sabato 12 giugno 2010

Elogio della follia...

Una serie di articoli su temi molto diversi tra loro, ma legati comunque da un unico fil rouge: la follia che regna incontrastata nel mondo di oggi.












Intercettare fa bene

di Sandra Amurri - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 12 Giugno 2010

Telecom Sparkle-Fastweb, Antonveneta: tanti i casi nei quali lo Stato ha recuperato centinaia di milioni. Le inchieste basate sugli ascolti, che saranno proibiti, hanno guadagnato molto più delle spese sostenute

Una fra le tante motivazioni offerte dai sostenitori del ddl sulle intercettazioni che fa maggiormente presa sull’opinione pubblica è che le intercettazioni costituiscono per lo Stato un costo enorme e in tempi di sacrifici vanno abolite. Peccato si tratti di un’affermazione che non corrisponde al vero.

Vediamo perché. Secondo i dati ufficiali forniti dal ministero della Giustizia nel 2009 tutte le procure d’Italia hanno speso per le intercettazioni 271 milioni di euro. Di questi, 212 milioni sono il costo degli apparati, 45 milioni per spese varie e 12 milioni di euro per l’acquisizione dei tabulati telefonici.

Voce quest’ultima che dal primo gennaio 2010 è stata abolita da un decreto che obbliga le società telefoniche a fornire i tabulati gratuitamente con un risparmio per le casse dello Stato di 20 milioni di euro l’anno. Decreto inutile a questo punto, visto che la legge “mette a tacere” le indagini.

Un risparmio comunque che diventerebbe enorme se venisse imposto alle società di telefonia, come accade in altri Paesi europei come Francia e Germania di fornire gratuitamente le linee intercettate invece di pagarle, come accade ora, 12 euro ognuna.

DOPPIO GUADAGNO

Inoltre va detto che le società telefoniche incassano due volte per la stessa linea in quanto la telefonata viene già pagata dall’intercettato. Chiusa questa parentesi non trascurabile veniamo ai benefici che lo Stato trae dalle indagini effettuate grazie alle intercettazioni, indagini che con questa legge non si potranno più fare.

Non potendo contare su dati ufficiali complessivi di tutte le inchieste d’Italia, in quanto inesistenti, offriamo ai lettori degli esempi di casi specifici. L’inchiesta della Procura di Roma Telecom Sparkle-Fastweb ha consentito di recuperare oltre 400 milioni di euro a fronte di un costo per le intercettazioni di circa 200 mila euro.

Lo Stato, dunque, grazie a questa inchiesta – che, ripetiamo, non sarà più possibile fare – ha guadagnato 399 milioni e spiccioli. A cui va aggiunto un altro dato importante. Con le intercettazioni i magistrati oltre ad aver ricavato la prova del reato hanno anche acquisito la certezza di dove il denaro si trovasse per poi andarlo a sequestrare attraverso le rogatorie visto che il tesoro veniva custodito a Hong Kong, a Singapore e in Inghilterra.

CENTINAIA DI MILIONI

Se poi si va ad aprire il file alla voce “reati finanziari” perseguiti dalla Procura di Milano vediamo che i milioni di euro recuperati sono stati 850, quasi quanto una mini finanziaria. L’ultima inchiesta in ordine di tempo quella sui furbetti del quartierino, la scalata della banca Popolare di Lodi alla Banca Antonveneta ha permesso di recuperare finora quasi 340 milioni di euro. Il costo complessivo per l’inchiesta è stato di circa 8 milioni di cui circa 3 milioni per le intercettazioni.

Un altro esempio ce lo fornisce l’indagine sulla gestione della discarica di Cerro Maggiore in cui Paolo Berlusconi e soci hanno patteggiato risarcendo oltre 50 milioni. A cui si aggiungono i 2 milioni di euro restituiti all’Anas da oltre 30 imputati dell’inchiesta sulle tangenti per gli appalti Anas per la manutenzione delle strade in Lombardia. Fino a tornare a Mani Pulite quando sono stati recuperati 850 milioni di euro.

