Una settimana fa con una lettera inviata all'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea), l'Iran aveva fatto sapere di aver cominciato la costruzione a Qom, circa 150 km a sud-ovest di Teheran, di un secondo impianto di arricchimento dell'uranio.
Venerdì però Obama indice una drammatica conferenza stampa nel bel mezzo del G20, come se l'avesse appreso in quel preciso momento...4 giorni dopo la lettera iraniana all'Aiea....
Mentre il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Hassan Ghashghavi, dichiarava che "La nuova centrale non viola alcuna legge internazionale: i paesi occidentali si consegnano a commenti che non sono realisti", garantendo che questo secondo sito nucleare sarà messo sotto controllo dell’Aiea, con la quale fisserà una data per le ispezioni.
Ma il gioco continua.
Un paio di giorni fa la televisione iraniana in lingua araba, Al Alam, e il canale televisivo iraniano in lingua inglese Press Tv avevano annunciato una nuova serie di esercitazioni militari.
Infatti due nuovi missili a corto raggio sono stati lanciati ieri nella prima giornata di un programma di esercitazioni dei Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, mentre oggi i test sono proseguiti con il lancio di due missili a lungo raggio, lo Shahab 3 e Sejil, che con una gittata di 2000 Km sarebbero in grado di raggiungere Israele e le basi americane del Golfo.
Va comunque ricordato che lo Shahab 3 era stato già testato in passato.
Si attendono già le reazioni indignate, stupite e scandalizzate dell'Occidente, ma il solito portavoce del ministero degli Esteri iraniano ha subito smorzato l'intera questione "Sono esercitazioni di routine, hanno solo un fine deterrente e non hanno nulla a che vedere con le tensioni sul programma nucleare iraniano".
E' comunque "spettacolare" la prima dichiarazione del ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner "Il riconoscimento da parte dell’Iran della costruzione di una seconda centrale nucleare a Qom ha chiarito la situazione, ma occorre che Washington, Parigi e Londra continuino a dare prova di risolutezza e fermezza".
Ma certo...la Total non vuole altro....così come l'ENI, Gazprom, Sinopec, Royal Dutch Shell etc etc....
Ahmadinejad trova l'America
di Luca Mazzuccato - Altrenotizie - 27 Settembre 2009
Il Palazzo di Vetro, in questa prima Assemblea Generale dell'era Obama, ha avuto un protagonista assoluto: Mahmoud Ahmadinejad. In un'intervista esclusiva per la CBS, Kouric cerca di mettere alle strette il presidente iraniano, che si difende contrattaccando. Poche ore dopo, la notizia dell'esistenza di nuove centrifughe segrete smentisce le sue dichiarazioni e precipita l'Iran in guai seri.
Per essere il presidente di un paese dove non esiste (più) libertà di stampa, Ahmadinejad dimostra di conoscere qualche trucco e riesce a tratti quasi a cavarsela anche di fronte all'esperta giornalista della CBS, che un anno fa aveva fatto a pezzi Sarah Palin, rendendola lo zimbello degli Stati Uniti. Ahmadinejad si difende dalle accuse della Couric, ricordando le tragedie dell'Iraq, dell'Afghanistan e della Palestina e ricordando che, a conti fatti, neanche in America le cose vanno a gonfie vele. Ma ancora una volta, il suo rifiuto di ammettere l'esistenza dell'Olocausto demolisce la sua credibilità di fronte al pubblico occidentale.
Rispondendo alle domande sulla durissima repressione seguita alle elezioni in Iran, con migliaia di arresti, torture e diversi assassinii di oppositori politici, Ahmadinejad non batte ciglio. Couric gli mostra una foto di Neda, la ragazza ammazzata in diretta durante una manifestazione pacifica contro i brogli nelle elezioni e gli legge le testimonianze di cittadini iraniani torturati. Il presidente si dice dispiaciuto per la morte di Neda, rifiuta le accuse di brogli e di torture e, anzi, denuncia il fatto che i disordini siano stati creati ad arte dai governi occidentali per metterlo in difficoltà. Infine contrattacca, ricordando alla CBS che il numero di cittadini uccisi ogni giorno negli Stati Uniti è di molto superiore al numero di morti durante gli scontri a Teheran.
