mercoledì 23 giugno 2010

Crisi economica: GB, Francia e Germania si svegliano, l'Italia dorme

Gran Bretagna, Francia e Germania hanno reso noto ieri un documento comune con cui annunciano la prossima entrata in vigore nei loro Paesi di una nuova tassa sulle banche. Parigi ha inoltre fatto sapere che la inserirà già nella sua prossima legge finanziaria per il 2011 che sarà presentata a fine settembre.

Idem in Gran Bretagna dove il ministro delle Finanze britannico, George Osborne, ha annunciato l'introduzione di una simile tassa a partire dall'anno prossimo.

Mentre la Germania, già un mese fa, aveva addirittura deciso di proibire le vendite allo scoperto, cioè vendere titoli che in realtà non si possiedono. Ma purtroppo nessun altro membro dell'UE l'ha ancora seguita su questa strada.

E in Italia? Beh noi dobbiamo ancora accontentarci delle elucubrazioni mentali di Tremonti, un vero specialista nel predicare bene e razzolare malissimo.

Ieri ha infatti per l'ennesima volta scoperto l'acqua calda, parlando di aria fritta.
"Sull'economia ancora e di nuovo incombe il rischio di un drammatico e devastante nuovo fuorigioco della finanza. Si possono fare tutte le regole, sulla dimensione delle banche, sul capitale delle banche, sulle tasse per alimentare fondi contro i rischi di collasso delle banche. E anche per limitare la leva finanziaria o centralizzare o regolare il mercato dei derivati. È tutto necessario, ma non è ancora sufficiente, se permane la libertà, anzi l'anarchia, sui contratti derivati. Per tornare ad essere sicuri si deve fare una regola contabile che impedisca prima di creare, e poi di mettere in circolo una ricchezza futurà che non c'è, se non per chi specula".

Parole trite e ritrite che si conoscono da anni. Ma invece qualche fatto concreto, proprio no?

Anzi sì, questi sono i fatti: in Italia il governo non ha alcuna intenzione di seguire l'esempio di GB, Francia e Germania nella tassa sulle banche e in sede UE solo pochi giorni fa ha posto il veto sul progetto di tassare le transazioni finanziarie, addirittura rivendicato da Berlusconi che ha definito "ridicola" la tassa in questione.


Cos'hanno in comune la BP e le banche? L'era dell'anarchia aziendale
di Gonzalo Lira* - http://gonzalolira.blogspot.com - 16 Giugno 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Roberta Papaleo

In occasione del disastro della marea nera della BP, il presidente Obama ha rilasciato ieri sera dalla Sala Ovale un discorso – un capolavoro di timida finta indignazione. Il discorso era tutto incentrato su “energia pulita” e “porre fine alla nostra dipendenza dai carboni fossili”.

A fronte della marea nera della BP – probabilmente il più grave disastro ambientale di tutti i tempi – la risposta del presidente Obama è stata questa: gentile indignazione e vaghi piani per “adottare la linea dura”, “mettere da parte la sola compensazione” e “fare qualcosa”.

Il presidente Obama non ha capito veramente di cosa si tratti. Sebbene è indubbio che sia un disastro ambientale, la marea nera della BP è molto, molto di più.

La dispersione di petrolio della BP è parte dello stesso problema della crisi finanziaria: sono due esempi dell’era nella quale viviamo, l’era dell’anarchia aziendale.

In poche parole, in questa era di anarchia aziendale, le società non devono osservare alcuna regola – nenche una. Legali, morali, etiche, persino quelle finanziarie sono irrilevanti. Sono state tutte annullate in nome della ricerca di profitti – letteralmente non conta nient’altro.

Di conseguenza, al momento le aziende vivono in uno stato di quasi mera anarchia – ma un’anarchia direttamente proporzionale alla loro grandezza: più la società è grande, più è grande la sua assoluta libertà di fare ed agire come vuole. Ecco perchè così tante medie imprese sono tanto determinate nella crescita dei profitti: le più grandi, come la BP o la Goldman Sachs, vivono in un positivista hobbesiano Stato di Natura, libere di fare ciò che vogliono, senza conseguenze.

Il valore aggiunto di tutto ciò, tuttavia, è che le aziende maggiori hanno convinto i governi e le persone del credo del “Troppo Grande Per Fallire” – hanno convinto il mondo che se esse smettono di esistere, il cielo ci cadrà in testa. Quindi se falliscono, devono essere salvate – senza discussioni, senza penalità e senza riforma.

Prendiamo la BP: la British Petroleum ha causato la marea nera della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. Varie agenzie del Governo Federale erano state incaricate della supervisione delle loro operazioni – ma tutte quelle agenzie sono state rinviate alla BP, prima dell’incidente.