Se invece scendiamo a Sud arriviamo in Sicilia dove come spiega il neoprocuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato in qualità di coordinatore del dipartimento mafia-economica della Procura di Palermo che comprende anche Trapani e Agrigento: “Dal gennaio 2008 a oggi sono stati sequestrati 3 miliardi di euro”.

Stiamo parlando di circa 40 inchieste con un costo ognuna di circa 300 mila euro per le intercettazioni, totale circa 12 milioni di euro a fronte, ripetiamo di 3 miliardi di euro.

BUSINESS DELLA MAFIA

Intercettazioni che hanno permesso di sequestrare 700 milioni di euro al re dei supermercati Despar, Grigoli, prestanome del capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. E abbiamo preso in considerazione solo tre province siciliane. Dunque, è facile immaginare che complessivamente si supererebbe la somma di 4 miliardi.

La maggior parte di questi valori, individuati è stato possibile recuperarla anche all’estero, come nel caso dei 12 milioni di euro custoditi su un conto alle Bahamas, solo grazie alle intercettazioni che hanno permesso di individuare presta-nomi insospettabili.

Insomma con i circa 5 miliardi recuperati solo grazie alle inchieste prese in considerazione si potrebbero finanziare tutte le intercettazioni d’Italia e rifocillare le casse dello Stato.

Ma per un governo che vuole legalizzare l’illegalità e mettere la museruola al “cane” per impedirgli di abbaiare al potere ogni bugia è necessaria per sostenere l’utilità di questa legge-scempio.


DDL intercettazioni: il bavaglio (anche alla Rete) è servito
di Guido Scorza - www.guidoscorza.it - 10 Giugno 2010

Il Senato ha votato la fiducia al DDL intercettazioni, scrivendo così una delle pagine più buie della storia di questo Paese, una pagina tanto buia da proiettare un cono d’ombra sugli anni che verranno, perché un Paese con meno libertà di informazione di quanta il nostro ne abbia avuta sin qui è destinato - direi quasi in applicazione di una funzione matematica - a divenire un Paese senza democrazia.

La stessa Corte Costituzionale - che c’è da augurarsi sarà presto chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento normativo appena approvato al Senato - ha, infatti, già definito, in anni “meno sospetti” di questo, la libertà di informazione come “pietra angolare della democrazia”.

L’elenco dei senatori responsabili del sacco dell’informazione è qui (1-2) e, credo, vada consegnato alla storia con un semplice link: ciascuno di questi signori ha fatto una scelta, non sta a me dire quanto libera, preferendo difendere la propria poltrona e la propria appartenenza ad una squadra ed ad un Signore piuttosto che la libertà di informazione del proprio Paese.

Sin qui sono considerazioni “politiche” e personali, a caldo, delle quali mi scuso con quanti frequentano questo blog alla ricerca di informazioni, suggestioni ed opinioni sul diritto delle nuove tecnologie e la politica dell’innovazione.

Il titolo del post, invece, trae origine da un fatto e non da una mia opinione.

Approvando l’intero DDL intercettazioni, infatti, il Senato ha oggi approvato anche il famigerato comma 28 (ora divenuto 29) dell’art. 1 che mira ad imporre l’obbligo di rettifica previsto dalla vecchia legge sulla stampa all’intera blogosfera.