Ha fatto scalpore la notizia che, fra pochi giorni, due delegazioni ufficiali da Washington e da Teheran s’incontreranno per discutere dei rapporti bilaterali tra i due paesi, per la prima volta in trent'anni. Couric va subito al sodo, chiedendo conferma al presidente iraniano riguardo alla sua recente dichiarazione, nella quale sostiene che il programma nucleare iraniano è parte integrante delle trattative. Ahmadinejad conferma questo fatto e, a sorpresa, si dice disponibile ad acquistare il combustibile nucleare se qualcuno glielo venderà (ringraziando Putin).
Couric prosegue chiedendo perché l'Iran non lasci entrare gli ispettori dell'ONU nelle sue centrali, ma Ahmadinejad contesta questo fatto, citando l'ultima ispezione di Settembre, in cui l'AIEA ammette la piena collaborazione dell'Iran e la natura pacifica del programma nucleare. Peccato che, poche ore dopo l'intervista alla CBS, in un annuncio scoop al G20, Obama, Sarkozy e Brown mostrino le prove di una centrale di arricchimento finora rimasta segreta e Ahmadinejad, costretto a confermarne l'esistenza, vanifichi di fatto le prove di dialogo e porti a far precipitare la crisi in un nuovo drammatico capitolo.
Riguardo all'accusa di bloccare le ispezioni, secondo Ahmadinejad “ci sono paesi che hanno diecimila testate nucleari e le hanno persino usate in passato. Non credete che siano i paesi come l'America a dover essere ispezionati, invece di paesi che non ne posseggono? Inoltre, c'è una legge internazionale e dev'essere valida per tutti”, aggiunge riferendosi ad Israele.
Couric fa notare che il programma nucleare iraniano è particolarmente pericoloso, visto l'appoggio dell'Iran ai gruppi terroristici internazionali. Qui però Ahmadinejad ribalta l'accusa con disinvoltura: “E' chiaro quali stati favoriscono il terrorismo: i terroristi in Afghanistan e in Iraq sono più potenti ora o prima dell'invasione degli USA e della NATO? Persino la produzione di droghe illegali è quadruplicata. Dal giorno in cui gli Stati Uniti sono sbarcati in Iraq, centinaia di migliaia di persone sono morte: chi è quindi il terrorista qui? A Gaza a Gennaio sono morte tremilatrecento persone sotto tonnellate di bombe. Chi è il terrorista?” Fin qui, poco da obiettare, ma Ahmadinejad si spinge oltre, tirando fuori la sua carta preferita, quella dell'Olocausto, e si chiede perché i palestinesi debbano soffrire per colpa di azioni compiute da governi europei sessant'anni fa” aggiungendo che “il mito dell'Olocausto è stato trasformato in un'arma dalle sue stesse vittime per coprire le proprie azioni terroristiche”.
Infine, Couric chiede conto ad Ahmadinejad della sua dichiarazione che definisce “l'Olocausto una menzogna basata su una rivendicazione mitologica e indimostrabile” e, mostrandogli una foto di Auschwitz, gli domanda se pensa si tratti di un fotomontaggio. Ahmadinejad si lancia in una lunga digressione sul concetto di mito; quindi ammette che, anche se l'Olocausto fosse accaduto, “perché insistere su questo fatto quando nella Seconda Guerra Mondiale morirono sessanta milioni di persone? Non sappiamo cosa successe sessant'anni fa, però sappiamo di preciso che è un pretesto per occupare la Palestina”. Incalzato per alcuni minuti dalla Couric, il presidente iraniano si rifiuta di ammettere che l'Olocausto sia veramente esistito, “mentre tutti, anche in America, si rifiutano di discutere del genocidio in Palestina per mano del regime sionista.” Detto da chi non riconosce l’orrore della Shoah, è davvero paradossale.
L'Iran è da considerare leale
di Scott Ritter - The Guardian - 25 Settembre 2009
Introduzione di Pino Cabras - Megachip - 27 Settembre 2009
Il pensiero unico dell'Occidente si è scatenato. Il solenne Obama che vuole rendere obsolete le armi nucleari rivela altrettanto solennemente che invece l'Iran fa rapidi passi avanti per averle. Si sono distinti nei toni allarmistici contro Teheran i titoli e gli editoriali de «la Repubblica».
E anche il neonato «Il Fatto Quotidiano», sebbene dica di staccarsi dal “pensiero unico”, ha presto rivelato il suo punto debole: ossia l'imbarazzante povertà delle sue pagine internazionali, troppo pigre e apologetiche, incapaci di una critica basata sui fatti nei confronti della complessa politica obamiana.
