mercoledì 16 settembre 2009

Il monologo di un folle

Ieri sera è andato in onda l'ennesimo scontato monologo, senza ovviamente alcun contraddittorio, del cosiddetto premier che come al solito ha sproloquiato da par suo sfuttando ancora una volta il suo preferito tappeto televisivo messogli a disposizione dall'Insetto. Un tappeto che comunque ha registrato in diretta l'impossibilità di ogni eventuale alleanza tra Pdl e Udc.

Per fortuna chi scrive è all'estero e si è risparmiato un altro conato di vomito sullo schermo, ma ha raccolto ugualmente alcune "perle" del bestiario che alcuni milioni di italiani si sono dovuti sorbire ieri sera:

"La vera distorsione dell'informazione sta nel fatto che la Rai, pagata con i soldi dei cittadini, è l'unica azienda televisiva al mondo che attacca una sola parte politica, la maggioranza di governo".

"Io ormai non guardo nemmeno più la televisione, perché per la Rai sembra che Berlusconi sia diventato il simbolo di ogni male. Ma gli italiani lo sanno e, per questo, mi assegnano il 68,4% del consenso. Per questo la manifestazione per la libertà di stampa che la sinistra promuove è veramente il contrario della realtà: siamo circondati nella stampa, nella tv, nella politica da troppi farabutti".

"Se si riuscisse a individuare una serie di trasmissioni o azioni di attacco politico sulle reti Mediaset, allora si potrebbe dire che c’è un conflitto d’interesse per il premier. Mediaset tratta tutti allo stesso modo, quindi si tratta di accuse comiche. Dire che in Italia c’è un pericolo per la libertà di stampa dimostra uno spirito antiitaliano, significa diffamare la stampa e la democrazia. Tutti i cittadini italiani di buonsenso credo che condannino questo atteggiamento delinquenziale nei confronti degli interessi di tutti noi e si sappiano regolare nell’orientare le loro letture".

"Ho fatto un ricorso alla magistratura civile, chiedo i danni per affermazioni false nei miei confronti, e li verserò all’Istituto San Raffaele. E’ il minimo che potessi fare dopo cinque mesi di attacchi da un superpartito, con un editore svizzero e un direttore dichiaratamente evasore fiscale".

"I signori della sinistra sono dei vetero comunisti. Erano, sono e saranno dei vecchi comunisti. D'Alema è uno stalinista che è lì da 40 anni. Loro purtroppo non sono mai diventati socialdemocratici. Ci vuole un ricambio generazionale e io sono più giovane di tutti questi signori grazie al cervello".

"Non ho sbagliato quando ho affermato che il mio governo è stato il migliore della storia d'Italia: quanto fatto dai governi di Alcide De Gasperi, un padre della patria che ha svolto un compito difficile, in politica interna non è paragonabile a quanto svolto dal mio governo, che in questi 15 mesi è stato il migliore di qualunque altro".

Basta così. Soltanto leggendo questo campionario di bestialità ruttato dalla bocca di un folle, un conato è già pronto sulla rampa di lancio.


Monologo con insulti e menzogne nel salotto del servizio pubblico
di Curzio Maltese - La Repubblica - 16 Settembre 2009

C'è poco da commentare sulla puntata di "Porta a Porta" di ieri sera. Bisogna passare ai fatti. Registrare tutto e inviarlo al resto del mondo, via Internet, con una sola parola d'accompagnamento: "aiuto!". Tre ore di spot governativo, con il miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni, autoproclamatosi "superiore a De Gasperi", senza alcun contraddittorio, non soltanto in studio, ma nell'etere intero. Che ne penseranno nei paesi democratici?

Il Presidente Ingegnere, come scriveva Augusto Minzolini prima d'essere premiato con la direzione del Tg1, che consegna le prime case ai terremotati abruzzesi, è l'ultima versione dell'Uomo della Provvidenza. Bruno Vespa lo prende sottobraccio, da vecchio amico, fin dalla prima scena. A spasso fra le macerie dell'Aquila e della democrazia italiana. I commenti del conduttore spaziano fra "ma questo è un record!" a "un altro record!", fino a sfociare "è un miracolo!". Ma Onna, i terremotati e il loro dolore, la ricostruzione dell'Aquila, ancora di là da venire, sono soltanto pretesti.

