"Ho ordinato una revisione complessiva del sistema di difesa in Europa che dovrà rispondere alle minacce missilistiche, pur se il programma missilistico iraniano rimane una grave minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Il nuovo approccio sarà più flessibile, più efficace e più efficiente dal punto di vista dei costi, più forte, più intelligente e più rapido. Il nuovo piano è il modo migliore per aumentare la nostra sicurezza e quella dei nostri alleati, ed è stato guidato in particolare da due fattori principali: l'aggiornamento delle valutazioni sul programma missilistico iraniano, e il miglioramento dei missili intercettori sulle navi. Il nuovo sistema sarà dispiegato prima e garantisce la possibilità di essere aggiornato mano a mano che la minaccia cambia e la tecnologia continua a evolvere".
Naturalmente positive sono state le reazioni della Russia, che ha infatti immediatamente annunciato che congelerà le contromisure militari già programmate, tra cui il posizionamento dei missili Iskander nell'enclave russa di Kaliningrad (tra Polonia e Lituania), e in futuro potrebbe anche rinunciarvi del tutto.
Anche l'Iran dovrebbe vedere positivamente questa decisione che nasce proprio dal fatto che il suo programma nucleare non ha registrato rapidi e sostanziali progressi nel dotarsi di missili a lunga gittata.
E, a maggior ragione, il Paese che più di tutti ha storto il naso dopo l'annuncio di Obama è stato proprio Israele.
La svolta di Obama: un "new deal" col Cremlino ed anche con gli Ayatollah
di Ennio Caretto - Il Corriere della Sera - 17 Settembre 2009
Abbandonando lo scudo che il predecessore Bush voleva erigere nella Repubblica Ceca e in Polonia, e sostituendolo con quella che ha definito una già esistente nuova architettura difensiva missilistica in Europa, Obama non ha solo eliminato la maggiore causa di tensione con la Russia, acquistandone probabilmente la collaborazione nel braccio di ferro con l’Iran.
Ha anche cominciato a premere militarmente sullo stesso Iran, perché il suo sistema si basa sui radar e gli intercettatori delle navi Aegis che possono essere dispiegate dal Mediterraneo al Baltico e al Golfo Persico. Il presidente inoltre prepara rampe mobili di terra che, stando al ministro della difesa Bob Gates, verranno consegnate dal 2015 all’Europa occidentale, e forse anche a quella orientale. E’ una cruciale svolta politica e militare, che potrebbe portare a un «new deal» con il Cremlino se non anche con gli Ayatollah.
«SISTEMA PIÙ EFFICACE» - Il progetto di Bush era futuristico, e non preoccupava Teheran mentre era destabilizzante per Mosca. Quello di Obama è di fatto in funzione, è più accettabile per la Russia, che ha reagito positivamente, e complica la situazione per l’Iran, che si troverà lo scudo americano sulle porte di casa.
E’ significativo che a caldeggiarlo al termine di un riesame di 7 mesi della questione iraniana siano stati Gates, che fu ministro della difesa di Bush e che lo seguì con molta riluttanza, e i capi dello stato maggiore delle forze armate. In base all’intelligence, essi hanno concluso che la minaccia più vicina sono i missili a breve e a medio raggio non a lungo raggio dell’Iran. E che le tecnologie di cui è dotato il Pentagono, che si evolvono rapidamente, bastano a neutralizzarli. I repubblicani hanno gridato al tradimento, ma è chiaro che Obama non intende abbassare la guardia.
Ha assicurato a tutti gli alleati che con la nuova architettura saranno più protetti, e ha spiegato che il suo sistema è più efficace e più adattabile alle esigenze del XXI secolo, nonché molto meno costoso, una verità inconfutabile. Al tempo stesso, ha creato i presupposti per la ripresa del dialogo Washington – Mosca e per il ritorno di Teheran alla ragione per quanto negativa possa esserne la risposta iniziale. È un altro chiodo sulla bara dell’unilateralismo di Bush, causa di danni nella politica internazionale. E per l’Asia centrale, i cui equilibri sono compromessi dall’Afghanistan e dal Pakistan, è motivo di speranza.