Perciò vi proponiamo un documento di straordinaria lucidità. È l'articolo scritto per «The Guardian» da Scott Ritter, l'uomo che tra il 1991 e il 1998 fu il capo degli ispettori Onu in Iraq. Ritter è uno dei massimi esperti in materia di controllo delle armi nucleari, ed è anche il personaggio che, appena nel 2003 iniziò l'invasione dell'Iraq, ebbe a dire profeticamente: «gli Stati Uniti se ne andranno dall'Iraq con la coda tra le gambe, sconfitti. È una guerra che non possiamo vincere».
Nessun organo d'informazione ha dato sufficiente risalto alle attuali ponderate considerazioni di Ritter sull'Iran, che nulla concedono, come è suo costume, alla propaganda – e agli errori – di quelli che battono la grancassa delle sanzioni. Ricordiamo che gli stessi meccanismi di allarme che oggi sono a carico del regime iraniano furono acriticamente usati al tempo dell'inizio della campagna irachena. Oggi come allora le pagine internazionali sono un guazzabuglio di allarmi atomici gonfiati, di esagerazioni su voci inattendibili di Bin Laden e altre armi psicologiche che creano un clima di paura e di distrazione (e nessuno così si lamenta se il G20 non fa nulla contro gli squali dell'alta finanza).
Ezio Mauro, Antonio Padellaro: il giornalismo d'inchiesta dovrebbe essere usato anche fuori da questi confini nazionali. Passate le Alpi, ve la danno a bere. La lettura di Ritter è un buon antidoto.
di Scott Ritter – The Guardian
La centrale nucleare segreta dell'Iran innescherà un nuovo ciclo di ispezioni dell'AIEA e porterà a un periodo di ancora maggiore trasparenza.
È stato davvero un momento di alta drammaticità. Barack Obama, fresco reduce dal suo cimentarsi a fare la storia nell'ospitare il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, si è preso una pausa dalle sue funzioni al vertice economico del G20 a Pittsburgh per annunciare l'esistenza di un impianto nucleare segreto e non notificato in Iran, che non risultava coerente con un programma nucleare a scopi pacifici, sottolineando la conclusione che «l'Iran sta violando le regole che tutti i paesi devono seguire».
Obama, appoggiato da Gordon Brown e Nicolas Sarkozy, ha minacciato dure sanzioni contro l'Iran qualora non si conformasse pienamente ai suoi obblighi riguardanti il controllo internazionale del suo programma nucleare, che al momento attuale sta per essere definito da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia come l'obbligo di sospensione immediata di tutte le attività di arricchimento nucleare.
La struttura in questione, che si rivela sia localizzata presso una installazione militare segreta iraniana fuori dalla città santa di Qom e in grado di ospitare fino a 3mila centrifughe, usate per arricchire l'uranio, è stata per qualche tempo controllata dai servizi di intelligence degli Stati Uniti e altre nazioni. Ma non è stato che lunedi che l'AIEA è venuta a sapere della sua esistenza, basandosi non su un qualsiasi "scoop" d'intelligence fornito dagli USA, ma proprio su una spontanea notificazione da parte dell'Iran. Le azioni dell'Iran hanno forzato la mano degli Stati Uniti, spingendo Obama all'affrettata conferenza stampa di venerdì mattina.
Attenzione alle campagne mediatiche con motivazioni politiche. Mentre in superficie l'intervento drammatico di Obama sembrava sensato, il diavolo si nasconde sempre nei dettagli. Le "regole" che l'Iran è accusato di aver violato non sono vaghe, bensì scandite in termini chiari. Ai sensi dell'articolo 42 dell'accordo di salvaguardia dell'Iran, e del Codice 3.1 della parte generale degli accordi sussidiari (altresì noto come il "protocollo aggiuntivo") di tale accordo, l'Iran ha l'obbligo di informare l'AIEA di qualsiasi decisione volta a costruire un impianto che ospiti centrifughe operative, e di fornire informazioni sul progetto preliminare di tale impianto, anche se il materiale nucleare non fosse stato introdotto. Questo avvierebbe un processo di accesso complementare e di ispezioni di verifica della progettazione da parte dell'AIEA.
Questo accordo è stato firmato dall'Iran nel dicembre del 2004. Tuttavia, poiché il "protocollo aggiuntivo" non è stato ratificato dal parlamento iraniano, e come tale non è giuridicamente vincolante, l'Iran ha interpretato la sua attuazione come su base volontaria, e pertanto ha accettato di rispettare queste nuove misure, più come misura di rafforzamento della fiducia che in qualità di un obbligo inderogabile.
