domenica 18 ottobre 2009

Le grandi manovre contro l'Iran

Proseguono le grandi manovre contro l'Iran.

Oggi infatti il capo del battaglione Al Qods dei Pasdaran iraniani, generale Nour-Ali Shoushtari, è stato ucciso in un attacco di uomini armati nel sud-est dell'Iran insieme a numerosi altri membri e alti comandanti dei Guardiani Rivoluzionari nella provincia meridionale del Sistan-Baluchistan, al confine con Pakistan e Afghanistan.
Il bilancio finora è di 20 morti e 40 feriti tra i Pasdaran.

In un comunicato dell'agenzia Fars si legge"In questo atto terroristico sono stati uccisi il generale Nour-Ali Shoushtari, il vicecomandante dell’esercito dei Guardiani della Rivoluzione, generale Mohammad-Zadeh, il comandante dei Guardiani della Rivoluzione del Sistan-Baluchistan, il comandante dei Guardiani per la città di Iranshahr e il comandante dell’unità Amir-al Momenin".

Secondo le Guardie Rivoluzionarie potrebbero essere coinvolti elementi stranieri legati agli Stati Uniti. E c'è da scommetterci.

Qui di seguito una serie di articoli soprattutto sulla disinformazione praticata da lungo tempo ai danni dell'Iran e orchestrata dai soliti personaggi che vi sguazzano a proprio piacimento da decenni.


Ali Khamenei è morto? La "libera informazione" e la Repubblica Islamica dell'Iran
da http://iononstoconoriana.blogspot.com - 17 Ottobre 2009

Alla metà di ottobre del 2009 si diffondono in rete notizie sulla morte di Ali Khamenei.
Le gazzette cianciano di "blog dell'opposizione" di "paese in fibrillazione" e via di questo passo, secondo un registro condiviso da trent'anni che impone di presentare la Repubblica Islamica nella peggior luce possibile, qualunque sia l'argomento all'origine della "new".
Secondo il giornalame la notizia a Tehran sarebbe stata accolta da cortei festanti di automobili.

Chiunque abbia visitato l'Iran si è probabilmente reso conto che Tehran, nei suoi quartieri a nord, è praticamente un mondo a parte.

Dire che a chi ci vive tutto sia concesso è una palese esagerazione: tuttavia il tenore di vita ed i comportamenti di consumo dei suoi abitanti non differiscono potenzialmente in nulla da quelli di un cittadino "occidentale", e questo vale anche per l'accesso alla rete e ai mass media, ivi compresa la spazzatura "occidentalista" sparata a zero sulla Repubblica Islamica da un aggregato di professionisti dell'"informazione" che non stanno certo a chiedersi se certe condotte possano o meno essere controproducenti.

Il problema è che il mondo è cambiato, certe strategie sono note da anni e le contromisure sono, per fortuna, alla portata di quasi tutti, con la sola apparente esclusione dei sudditi che vegetano nella penisola italiana, capacissimi a tutt'oggi di bersi qualunque fandonia la pornocrazia governativa decida di diffondere.

Uno dei molti che fa finta di non essere al corrente di questo stato di cose è un tizio di nome Michael Leeden, disinformatore "occidentalista" di lungo corso, al quale si deve la diffusione della non notizia -anzi, della menzogna- di cui qui si tratta, e che l'interessato afferma come al solito di aver avuto da "fonti affidabili". Sull'"affidabilità" delle fonti usate da gente come lui si dirà qualcosa nei paragrafi che seguono.

Michael Leeden fa parte della feccia gazzettara che tanto ha contribuito a creare il clima ebete di terrore quotidiano che dal 2001 permea la cosiddetta "informazione"; un trend che nella penisola italiana rimane tuttora incontrastato raggiungendo vette di ripugnanza difficilmente eguagliabili e macinando ogni giorno intere esistenze. Di Michael Leeden il mainstream mediatico peninsulare tentò con buon successo di presentare delle copie carbone, nello stile interattivo e nel look.

L'aggressione yankee all'Iraq fu seguita da "commentatori" stile promotore finanziario che non avevano mai sentito l'odore di una ferita ai visceri ma che andavano in orgasmo ad ogni flash di agenzia che annunciava una nuova strage fatta da qualche bomba "intelligente", di quelle che smentiscono la loro definizione finendo poche volte sul Pentagono e spesse volte su mercati ed ospedali.

Il resto dovrebbe essere storia abbastanza nota: due guerre d'aggressione contemporaneamente, costosissime, in cui l'unica superpotenza mondiale non soltanto non è riuscita ad aver ragione di quelli che all'apparenza non sono che gruppi di guerriglieri sprovvisti di tutto, ma neppure a capitalizzare, come scelleratamente previsto in anticipo dalla marmaglia dei Leeden stipendiata apposta, i vantaggi conseguiti sul campo.

Vittima dei meccanismi globali da essa stessa messi in moto, durante l'amministrazione dell'ubriacone Bush l'AmeriKKKa è passata dal rango di unica superpotenza mondiale a quello di paese come un altro. Per l'entità statale che per oltre cinquant'anni ha dominato l'immaginario di tutto il mondo con le sue produzioni mediatiche e con il tenore di vita che prospettava, non esistono secondi gradini in un podio: retrocedere in questo modo significa atterrare direttamente nel fango.

Gli yankee sono capaci di fornire esempi continui di assoluta incultura. Il web è pieno di filmati che mostrano qualche grassone del midwest alle prese con una carta geografica, a collocare l'Afghanistan vicino all'Australia. Il fatto che individui in grado di scatenare una guerra termonucleare vengano eletti a maggioranza da mostri come questo pare non allarmare nessuno.

Nonostante tutto, la gravità delle oscenità commesse tutte insieme dall'amministrazione ha finito per coinvolgere anche il grassone del midwest, su cui è piombata una caterva di debiti da pagare, di sfratti e di pignoramenti, mentre i mutilati di guerra irrompevano nella vita quotidiana raccontando storie un po' diverse da quelle della televisione.

Al primo giro di ruota dunque l'amministrazione è cambiata, mettendo all'angolo molte delle lobby in voga fino al giorno prima. E questo spiega la situazione piuttosto difficile che i cosiddetti "neo-con" stanno attraversando da qualche mese.

Michael Leeden si è adoperato senza soste per facilitare il lavoro a chi stava distruggendo l'AmeriKKKa e con essa il mondo intero: finanza allegra e bombe, con bando mediatico -o con la galera- per chiunque dissentisse. Logico che al primo rovesciarsi delle sorti gli toccasse assistere ad un brusco ridimensionamento della propria influenza, e che la cosa gli andasse poco o punto a genio. La sua urgenza è quella di recuperare voce in capitolo con qualunque mezzo.

Il problema è che Michael Leeden è una voce ascoltata. Ascoltata fin troppo. Le sue produzioni mediatiche finiscono in un mainstream che non opera più da solo e che è affiancato, nel bene e nel male, dal web. E sul web si esprimono milioni di individui che la responsabilità sociale non hanno alcuna idea di cosa sia, proprio come i fans delle guerre d'aggressione e delle esportazioni di democrazia che ciarlano in tv... che nozione del concetto dovrebbero, in teoria, averla.

La Repubblica Islamica dell'Iran, abbiamo detto, soffre da sempre di un bias mediatico negativo dovuto al peccato originale della sua nascita: cacciare gli yankee a calci ed in quel modo può essere perdonato dagli ambienti che contano davvero, ma non certo dal servitorame incaricato di indottrinare il corpo elettorale. Questo bias negativo inscalfibile perdura, permeando di sé le produzioni di un mainstream affidato acriticamente alle manine dei Leeden ed ampiamente utilizzato per campagne denigratorie che lasciano addirittura spiazzato qualche governo "occidentale".