Dopo mezzora si capisce qual è il vero scopo della trasmissione a reti unificate. Un attacco frontale alla stampa, anzi per dirla tutta a Repubblica. Noi giornalisti di Repubblica siamo "delinquenti", "farabutti" che ci ostiniamo a fargli domande alle quali il premier non risponde da mesi. Se non con questo impasto di minacce e menzogne, come la favola della "perdita di lettori e copie": un'affermazione smentita dalle vendite del giornale in edicola che sono in costante ascesa.

Ecco lo scopo di non avere un Ballarò e neppure un Matrix fra i piedi. Non tanto e non solo per disturbare il "vi piace il presepe?" allestito sulla tragedia del terremoto. Quanto per non rischiare un contraddittorio durante la fase di pestaggio.

Vespa non ci ha neppure provato, a parte il minimo sindacale ("Nessuno di Repubblica è presente"). Lasciamo perdere gli altri figuranti. Nessuno, nell'affrontare il problema dei rapporti con Fini, ha chiesto al Cavaliere un giudizio sui dossier a luci rosse contro il presidente della Camera sventolati come arma di ricatto da Vittorio Feltri, direttore del giornale di famiglia.

Già una volta il presidente del Consiglio era andato nel cosiddetto "salotto principe" della televisione, a "chiarire le vicende di Noemi e il resto", senza chiarire un bel nulla e con i giornalisti presenti, fra i quali il solito Sansonetti, il quale non poteva mancare neppure ieri sera, tutti ben contenti di non rivolgergli mezza domanda sul caso specifico. Stavolta però si è polverizzato davvero ogni primato d'inciviltà. Ma che razza di servizio pubblico è quello che organizza simili agguati? E' un'altra domanda che probabilmente non avrà mai risposta. Non da Berlusconi e tanto meno dai sottostanti vertici della Rai.

Il meno che si possa dire è che la puntata di "Porta a Porta" ha dato ragione a tutte le critiche della vigilia. Anzi, è andata molto oltre le peggiori aspettative. Ed è tuttavia interessante notare l'evoluzione del caso Berlusconi. Che senso ha attaccare la stampa indipendente al cospetto di una platea televisiva che poco o nulla sa delle inchieste di Repubblica e degli scandali del premier, dello stesso discredito internazionale che circonda ormai la figura di Berlusconi in tutto il mondo libero?

E' davvero singolare che sia proprio Berlusconi a parlarne. Da solo, visto che i prudenti giornalisti chiamati a fargli ogni volta da corte, astutamente si guardano bene dal citare questi fatti. Per capirlo, ci vorrebbe uno psicoanalista, di quelli bravi.

Alla fine, a parte lo scempio d'informazione, cui ormai si è quasi abituati, indigna più di tutto la strumentalizzazione del dolore della gente abruzzese. La diretta in prima serata e l'oscuramento della concorrenza era stato giustificato dalla Rai con l'urgenza dell'evento, la consegna dei primi novantaquattro appartamenti agli sfollati del terremoto.

Chiunque abbia seguito la serata ha potuto constatare come questo fosse appena un miserabile espediente, liquidato in pochi minuti, con qualche frase di circostanza e commozione da attori. Per poi passare al regolamento di conti con chiunque osi criticare il presidente del Consiglio. Ce la potevano risparmiare, questa serata di veleni e sciacalli.


Fini e l'incontro rifiutato col Cavaliere
di Francesco Verderami - Il Corriere della Sera - 16 Settembre 2009

Il paradosso è che Fini parla con Bossi e non con Berlusconi. D'altronde, quando il «cofondatore» del Pdl porta in tribunale il direttore del giornale del fratello dell'altro cofondatore, cosa potrebbero dirsi oggi «Silvio» e «Gianfranco»? Nulla hanno da dirsi, l'ha spiegato l'ex leader di An a Gianni Letta, che tenta di co­struire un ponte tra le macerie di un rapporto ormai logoro, e che ha cercato di convincere Fini ad accettare un «incontro riservato» con il premier. «A parte il fatto che Silvio non rie­sce mai a tenere nulla di riser­vato — è stata la risposta del presidente della Camera — se poi si venisse a sapere che l'’ho incontrato, sembrerebbe che io sia andato a Canossa». Paro­le che confermano come la frattura con il Cavaliere sia an­che personale, segnata da quel­la che Fini definisce l'«aggres­sione» subita dal Giornale.