Nel marzo del 2007, l'Iran ha sospeso l'applicazione del testo modificato del codice 3.1 della Parte generale degli accordi sussidiari riguardanti la rapida fornitura delle informazioni sui progetti. In questa maniera, l'Iran stava ritornando alle sue condizioni giuridicamente vincolanti dell'accordo di salvaguardia originario, che non richiedevano la dichiarazione iniziale sugli impianti con capacità nucleare prima dell'introduzione di materiale nucleare.
Anche se questa azione risulta comprensibilmente irritante per l'AIEA e per quegli Stati membri che desiderano una piena trasparenza da parte dell'Iran, non si può parlare in termini assoluti di violazioni da parte dell'Iran dei suoi obblighi derivanti dal trattato sulla non-proliferazione nucleare. Così, quando Obama ha annunciato che «l'Iran sta le regolviolando le regole che devono seguire tutte le nazioni», è in errore sia dal punto di vista tecnico sia da quello giuridico.
Ci sono molti modi di interpretare la decisione dell'Iran del marzo 2007, soprattutto alla luce delle rivelazioni di oggi. Occorre sottolineare che l'impianto di Qom cui si riferisce Obama non è un impianto per armi nucleari, ma semplicemente una centrale nucleare di arricchimento simile a quella che si trova nell'impianto notificato (e ispezionato) di Natanz.
L'impianto di Qom, se le descrizioni attuali sono accurate, non può produrre stock-base di alimentazione (esafluoruro di uranio, o UF6) utilizzato nel processo di arricchimento basato sulla centrifuga. Si tratta semplicemente di un altro impianto in cui l'UF6 può essere arricchito.
Perché è importante questa distinzione? Perché l'AIEA ha sottolineato, continuamente, che possiede un resoconto completo delle scorte di materiale nucleare dell'Iran. Non c'è stata alcuna diversione di materiale nucleare per l'impianto di Qom (dal momento che è in fase di costruzione). L'esistenza del presunto impianto di arricchimento di Qom non cambia in alcun modo il bilancio dei materiali nucleari presenti oggi all'interno dell'Iran.
In parole povere, l'Iran non è più vicino a produrre ipotetiche armi nucleari oggi di quanto non lo fosse prima dell'annuncio di Obama sulla struttura di Qom.
Si potrebbe adoperare l'argomento secondo cui l'esistenza di questo nuovo impianto dota l'Iran di una capacità di "autonomo sganciamento" nel produrre uranio altamente arricchito che potrebbe essere utilizzato nella fabbricazione di una bomba nucleare in una qualche fase successiva.
La dimensione della struttura di Qom, sospettata di essere in grado di ospitare 3mila centrifughe, non è ideale per attività di arricchimento su larga scala necessarie a produrre quantità significative di uranio bassamente arricchito di cui l'Iran avrebbe bisogno per far funzionare i suoi reattori nucleari in progetto.
In tal senso, si potrebbe sostenere che il suo unico vero scopo sia quello di riciclare rapidamente delle scorte di uranio bassamente arricchito in uranio altamente arricchito utilizzabile in un'arma nucleare. Il fatto che si riferisce che l'impianto di Qom sia situato dentro un'installazione militare iraniana non fa che rafforzare questo tipo di pensiero.
Ma questa interpretazione richiederebbe comunque la diversione di notevoli quantità di materiale nucleare fuori dal controllo degli ispettori dell'AIEA, qualcosa che sarebbe quasi immediatamente evidente. Qualsiasi deviazione significativa di materiale nucleare sarebbe una causa immediata di allarme, e ciò provocherebbe un'energica reazione internazionale, che includerebbe molto probabilmente un'azione militare contro la totalità delle infrastrutture nucleari iraniane conosciute.
Allo stesso modo, le 3mila centrifughe dell'impianto di Qom, anche quando iniziassero con il 5% delle scorte di uranio arricchito, dovrebbero operare per mesi prima di essere in grado di produrre abbastanza uranio altamente arricchito per un singolo dispositivo nucleare. In tutta franchezza, questo non costituisce una valida capacità di " autonomo sganciamento".