Ignorare il concetto di responsabilità sociale permette alla feccia delle redazioni di mangiare -e di mangiare molto- non solo a spese di chi la paga, ma anche a spese della vita di individui, di paesi o di settori sociali mediaticamente inesistenti, e dunque inesistenti tout court. Un effetto collaterale di questo modo di agire è che dal rapporto biunivoco tra media mainstream e contenuti del web può uscir fuori un cocktail micidiale, di cui i gazzettieri sono ovviamente gli unici a trarre degli utili.

Il caso della cosiddetta "rivoluzione verde" del giugno 2009 è un esempio perfetto di quanto può succedere grazie ai Michael Leeden.

Addirittura ignorando il sostanziale disinteresse per la questione dei politici "occidentali", perfettamente al corrente del fatto che le elezioni presidenziali non avrebbero inciso sostanzialmente sulla politica estera iraniana e che la politica delle scoperte intromissioni negli affari altrui sta attraversando una fase di riconsiderazione (è il caso di ricordare l'exploit dell'agosto 2008 con il quale lo yankee di complemento Shaakashvili è arrivato ad un niente dall'essere portato a Mosca come prigioniero di guerra) il gazzettame "occidentale" ha preso in blocco le parti di uno degli sfidanti per le elezioni presidenziali, trattando il contesto politico iraniano -uno dei più complessi del mondo- con incompetenza assoluta e considerando rappresentativa dell'intero paese la borghesia di Tehran nord.

Il contenuto di singoli blog apparentemente -ed in qualche caso sedicentemente- iraniani, a volte redatti in un inglese gergale per lo meno sorprendente, è rimbalzato sul mainstream ed è stato ridiffuso anche nei contesti di apparente provenienza, alimentando furibondi scontri di piazza apertamente approvati dai mass media "occidentali", gli stessi che hanno additato al pubblico disprezzo le centinaia di migliaia di manifestanti che nel 2001, a futuro immediato ampiamente divinabile, scesero in piazza per opporsi alla pianificazione di un decennio intero di prevaricazioni e di ingiustizie sociali. Fracassare un bancomat o pestare un gendarme a Tehran si può e si deve fare, a Genova no.

Lo svolgersi degli eventi iraniani fa pensare che questo meccanismo abbia funzionato molto bene, dando il peggio di sé: pennaioli ben pasciuti e ragazzi a farsi ammazzare in piazza a solo beneficio delle tirature "occidentali" e della pubblicità che le impesta. Il giornalame è arrivato al punto di "documentare" la realtà iraniana con fotomontaggi sfacciati: all'automobile del presidente Ahmadinejad si sarebbe parata davanti una ragazza a dito medio alzato che nelle intenzioni del cialtrone che ha ideato la cosa doveva rappresentare la quintessenza della denuncia sociale.

Peccato che in Iran un gesto simile non abbia alcun significato. L'episodio è minimo ma dimostra come la produzione di contenuti mediatici sia guidata da un intento esclusivamente denigratorio e rivolta all'uso e consumo di un pubblico "occidentale" ed "occidentalista" che della realtà iraniana non ha alcuna cognizione, e che meno che mai potrà farsene una affidandosi a simili fonti di "informazione".
Ma c'è di peggio.

Lo sfondo degli scontri di piazza è scopertamente servito per pubblicizzare un arnese chiamato Twitter, ennesimo portale inutile di un internet che ne presenta centinaia. Su Twitter si sono affastellati migliaia di messaggi genericamente indicati come "dall'Iran" che hanno riferito tutto ed il contrario di tutto.

Un paio di mesi dopo, e neanche tanto in sordina, i responsabili del servizio hanno ripristinato la tracciabilità dei messaggi. Probabile che i sottoscala di Tel Aviv non abbiano mai pullulato di fonti informate sugli accadimenti iraniani come in quei giorni di giugno!

Tra i blogger sedicenti iraniani il 21 giugno si è dato il caso di alcuni mentecatti repellenti, osceni irresponsabili autentica espressione della civiltà contemporanea, che hanno diffuso la notizia secondo la quale la Repubblica Islamica stava perdendo il controllo dell'esercito. Nulla di più probabile che una voce del genere abbia esasperato gli scontri tra ragazzi disarmati e bassij, che disarmati non lo erano e non lo sono affatto.

Il tutto si è svolto in un tessuto sociale i cui appartenenti hanno spesso una vera passione per i complottismi e le dietrologie, secondo un atteggiamento condiviso che in un contesto del genere va ritenuto sicuramente responsabile di ulteriori peggioramenti della situazione.

La "libera informazione" dei Leeden ha reso pessimi servizi al popolo iraniano, costruendo una realtà fittizia e mendace e mandandolo ancora una volta con noncuranza al macello. Il tutto, probabilmente, in un utilizzo estremo (sperabilmente l'ultimo, ma c'è poco da illudersi) della libertà di linciaggio di cui ha goduto per molto, troppo tempo.


Bagliori di una guerra segreta
di Simone Santini - www.clarissa.it - 16 Ottobre 2009

Il 19 ottobre riprendono a Vienna i negoziati sul nucleare iraniano. Le schermaglie pubbliche non mancano: gli iraniani annunciano che senza accordo sull'arricchimento dell'uranio all'estero continueranno da soli; Hillary Clinton risponde che gli Usa non attenderanno oltre; Vladimir Putin sostiene che non ci sono le condizioni per un inasprimento delle sanzioni. Intanto segnali disparati fanno intendere che sono in corso scontri sotterranei, autentici bagliori di una guerra segreta.

Ne riportiamo alcuni, in ordine sparso, avvertendo che si tratta per lo più di notizie isolate ma che potrebbero anche essere (in tutto o in parte) tessere di un puzzle ordinato e profondamente interconnesso.

Lo strano caso della morte di Khamenei. Mentre scriviamo è ancora mistero su alcune notizie circolate su siti web, e riprese da testate come il britannico Daily Telegraph o l'israeliano Haaretz, secondo cui il leader spirituale iraniano Ali Khamenei sarebbe deceduto o in coma da alcuni giorni. Mancano conferme ufficiali ma anche smentite ad alto livello.

Se la notizia fosse vera sarebbe una scossa tellurica per il regime che potrebbe aprire scenari del tutto imprevedibili, anche drammatici, visto il momento delicatissimo in cui si verifica. Designato a succedere pro tempore a Khamenei sarebbe infatti l'ayatollah moderato Rafsanjani, a capo del Consiglio degli esperti, in attesa che questo organo elegga il successore di Khamenei. Ma Rafsanjani è anche il principale oppositore del presidente Ahmadinejad e si dubita che larghe fasce degli apparati di sicurezza (come i pasdaran e le milizie basiji) possano accettarne la legittimità morale e politica.

Ma anche se la notizia fosse falsa sarebbe altrettanto interessante. La fonte primaria da cui proviene, infatti, non è neutra, arrivando dal blog del "giornalista" ebreo-americano Michael Ledeen. Ledeen è una vecchia conoscenza degli ambienti dell'intelligence: "falco" vicino ai settori neocon durante la presidenza Bush, è stato consulente del Dipartimento di Stato e consulente dei servizi israeliani. Esperto di Iran, terrorismo, politica internazionale, il suo nome è stato accostato allo scandalo Iran-connection (anni '80, Amministrazione Reagan/Bush sr.) ed alle vicende relative la strategia della tensione in Italia, paese che Ledeen conosce perfettamente e di cui parla fluentemente la lingua.

Ledeen sarebbe dunque, e soprattutto, un maestro delle cosiddette psy-ops, ovvero un esperto di attività di disinformazione e guerra psicologica. Il propagarsi della notizia potrebbe ben iscriversi, dunque, nel testare le reazioni sia degli apparati di controllo iraniani, ma anche e soprattutto dell'opinione pubblica interna al paese, per verificare quale sia lo stato dell'arte e la risposta in quegli ambienti riformisti che hanno vigorosamente protestato dopo le recenti elezioni macchiate, secondo l'opposizione, da pesanti brogli.