La querela contro Feltri ha una valenza politica, e infatti l'inquilino di Montecitorio — dopo averla annunciata — ieri l'ha ufficializzata: «Perché un giornalista — questo è il suo ragionamento — ha tutto il di­ritto di esprimere le proprie opinioni, magari di sentirsi co­sì bravo da determinare il di­battito politico. Ci può stare che si abbiano manie di gran­dezza... Insomma, passi per il 'compagno Fini', ma le minac­ce non posso accettarle».

Certo, il «cofondatore» del Pdl è consapevole che bisogne­rà arrivare a una ricomposizio­ne, ma nessuno sa come e quando si risolverà il conflit­to, se il ministro Matteoli deve limitarsi a dire che «ne uscire­mo perché dobbiamo uscir­ne». Tuttavia «per ora dell'in­contro non se ne fa nulla», ha spiegato Fini a Letta, al quale è stato affidato un messaggio per Berlusconi: «Deve capire che faccio sul serio».

Chissà se ha espresso le stesse tesi a Ghedini, deputato-avvocato del presidente del Consiglio, se anche a lui Fini ha confer­mato che il «conflitto d’inte­ressi politico» del Cavaliere— al contempo premier e capo del partito — rischia di nuoce­re al neonato Popolo della li­bertà, a vantaggio della Lega.

Di sicuro il modo in cui Ber­lusconi ha replicato ieri sera — evidenziando le «concezio­ni diverse» che lo separano da Fini — testimonia il muro con­tro muro. Però anche il pre­mier ha necessità di bloccare uno stillicidio quotidiano che rischia di nuocergli. E infatti, sebbene fosse visibile l'irrita­zione verso l'alleato — bollato come «professionista della po­litica » — Berlusconi ha offerto delle concessioni sulla demo­crazia interna al partito, si è detto pronto a un «caminetto» con il presidente della Camera per «discutere» e «condivide­re » le decisioni, bilanciando le cene del lunedì con Bossi.

E proprio Bossi, che fino al­l’altro giorno ha picchiato du­ro su Fini, ieri ha avuto un col­loquio telefonico con l’ex lea­der di An. È stato il leghista Co­ta — così raccontavano alcuni dirigenti del Pdl — a far da ponte alla conversazione, è sta­to lui a passare il cellulare al Senatùr. Il capogruppo del Car­roccio alla Camera ha un otti­mo rapporto con l'inquilino di Montecitorio, che durante il di­battito sul decreto anticrisi — mentre presiedeva l'Aula — gli inoltrò un bigliettino di congratulazioni per il suo in­tervento, citando De Gaulle, e distinguendo tra «la politica con la p maiuscola e quella minuscola».

Cota è per Bossi l'ufficiale di collegamento con Fini. Ogni giovedì il leader del Car­roccio chiede informazioni al capogruppo sul colloquio del giorno prima: «Com’è andata con Gianfranco?». Stavolta però ha voluto parlare di per­sona con l'alleato, per dirgli che «un conto sono le que­stioni politiche, altra cosa so­no gli attacchi personali», che al ministro delle Riforme non piacciono, «non mi sono mai piaciute».

La solidarietà personale ri­volta a Fini non ha fatto dun­que velo sulle divergenze che hanno provocato lo scontro tra i due. Sul nodo del diritto di cittadinanza per gli immi­grati, ad esempio, Bossi ha ri­badito che «non fa parte del programma di governo». Più o meno quanto Berlusconi ha ripetuto a Porta a Porta , dicen­do che l’esecutivo «assolve agli impegni assunti con il pro­gramma sottoscritto da tutti».

Fini sa di non avere molti mar­gini di manovra su questo te­ma, si è affrettato a spiegare di non avere «nulla contro la Le­ga », e ha fatto capire che il pro­blema è «l’incapacità del Pdl», di imporre una linea, come in­vece fa la Lega. È davvero sin­golare quanto è avvenuto ieri. Perché mentre resta l’incomu­nicabilità con Berlusconi, il presidente della Camera ha parlato con Bossi e si compli­menta con Tremonti per l’ope­ra di mediazione tentata con l’intervista al Corriere.

Ma sono i due «cofondato­ri » che dovranno prima o poi parlarsi. Entrambi ne hanno interesse. Perché è vero che il Cavaliere è in una posizione dominante: lo dimostra come si è conclusa la storia della let­tera con cui i deputati prove­nienti da An hanno chiesto un «patto di consultazione» tra il premier e Fini.