Questo è il testo della norma che sta per entrare in vigore:

29. All’articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il terzo comma è inserito il seguente:

«Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell’articolo 32 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono.»;

b) al quarto comma, dopo le parole: «devono essere pubblicate» sono inserite le seguenti: «, senza commento,»;

c) dopo il quarto comma è inserito il seguente:

«Per la stampa non periodica l’autore dello scritto, ovvero i soggetti di cui all’articolo 57 bis del codice penale, provvedono, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione, a proprie cura e spese su non più di due quotidiani a tiratura nazionale indicati dalla stessa, delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto di rilievo penale. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata, entro sette giorni dalla richiesta, con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l’ha determinata.»;

d) al quinto comma, le parole: «trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma» sono sostituite dalle seguenti: «trascorso il termine di cui al secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, e sesto comma» e le parole: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma» sono sostituite dalle seguenti: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, quinto e sesto comma»;

e) dopo il quinto comma è inserito il seguente:

«Della stessa procedura può avvalersi l’autore dell’offesa, qualora il direttore responsabile del giornale o del periodico, il responsabile della trasmissione radiofonica, televisiva, o delle trasmissioni informatiche o telematiche, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, non pubblichino la smentita o la rettifica richiesta.».

Il rischio che oggi diviene realtà è quello che ho già paventato decine di volte: all’indomani dell’entrata in vigore della nuova disciplina sulle intercettazioni, la Rete rischia di “chiudere per rettifica” (lo scrivevo, ironia della sorte, esattamente l’11 giugno del 2009!).

Che siate un blogger, il gestore di un “sito informatico” o piuttosto abbiate un canale su You Tube, in un momento qualsiasi, magari nel mezzo delle Vostre agognate vacanze, qualcuno potrebbe chiedervi di procedere alla rettifica di un’informazione pubblicata e Voi ritrovarvi costretti a scegliere se dar seguito alla richiesta senza chiedervi se sia o meno fondata, rivolgervi ad un avvocato per capire se la richiesta meriti accoglimento o, piuttosto, opporvi alla richiesta, difendendo il vostro diritto di parola ma, ad un tempo, facendovi carico di grosse responsabilità.

Ve la sentirete di rischiare in nome della libertà di parola attraverso un blog che non vi da da mangiare e vi porta via, invece, decine e decine di ore di sonno?

Temo che in molti risponderete (o magari risponderemo) di no!

E se vi distraesse un attimo dal vostro blog, magari, per lavorare e riceveste una richiesta di rettifica?

In forza della nuova disciplina andreste in contro ad una sanzione fino a 12 mila e 500 euro per non aver provveduto alla rettifica entro 48 ore…

Quando quasi un anno fa, la Rete scese in piazza con il primo sciopero dei blogger per rappresentare questo rischio, in molti ci diedero dei visionari o, piuttosto, degli agitatori, rilevando che la maggioranza si era già attivata, aveva compreso l’errore e vi avrebbe posto rimedio.

Nulla di ciò e poi accaduto: gli onorevoli del PDL ed i loro supporters in Rete non hanno mosso un dito e quella norma è divenuta legge - o si avvia a divenirlo - senza che nessuno si sia preoccupato di intervenire se non per peggiorarla.

Da domani, in Rete, si parlerà di più di moda, cucina, motori, spettacolo e gossip e molto meno di politica, economia e affari giudiziari…più o meno come accade già oggi in TV.

Credete sia un caso? Io no. Sono convinto che l’obiettivo scientificamente perseguito nel Palazzo resti sempre lo stesso: trasformare la Rete in una grande TV.

P.S.

Ricevo e volentieri diffondo questo comunicato stampa dei Senatori Vita e Vimercati attraverso il quale si annuncia la presentazione di un disegno di legge abrogativo del comma 29:

INTERCETTAZIONI, VITA E CASSON (PD), “BAVAGLIO SULLA RETE”
Dichiarazione dei senatori del Pd Vincenzo Vita e Felice Casson