Brzezinski, il "pacifista" imperiale. Zbigniew Brzezinski è uno dei massimi esponenti dell'establishment americano. Democratico, ormai ottantenne, è stato Consigliere per la sicurezza nazionale dell'Amministrazione di Jimmy Carter (1977-1981), membro (e anche fondatore) dei più importanti think-tank anglosassoni, come la Trilateral Commsission, o il Council on Foreign Relations (CFR). Attualmente professore di relazioni internazionali alla Johns Hopkins University, Barack Obama lo ha citato pubblicamente come un suo mentore e consigliere personale.

Verrà ricordato nella storia contemporanea come l'ideatore della "trappola afgana" quando nel 1979, con una abilissima strategia, gli americani fecero in modo (o come disse lo stesso Brzezinski "aumentammo consapevolmente la possibilità") che i russi invadessero l'Afghanistan per farne il "loro Vietnam" ed impantanarli in una guerra di logoramento che fu una delle concause principali della dissoluzione dell'Urss.

La contrapposizione Est/Ovest è sempre stata la linea strategica di fondo della visione geopolitica di Brzezinski. Di origine polacca, fautore della guerra fredda, ha sempre agito in un contesto bipolare, in cui ogni mezzo era lecito (come sponsorizzare il jihadismo islamico) pur di contenere il nemico principale rappresentato dall'Unione Sovietica. Ma anche dopo il crollo di quell'Impero, per Brzezinski il "nemico" rimane l'oriente eurasiatico di cui la Russia è il fulcro.

Questa visione politologica torna di grande attualità in un passaggio storico fondamentale per il consolidamento definitivo o la crisi dell'Impero americano, in cui le relazioni con la Russia si intrecciano con la disputa sul nucleare iraniano. Allearsi tatticamente con Mosca per liquidare Teheran e terminare definitivamente l'occupazione dell'area mediorientale e centro-asiatica, o accettare l'Iran come una potenza regionale, riconducendolo progressivamente nel campo occidentale, con la funzione storica che ebbe per la geopolitica anglosassone di gendarme del Golfo e argine di contenimento per la Russia e oggi anche Cina?

Nell'estate 2008, durante la crisi russo-georgiana, Brzezinski espresse chiaramente il suo pensiero equiparando Putin a Stalin e Hitler: "... Oggi la comunità internazionale deve [...] reagire a una Russia che ricorre sfacciatamente all'uso della forza, con un più vasto disegno imperiale in mente: reintegrare il territorio ex sovietico sotto il dominio del Cremlino e impedire all'Occidente l'accesso al Mar Caspio e all'Asia centrale, grazie al controllo sull'oleodotto Baku/Ceyhan che attraversa la Georgia. Se la Georgia capitolerà, non solo l'Occidente si ritroverà tagliato fuori dal Mar Caspio e dall'Asia centrale, ma possiamo logicamente prevedere che Putin, se non troverà ostacoli, userà la medesima tattica verso l'Ucraina, Paese contro il quale ha già espresso minacce" (1).

Queste perentorie affermazioni vanno coordinate con la relazione che Brzezinski pronunciò davanti alla Commissione esteri del Senato americano il 1° febbraio del 2007. Una analisi impietosa e di durissima critica alla politica neo-con di Bush che rischiava di aprire una voragine in tutto il Medio Oriente e oltre, dall'Iraq al Pakistan passando per Afghanistan e Iran: "La guerra in Iraq è una calamità storica, strategica e morale. Iniziata sulla base di false presunzioni, sta pregiudicando la legittimità globale dell'America; le sue vittime civili e i suoi abusi ne stanno intaccando le credenziali morali. Provocata da impulsi manichei e da un'arroganza imperiale, sta intensificando l'instabilità regionale. (...) Se gli Stati Uniti continueranno a lasciarsi impantanare in un prolungato e sanguinoso coinvolgimento iracheno, il punto d'arrivo, su questa strada in discesa, sarà probabilmente un conflitto con l'Iran e con larga parte del mondo musulmano" (2).

In quella stessa sede Brzezinski fece riferimento alla possibilità ("scenario plausibile") che l'allargamento del conflitto all'Iran potesse essere provocato da un attentato ("provocazione") in Iraq o negli stessi Stati Uniti, attribuito agli iraniani e sfruttato dagli americani per una "azione militare difensiva". Parole inaudite e pubblicamente pronunciate in una sede istituzionale da chi sa perfettamente di cosa parla quando si riferisce a provocazioni di intelligence di quel genere.

Molti analisti ritennero che in quel modo Brzezinski volesse bruciare un piano dell'Amministrazione, preventivabile o in corso di attuazione, proprio per impedire una avventura contro l'Iran.

Siamo al 1° febbraio 2007. Alla fine di agosto dello stesso anno molti siti alternativi e giornalisti d'inchiesta indipendenti riportarono la notizia dello strano caso di un bombardiere strategico B-52 armato con sei missili cruise a testata atomica, che in spregio ai trattati internazionali e ai regolamenti della Us Force, veniva spostato da una base nel Dakota e fatto atterrare in Louisiana, bloccato da alcuni ufficiali dell'aviazione. In molti ritengono che quel bombardiere col suo armamento atomico fosse in procinto di attuare o una qualche operazione "false flag" o un attacco segreto verso l'Iran, sotto la direzione del vice-presidente Dick Cheney, e fu sventato da ufficiali "ribelli" delle forze armate (3).

Le scorse settimane Brzezinski ha lanciato un altro missile preventivo per il caso in cui Israele decidesse, come temuto da più parti, di sferrare un raid aereo unilaterale per colpire i siti nucleari iraniani, e per dire quale dovrebbe essere l'atteggiamento di risposta statunitense: "Non siamo esattamente dei piccoli bimbi impotenti. Dovrebbero [i bombardieri israeliani n.d.r.] volare sul nostro spazio aereo in Iraq. Dovremmo sederci a guardare?... Dobbiamo essere seri sulla questione e negare loro tale diritto. Ciò significa un rifiuto, e non solo a parole. Se tentassero il sorvolo, si decolla e li si fronteggia. Hanno la scelta di tornare indietro o no". (4)

Ancora parole inaudite. Un alto esponente dell'establishment americano sostiene che gli aerei statunitensi (si noti che Brzezinski nel riferirsi ai cieli dell'Iraq usa l'espressione "nostro spazio aereo") dovrebbero intercettare gli aerei israeliani ed eventualmente abbatterli. L'esperienza dell'uomo è tale da sapere impraticabile, politicamente, tale eventualità. Ma forse Brzezinski si rivolge ancora ad elementi delle forze militari ai quali garantisce il sostegno di almeno una parte importante della sfera politica nella loro azione di contrasto a piani belligeranti.

Brzezinski non è un pacifista. Le sue posizioni rispondono a precise attuazioni tattiche di visioni strategiche di fondo. È interessante delineare brevemente queste concezioni soprattutto in contrapposizione a quelle della dottrina neocon, che in definitiva si stanno ancora contrapponendo nell'amministrazione americana sul dossier iraniano.

Negli anni '90 i neo-conservatori repubblicani delineavano il PNAC (Project for the New American Century) che verrà poi applicato nel momento in cui giungeranno al potere dal 2001 in poi, e soprattutto dopo i tragici fatti dell'11 settembre. Le linee portanti del PNAC illustrano una politica attiva e diretta da parte statunitense per il consolidamento del dominio economico e militare a livello globale. Concetti come "guerra preventiva" o "esportazione della democrazia" diverranno tristemente comuni.

Applicando principi per cui "la leadership americana è un bene sia per l'America che per il resto del mondo", la dottrina vuole "promuovere la causa della libertà politica ed economica al di fuori degli USA" e "preservare ed estendere un assetto internazionale favorevole alla sicurezza, alla prosperità e ai principi degli USA". Questo significa un approccio aggressivo e, dove necessario, l'occupazione ed il controllo militare diretto delle aree strategiche.