Il compromes­so raggiunto è stato un déjà vu dei vecchi riti correntizi, con la ricomparsa dei colon­nelli e la riedizione dell’eterna lotta tra «lealisti finiani» e «berlusconiani di destra». Non ci sono dubbi sul fatto che il premier abbia il control­lo del partito, ma la fronda del presidente della Camera è pericolosa, in Parlamento e nel Paese. Un Pdl rissoso può compromettere la corsa per le Regionali, dove per vincere il Cavaliere sa di dover con­quistare — oltre alla Lombar­dia e al Veneto — il Lazio, la Campania e la Puglia. Senza, sarà sconfitta.


Il 19 Settembre in piazza per la libertà d'informazione. Ma senza sconti per nessuno
da Radio Città Aperta - 16 Settembre 2009

Per sabato 19 settembre un vastissimo arco di forze, a partire dalla Federazione Nazionale della Stampa, passando per l’Ordine dei Giornalisti per arrivare alle singole redazioni e a numerose forze politiche, sociali e sindacali, hanno promosso una manifestazione a difesa della libertà di stampa. La manifestazione si propone, affermano i promotori, di rafforzare e tutelare i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione e il diritto inalienabile di ogni cittadino alla conoscenza, alla informazione completa e plurale e alla comunicazione, che per essere tale non può subire forma alcuna di bavaglio.”

Una piattaforma più che condivisibile, sacrosanta potremmo commentare.

Per questo la redazione di Radio Città Aperta sarà in piazza del Popolo a Roma sabato pomeriggio per sostenere quello che sosteniamo ormai da molti anni: cioè che in questo paese la libertà di stampa, di espressione, di informazione e di manifestazione del pensiero è ormai pressoché inesistente, attaccata e negata in un sistema blindato nel quale a comandare sono le lobby economiche, i potentati politici e religiosi, gli interessi dei poteri forti. E non certo quel principio di responsabilità e di pluralità che dovrebbe rappresentare il timone per ogni mezzo di informazione che si propone trasversale e non politicamente schierato.

In questi anni abbiamo visto radio, tv e giornali svuotati dei loro redattori, chiuse o ristrutturate esclusivamente sulla base degli interessi di bottega degli editori e delle cordate economico-politiche che considerano l’informazione una merce come le altre, una fonte di profitto sacrificabile quando i guadagni calano o quando le priorità cambiano. Da questo punto di vista il caso Soru all’Unità è esemplare.

Sabato saremo quindi in piazza a chiedere alla cosiddetta categoria un sussulto di dignità e di protagonismo nel momento forse più difficile per la libertà di stampa e d’informazione in questo paese. Abbiamo però la sensazione che una parte di coloro che hanno promosso l’iniziativa abbiano in mente un’altra idea, una riproposizione nel campo della comunicazione di quella logica del meno peggio che il sistema bipartizan cerca ormai da anni di imporre al panorama politico ed elettorale italiano.

Non vorremmo che in un’ottica antiberlusconiana dalla memoria troppo corta e un tantino strumentale allo scontro elettorale tra PD e PDL, qualcuno dimenticasse le enormi responsabilità di mezzi di comunicazione e di informazione oggi attaccati da Berlusconi e dal suo entourage ma che da anni non fanno altro che riproporre le stesse logiche embedded che sono alla base dell’impero mediatico del premier.

L’informazione mercenaria e asservita agli interessi forti, purtroppo, non è appannaggio esclusivo della cordata berlusconiana. Basta leggere cosa scrive da anni il Corriere della Sera rispetto alla questione palestinese, o il fronte compatto – da Repubblica al Tempo al Messaggero – che da mesi incita l’amministrazione Alemanno a sgomberare e bonificare le case occupate nelle nostre città ecc. La logica del meno peggio non ci piace in politica e men che meno nell’informazione.

Continuiamo quindi a chiedere a chi lavora nell’informazione il rispetto delle regole e in particolare al servizio pubblico di rispettare pluralità e obiettività. Ma nel frattempo non stiamo con le mani in mano e da 31 anni stiamo lavorando a rafforzare una fonte di informazione schierata a fianco dei movimenti sociali, dei lavoratori e di quelle realtà politiche che non trovano spazio sui media mainstream o che addirittura da questi media ricevono attacchi quotidiani infamanti e privi spesso di fondamento. Per questo sabato saremo in piazza: per una informazione socialmente utile, al servizio di tutti ma serva di nessuno! Sappiamo di non essere soli in questa battaglia.