L'Iran, nella sua notificazione dell'impianto di arricchimento di Qom all'AIEA resa il 21 settembre, lo ha descritto come un “impianto pilota”. Dato che l'Iran ha già un "impianto pilota di arricchimento" in funzione presso la struttura notificata di Natanz, questa evidente duplicazione dello sforzo va nella direzione tanto di un programma parallelo di arricchimento nucleare a conduzione militare volto agli scopi più scellerati, quanto, più probabilmente, di un tentativo da parte dell'Iran di fornire profondità strategica e capacità di sopravvivenza al suo programma nucleare, a fronte di ripetute minacce di bombardare le infrastrutture nucleari pronunciate da USA e Israele.
Non dimenticate mai che gli scommettitori sportivi, davano 2:1 probabilità che Israele o gli Stati Uniti avrebbero bombardato gli impianti nucleari dell'Iran entro marzo 2007. Dopo aver l'asciato l'incarico, l'ex vice-presidente Dick Cheney ha ammesso che stava spingendo fortemente per un attacco militare contro l'Iran durante il periodo dell'amministrazione Bush. E il livello di retorica proveniente da Israele circa la sua intenzione di lanciare un attacco militare preventivo contro l'Iran è stato allarmante.
Mentre Obama potrebbe aver inviato segnali concilianti verso l'Iran in merito alla possibilità di riavvicinamento a seguito della sua elezione, nel novembre 2008, questo non era l'ambiente fronteggiato dall'Iran, quando aveva preso la decisione di ritirarsi dal suo impegno a notificare ogni nuovo impianto nucleare in costruzione . La necessità di creare un meccanismo di sopravvivenza economica di fronte alla minaccia reale di azione militare sia degli Stati Uniti sia di Israele è probabilmente la spiegazione più probabile che sta dietro la struttura di Qom.
La notificazione dell'Iran di questa struttura all'AIEA, che precede di diversi giorni l'annuncio di Obama, probabilmente è un riconoscimento da parte dell'Iran che questa duplicazione degli sforzi non è più rappresentativa di una politica avveduta da parte sua.
In ogni caso, l'impianto è ora fuori dalle ombre, e presto sarà sottoposto ad una vasta gamma di ispezioni dell'AIEA, rendendo discutibili le speculazioni circa le intenzioni nucleari dell'Iran. Inoltre l'Iran, nel notificare questa struttura, deve sapere che - poiché ha presumibilmente collocato delle centrifughe operative nell'impianto di Qom (anche se non è stato introdotto materiale nucleare) - ci sarà la necessità di fornire all'AIEA il pieno accesso alla capacità di produzione di centrifughe dell'Iran, in modo che un bilancio materiale possa essere acquisito per queste voci allo stesso modo.
Anziché rappresentare la punta di un iceberg in termini di scoperta di una segreta capacità di armi nucleari, l'emergere dell'esistenza dell'impianto di arricchimento di Qom potrebbe benissimo segnare l'avvio di un periodo di maggiore trasparenza da parte dell'Iran, che porti alla sua la piena adozione e attuazione del Protocollo aggiuntivo AIEA. Questo, più di ogni altra cosa, dovrebbe essere il risultato auspicato della "notificazione di Qom".
Gli appelli per sanzioni"paralizzanti" contro l'Iran da parte di Obama e Brown non sono certo le opzioni politiche più produttive a disposizione di questi due leader mondiali. Entrambi hanno espresso il desiderio di rafforzare il trattato di non-proliferazione nucleare.
L'azione dell'Iran, nel dichiarare l'esistenza della struttura di Qom, ha creato una finestra di opportunità per fare proprio questo, e dovrebbe essere sfruttata appieno nel quadro dei negoziati e delle ispezioni dell'AIEA, e non più per le spacconate e le minacce dei leader del mondo occidentale.
Iran, una lunga storia di armi
di Paolo Busoni - Peacereporter - 22 Settembre 2009
Lo storico militare Paolo Busoni ricostruisce gli ultimi quarant'anni di acquisti bellici del Paese più discusso del momento
Negli ultimi vent'anni l'Iran è stato in grado di raggiungere una buona autosufficienza in molti settori armieri. Lo ha fatto attingendo alle tecnologie che via via è riuscito a comperare, ma soprattutto tramite un imponente programma nazionale di reverse engineering, (la copia dal prodotto finito, ricostruendone i piani e i progetti) partito proprio dalla necessità di rimettere in funzione le armi comprate in Occidente ai tempi dello Shah.
Le origini. L'attuale complesso militare-industriale iraniano ha origini abbastanza lontane. Già dai primi anni Sessanta lo Shah Mohammad Reza Pahlavi, aveva creato una infrastruttura di industrie e centri di ricerca per la produzione di armi. Dopo la crisi petrolifera del '73, mettendo sul piatto la gran massa degli introiti petroliferi, l'Iran smise di essere solo un acquirente di armi ed iniziò a richiedere ai fornitori la possibilità di assemblare o produrre singole componenti dei sistemi d'arma.