“Tra i tanti passaggi liberticidi e censori del maxiemendamento sulle intercettazioni ce n’è anche uno devastante per la rete. Infatti, per ciò che attiene alla ‘rettifica’, si equiparano i siti informatici ai giornali. Ciò significa rendere la vita impossibile per le migliaia di siti e di blog, che rappresentano un’altra era geologica dei media. Un nostro emendamento al riguardo non ha potuto essere discusso perché la fiducia taglia tutto. Ma la destra televisiva o non lo sa o, probabilmente, ha voluto approfittare di simile occasione per mettere le mani dove ancora non era riuscita a farlo. Non finisce qui. Intendiamo presentare, d’intesa con i colleghi della Camera dei deputati, un disegno di legge seccamente abrogativo della seconda parte della lettera a del comma 29 che recita: “per i siti informatici sono pubblicate entro 48 ore dalla richiesta…”. Appunto, dimenticando che la rete è proprio un’altra cosa”.


Roma, 10 giugno 2010


Guerra in Afghanistan: tutti sudditi della Nato
di Massimo Fini - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 12 Giugno 2010

Per l'Europa non ha senso continuare a combattere i talebani. I suoi interessi militari, politici ed economici non coincidono più con quelli degli Stati Uniti

La guerra all'Afghanistan è la più lunga che gli Stati Uniti abbiano mai combattuto. Più del Vietnam (104 mesi, per ora, contro 103), più della Seconda guerra mondiale (44 mesi), più della Guerra di Secessione (48 mesi), più della Rivoluzione americana (81 mesi), più della guerra all'Iraq ancora in corso (86 mesi).

Che senso ha questa ostinazione omicida? Un senso lo deve pure avere.

Non è guerra al terrorismo internazionale perché questo non sta più in Afghanistan ammesso che vi sia mai stato.

Non c'era un solo afghano nei commandos che abbatterono le Torri gemelle, non un solo afghano è stato trovato nelle cellule, vere o presunte, di Al Qaeda scoperte dopo l'11 settembre e anche gli ultimi episodi di pseudo terrorismo, di terrorismo comico, hanno visto coinvolti yemeniti e pachistani ma non afghani. Ai quali, storicamente, interessa soltanto il loro Paese e, pur straordinari guerrieri quali sono, non hanno mai portato un conflitto fuori dai loro confini.

In compenso hanno subito tre occupazioni. Quella inglese dell'Ottocento l'hanno, con pazienza, cacciata. Quella sovietica del Novecento idem. Con quella occidentale, la più sordida, anche per il modo infame con cui viene combattuta (robot contro uomini) ci stanno provando. Il tempo, come sempre, lavora a loro favore.

È pure escluso che noi in Afghanistan si voglia portare sicurezza, stabilità e sviluppo economico. Perché è proprio la presenza delle truppe straniere ad infiammare quel paese ed è un dato di fatto che con i nostri dollari o i nostri euro abbiamo distrutto la sia pur modesta economia afghana senza crearne una nuova che non sia criminale.

Abbiamo anche rinunciato, fortunatamente, a portarvi la mitica democrazia occidentale (un modo per metterlo in culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso, come l'ho definita in "Sudditi") avendo forse capito, sia pur con qualche ritardo, che quella gente ha una storia, tradizioni, costumi e una concezione della leadership (che da quelle parti si conquista con il valore guerriero e il coraggio, fisico e morale, non con la carta straccia delle schede) completamente estranea alle nostre.

E allora perché ci ostiniamo a continuare la guerra all'Afghanistan? Un senso ce lo deve pure avere. E infatti ce l'ha. Per gli americani. Se infatti la Nato va via e lascia l'Afghanistan in mano ai talebani (i quali, senza la presenza delle truppe straniere, ci metterebbero circa 24 ore a cacciare a pedate il fantoccio Karzai) è la fine dell'Alleanza Atlantica.

E questa Alleanza, cioè la Nato, è stato lo strumento con cui per più di mezzo secolo gli americani hanno tenuto al guinzaglio l'Europa, politicamente, militarmente, economicamente e, alla fine, anche culturalmente.