Negli stessi anni (1997) Brzezinski scrive e pubblica un saggio politologico fondamentale: The grand chessboard (La grande scacchiera). L'obiettivo che si pone in questa opera è, sostanzialmente, lo stesso del PNAC, ovvero come strutturare il dominio imperiale americano.

Ma se l'obiettivo è lo stesso, strategie e tattiche sono alquanto diverse.
Partendo dalle considerazioni che tutti i grandi imperi della storia sono implosi perché non riuscivano più a sostenere il peso economico e militare del dominio, e che il fulcro eurasiatico rimane quello in cui si gioca la partita decisiva, Brzezinski delinea una strategia fatta di pesi e contrappesi di piccole, medie, grandi potenze regionali che di fatto si bilancino in una sorta di continua tensione e contrapposizione di interessi.

Gli Stati Uniti avrebbero in questo contesto il ruolo di grande sorvegliante che, di volta in volta, secondo le necessità e coi mezzi più appropriati allo scopo, risolve o crea micro-conflitti, sviluppa regioni o paesi mentre attenua l'influenza di altri, crea alleanze o le impedisce. Il pianeta diverrebbe una sorta di orologio di cui l'America determina, col suo potere economico-finanziario, militare, tecnologico, lo scandire del tempo.

I due paesi fulcro nell'area calda mondiale, l'Eurasia (una sorta di Balcani del pianeta), sono l'Ucraina e l'Iran, che, come tali, devono assumere il ruolo di potenze regionali che possano bilanciare e contenere l'affermazione di potenze egemoniche come Russia e Cina, in grado di minacciare questo ordine mondiale costruito dagli Stati Uniti.

Appare evidente come la visione di Brzezinski entri in collisione, nella pratica, con la dottrina neocon, e perché egli abbia in questi anni così duramente criticato l'occupazione dell'Iraq ed ora paventi il possibile allargamento del conflitto all'Iran. E questo spiega le critiche che gli sono piovute addosso dalle lobbies ebraiche americane e da Israele, che nella visione "democratica" di Brzezinski vedrebbe notevolmente ridimensionato il suo ruolo di potenza regionale e gendarme occidentale del Medio Oriente.

Un po' di dietrologia. Gli Stati Uniti hanno deciso di dismettere i piani di scudo missilistico da installare in Europa orientale, in Polonia e Cekia. L'annuncio di Obama sullo scudo è stato preceduto, e da taluni messo in relazione, con alcuni inquietanti e poco chiari avvenimenti su cui è obiettivamente difficile dare un giudizio ma che pare opportuno riportare. Per approfondimenti rimandiamo all'articolo scritto da Giulietto Chiesa che ha raccontato molto puntualmente i fatti (5).

Pur non concordando con Chiesa sull'assunto di fondo (ovvero che la rinuncia americana sullo scudo sia stata "devastante per i piani israeliani" sostenendo, come si è cercato di illuminare anche in questa analisi, una tesi diametralmente opposta), tuttavia lo strano caso della nave russa Arctic Sea, sequestrata da ignoti gruppi speciali mentre trasportava, forse proprio in Iran, o in Israele, o magari negli Stati Uniti, un carico segretissimo (tecnologie nucleari? componenti per un attentato "false flag"?) appare come un mistero tutto da chiarire. Tanto più che subito dopo il "ritrovamento" della nave, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu arrivava a sorpresa con un viaggio segreto a Mosca, infrangendo ogni protocollo diplomatico, ed esigendo un colloquio diretto con Medvedev.

Le fonti riportano di un Netanyahu furibondo che avrebbe a più riprese minacciato i russi, direttamente ("la Russia dovrebbe pararsi il sedere"), e indirettamente ("non sorprendetevi di vedere funghi atomici su Teheran"), ordinando in modo perentorio "un'immediata restituzione di tutti i documenti, dell'equipaggiamento e degli agenti del Mossad" catturati a bordo della Arctic Sea. L'atteggiamento, insomma, di chi rimproveri ad un altro di aver tradito i patti.

Non basta. Alcuni giorni dopo si verifica un incendio presso la base militare di Tambov a 400 km da Mosca. La base ospiterebbe i bunker della Direzione generale dell'Intelligence russa, e nell'incendio sarebbero andati distrutti "documenti segreti di speciale importanza". Ma non di incidente si sarebbe trattato, bensì della fulminea e devastante azione di commandos di truppe speciali. Una fazione militare interna (o forse esterna con appoggi all'interno) ha agito per cancellare situazioni compromettenti detenute da un'altra fazione? A favore di chi e contro chi?

Il celebre giornalista d'inchiesta Robert Fisk ha pubblicato sull'Independent un articolo che rivela piani segreti tra paesi produttori di petrolio e potenze occidentali e asiatiche per l'abbandono del dollaro quale moneta di riferimento per le transazioni commerciali energetiche (6).
Paesi del Golfo tra cui Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi, e dall'altra Francia, Russia, Giappone, Cina, starebbero negoziando la creazione di una nuova moneta di conto parametrata su oro e altre divise nazionali come lo yen giapponese, lo yuan cinese, l'euro, e forse il rublo.

Fisk avrebbe avuto conferma di tali manovre da fonti finanziarie arabe di paesi del Golfo Persico e cinesi di Hong Kong. Obiettivo temporale fissato il 2018. Gli Stati Uniti sarebbero a conoscenza di tali incontri ma sarebbero convinti di riuscire a scongiurare una prospettiva che potrebbe altrimenti significare la fine del dominio nordamericano.

Già da tempo, anche in seguito alla crisi finanziaria mondiale, da più parti si è parlato della prospettiva di creare un nuovo ordine finanziario che contempli anche una nuova moneta internazionale che poggi su un paniere diversificato e non più solo sul dollaro. Ma l'elemento nuovo portato da Fisk è che quasi tutte le potenze mondiali (alcune delle quali strette alleate degli americani) e i maggiori produttori mediorentali, starebbero complottando alle spalle e contro gli Stati Uniti un vero e proprio golpe finanziario globale. La notizia, se vera, sarebbe a dir poco clamorosa.

Ma vista con altra ottica potrebbe essere inserita in un altro scenario. Ammettiamo che incontri e generici colloqui siano stati fatti tra gli interlocutori indicati, ma di fatto una prospettiva come quella indicata è impossibile da portare a termine, almeno in queste condizioni di potere geopolitico, proprio perché le aristocrazie arabe del Golfo e paesi come Francia e Giappone sono legati a doppio filo con gli Stati Uniti. Tuttavia alcuni gruppi di potere interni agli stessi Usa, o paesi terzi come Israele, potrebbero avere tutto l'interesse a far trapelare lo scenario per allarmare altre componenti del potere statunitense sulla fragilità e sui rischi che si potrebbero correre se il Medio Oriente non venisse consolidato in maniera vigorosa una volta per tutte.

Lo stesso Fisk, tra le righe, si rende ben conto di poter essere stato lo strumento di un gioco di disinformazione e non a caso chiude l'articolo con un richiamo degno di chi conosce bene il gioco e la posta in palio: "Alla fine del mese scorso l'Iran ha annunciato che le sue riserve in valuta estera saranno in futuro in euro e non in dollari. I banchieri ricordano, naturalmente, quanto è capitato all'ultimo Paese produttore di petrolio del Medio Oriente che ha tentato di vendere il petrolio in euro e non in dollari. Pochi mesi dopo che Saddam Hussein aveva comunicato la sua decisione ai quattro venti, gli americani e gli inglesi hanno invaso l'Iraq".