L'Iran degli anni Sessanta - Settanta era infatti fortemente impegnato in una corsa al riarmo tecnologico in aperta competizione con il vicino Iraq bahatista e - in prospettiva- con l'Arabia Saudita, cosicché l'industria armiera dell'Occidente (statunitense e britannica in primo luogo, ma anche tedesca e italiana) faceva ottimi affari con tutte le varie forze armate del regime.
Nel 1974, ad esempio, l'esercito iraniano riusciva non solo nell'acquisto, ma addirittura ad ottenere la coproduzione nei suoi stabilimenti del missile anticarro Tow: l'asso nella manica degli israeliani nella controffensiva dell'anno precedente durante la guerra dello Yom Kippur, quella che vide Israele sopravvivere ad un soverchiante attacco di carri armati egiziani e degli altri stati arabi. Il Tow, prodotto allora solo negli Usa, dalla Huges, non era ancora stato messo a disposizione di tutti gli eserciti della Nato, nonostante le loro strategia fosse appunto quella di prevenire un'ipotetica grande invasione di carri armati del Patto di Varsavia.
In quegli anni di inusitata 'corsa all'oro di Teheran' si assisteva a guerre commerciali tra alleati della Nato (Usa, Gran Bretagna e Italia) e addirittura tra società che potevano offrire lo stesso materiale: se da una parte l'italiana Agusta -tramite i buoni uffici di Vittorio Emanuele di Savoia, al quale -si dice- che lo Shah non potesse negare nulla- vendeva elicotteri costruiti su licenza Boeing e Bell, contemporaneamente la stessa Bell 'piazzava' all'Iran il Bell 214, una versione 'sviluppata' ad hoc per le 'esigenze' dell'esercito iraniano dell'UH1, lo Huey, l'elicottero-icona della guerra americana al Vietnam. Ma l'exploit in questa corsa alle vendite, fu quello dell'americana Grumman, che vendette allo Shah una ottantina di F14 Tomcat, (l'aereo del film Top gun), che rappresentava la punta di diamante dell'aviazione di marina Usa.
Fu una fornitura inusitata che non mancò di "offendere" altri acquirenti di materiali statunitensi. Gli israeliani infatti giudicavano il salto qualitativo della forza aerea iraniana troppo grosso e ottennero pertanto che gli Usa gli cedessero numerosi F15, l'equivalente terrestre. Si innescò così la reazione saudita, che spinse gli Usa a vendere alcuni F15 anche a quel paese e a fornirne altre decine -in ulteriore compensazione- alla stessa Israele.
1979, la rivoluzione - 1980-88, la guerra con l'Iraq. La rivoluzione del 1979 arrestò ogni fornitura e -fatto salvo il traffico di pezzi di ricambio oggetto dello scandalo Iran-Contras e poche altre triangolazioni- Teheran non ricevette altra tecnologia bellica Usa. La rivoluzione azzerò il vertice militare, in parte a causa della fuga delle gerarchie al seguito dello Shah in esilio, in parte per il processo di epurazione portato avanti dai Pasdaran, che di fatto diventarono la più importante tra le forze armate iraniane.
L'impellenza della guerra con l'Iraq (iniziata, dopo quasi un anno di forti tensioni, il 22 settembre 1980 e terminata -per sfinimento delle due parti- nell'agosto 1988) spinse il governo degli ayatollah a comprare qualsiasi cosa da chiunque fosse in grado di vendergli armi. Fecero affari d'oro i mercanti d'armi privati, ma anche le industrie cinesi, nord-coreane e sovietiche. La tecnologia che potevano offrire era più bassa rispetto alle precedenti forniture Occidentali, ma compatibile con le capacità tecniche e militari del nuovo Iran.
Era vitale opporre uno spiegamento di qualsiasi cosa (aerei, elicotteri, corazzati, artiglierie, mine e addirittura armi chimiche) che arrestasse l'avanzata di Saddam Hussein, che dall'altra parte rastrellava armi in Europa, Unione Sovietica e adesso anche negli Stati Uniti. Nonostante questo rapido susseguirsi di eventi dalla rivoluzione alla guerra il complesso militare industriale iraniano non fu completamente devastato e specie dopo la fine della guerra, sotto il governo Rafsanjani, ricevette un nuovo notevole impulso.