Ma quella che per gli americani sarebbe una sciagura, per noi europei è invece una chance. Perché ci libereremmo finalmente di questa sudditanza semisecolare. L'Alleanza Atlantica ha avuto un senso finché è esistita l'URSS, perché solo gli Stati Uniti avevano il deterrente atomico necessario per scoraggiare "l'orso russo" dal tentare avventure militari in Europa ovest.

Ma dal 1989 l'Unione Sovietica non esiste più e le cose sono radicalmente cambiate. Gli interessi, militari, politici, economici, culturali, fra americani ed europei non solo non convergono più ma sono in conflitto.

Noi europei non abbiamo alcun interesse a seguire l'avventurismo imperiale americano (mascherato come lotta al terrorismo), la loro politica aggressiva nei confronti del mondo islamico che per noi, a differenza degli USA, non sta a 10 mila chilometri di distanza ma sull'uscio di casa, a sfrugugliare l'Iran con cui gli europei, e in particolare l'Italia che ne è il primo partner commerciale dell'Occidente, fanno cospicui affari.

Queste cose gli europei avrebbero dovuto capirle vent'anni fa. E invece sono ancora lì, in Afghanistan, a fare, come beoti, da reggicoda agli americani. Mullah Omar, che Allah ti abbia sempre in gloria, aiutaci tu.


Ecco la vera ragione per cui continua la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico
di www.blogster.com - 30 Maggio 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Arlequin

Come è risaputo, la Deepwater Horizon è esplosa nel Golfo del Messico. E’ da più di un mese che sta riversando petrolio da un tubo danneggiato.

La BP e il Governo statunitense hanno affermato di stare facendo tutto il possibile per fermare la fuoriuscita di tutti quei milioni di litri di petrolio nel Golfo del Messico.

Sto per contestare tale affermazione, e dimostrare che la storia di loro che cercano di fare tutto il possibile è una bugia, oltre che un’iniziativa redditizia per coloro che possono trarre arricchimento da questo disastro.

Il metodo Top Kill è stato avviato e fermato diverse volte. E’ stato un tentativo incerto. Questo perché non si fanno soldi con una soluzione così semplice.

I soldi veri si fanno con l’uso dei disperdenti.

C’è una compagnia che si chiama NALCO. Loro producono sistemi di purificazione delle acque, e disperdenti chimici.

La NALCO ha base a Chicago, con filiali in Brasile, Russia, India, Cina e Indonesia.

La NALCO è associata a un programma della University of Chicago Argonne. La University of Chicago Argonne ha ricevuto 164 milioni di dollari di fondi incentivi nell’ultimo anno. La University of Chicago Argonne ha appena aggiunto due nuovi dirigenti al suo elenco. Uno della NALCO. L’altro dal Dipartimento dell’Educazione dell’Illinois.

Scavando un po’ più a fondo, si può scoprire che la NALCO ha anche legami con Warren Buffett, Maurice Strong, Al Gore, Soros, Apollo, Blackstone, Goldman Sachs, Hathaway Berkshire.

Warren Buffett e Hathaway Berkshire hanno incrementato le loro quote NALCO proprio lo scorso Novembre (il tempismo è tutto).

Il disperdente chimico è noto col nome di Corexit. Quello che fa è mantenere il petrolio al di sotto della superficie dell’acqua. Dovrebbe scomporre la fuoriuscita in perdite di dimensioni minori. E’ tossico ed è proibito in Europa.

La NALCO afferma di stare utilizzando versioni più vecchie e più recenti del Corexit nel Golfo. (perché si dovrebbe avere bisogno di una versione più nuova, se quella vecchia funziona bene?)

In questa truffa ci sono grandi quantità di denaro, e grandissimi giocatori. Mentre lasciano che il petrolio si diffonda nel Golfo del Messico, la posta in gioco e i profitti salgono.