Note:

(1) "Basta illusioni: non fidiamoci di Putin", Corriere della Sera, 19 agosto 2008 http://www.corriere.it/esteri/08_agosto_19/basta_illusioni_non_fidiamoci_di_putin_a53b0982-6d9c-11dd-8a0c-00144f02aabc.shtml
(2) Come riportato in "Lettere al Corriere - Risponde Sergio Romano", Corriere della Sera, 17 febbraio 2007 http://archiviostorico.corriere.it/2007/febbraio/17/Brzezinski_sosia_democratico_Kissinger_co_9_070217121.shtml
(3) Tra varie possibili fonti si veda ad esempio questa intervista a Webster Tarpley di Massimo Mazzucco: http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=2183
(4) http://www.thedailybeast.com/blogs-and-stories/2009-09-18/how-obama-flubbed-his-missile-message/
(5) Giulietto Chiesa, "Intrigo internazionale e funghi atomici su Teheran. Alta tensione" - Megachip http://www.megachipdue.info/component/content/article/42-in-evidenza/668-intrigo-internazionale-e-funghi-atomici-su-teheran-alta-tensione.html
(6) Robert Fisk, "The demise of the dollar", The Independent http://www.independent.co.uk/news/business/news/the-demise-of-the-dollar-1798175.html


John Bolton suggerisce un attacco nucleare all'Iran
di Daniel Luban - The Faster Times - 14 Ottobre 2009
Traduzione di Pino Cabras per Megachip

Questo Venerdì (16 ottobre 2009, NdT), l'American Enterprise Institute (AEI) ospiterà un evento incentrato sulla questione "Israele dovrebbe attaccare l'Iran?" Alla manifestazione partecipa, tra gli altri, il superfalco anti-iraniano Michael Rubin e il famigerato "avvocato della tortura" John Yoo, ma la vera star sarà probabilmente John Bolton, l'ex ambasciatore USA all'ONU, le cui posizioni a destra di Attila lo hanno lasciato ai margini perfino all'interno della seconda amministrazione Bush.

(Bolton fu infine costretto a rinunciare quando apparve chiaro che non sarebbe stato in grado di g uadagnarsi la conferma del Senato per il posto alle Nazioni Unite).

Se la recente retorica di Bolton offre qualche indicazione, la sua apparizione all'AEI può compiere l'impresa formidabile di rendere Michael Rubin credibile come colomba. Nel discutere di Iran durante un discorso tenuto lo scorso martedì presso l'Università di Chicago, Bolton sembrava fare appello niente di meno che a un primo attacco nucleare israeliano contro la Repubblica islamica (l'intervento, promosso dai Giovani Repubblicani dell'Università e dagli Amici di Israele di Chicago era intitolato, apparentemente senza una traccia di ironia, "Assicurare la pace").

«I negoziati sono falliti, e altrettanto lo sono le sanzioni», ha detto Bolton, riecheggiando la sua convinzione già in precedenza affermata sul fatto che le sanzioni si riveleranno inefficaci nel modificare il comportamento di Teheran. «Dunque ci troviamo in un punto molto infelice - un punto molto infelice – nel quale a meno che Israele sia pronto a usare armi nucleari contro il programma iraniano, l'Iran avrà armi nucleari in un futuro molto prossimo».

Bolton ha chiarito che la seconda opzione è inaccettabile. «Ci sono alcune persone nell'amministrazione che pensano che questo non sia davvero un problema, e che siamo in grado di contenere e dissuadere l'Iran, come abbiamo fatto con l'Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. Penso che questo sia un grande, grande errore e un approccio pericolosamente debole ... Qualunque cosa si voglia dire su di loro, almeno i sovietici credevano di passare solo una volta in questo mondo, e non erano troppo desiderosi di abbandonarlo - rispetto ad un regime teologico a Teheran che anela più alla vita nell'aldilà che alla vita sulla terra ... non credo che [la deterrenza] funzioni in questo modo con un paese come l'Iran.»

Mentre Bolton rifiutava pavidamente di esplicitare le sue conclusioni, le implicazioni delle sue tesi sono state chiare. Se né le trattative, né le sanzioni, né la deterrenza sono delle opzioni, allora con questa logica l'unica opzione che rimane è per .«Israele ...usare armi nucleari contro il programma iraniano.»

Naturalmente, non c'è nulla di nuovo da parte di Bolton e dei suoi alleati neoconservatori nel minacciare un attacco israeliano contro l'Iran. Ma l'uso da parte di Bolton della parola che inizia per N è, ritengo, una novità da parte sua, e segna una significativa escalation retorica presso i falchi.

Un attacco israeliano, nucleare o di altro tipo, senza il permesso degli Stati Uniti rimane improbabile. Ma come spesso accade, ho il sospetto che l'intenzione di Bolton non sia tanto quella di dare una descrizione accurata della realtà, quanto piuttosto quella di presidiare le posizioni estreme abbastanza da spostare i confini del dibattito nel complesso a destra.


La minaccia nucleare dell'Iran è una menzogna

di John Pilger - www.newstatesman.com - 1 Ottobre 2009

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di Gianni Ellena

Il regolamento di conti di Obama con l’Iran ha un altro programma. Ai media è stato assegnato il compito di preparare la gente alla guerra senza fine.

Nel 2001, il settimanale inglese The Observer pubblicò una serie di articoli che dichiaravano ci fosse una “connessione irakena” ad al-Qaeda, arrivando a descrivere persino la base in Iraq dove si addestravano i terroristi e una struttura dove si fabbricava l’antrace come arma di distruzione di massa. Era tutto falso. Strane storie fatte circolare dall’intelligence statunitense e da esuli irakeni sui media britannici e americani aiutarono George Bush e Tony Blair a lanciare un’invasione illegittima che, secondo dati recenti, ha finora causato circa 1.3 milioni di vittime.

Sta succedendo qualcosa di simile riguardo all’Iran: le stesse “rivelazioni” sincronizzate da parte dei media e governo, la stessa finta percezione di crisi. “Si profila una resa di conti con l’Iran per le centrali nucleari segrete”, ha dichiarato il 26 settembre scorso The Guardian. “Regolamento di conti” è la parola chiave. Mezzogiorno di fuoco. Il tempo che scorre. Il bene verso il male. Aggiungici un tranquillo nuovo presidente americano che si è “lasciato alle spalle gli anni di Bush”.

Un’eco immediata è stato il tristemente famoso titolo in prima pagina del Guardian del 22 maggio 2007: “I piani segreti dell’Iran per un’offensiva che forzerà gli Stati Uniti ad abbandonare l’Iraq quest’estate”. Basandosi su infondate rivelazioni del Pentagono, lo scrittore Simon Tisdall presentò come reale un “piano” dell’Iran di dichiarare guerra, vincendola, alle truppe statunitensi in Iraq entro il settembre di quell’anno – una falsità facilmente dimostrabile, che peraltro non è stata ritirata.

Il gergo ufficiale per questo genere di propaganda è “psy-ops”, termine militare per indicare operazioni psicologiche. Al Pentagono e a Whitehall sono diventate una componente cruciale di campagne diplomatiche e militari per bloccare, isolare e indebolire l’Iran esagerandone la “minaccia nucleare”, una frase ora usata assiduamente da Barack Obama e Gordon Brown e ripetuta dalla BBC e altre emittenti come verità assoluta. Ma del tutto falsa.

La minaccia è a senso unico

Il 16 settembre scorso Newsweek rivelò che le principali agenzie d’intelligence americane avevano comunicato alla Casa Bianca che la situazione nucleare dell’Iran non era cambiata dal novembre del 2007, quando era stata valutata dalla National Intelligence che informò con “alta attendibilità” che l’Iran aveva cessato nel 2003 il suo presunto programma nucleare, cosa che l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica aveva sostenuto più volte.

L’attuale falsa informazione deriva dalla comunicazione che Obama pronunciò riguardo allo smantellamento dei missili situati sulle frontiere della Russia. Ciò serviva a coprire il fatto che il numero di missili statunitensi sta effettivamente aumentando in Europa e che le testate in esubero sono riposizionate su navi. Il gioco è quello di ammorbidire la Russia per far sì che si unisca, o che perlomeno non ostacoli, la campagna degli USA contro l’Iran.