Intrigo internazionale e funghi atomici su Teheran. Alta tensione
di Giulietto Chiesa - Megachip - 19 Settembre 2009
E’ possibile che qualche cosa di molto importante sia accaduto e stia accadendo, “sotto il tappeto”, in preparazione e in connessione (forse per anticiparla e impedirla) con la clamorosa decisione di Obama di rinunciare al sistema missilistico in Europa (con radar nella Repubblica Ceca). Non solo decisione cruciale, ma soprattutto devastante per i piani israeliani. La motivazione usata da Obama, infatti, si basa sulla valutazione congiunta delle agenzie americane, dei servizi segreti, che l’Iran non possiede, né potrà possedere in un futuro prevedibile, né l’arma atomica, né la capacità di costruire vettori capaci di portarla a destinazione negli Stati Uniti.
E’ noto che, al contrario, Israele considera questa eventualità non solo possibile ma ravvicinata e che è intenzionata a stroncarla, a qualunque costo, e in qualunque modo.
La scelta di Obama è dunque, al tempo stesso, una dura presa di distanza dalla leadership di Israele. Una svolta senza precedenti per gli Stati Uniti d’America. Questa è la premessa per inquadrare quanto qui racconterò sulla base delle informazioni disponibili e cercando di ripulirle dagl’inquinamenti di cui sono striate.
E non c’è da stupirsene perché la materia scotta, in tutti i sensi.
Forse c’entra anche, in tutto questo, la misteriosa storia della Arctic Sea, la nave battente bandiera maltese ma con equipaggio russo di 13 persone, sparita il 28 luglio scorso, assaltata da strani “pirati” al largo delle coste portoghesi, nell’Atlantico.
Ma partiamo dagli ultimi avvenimenti e cerchiamo di mettere a posto un difficile mosaico.
Il 14 settembre scorso tutti i media russi e il New York Times danno notizia di un gravissimo incidente nella base militare di Tambov, circa 400 chilometri a sud-est di Mosca. Citando la Reuters, che a sua volta citava l’agenzia Ria-Novosti, che a sua volta citava una fonte di alto livello dei servizi segreti russi, il New York Times informa che “cruciali documenti segreti possono essere stati distrutti dal fuoco” in un incidente in cui hanno perso la vita ben cinque ufficiali di guardia.
L’edificio appartiene “ai servizi segreti” e ospitava “documenti segreti di speciale importanza” per la sicurezza nazionale della Russia. “L’incendio – proseguiva il dispaccio della Reuters – ha seriamente colpito la zona segreta dell’edificio”, investendo “circa 400 metri quadri”. Il vice ministro della difesa, colonnello-generale Aleksander Kolmakov, accorre sul posto insieme ad alti ufficiali dei servizi segreti. Il tutto sarebbe accaduto alle 10 del mattino del giorno precedente, domenica 13 settembre.
Qui finiscono le notizie ufficiali e cominciano quelle ufficiose. Ma interessanti anche dopo essere state depurate. C’è un sito sul web , abbastanza noto, che dispone di discreti e provati contatti con fonti russe che vogliono far sapere “altro”. Si chiama http://www.whatdoesitmean.com/index1275.htm e ospita spesso analisi firmate con nome femminile, Sorcha Faal. Non so chi sia, ma dal contesto e dal contenuto si possono dire due cose: c’è del vero in quello che dice, anche se l’insieme va preso con cautela.
Da questa analisi emergono cose sconcertanti. L’incendio non sarebbe stato un incidente. Si sarebbe trattato di un attacco di commandos contro “i bunker che ospitano la Direzione Generale dell’Intelligence russa”. Quali commandos? Non viene detto, ma si capisce che si tratta di un lavoro di alta specializzazione. Uno o più gruppi armati che , “in meno di 15 minuti” sarebbero stati in grado di “ penetrare nel perimetro di sicurezza, disattivare i sistemi antincendio e attaccare il bunker dei documenti con armi incendiarie”.
Sorgono molte domande. Chi ha inviato i commandos? Erano russi? E, se non erano russi, come potevano essere arrivati nel cuore della Russia, percorrendo – si presume in volo – diverse centinaia di chilometri senza essere rilevati e contrastati? In Russia tutto è possibile, ma neanche in Russia si fanno miracoli.
Esiste un nesso tra questo episodio e altri eventi occorsi nelle ultime settimane? Forse si può tentare di collegarne alcuni. Facciamo un salto indietro di qualche giorno. L’8 settembre il Jerusalem Post scrive che il premier Netanyahu è sparito verso destinazione ignota. Il 9 un altro giornale israeliano precisa una notizia sensazionale: Netanyahu è volato segretamente a Mosca a bordo di un aereo privato. Perché? Come? Il sito sopra citato fornisce importanti dettagli che sembrano derivare da una fonte dei servizi segreti russi. Seguiamo il racconto di Sorcha Faal.