I delfini, le balene, i lamantini, le tartarughe marine, e i pesci vengono soffocati e muoiono. Le regioni costiere, le paludi salmastre, le attrazioni turistiche e le proprietà balneari vengono distrutte, anche permanentemente. La qualità dell’aria si abbassa. L’industria peschiera del Golfo del Messico viene messa in ginocchio.

Tutto questo per creare la richiesta del loro costoso e redditizio veleno.

Io ed alcuni amici abbiamo stilato articoli e resoconti esaustivi a sostegno di queste affermazioni.

Grazie:

Sir_Templar. Ha portato tutto cio’ alla nostra attenzione e ha dispensato articoli e link.

Spongedocks. Ha cercato senza sosta tra montagne di informazioni, link di interesse e risorse.

Bobbi85710 Ha contribuito con link e articoli, e ha svelato la presenza dei fondi incentivi.

La ricerca:

'Questa è la NALCO:

www.nalco.com/index.htm

Goldman Sachs fa parte del gruppo tripartito che ha acquistato NALCO:

bit.ly/8Z3Ai6

La scommessa di Buffett sull’acqua, NALCO (NLC è l’abbreviazione):

www.istockanalyst.com/article/viewarticle/articleid/3095068

'Blackstone, Apollo e Goldman Sachs per l’acquisizione di Ondeo NALCO' (COREXIT 9500):

bit.ly/bVHQkR

The Milken Institute - Leon Black dell’ Apollo Management LLC (cioè NALCO):

bit.ly/vJLz

BP plc, Citigroup Inc., Goldman Sachs, NALCO Holding Co., Halliburton Co:

finance.yahoo.com/news/Special-Report-on-BP

I rapporti tra Chicago, NALCO, gli arabi, Blago (Blagojevich, n.d.t.) e Rezko:

bit.ly/d88x31

Buffett, il consigliere economico di Obama= Berkshire Hathaway Inc - NALCO Holding Co:

bit.ly/ati3AL

NALCO e i rapporti con la Cina:

bit.ly/daKYmk

NALCO punta al raddoppio delle vendite in Cina:

bit.ly/bi7BZw

Berkshire, il secondo maggiore azionista della NALCO:

bit.ly/cvHDAl

Profilo della compagnia 'NALCO Holding Co:

bit.ly/9qeTkd

'96 "collaborazione con i prodotti enviro per tutto il 2010"! Partecipanti: Gore M. Strong & NALCO:

is.gd/ctV7p

Gore/Strong EPA Conference '96:

is.gd/ctVfN


L'economia secondo Minzolini
di Stefano Feltri - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 12 Giugno 2010

Il direttore del Tg1 ha dato i numeri sullo stato del Paese. Ecco quanto (poco) c'è di vero

La linea editoriale del Tg1, ha spiegato nel suo ultimo editoriale il direttore Augusto Minzolini giovedì sera, vuole raccontare anche “l’Italia che funziona”. Perché in fondo, ci ricorda Minzolini, le cose non vanno poi così male. Vediamo, dato per dato, se quello che il direttore ha raccontato davanti a milioni di italiani nel suo editoriale è corretto.

“Il Pil, fornito da Eurostat, ci mette in cima alla classifica europea”

Consideriamo la stima annuale della crescita del Pil nel 2010, l'unico dato che conta, visto che le variazioni da un trimestre all'altro spesso si compensano. La crescita stimata da Eurostat (servizio statistico dell’Unione europea) per l'Italia nell'anno in corso è dello 0,8 per cento.

Quella media dell'Ue dell'uno per cento, dell'area euro 0,9. Quindi siamo addirittura sotto la media. Certo, c'è chi chiuderà l'anno con il segno negativo, come Spagna (-0,4 per cento), Lettonia (-3,5), Grecia (-3).

Ma c'è anche chi sta decisamente meglio: la Germania dovrebbe registrare +1,2 per cento, la Danimarca +1,6, la Francia +1,3. E quelli sull'Italia sono dati che non tengono conto degli effetti della manovra finanziaria appena varata dal governo che, con i suoi tagli di spesa, avrà un effetto “deflattivo”, cioè ridurrà la crescita economica (nel tentativo di risanare i conti). Quindi non guidiamo alcuna classifica.