Essendo una grande società – una delle maggiori compagnie petrolifere nel mondo – la BP operava praticamente senza alcuna vera supervisione del governo. Di fatto sta emergendo, a causa di questa supervisione negligente e subdola, che le regole e le procedure di sicurezza sono state ignorate. Si sono corsi rischi folli. Non sono stati tracciati piani di sicurezza alternativi.

Da come stanno dichiarando alcuni promemoria, il disastro era inevitabile.

Una volta accaduto l’incidente, la BP ha controllato le informazioni rilasciate riguardo il disastro. La BP ha deciso in maniera unilaterale di non procedere immediatamente con il sigillo del pozzo – anzi, ha rischiato un disastro maggiore per poter salvare il giacimento di petrolio, scavando un “pozzo supplementare”. Le sue ragioni erano semplici: realizzando immediatamente il sigillo, la BP avrebbe sacrificato il giacimento (e perso il suo impiego) allo scopo di salvare l’ambiente. Non lo ha fatto.

Al contrario, ha cercato di allungare il processo, in modo da salvare il giacimento (ed i profitti) con il “pozzo supplementare”. Ma quando nascondere l’entità del danno è diventato impossibile – quando l’odore di petrolio si era diffuso nei cieli chiari della Louisiana a mille miglia dal luogo del disastro – la BP ha provato a realizzare il sigillo. Sappiamo tutti com’è andata a finire.

Dove erano le autorità? Dov’era qualcuno in carica? Il fatto è che non c’era nessuno in carica. Non c’era nessuno che controllasse – o ad ogni modo, a quelli che dovevano farlo sono stati strappati i denti. E la BP lo sapeva – quindi hanno fatto come volevano, senza badare ai rischi o ai costi.

La cosa peggiore, e la BP se ne rende conto, è che se alla fine non riescono a trovare un modo per gestire il disastro della marea nera, possono semplicemente mentire agli Stati Uniti. Il governo – in altre parole, la popolazione americana, liquiderà la faccenda ripulendo il casino della BP. La BP sa che nessuno la riterrà responsabile – sa che la farà franca.

E neanche le banche verranno ritenute responsabili. Non è un caso che le banche europee ed americane sono quasi crollate, ma le banche qui in Cile hanno filato dritto: questo perchè qui le banche sono regolate all’estremo.

Non possono letteralmente scureggiare senza che un ispettore bancario indipendente le controlli, e senza che dopo ottengano un bollo in triplice copia. Quando le banche cilene crollarono nel 1980, fu messa fine all’illusione che le banche sapessero quello che stavano facendo – il governo ha poi garantito per loro, ma da quel momento in poi le ha tenute sotto vetro.

Ma in Europa ed in America, la storia era la Greenspan Put [politica monetaria ideata da Alan Greenspan, ndt]. Disinvolto, Al era così convinto che le banche si sarebbero “auto-regolate” che ha strappato i denti alla Fed, l’agenzia di regolamentazione delle banche, ed ha lasciato che il “libero mercato” facesse il suo corso.

Con un tale via libera, cosa pensate abbiano fatto le banche? Erano anarchiche – hanno inventato tutti i tipi di abili “prodotti finanziari” che hanno aumentato il rischio in maniera esponenziale, piuttosto che mitigarlo. Abbiamo visto tutti la fine di quel film.

Quando Lehman è andato in rovina ed il mercato del credito si è congelato, è stato tracciato un improvvisato “pachetto di emergenza”, poi i 700 miliardi di dollari di TARP [Trouble Asset Relief Program, Programma di Recupero delle Attività in Difficoltà, ndt], poi l’Allegerimento Quantitativo, tutti questi sforzi lubrificati con un sacco di chiacchiere circa “rinforzare l’ambiente delle regolamentazioni” e “proteggere i mercati finanziari”.

Il risultato? Le banche hanno fatto quello che volevano – senza supervisione. E quando la loro incoscienza ha inevitabilmente portato alla catastrofe dell’autunno 2008, le banche sono state salvate – senza ripercussioni. Le maggiori sono addirittura riuscite a fare dei profitti con i bail-out finanziati dai contribuenti!

Anche dopo il peggio della crisi – quando gli effetti dell’assenza di regolazione e di supervisione erano state chiaramente capite – non è successo niente. Il regime della regolazione-zero, supervisione-zero è continuato.

Questo non è il caso delle persone, degli individui: la gente viene regolata, la gente viene controllata. Gli individui vengono monitorati e limitati in ciò che possono dire o fare – e nessuno si lamenta. Al contrario – ci sentiamo tutti sollevati, perchè ci sentiamo protetti dal comportamento irrazionale dell’individuo.