Netanyahu si sarebbe precipitato a Mosca, senza neppure preavvertire il governo russo, per chiedere “l’immediata restituzione” di “tutti i documenti, dell’equipaggiamento e degli agenti del Mossad catturati dai commando russi e americani” che avevano ripreso il controllo della Arctic Sea dopo che un commando composto da israeliani e agenti fuori controllo (“rogue agents”, dice Sorcha Faal) della CIA aveva assaltato la nave, impadronendosene per diverse ore, forse giorni. Qui le domande si affollano. E anche i dubbi.
Ma non è, assai probabilmente, un’invenzione peregrina. La fonte dell’FSB che racconta la vicenda aggiunge particolari straordinariamente interessanti e anche molto precisi. Nella Direzione Generale dell’FSB di Tambov vi sarebbero stati “tutti i files operativi” compilati dall’FSB, il servizio segreto russo, concernenti la famosa Blackwater, la corporation privata cui Bush e Cheney affidarono importanti incarichi di sicurezza in Irak e non soltanto, e cui la Cia (come risulta ora dall’inchiesta aperta negli Stati Uniti), commissionò l’incarico degli assassini mirati per liquidare i leader e i militanti di rilievo di Al Qaeda. Che i servizi segreti russi tenessero e tengano sotto osservazione questa attività è del tutto logico. Sarebbe illogico pensare il contrario. Resta da capire cosa e come possano avere scoperto. Ma cosa c’entra Netanyahu?
Torniamo dunque al suo viaggio segreto a Mosca. Il 10 settembre, nel pomeriggio, insieme agli altri membri del club di discussione Valdai, di cui faccio parte, incontro il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov. Mosca è piena di voci su quel viaggio e la domanda è inevitabile. Lavrov non conferma ma nemmeno smentisce. E ovviamente non dice chi ha incontrato Netanyahu e perché. Ma dichiara che Mosca non ha violato nessuna delle regole internazionali del commercio di armi e che ha fornito all’Iran, in passato, solo “armi rigorosamente difensive”.
Nel frattempo fonti israeliane, subito riprese da diversi giornali occidentali e anche russi, diffondono l’informazione secondo cui, a bordo della Arctic Sea ci sarebbe stato non un carico di legnami preziosi, ma un carico di missili S-300 destinati all’Iran. Gli S-300 sono missili anti-missile, cioè arma difensiva.
Notizia strana. La Russia avrebbe mandato in giro, lungo una rotta lunghissima (dall’Oceano Artico, nell’Atlantico, via la Manica, fino alle Canarie, ma per andare dove?), un carico delicatissimo, esponendo la sua merce a ogni rischio (come poi sarebbe avvenuto), senza poterla tenere sotto controllo. Basta guardare le carte geografiche per capire che Mosca può inviare in Iran ciò che vuole attraverso il Mar Caspio, su cui si affacciano i suoi porti e quelli iraniani. Dunque notizia improbabile. Sicuramente il carico della Arctic Sea era molto importante, ma non era quello che dicono gli israeliani. E non era diretto all’Iran ma – ecco la novità di Sorcha Faal -“agli Stati Uniti”.
Ecco perché all’operazione di recupero della Arctic Sea avrebbero preso parte anche gli Stati Uniti, con uomini e, soprattutto, informazioni sulla localizzazione della nave.
Secondo la ricostruzione citata la Marina Militare russa, con il concorso di unità della marina finlandese e dei servizi americani, avrebbe prelevato tre missili, dotati di testata nucleare, dopo averli recuperati dal relitto del Kursk, il sommergibile nucleare affondato nel 2001 in circostanze misteriose nell’Artico. Tragedia nella quale persero la vita 118 marinai e ufficiali russi. All’epoca i russi avevano incaricato del recupero dei cadaveri del Kursk due compagnie danesi, la Mammoet e la Smit International, ma senza il permesso di toccare i missili. Si trattava di missili nucleari tattici P-700 Granit, in grado di affondare navi di grandi dimensioni, per esempio portaerei.
Secondo fonti della intelligence militare russa, il GRU, i missili sarebbero stati caricati sulla Arctic Sea, e diretti verso gli Stati Uniti per essere affidati alla US Nuclear Security Administration che ne doveva curare lo smantellamento nell’impianto Pantex, in Texas. Il tutto in base agli accordi di disarmo dello START 2.