Oggi, non solo arricchimento dell'uranio. Alcune fonti di analisi, sia dei servizi segreti occidentali che di agenzie specializzate, assicurano che oggi l'Iran è in grado di autoprodurre gran parte delle artiglierie, dei veicoli corazzati e blindati e dell'armamento navale (inclusi mini sommergibili). Si è riscontrata inoltre la produzione di una buona quantità di componenti del settore aerospaziale, comprese le copie locali dello Stinger americano e dell'SA7 e SA18 sovietici, i pericolosissimi missili antiaerei spalleggiabili.
Ed ha destato un certo scalpore la recente uscita di una copia del sistema antiaereo pesante Hawk, radiato dagli Usa negli anni '90, ma ancora in uso in moltissimi paesi tra cui l'Italia. I maggiori investimenti sembrano concentrati nei settori missilistico, elettronico e della ricerca nucleare, che per loro stessa natura sono i più "sentiti" dai governi e dai media occidentali.
Tuttavia non sono da trascurare i risultati raggiunti nelle armi leggere, nelle artiglierie e nei razzi, come dimostrano la campagna di Israele contro Hezbollah del 2006 e qualche sequestro di navi dirette ad Hamas. Solo l'assenza pressoché assoluta ai saloni e alle fiere dell'export bellico impedisce di valutare pienamente le capacità di un conglomerato di imprese che rappresenta il 10-15 percento della struttura industriale del Paese. L'Iran armiero di oggi, non è sicuramente in grado di competere con l'Occidente e nemmeno con le realizzazioni più avanzate della Russia, ma realisticamente è al livello della media produzione cinese.
Iran, il business dell'embargo
di Marcello Brecciaroli - Peacereporter - 25 Settembre 2009
Il presidente russo Medvenev, in un'intervista rilasciata a margine dell'Assemblea Generale Onu, ha dichiarato: "Non penso che le sanzioni siano la via migliore per trattare con l'Iran", ma ha specificato che possono essere lecite se tutte le alternative falliscono.
Le resistenze russe, al pari di quelle cinesi, dipendono dagli enormi interessi economici che i due stati hanno in Iran: Gazprom, il colosso russo del gas, ha fiutato l'affare dei giacimenti iraniani abbandonati dalle europee Total e Royal Dutch Shell. In generale Russia e Cina stanno riempiendo tutti i vuoti lasciati dalle compagnie europee in ritirata (le statunitensi se ne sono andate del tutto già dal 1997).
Anche se Russia e Cina decidessero di adeguarsi in pieno alle sanzioni proposte dagli Stati Uniti, il che non sembra visto che la cinese Sinopec ha firmato nuovi accordi il 23 settembre, i ricavi attuali dell'Iran dalla vendita del petrolio oscillano tra i 50 e 60 miliardi di dollari all'anno. Si può considerare veramente "embargo" un provvedimento che permette commerci esteri per cifre del genere? Un tale fiume di denaro permette a Teheran di importare tutto ciò di cui ha bisogno e di avere risorse da investire nel suo programma nucleare.
Fino ad oggi, l'intento delle sanzioni è stato proibire alle aziende di sviluppare infrastrutture nel Paese, ma non di acquistarvi petrolio e rivendervi prodotti raffinati.
Questo ha permesso di bloccare la capacita estrattiva dell'Iran, senza dover rinunciare al miliardario commercio dei suoi prodotti.
Investire in Iran è dunque proibito. Le sanzioni internazionali, volute dagli Stati Uniti e ratificate dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, vietano investimenti per cifre superiori a 200 milioni di dollari sin dal 2008. E' una somma solo apparentemente alta: se si vuole costruire un impianto petrolifero, questa cifra basta si e no a esplorare il terreno.
Eppure lo stato persiano continua ad allocare licenze di estrazione: Royal Dutch Shell, Repsol, Total e la nostra Eni hanno contratti già stipulati, soprattutto nello sterminato giacimento off-shore "South Pars", il più grande del mondo. Il ministro iraniano del Petrolio ha dichiarato che sono oltre 60 i miliardi di dollari investiti nello sviluppo negli ultimi 4 anni. Queste compagnie però perderanno probabilmente le loro concessioni in quanto hanno dichiarato che non intendono investire ulteriormente nel paese.