“Il presidente Bush aveva ragione” ha dichiarato Obama, “nel dire che il programma missilistico dell’Iran rappresenta una minaccia reale [all’Europa e agli Stati Uniti]”. Che l’Iran possa contemplare un attacco suicida agli Stati Uniti è inconcepibile. La minaccia, come sempre, è a senso unico, con la superpotenza mondiale praticamente appollaiata ai suoi confini.

Il crimine dell’Iran è la propria indipendenza. Essendosi sbarazzato del tiranno beniamino degli Stati Uniti, Shah Reza Pahlavi, l’Iran è rimasto il solo stato musulmano ricco di risorse fuori dal controllo degli Stati Uniti. E siccome soltanto Israele ha “il diritto di esistere” in Medio Oriente, il fine ultimo degli USA è di neutralizzare la Repubblica Islamica. Questo permetterà a Israele di dividere e dominare il Medio Oriente per conto di Washington, incurante di un vicino che sa il fatto suo. Se c’è un paese al mondo cui sia stata data una buona ragione per sviluppare un “deterrente” nucleare, quello è l’Iran.

Come uno dei primi firmatari del Trattato per la Non Proliferazione Nucleare, l’Iran ha costantemente promosso l’idea di una zona denuclearizzata in Medio Oriente.

Al contrario, Israele non si è mai assoggettata ad alcuna ispezione dell’IAEA, e il suo arsenale nucleare a Dimona non è un segreto per nessuno. Con tanto di 200 testate nucleari attive, Israele “deplora” la risoluzione delle Nazioni Unite che le chiedono di firmare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, come ha recentemente deplorato la denuncia fattale dalla UN di crimini contro l’umanità commessi a Gaza, così come detiene il record mondiale per violazione di leggi internazionali. La fa franca perché un grande potere le garantisce l’immunità.

Apprestarsi alla guerra infinita

Il regolamento di conti di Obama con l’Iran ha un altro programma. Ai due lati dell’Atlantico ai media è stato affidato il compito di preparare la gente alla guerra senza fine. A detta della NBC, il Generale Stanley McChrystal, comandante dell’esercito USA/Nato ha affermato che in Afghanistan ci sarà bisogno di 500.000 soldati nei prossimi cinque anni.

Lo scopo è quello di controllare il “premio strategico” del gas e dei pozzi petroliferi del Mar Caspio in Asia centrale, del Golfo e dell’Iran – in parole povere, di dominare l’Eurasia. Ma il 69% della popolazione britannica e il 57% di quella americana si oppongono alla guerra, così come quasi tutti gli altri esseri umani. Convincere “noi” che l’Iran è il nuovo demonio non sarà facile. L’infondata dichiarazione di McChrystal che l’Iran “si dice stia addestrando guerrieri per qualche gruppo talebano” suona disperata quanto le patetiche parole di Brown “una linea nella sabbia”, come a dire “non si va oltre”.

A detta del grande informatore Daniel Ellsberg, durante l’amministrazione Bush, negli USA c’è stato un golpe militare ed ora il Pentagono la fa da padrone in ogni settore che riguarda la politica estera. Si può misurarne il controllo contando il numero di guerre di aggressione dichiarate simultaneamente e la scelta del metodo di “colpire per primi” che ha abbassato la soglia del possibile uso di armi nucleari, contribuendo a confondere la distinzione tra armi nucleari e armi convenzionali.

Tutto ciò si fa beffe della retorica di Obama riguardo a “un mondo senza armi nucleari”. Infatti lui è l’acquisto più importante del Pentagono. La sua accondiscendenza alla richiesta di tenersi come segretario alla “difesa” lo stesso di Bush, cioè il guerrafondaio Robert Gates, è unica nella storia degli Stati Uniti. Gates ha subito provato la sua abilità con un incremento delle guerre, dal sud est asiatico al Corno d’Africa. Come l’America di Bush, quella di Obama è gestita da personaggi molto pericolosi. Noi abbiamo il diritto di essere avvisati. Quando cominceranno a fare il loro lavoro quelli pagati per dire le cose come stanno ?


Cosa dovrebbe fare Ahmadinejad per ricevere il premio Nobel?
da http://www.michelcollon.info - 29 Settembre 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Micol Barba

Michel Collon e Gregoire Lalieu intervistano Mohamed Hassan

Dalla serie “Comprendere il mondo musulmano”: l'Iran

La minaccia iraniana tuona alle porte dell'occidente? Le elezioni sono state truccate? Quali sono stati i veri giochi di potere? Perché gli Stati Uniti hanno sostenuto il movimento d'opposizione?
Per il nostro dossier “Comprendere il mondo musulmano”, Mohamed Hassan risponde a queste domande. Lo specialista chiarisce le differenti forze che si affrontano in Iran, il perché Ahmadinejad occupi le prime pagine dei giornali e come la repubblica islamica peserà sull'avvenire dell'indebolito impero USA.


I media ci dicono che l'Iran e' una grande minaccia. A riprova di questo, le dichiarazioni di Ahmadinejad su Israele e il suo programma nucleare. L'Iran è realmente un paese pericoloso?

Innanzitutto, dovete sapere che questo famoso programma nucleare è iniziato all'epoca del regime precedente, quello dello Shah. Con il sostegno degli Stati Uniti! In più, viene condotta una campagna dagli oppositori di Ahmadinejad all'interno e all'esterno del paese, sostenendo che l'Iran voglia entrare in guerra con Israele. E' falso. L' Iran non vuole entrare in conflitto con nessuno. Vuole solamente affermare la sua sovranità nazionale. La sfida nucleare deve essere affrontata da questa prospettiva. Per il popolo iraniano, è una questione di diritto all'autodeterminazione.

Ma Israele si dice minacciata. Questo perché Ahmadinejad nega l'olocausto, no?

No. Ha riconosciuto che l'olocausto é stato un fatto terribile ma ha soprattutto sottolineato che le persone che hanno commesso questo genocidio non hanno pagato, a differenza dei Palestinesi. Durante la prima guerra mondiale, la Germania ha attaccato i suoi vicini e ne ha pagato il prezzo. Per esempio, il Belgio è stato risarcito dalla Germania. Qual' è la vera posizione di Ahmadinejad? Egli dice che per stabilire chi sono i responsabili dell'olocausto e farli pagare è necessario studiare questo tragico avvenimento e renderne il dibattito pubblico. Questo elemento essenziale è stato nascosto dalla campagna anti-Ahmadinejad: certi gli pongono domande e poi estrapolano le risposte svincolandole dal contesto. Inoltre, la questione della responsabilità dell'olocausto è divenuta un tabù. Tutta la propaganda contro Ahmadinejad mira a destabilizzare l'Iran.

Perché?

Noam Chomsky ha spiegato nel suo libro The fateful triangle, come Israele, all'epoca dello Shah, volesse costruire un'alleanza con l'Iran, la Turchia e l'Etiopia per spezzare il nazionalismo arabo nella regione. Oggi, Israele, vorrebbe che l'Iran fosse diretta da un governo compiacente. L'obbiettivo immediato della campagna contro Ahmadinejad, è quello di far cessare le relazioni tra Iran da una parte e Hezbollah e Hamas dall'altra. Questo consoliderebbe la posizione di Israele sotto due fronti. Prima di tutto, i paesi filoccidentali della regione, in buoni rapporti con Israele (come Egitto o Giordania) risulterebbero più forti. Inoltre, in Palestina, la posizione di Abbas sarebbe consolidata e gli elementi che resistono a Israele sarebbero indeboliti. Ecco le ragioni della campagna israeliana contro Ahmadinejad.

La questione palestinese e il programma nucleare non sono serviti a Ahmadinejad come pretesti elettorali per radunare la popolazione intorno a sentimenti nazionalisti?