La Arctic Sea, con un carico ben più importante del legname, viene attaccata da “commandos non identificati”. Ovvio che non si tratta di comuni pirati. Qui ci sono in campo servizi segreti potenti, in grado di mettersi di traverso niente meno che a un’operazione congiunta russo-americana. Mosca reagisce con veemenza inusitata. Il comandante in capo della Marina, Vladimirr Visotskij dichiara pubblicamente che “tutte le navi e i natanti della marina russa nell’Atlantico sono stati inviati alla ricerca della nave sparita”.
Il 18 agosto il ministro della difesa russo, Anatolij Serdiukov annuncia che le forze navali russe, “in cooperazione con il Comando Spaziale della Marina USA” hanno “ripreso possesso” della Arctic Sea. Fonti anonime dei servizi russi parlano di “terroristi della CIA con falsi passaporti estoni, lettoni, e russi. C’è un’altra fonte, non anonima, russa, che racconta altre cose. Si tratta di Mikhail Voitenko, direttore di una rivista specializzata in incidenti marittimi, la Sovfracht, il quale fa sapere che la Arctic Sea non era una qualunque nave da trasporto, ma era dotata dei più moderni mezzi di localizzazione e di comunicazione. Per giunta, al momento dell’assalto dei “pirati”, la nave si sarebbe trovata in acque dove “perfino i cellulari funzionavano”. Perché non ci fu allarme subito? Il mistero s’infittisce. Mikhail Voitenko, dopo avere troppo parlato, scappa in Turchia e dichiara di essere sotto grave minaccia di vita.
Qui dobbiamo tornare a Netanyahu perché il sito sopra citato mette direttamente in relazione i servizi segreti israeliani con la vicenda della Arctic Sea. Vediamo come. Fonti questa volta del ministero degli esteri russo rivelano che l’aereo privato su cui viaggiava Netanyahu aveva un piano di volo che prevedeva l’atterraggio a Tbilisi, Georgia ma che (l’episodio deve essere avvenuto tra l’8 e il 9 settembre) all’improvviso, in vicinanza dello spazio aereo russo, il pilota chiede “urgentemente” di poter atterrare a Mosca, specificando che ha a bordo il primo ministro israeliano Netanyahu. Il permesso è accordato e l’aereo atterra nella base militare di Kubinka, non lontano dalla capitale.
Sempre stando al racconto di Sorcha Faal, all’aeroporto di Kubinka arriva in tutta fretta il presidente russo Dmitrij Medvedev, che incontra non solo un Netanyahu furibondo ma un’intera delegazione israeliana, composta dal generale Meir Kalifi, ministro per gli Affari Militari e Uzi Arad, consigliere per la Sicurezza Nazionale d’Israele. La richiesta, perentoria, a Medvedev è “un’immediata restituzione di tutti i documenti, dell’equipaggiamento e degli agenti del Mossad” catturati dai russi e dagli americani a bordo della Arctic Sea.
A quanto pare Medvedev, già irritato per il mancato preavviso, per la insolita procedura, e per i toni degli ospiti, replica che “l’investigazione è in corso” e che “la Russia non è pronta a dare alcuna prova a nessuno”. Con ogni probabilità si è parlato anche d’altro e qui il racconto diventa del tutto inverificabile. Uno degli argomenti in questione, per altro probabilmente, sarebbe stata una richiesta di chiarimento circa le armi che la Russia starebbe fornendo all’Iran. Il tutto in connessione con un possibile attacco israeliano sulle installazioni nucleari iraniane. Sorcha Faal mette tra virgolette frasi di Netanyahu di incredibile gravità, del tipo che “la Russia dovrebbe pararsi il sedere” e non essere sorpresa quando “nubi a forma di fungo cominceranno ad apparire sopra Teheran”.
La reazione di Medvedev non viene riferita. Ma sia Medvedev che Putin in quei giorni, anche negl’incontri con i membri del Club Valdai, hanno ripetutamente ribadito l’inaccettabilità di ogni azione di forza contro l’Iran e la necessità di uno sviluppo della via negoziale.