L'italiana Eni, oltre a essere presente sull'area del South Pars, sfrutta anche il giacimento on-shore di Darquain (la quota Eni è del 60 percento): nel "Fact book 2008", pubblicato sul sito Eni, si annuncia che l'azienda sta realizzando un "upgrading" delle strutture che porterà la produzione da 100mila Barili/giorno a 160 mila barili/giorno entro il 2009. Gli investimenti sono finanziati con la formula "Buy-back" che consente di ripagare le spese con la cessione di una parte dei prodotti estratti.
Questa operazione, se verrà conclusa, rappresenterà una chiara violazione dei precetti delle sanzioni internazionali.
All' assemblea Generale delle Nazioni Unite, martedì scorso, l'amministratore delegato Eni, Paolo Scaroni, ha dichiarato che in Iran "abbiamo solo un vecchio progetto che andrà ad esaurirsi. Per il resto praticamente nulla". E' vero che L'Iran rappresenta una fetta minuscola della produzione globale dell'azienda (nel 2008, 1,797 milioni di barili/giorno), ma è quanto basta per far preoccupare gli Stati Uniti da cui, secondo Scaroni, "Non abbiamo mai ricevuto lamentele per i rapporti con Libia e Russia, la loro preoccupazione è l'Iran".
Già al tempo del primo pacchetto di sanzioni varato contro l'Iran, nel 2006, l'amministrazione americana aveva chiesto chiarimenti all'Eni per i suoi rapporti privilegiati con Teheran: al tempo Scaroni aveva dichiarato che "Non intendiamo fare nuovi contratti, ma non possiamo uscire, lo abbiamo spiegato anche a Bush, perderemmo dai 2 ai 3 miliardi".
L'Italia è il maggior partner commerciale europeo dell'Iran, nonostante il volume di affari sia in continuo calo: nel 2008, per adeguarsi alle sanzioni internazionali, i rapporti sono stati ridotti del 22 per cento.
Il governo iraniano sostiene che può andare avanti anche da solo, ma gli esperti ritengono che non disponga dei capitali sufficienti.
All'Assemblea dell'Onu è emerso un cambiamento di strategia: gli Stati Uniti vogliono proporre di estendere l'embargo anche al commercio di prodotti petroliferi. Questo chiuderebbe veramente i rubinetti di Teheran. Esponenti del Dipartimento di Stato Usa, come riportato dall'agenzia Dow Jones, ritengono che questa sarebbe la più potente alternativa ad un intervento militare.
Questa mossa però, per avere efficacia, deve essere presa al più presto: l'Iran sta costruendo nuove raffinerie che lo porteranno all'indipendenza dai prodotti raffinati esteri entro il 2012.
Ahmadinejad denuncia le “politiche inumane” di Israele, e io non mi scandalizzo
di Alessandra Colla - www.alessandracolla.net - 24 Settembre 2009
A quanto pare, stanotte all’Assemblea generale dell’Onu il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha detto fuori dai denti quello che molti pensano di Israele, e cioè che l’entità sionista è responsabile di «politiche inumane contro i palestinesi». L’indignazione per questo fatto sarebbe stata tale e tanta da far uscire precipitosamente dall’aula i rappresentanti di Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Canada, Nuova Zelanda, Polonia, Danimarca, Lituania, Olanda e Slovacchia. Al loro posto, invece, sono rimasti la Svezia (presidente semestrale di turno), la Spagna, il Portogallo e la Finlandia — mi chiedo se nella prossima lista degli Stati-canaglia ci sarà un posticino anche per loro. Nell’aula semivuota, il presidente Ahmadinejad non è stato tenero nemmeno con gli Stati Uniti, puntando il dito anche contro il sostegno americano alla politica israeliana: «Il regime del capitalismo sfrenato, che è iniquo in sé, è in un vicolo cieco e non riesce a muoversi. È venuta la fine per coloro che decidono che cosa sono la democrazia e la libertà, e fissano standard che loro stessi sono i primi a violare. Essi non potranno più essere giudici e boia. […] Come è possibile che i crimini commessi dagli occupanti [israeliani] contro donne e bambini indifesi, e la distruzione delle loro case, delle loro fattorie, dei loro ospedali e delle loro scuole, sia sostenuta indiscriminatamente da certi governi che allo stesso tempo sottopongono gli oppressi a un blocco che nega loro i bisogni fondamentali, come il cibo, l’acqua e le medicine, e porta al genocidio?». Sembra che di queste parole ci si debba scandalizzare, se davvero si è gente per bene. Si vede che io sono per male, giacché proprio non ci riesco. Mea culpa.