Questo è ciò che hanno sostenuto certi oppositori di Ahmadinejad durante la campagna. Certamente, il popolo iraniano, che ha sopportato le privazioni sotto lo Shah, solidarizza con i palestinesi. Ma questo non poteva essere un elemento cruciale per determinare il risultato delle elezioni: non è certo la Palestina che darà lavoro e cibo agli iraniani. In effetti, la visione politica di Ahmadinejad poggia sullo Stato, che secondo lui, dovrebbe controllare tutto. E' per questo che è stato eletto da lavoratori, contadini e operai delle città: queste persone beneficiano dell'intervento dello Stato e della sua politica economica. Di contro, i riformisti come Moussavi (sostenuto dall'Occidente) non sono d'accordo con questa visione.

Qual' è la loro posizione?

Questi riformisti provengono da quella che viene chiamata la “borghesia del Bazar”, una borghesia che esiste da molto tempo nei paesi islamici. E' composta da produttori artigianali associati ai contadini. All'epoca dello Shah, la borghesia del Bazar non era così importante. Il paese, infatti, era dominato dalla borghesia compradora, che utilizzava l'apparato dello stato e le finanze del governo per commerciare con i paesi imperialisti attraverso l'import-export. I compradori non producevano niente, non facevano altro che vendere dei prodotti. E' per questo che l'economia iraniana era molto dipendente dalle forze straniere.

A quell'epoca la borghesia del Bazar non era sostenuta dai compradori, dal momento che non aveva capitali né tecnologia. Ecco perché essa ha sostenuto Khomeini durante la rivoluzione islamica del 1979. Il sistema economico iraniano fu anch'esso trasformato e con lo sviluppo della borghesia del Bazar a detrimento di quella dei compradori, il paese passò da uno statuto neocoloniale a un modello indipendente.

Gli esponenti della borghesia del Bazar videro nella rivoluzione un'opportunità per usare capitale statale e per fare molti soldi. E oggi alcuni di loro sono miliardari! I riformisti come Moussavi, Rafsandjani o Khatami, provengono da questo gruppo. Li chiamiamo “riformisti” non perché abbiano delle idee progressiste ma perché vogliono cambiare il sistema economico attuale, riducendo l'intervento statale a favore di una maggiore privatizzazione. Questo permetterebbe ad alcuni di loro di divenire ancora più ricchi, dal momento che l'Iran rappresenta un mercato enorme. Questa è stata la principale posta in gioco delle ultime elezioni e come ho detto, la maggior parte degli iraniani, che beneficiano dell'intervento dello stato, ha scelto Ahmadinejad invece del “riformista” Moussavi.

Secondo lei queste elezioni non sono state manipolate?

Assolutamente no. L'idea che siano state truccate viene dalla propaganda condotta per marginalizzare Ahmadinejad e piazzare in Iran un governo filoccidentale. Basta analizzare certi elementi per vedere come la possibilità di un broglio non possa essere presa davvero sul serio. Innanzitutto, la fondazione Rockfeller ha finanziato una ONG per realizzare un sondaggio di opinione, due settimane prima delle elezioni: Ahmadinejad veniva dato come vincitore tre a uno. In secondo luogo, i nostri media non hanno mai mostrato i dibattiti organizzati durante la campagna in Iran: chiunque avrebbe potuto vedere che si trattavano di dibattiti molto aperti e avrebbe potuto capire meglio perché Ahmadinejad sia stato eletto dai lavoratori. Terzo, ci dovremmo domandare: chi sono coloro che pretendono che ci sia stato un broglio elettorale in Iran? Perché gli Stati Uniti non si interessano alla democrazia negli Emirati? Perche' non c'è una mobilitazione contro l'Afghanistan dove le elezioni sono state manifestamente truccate? Ecc.

Per rispondere a queste domande, dobbiamo capire che secondo gli interessi imperialisti, vengono formulate delle certificazioni per stabilire dove avvengono buone elezioni e dove quelle cattive. Infine, il popolo iraniano ha assistito a quello che le forze imperialiste hanno fatto in Iraq, Afghanistan e Pakistan. Altra ragione che ha portato gli iraniani a scegliere Ahmadinejad, è il fatto che voglia costruire una alleanza anti-imperialista con paesi come Cina o Russia. Per contro, i riformisti, considerati più “pragmatici”, sono di fatto vicini a stabilire buone relazioni con i paesi imperialisti per commerciare con loro.

Hillary Clinton, ha recentemente ammesso che gli Stati Uniti abbiano incoraggiato il movimento di opposizione iraniano dopo le elezioni. Ma questa non è la prima volta che Washington interviene nella politica iraniana, non è così?

Nel 1953, in effetti, la CIA fece cadere il primo ministro iraniano Mossadegh. Era stato eletto per le sue idee nazionaliste e progressiste. Nel 1951, aveva nazionalizzato l'industria del petrolio, provocando la collera degli interessi inglesi nella regione. Un' operazione orchestrata dalla CIA lo rimpiazzò con Mohammad Reza Pahlavi, lo Shah, che per molto tempo difenderà gli interessi imperialisti nella regione.

Per gli Stati Uniti, era importante avere un alleato in Iran; dal momento che il Golfo era stato dominato per molto tempo, dall'Impero britannico. Dopo gli anni '60, però, quest'ultimo declinò e gli inglesi non ebbero più i mezzi per finanziare le proprie posizioni strategiche in questa regione. Così quando lasciarono il Golfo, gli Stati Uniti temevano sia l'influenza dei sovietici sia che il nazionalismo arabo ne avrebbe approfittato per rafforzarsi. E' per questo che Washington utilizzò lo Shah per controllare la regione e difendere i propri interessi. Lo Shah approfittò dei soldi del petrolio per costruire una enorme forza militare e dei servizi segreti solidi e spietati: la Savak. In quel momento due erano le forze che si scontravano nella regione: i rivoluzionari, che acquisirono sempre più legittimità agli occhi delle masse, come il governo di Nasser o la rivoluzione repubblicana nello Yemen; sul fronte opposto, i filo imperialisti come il regime saudita wahhabita, il governo del Kuwait o la Giordania. La dittatura militare stabilita dallo Shah, con il sostegno degli Stati Uniti, contribuì decisamente alla vittoria delle forze filo imperialiste.

Qual'era la situazione in Iran sotto la dittatura dello Shah?

Il popolo iraniano soffrì molto questo regime. Come ho già detto, il paese era dominato dalla borghesia compradora, guidata da monarchici feudatari e da un regime militarista, in uno stato semi coloniale senza la minima prospettiva di costruire un'industria nazionale. La borghesia, dal canto suo, era troppo debole e la maggioranza della popolazione era composta da contadini, piccola borghesia, e proletariato. Le differenze sociali erano enormi. Alcuni erano ben più ricchi di quanto si potrebbe vedere a Beverly Hills; all'opposto molti iraniani non avevano mai visto il colore di una scarpa. E fu per questo che la maggioranza della popolazione iraniana sostenne la rivoluzione islamica del 1979 che rovesciò lo Shah. Le sfide tra le diverse classi sociali, sono queste in effetti, l'unico modo per comprendere l'Iran prima e dopo la rivoluzione.

Come avvenne la rivoluzione? Come è cambiato l'Iran?

Naturalmente, a causa delle enormi differenza tra le classi sociali, i partiti e le associazioni volevano cambiare regime. Per molto tempo il partito più importante è stato quello comunista il “Toudeh”. Lo Shah li ha vigorosamente combattuti ma il suo più grande errore è stato probabilmente quello di lasciar sviluppare l'Organizzazione dei Moudjahiddines del Popolo Iraniano (OMPI). Esso si ispirava alla teologia della liberazione (dell'America Latina), combinando un'analisi marxista delle classi con il pensiero islamico. Lo Shah pensava che se un gruppo avesse portato una nuova teoria mescolando Marx e Islam, l'influenza del suo principale nemico, il comunismo, sarebbe declinata. Ma l'OMPI era nella sostanza, ben più di un partito visto che gli aderenti avevano una precisa visione, come i sandinisti del Nicaragua. Sono divenuti popolari e molto forti. Allo stesso tempo, però, per riuscire a rovesciare lo Shah, gli mancava un leader. E' per questo motivo che vollero servirsi di Khomeini (allora esiliato in Francia), essendo capo religioso carismatico e anti imperialista. Ma Khomeini aveva una sua propria visione. Così, quando lo Shah fu deposto, Khomeini affermò da subito la sua ideologia e prese il potere. Questo creò delle tensioni con i Moudjahiddines del popolo. I due campi si affrontarono e alla fine Khomeini si impose dal momento che beneficiava del sostegno della borghesia del Bazar.