Non sarà inutile qui ricordare chi era uno dei due accompagnatori di Netanyahu a Mosca, Uri Arad. L’attuale Segretario alla Sicurezza Nazionale di Israele è persona non grata negli Stati Uniti. Lo è da quando risultò, nel 2006, che era direttamente implicato nel cosiddetto AIPAC Espionage Scandal (AIPAC sta per American Israeli Public Affair Committee). In quel processo, largamente coperto dalla stampa americana, emerse che importanti documenti della politica americana verso l’Iran venivano passati a Israele, attraverso l’AIPAC e personalmente Uri Arad, da un funzionario del Dipartimento della Difesa, Lawrence Franklin.
Questi fu condannato a 13 anni per spionaggio a favore di uno stato straniero; condanna poi tramutata in 10 mesi di arresti domiciliari. Ebbene, viene riferito che Uri Arad fu protagonista di uno scandalo aggiuntivo quando Hillary Clinton incontrò Netanyahu a Gerusalemme.
Hillary e i suoi consiglieri furono sconcertati di vedere Arad al fianco di Netanyahu e, per evitare un incidente diplomatico, proposero che all’incontro assistessero solo tre persone per parte. Netanyahu non fece una piega e chiese all’ambasciatore israeliano a Washington, Sallai Meridor, di allontanarsi, e tenne con sé Uri Arad. Meridor si dimise qualche giorno dopo e un portavoce di Netanyahu spiegò in seguito che la presenza di Arad era “indispensabile per la questione iraniana”. Quanto fosse indispensabile lo dimostra la posizione di Arad in materia: “massima deterrenza”, nel senso che Israele “deve minacciare e colpire ogni e qualsiasi cosa abbia importanza in merito”, a cominciare “dai leader” per finire “ai luoghi sacri”.
(Editoriale di Paul Woodward, 18 marzo 2009. http://warincontext.org/2009/03/18/editorial-we-want-the-land-not-the-people).
Cosa ci sia di vero nelle rivelazioni (guidate dai servizi segreti militari russi) secondo cui tra i files distrutti a Tambov c’erano anche quelli che “confermavano” le accuse contro i servizi segreti USA e israeliani, formulate dal generale Mirza Aslam Beg, ex capo di stato maggiore dell’esercito pakistano, secondo cui “mercenari privati” della Blackwater (ora rinominata Xe) sarebbero stati “gli organizzatori degli attentati contro l’ex primo ministro libanese Rafik Hariri e contro Benazir Bhutto”.
In ogni caso, concludendo, si può dire con certezza che il viaggio di Netanyahu a Mosca c’è stato. E che una cosa del genere si fa soltanto se sono in gioco eventi drammatici.
Si capisce che Netanyhau aveva una gran fretta, una settimana prima che Obama annunciasse che l’Iran non costituisce, al momento, una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti. Resta da capire qual’era lo scopo dell’assalto alla Arctic Sea e come mai i servizi segreti israeliani si sono esposti così apertamente in una operazione ostile nei confronti di Stati Uniti e Russia. E resta, ovviamente, da investigare l’assalto (se di assalto si è trattato) alla base segreta russa di Tambov, solo cinque giorni dopo il burrascoso incontro di Kubinka.
Lo strano caso dell'Arctic Sea
di Christian Elia - Peacereporter - 9 Settembre 2009
Gli ingredienti per la sceneggiatura di un film o per un libro noir ci sono tutti. L'ultimo episodio della saga dell'Arctic Sea, il cargo battente bandiera maltese scomparso alla fine di luglio nel Canale della Manica e ritrovato a Capo Verde a metà agosto, riguarda la scomparsa del premier israeliano Benjamin Netanhyau, introvabile per dieci ore.
Andiamo con ordine. Il quotidiano israeliano Jerusalem Post, nell'edizione di ieri, scrive che il premier di Tel Aviv si è allontanato dal Paese senza che nessuno al di fuori dei suoi più stretti collaboratori sappesse dove si trovava. Oggi un'altra testata d'Israele, lo Yedioth Ahronoth, citando fonti anonime e ben informate, sostiene che Netanhyau si sia recato a Mosca lunedì, per una visita lampo al governo russo.
Stesse conferme sarebbero giunte al terzo grande quotidiano israeliano, Ha'aretz, in merito alla scomparsa del primo ministro d'Israele. Con Netanhyau sarebbero partiti Uzi Arad, responsabile della sicurezza nazionale dello Stato ebraico e il generale Meir Kalifi, segretario dell'esecutivo per gli affari militari. Motivo del viaggio? Il carico dell'Arctic Sea. Secondo il giornale israeliano il cargo trasportava un carico di batterie anti missile S-300, di fabbricazione russa, destinate alla vendita all'Iran.