“Sull'occupazione fra i grandi Paesi fa meglio di noi soltanto la Germania”

Qui Minzolini è stato più abile. Ci sono Paesi che hanno tassi disoccupazione più bassi dei nostri, ma sono più piccoli. Sempre secondo Eurostat, l'Italia ha una disoccupazione all'8,9 per cento, mentre la Danimarca sta al 7, la Germania al 7,1 per cento, la Repubblica Ceca al 7,7, il Belgio all'8,1. Altri grandi stanno peggio: la Spagna è al 19,7 per cento, la Francia al 10,1, l'Irlanda al 13,2.

Come ha ricordato la Banca d’Italia, però, nei periodi di crisi aumentano molto i lavoratori scoraggiati, cioè quelli che dichiarano di essere usciti – almeno per un po’ – dal mercato del lavoro.

Non cercano più un’occupazione e scompaiono dalle statistiche. E i lavoratori scoraggiati sono il 4,1 per cento. Quindi gli italiani che sono senza occupazione ma che vorrebbero averne una sono almeno il 13 per cento.

Se poi si aggiungono quelli in cassa integrazione (qui le stime sono discutibili, ma dovrebbero essere un altro tre per cento) si arriva a oltre il 16 per cento. C’è quindi poco da esultare.

“E il dato sulla produzione industriale è il migliore dal 2000”.

Qui Minzolini resta abbastanza sul vago, ma comunque sbaglia. L'Istat ha comunicato che in aprile 2010 la produzione industriale ha segnato un aumento rispetto allo scorso aprile che indica un aumento tendenziale (cioè sull'intero anno) del 8,7 per cento.

Dati che comunque vanno destagionalizzati, cioè depurati dalle oscillazioni che dipendono solo dal periodo di misurazione. E comunque tra marzo 2008 e marzo 2009 la produzione industriale è crollata del 30 per cento.

Quindi, fatto 100 quanto si produceva prima della recessione, un anno fa si produceva 70. E' chiaro che anche un aumento del 10 per cento su 70 significa che adesso si produce 77. Lo ha detto anche Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, nella sua relazione annuale: “La produzione industriale è crollata del 25%, tornando ai livelli di fine 1985: 100 trimestri bruciati”.

“Stiamo meglio dell'Inghilterra e della tanto lodata Spagna...”

Minzolini non spiega sulla base di quali parametri. Se ci limitiamo a considerare il Pil degli anni della crisi - dimenticando che nei precedenti dieci anni entrambi i Paesi sono cresciuti più dell'Italia – si nota che nel 2008 la Spagna è cresciuta dello 0,9 per cento, la Gran Bretagna dello 0,5. Nello stesso anno l'Italia andava in recessione dell'1,3 per cento.

Nel 2009 la Spagna entrava a sua volta in recessione (-3,6) così come Londra (-4,9). Ma di nuovo l'Italia faceva peggio: -5 per cento. E' vero che adesso la situazione creditizia della Spagna è più fragile di quella dell'Italia, ma è anche vero che ha un debito pubblico molto più basso.

“...e distanti anni luce dai rischi di bancarotta della Grecia”

Speriamo tutti che, pur senza aver argomentato l'affermazione, almeno su questo Minzolini abbia ragione. Resta comunque alle cronache che questa settimana gli spread, cioè i differenziali di rendimento, tra titoli di Stato italiani e tedeschi hanno raggiunto un nuovo massimo, 1,8 per cento.

E che i credit default swap, gli strumenti con cui si scommette sul fallimento di uno Stato sovrano, hanno toccato il punto più alto della loro storia una settimana fa. I mercati non ci considerano come la Grecia ma di certo neppure solidi come la Germania.