Qual'era la visione di Khomeini?

Per Khomeini, era al popolo del terzo mondo, oppresso dall'imperialismo, che bisognava ridare il potere. Voleva creare un fronte unito dei popoli e sostenne ad esempio i sandinisti del Nicaragua. In questo modo l'Iran passò da una posizione di stato neocoloniale a uno indipendente. La prima misura adottata dal governo fu quella di nazionalizzare il petrolio, proprio come aveva già fatto Mossadegh. Khomeini cambiò anche il sistema politico dittatoriale dello Shah, dichiarò che fosse necessario un parlamento e qualcuno per controllarlo sulla base della religione e dell'indipendenza nazionale: la Guida suprema.

Dal momento che la candidatura alle elezioni deve essere approvata dalla Guida Suprema, è possibile considerare il sistema politico iraniano davvero democratico?

La definizione di democrazia è già di per sé una grande questione. In Iran c'è una democrazia di tipo occidentale ovvero una democrazia dello Stato borghese? Naturalmente no. La Guida Suprema controlla il sistema politico iraniano ma sarebbe ingenuo credere che le elezioni dei paesi occidentali siano esempio di una democrazia migliore. Le elezioni si svolgono sulla base delle forze che si trovano dietro ai partiti e che non si vedono direttamente. L'Iran, da parte sua è una repubblica islamica e tutti i partiti devono dunque basarsi sulla religione. I partiti laici sono visti come un'invenzione dell'occidente che potrebbe dividere il popolo e minacciare la sovranità nazionale del paese.

E' esattamente questa indipendenza iraniana che frustra i paesi imperialisti. Essi non hanno alcun problema con il fatto che l'Iran sia uno Stato islamico. L'Arabia Saudita è un Stato islamico dove non vi sono elezioni e per i paesi imperialisti non è certo un problema dal momento che l'Arabia Saudita è un paese amico. La questione è che l'Iran ha una visione indipendente della proprio sovranità nazionale. Immaginiamo che Ahmadinejad abbandoni questa visione dell'indipendenza nazionale e adotti un sistema dove gli interessi imperialisti siano difesi come in Arabia Saudita: riceverebbe certamente il Premio Nobel!

Alcuni giorni fa, Zbigniew Brzezinski, consigliere di Obama, ha dichiarato che se Israele decidesse di attaccare l'Iran, gli Stati Uniti dovrebbero intercettare i loro bombardieri. Non è sorprendente?

Brzezinski constata che gli Stati Uniti sono stati gravemente indeboliti sia sul piano economico che militare, per due ragioni. Innanzitutto i neoconservatori, quando sono arrivati al potere, hanno utilizzato l'11 settembre come un pretesto per fare guerra e hanno trasformato l'insieme del mondo mussulmano in un nemico. E questo atteggiamento era da pazzi e controproducente per gli Stati Uniti. Inoltre, l'invasione dell'Iraq è stato un grave errore: non ha rafforzato gli Stati Uniti ma li ha, invece, fatti precipitare in guai seri.

In questo contesto, Brzezinski cerca di trovare delle soluzioni tutte rivolte all'obbiettivo più importante per il suo paese e che consiste nel contenere lo sviluppo del suo principale rivale: la Cina. Una parte di questa soluzione consiste nel rafforzare la Nato, dal momento che questo istituto può dare risposte ai problemi dell'Occidente e soprattutto degli Stati Uniti. E' per questo che Brzezinski ha approvato la proposizione di Gran Bretagna, Germania e Francia di tenere una nuova conferenza internazionale sull'Afghanistan: è fondamentale che la Nato non conosca una disfatta afghana come l'hanno vissuta i sovietici, dal momento che la Nato è la sola chiave che permetterà agli Stati Uniti di giocare un nuovo ruolo importante nel mondo.

Un'altra parte della soluzione riposa sui nuovi partenariati per costruire un' alleanza più forte contro la Cina. In quest'ottica, Brzezinski pensa che la politica nei confronti dell'Iran in particolare ma anche di altri paesi musulmani e della stessa Russia, non dovrebbe essere aggressiva. Dovrebbe invece basarsi sul dialogo e non piegarsi alla propaganda sionista di Israele.

Ecco spiegato il discorso di Obama al Cairo. Gli Stati Uniti devono convincere musulmani, induisti e la borghesia russa che hanno più interesse ad allearsi con le forze occidentali piuttosto che con la Cina. E' per questo che Brzezinski ha detto che la collera dei paesi che erano stati considerati dei nemici dall'amministrazione Bush, dovrebbe ora essere presa in considerazione. Questi paesi dovrebbero avere il diritto di utilizzare le proprie risorse. Le ragioni di questo cambiamento politico sono chiare: gli Stati Uniti devono impedire a questi paesi di costruire un sistema mondiale alternativo, per poterli invece mantenere in un sistema dominato da Washington.

Questo è il segno che le relazioni tra Stati Uniti ed Israele non sono più così buone?

Innanzitutto, non è certo Israele che decide la politica degli Stati Uniti. E' la borghesia americana che decide. Ma c'è una questione: esiste una profonda divisione in seno all'imperialismo USA. Avete una prima corrente arretrata che persiste nel credere che si possa ancora continuare sulla via militare. Ma non è realistico: il paese va conoscendo un problema demografico e uno scontro militare con la Cina sarebbe perso da subito. L'altra posizione, e su questo fronte trovate Brzezinski e Obama, è consapevole che bisogna dare prova di tattica e mostrarsi realistici per mantenere l'egemonia USA. Dicono: “Dobbiamo conoscere la nostra forza e i nostri limiti e lavorare su questo, per essere certi che la nostra potenza non sia percepita in modo negativo ma positivo. La nostra forza deve servire da garanzia per i nostri partners”.

Gli Stati Uniti hanno sicuramente dei forti legami con Israele ma la sfida euro-asiatica (il controllo dell'Eurasia) è più importante: è su questo che si deciderà il futuro dell'umanità. Brzezinski dunque vuole controllare la marmitta. Sa che la temperatura di questo calderone deve essere decisa da cuochi sapienti e non da lunatici. Se infatti la pentola dovesse debordare, scotterebbe tutti e gli Americani verrebbero cacciati dalla regione. Così si spiega la dichiarazione di Brzezinski sui bombardieri israeliani e il fatto che per la prima volta gli Stati Uniti facciano concessioni e autorizzino altre forze occidentali a penetrare nel Golfo. E' il caso ad esempio della Francia con la sua base militare negli Emirati Arabi Uniti. Ma questo testimonia anche la debolezza nella quale si trovano al momento gli Stati Uniti.


Qualche lettura sull'Iran, raccomandata da Mohamed Hassan:

- The Persian Puzzle, di K. Pollack (consigliere di Clinton e analista della CIA), Brookings Institution, 2004
- Ervand Abrahamian, Iran Between Two Revolutions, Princeton Studies, 1982
- Ervand Abrahamian, The Iranian Mojahedin, Yale University Press, 1989
- Trita Parsi , Treacherous Alliance: The Secret Dealings of Israel, Iran and the United States, Yale University Press, 2007
- Noam Chomsky, Fateful Triangle: The United States, Israel, and the Palestinians, South End Press, 1983.
- Zbigniew Brzezinski, An agenda for Nato, Foreign Affairs, settembre –ottobre 2009
- Michel Collon, Quelle sera, demain la politique internationale des USA?