Il governo di Teheran, secondo le fonti del quotidiano, ha il bisogno di acquistare quel tipo di sistema difensivo per mettere in sicurezza i siti nucleari e porre il loro programma di sviluppo di energia atomica al riparo da un colpo di mano dei caccia bombardieri israeliani che, in barba ai negoziati internazionali, potrebbero decidere di risolvere a modo loro il dossier nucleare degli ayatollah.
Netanhyau sarebbe andato di persona a tentare di convincere i russi a non provarci di nuovo e chiedendo un chiarimento più generale sulla fornitura di armi e tecnologia bellica da parte dei russi a Siria, Iran ed Hezbollah in Libano. Dal governo d'Israele nessuno conferma, nessuno smentisce.
A Mosca, invece, sempre ieri, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha definito ''prive di ogni fondamento'' le ricostruzioni circolate in questi giorni rispetto alla scomparsa dell'Arctic Sea, che secondo la versione ufficiale sarebbe stata vittima di un'aggressione dei pirati (novità assoluta nella Manica dai tempi di Sir Francis Drake nella seconda metà del Cinquecento).
L'equipaggio del cargo, quindici marinai russi, sarebbe stato sequestrato da otto uomini, estoni, russi e lituani. Obiettivo dei pirati ricattare l'armatore per ottenere un riscatto e il recupero del carico di legname del valore di 1,8 milioni di dollari, partito dal porto russo di Kalinigrad e diretto al porto algerino di Bedjaia, dopo aver caricato la merce in Finlandia.
Lavrov ha ribadito che la versione ufficiale è l'unica attendibile, ma ha anche promesso un'inchiesta accurata. Non ha risposto, invece, alla domanda più importante. Se l'Arctic Sea trasportava solo legname, per quale motivo il governo russo ha inviato una mini flotta di quattro navi da guerra alla ricerca del natante? Per salvare i quindici marinai? Difficile crederlo. Anche perché i russi hanno impedito a chiunque di avvicinare la nave alla fonda a Capo Verde e i marinai liberati.
Non ci ha creduto neanche per un istante Mikhail Voitenko, direttore del quotidiano online Sovfracht, specializzato nel mondo della marina mercantile, che è stato il primo a scrivere che quel cargo non trasportava legname ma armi e che i dirottatori non erano criminali, ma agenti segreti israeliani impegnati a bloccarne il carico. Voitenko, che citava fonti del ministero della Difesa russo e aveva ricevuto e pubblicato alcune lettere dei familiari dei marinai sequestrati, ha abbandonato la Russia in tutta fretta e ha detto di non voler rivelare la sua attuale posizione.
Il giornalista, secondo quanto raccontato dal suo editore alla Bbc, è terrorizzato dalle telefonate minatorie ricevute nei giorni successivi alla pubblicazione del suo articolo sula ricostruzione della vicenda dell'Arctic Sea. Secondo Voitenko, dall'altra parte del telefono c'erano agenti del temuto Fsb, il servizio d'intelligence russo, che facendogli capire con chi aveva a che fare lo hanno 'invitato' a farsi gli affari suoi.
Cosa che non ha fatto l'ammiraglio Tarmo Kouts, ex capo delle forze armate estoni e relatore per l'Unione Europea per la pirateria internazionale, che in un'intervista al periodico Usa Time ha dichiarato come solo la presenza di missili a bordo della nave è in grado di spiegare lo strano comportamento russo nella faccenda. ''Ognuno può dire quello che gli pare, ma la ricostruzione ufficiale non è credibile. Che otto uomini assaltino un cargo in acqua europee e si dileguino nel nulla dopo aver raggiunto Capo Verde è irrealistico'', ha dichiarato Kouts. Un mistero fitto, insomma, ma che non dovrebbe stupire più di tanto.
Il Mossad, il servizio d'intelligence israeliano, non è nuovo a questo genere di operazioni. Ad aprile scorso, secondo quanto riportato dal giorale egiziano El-Aosboa, un'unità speciale israeliana ha intercettato un cargo diretto alla Striscia di Gaza e partito dal Sudan, carico di armi proveniente dall'Iran. Stessa sorte, questa volta a Dubai, secondo il Financial Times, per un cargo carico di armi provenienti dalla Corea del Nord e diretto in Iran. La Guerra Fredda è finita, i metodi con i quali la si combatteva non sono passati di moda.