nazione dovrebbe essere concesso di ‘rilassare’ gli sforzi anti recessione ‘ad un ritmo appropriato alle circostanze di ogni economia’. In altre parole, ‘Europa, sono fatti tuoi!’. Con buona pace di Obama al confronto con Roosevelt.
Tecnicamente il conflitto politico tra Obama e il piano della UE riflette una grande distanza sulla risposta ad una domanda cruciale: di chi è la recessione? Per Obama e Bernanke, questa è una recessione dei banchieri e quindi, essendo ‘le scosse del mercato diminuite significativamente’, per usare le parole dell’epistola della Casa Bianca, allora Happy Days Are Here Again [“I giorni feilici sono tornati”. N.d.r.]. Ma, se questa recessione è dei lavoratori di tutto il mondo che stanno perdendo il loro lavoro e i risparmi di una vita, allora è sempre Buddy, Can You Spare a Dime [“Amico risparmia qualche soldo”, N.d.r.].
Se Bernanke e Obama fossero veramente preoccupati di salvare posti di lavoro, avrebbero chiesto alle banche piene di bottino predato ai contribuenti di prestare questi fondi ai consumatori e al mondo degli affari. La Cina lo ha fatto, ordinando alle sue banche di aumentare il credito.
E gente, lo hanno fatto, espandendo il credito di un mastodontico 30%, sparando l’economia cinese fuori dalla recessione in una crescita a due cifre. Ma l’amministrazione Obama ha preso la direzione opposta. La lettera della Casa Bianca al G-20 chiede di aumentare lentamente le riserve bancarie, e questo può solo far si che un mercato del credito già stretto si stringa ancora.
Non è che la Casa Bianca ignori completamente la perdita di posti di lavoro. La lettera degli USA suggerisce che ‘il G-20 dovrebbe impegnarsi per…il supporto ai disoccupati’. Potete immaginarvi gli europei, che già hanno generosi contributi alla disoccupazione – la maggior parte dei quali senza limiti di tempo – diventare viola su questo punto. L’avara estensione del sussidio di disoccupazione compiuta sotto il piano di stimolo è già in scadenza senza nessuna proposta di continuare ad aiutare le vittime senza lavoro della recessione.
Gli europei sono così carini quando sono arrabbiati, quando stringono i loro piccoli pugni. Obama presume di poterli ignorare. la UE, un tempo il pezzo grosso del G-7, ha visto il suo status di membro diluirsi nel G-20, dove le potenze del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) stanno flettendo i loro muscoli. Ma gli europei hanno una cosa o due da insegnare agli americani sull’economia del tramonto di un impero.
Forse le differenze sono culturali, non economiche; agli europei manca l’ottimismo del ‘si può fare’ del Destino Manifesto dell’America.
Così, per dare agli ospiti un assaggio dello spirito del yes-we-can, Obama dovrebbe invitare i 93700 senza lavoro di Pittsburgh all’incontro del G-20 per celebrare la salita del 35% del mercato azionario.
Oppure – mio suggerimento – cambiare i farmaci di Bernanke.