Come individuo, vengo limitato in innumerevoli modi, dal più banale, come andare in giro, al più grave, come l’omicidio. Non posso neanche alzarmi e gridare “A fuoco!” in un teatro affollato – verrei arresato per incitazione del panico, l’interesse generale di evitare una potenziale fuga letale che calpesta il mio bisogno di esprimermi gridando “A fuoco!” quando non ci sono incendi.

Curiosamente, gli individui – la gente normale – vengono controllati e regolati sempre più rigorosamente. Tuttavia allo stesso tempo, le aziende diventano sempre più libere di fare come vogliono. Nessuno nota quanto sia strano tutto questo – abbiamo persino perso il contesto per anche solo parlare di regolamentare e controllare le aziende, perchè troppi sciocchi sapientoni mettono la regolamentazione ed il controllo sullo stesso piano del socialismo.

Intanto, le banche gestiscono in modo folle.

Intanto, la BP gestisce in modo folle.

Possiamo guardare ad altre industrie – la Big Pharma, per dirne una – ma non ce n’è veramente bisogno: la Big Pharma si adatta allo stesso modello della BP e delle banche. Espanditi al punto da poter fare ciò che vuoi e nessuno ti sfiderà, neanche il governo. Realizza pratiche che creeranno inevitabilmente una crisi – come la trivellazione a rischio, come i titoli tossici – e sta sicuro che verrai salvato.

Salvato, e con il permesso di andare avanti, libero. Con il “permesso” di continuare, libero? Scusate, ho sbagliato: incoraggiato a continuare, libero.

Questa era di anarchia aziendale sta raggiungendo un punto critico – lo possiamo tutti percepire. Tuttavia i governi negli Stati Uniti ed in Europa non fanno nessuno sforzo per risolvere il problema di fondo. Forse non vedono il problema. Forse sono grati ai padroni aziendali.

In ogni caso, nel suo discorso, il presidente Obama ha fatto dei riferimenti ridicoli all’”energia pulita” mentre ignorava la causa della marea nera della BP, la causa della crisi finanziaria, la causa del vortice dei costi della sanità – l’anarchia aziendale che le sottende tutte.

Quest’era di anrachia aziendale sta distruggendo il mondo – letteralmente, se vi è capitato di vedere le immagini del petrolio fluttuare per un miglio nel golfo del Messico.

Penso che siamo ad un bivio: un sentiero conduce ad un cambiamento rivoluzionario, se non ad un’immediata rivoluzione. L’altro, appagamento e stasi, mentre le aziende frantumano il paese.

Quello che intendo è che non ci sarà nessun cambiamento rivoluazionario. Le aziende hanno vinto. Hanno vinto quando hanno convinto i milgiori ed i più svegli – che io solevo essere – che l’unico sentiero verso il successo era quello della carriera aziendale.

Non necessariamente tramite aziende a scopo di lucro – sembra che i liberalisti non capiscano mai abbastanza quanto perniciose e corporativiste siano davvero le organizzazioni no-profit; o forse lo sanno, ma sono abbastanza intelligenti da non criticarle, dato che quelle no-profit e ONG gli pagano i pasti.

Obama è un aziendalista – è uno di loro. Perciò verrano dette altre stronzate riguardo “energia pura” e “indipendenza energetica”, mentre la causa di fondo – l’anarchia aziendale – viene lasciata indisturbata.

Ancora una volta: grazie a Dio non vivo più in America. È troppo triste restare a guardare mentre una grande nazione se ne va giù per lo sciacquone.

*Gonzalo Lira, scrittore di romanzi e regista (ed economista) al momento vive in Cile e scrive su gonzalolira.blogspot.com


Uscita dalla crisi finanziaria
di Robert Bibeau - www.mondialisation.ca - 28 Maggio 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cira di Micol Barba

Contrariamente a quanto declamato da molti analisti, l'obiettivo dell'operazione speculativa atta a far vacillare l'euro, non è di attentare alla “democrazia europea”. Cito qui di seguito l'estratto di un testo apparso questa settimana sul quotidiano Le Monde: “Questa amministrazione finanziaria mondiale (proposta dal presidente del FMI) con la messa sotto tutela delle economie nazionali e la distruzione delle democrazie”(1).

Tutti ricorderanno che la creazione dell'Unione Europea e dell'euro fu una vera e propria operazione antidemocratica e antinazionale. Quando il popolo francese rifiutò Maastricht con il referendum(2), il governo francese e i dirigenti europei immaginarono il trattato di Lisbona e lo fecero adottare dall'assemblea nazionale francese senza referendum per paura che fosse rigettato dal popolo come accaduto con quello irlandese.(3)

Il fatto di portare a termine il movimento di mondializzazione dell'economia e del libero scambio, suo corollario, con la distruzione delle barriere tariffarie protettrici delle industrie nazionali; il fatto di mondializzare la produzione e gli scambi non costituisce un cambio di direzione antidemocratica ma una conclusione inevitabile dell'apocalisse innescata anni fa da Kennedy e gli accordi del GATT, seguiti dall'Uruguay.

L'articolo pretende che i dirigenti del FMI e delle banche centrali così come gli speculatori di Borsa sognano di approfittare della crisi finanziaria, il cui deficit ricorrente dei budget nazionali dei paesi dell'Unione europea sarà servito da scambio per lanciare, alla fine, una moneta internazionale ed una banca internazionale comune, in breve per rilanciare il progetto Bancor.(4) Questa apprensione è errata.

Il presidente del FMI, Dominique Strauss Khan ha sondato di recente l'opinione al fine di posizionarsi in questa saga finanziaria in previsione della sua candidatura all'elezione presidenziale francese del 2012.(5)

Quest'uomo sa meglio di chiunque altro che questa moneta internazionale esiste già è il dollaro americano e che questa banca internazionale esiste già o quasi, ed è la Federal Reserve System.(6)

Non contate su questo amico degli americani per creare una moneta internazionale concorrente del dollaro USA.(7) Per aver tentato di farlo, alcuni paesi, tra cui la Francia, insieme ad alcuni altri emergenti, come la Cina, sono oggi al centro della tormenta finanziaria.

Il sistema finanziario “Bancor” immaginato nel 1944 da John Maynard Keynes, un ardente difensore delle economie nazionali equilibrate, puntava giustamente a rinforzare l'economia nazionale di ognuno degli stati membri del consorzio bancario mondiale assicurandosi che nessuna economia diventi un'economia di sovraconsumo (debitrice) ne' di sovraproduzione (creditrice) come fa fede l'estratto che cita giustamente il sig. Nouchi su Le Monde: “Un sistema internazionale di pagamento che penalizza i paesi che importano o esportano troppo. Se un paese si allontana da questo equilibrio, è forzato a rivalutare o ad autorizzare a svalutare, cosa che l'euro non permette”.(8)

E' proprio per evitare di essere penalizzato per troppa esportazione o per troppa importazione, dunque per essere penalizzato per la propria dipendenza rispetto a prodotti o mercati esterni che le potenze imperialiste del tempo, Usa su tutti, hanno rifiutato il sistema “Bancor”. Non contate su queste potenze per ristabilire il protezionismo che hanno rifiutato nel '44 e che si ingegnano oggi a distruggere.

E' il libero scambio integrale che cercano gli americani, libero scambio dove ogni economia nazionale gioca un proprio ruolo internazionale dipendente e infeudato, l'Arabia fornendo il petrolio a buon mercato, la Cina fornendo i prodotti manifatturieri a basso valore aggiunto, il Giappone e la Germania fornendo prodotti ad alta tecnologia e di buona qualità, la Francia fornendo Champagne, cognac e altri prodotti di lusso, il Canada fornendo alberi e alluminio, la Giamaica fornendo la bauxite, ecc, e tutti questi paesi alimentando alcuni mercati privilegiati, per primi quelli americani, dell'Europa occidentale, Giappone e alcuni protettorati come Australia, Canada, Nuova Zelanda e Israele.

Tutti questi paesi per definizione esportano o importano troppo. Il dollaro, moneta mondiale, regola più o meno il tutto e gli americani emettono quanti dollari sono richiesti, finanziando così, sulla pelle degli altri, i loro proprio deficit.

Per cogliere qual' è la sorgente primaria delle crisi finanziarie che periodicamente fanno tremare il sistema economico mondiale bisogna capire la contraddizione fondamentale che sospinge l'economia da quando la mondializzazione si è erta sulla distruzione delle economie nazionali.

Questo è il paradosso tra la crescente offerta di beni e servizi grazie ai premi di produttività e la domanda in diminuzione perché i benefici dello sviluppo economico e degli aumenti di produttività non sono più ridistribuiti tra tutti gli attori sociali ma accaparrati voracemente da una minoranza sempre piu' ricca ma che non può consumare più di quanto già non faccia- rispetto ad una massa di consumatori sempre più impoveriti, indebitati, incapaci di consumare se non a credito e per un tempo limitato.

Più il “credo” liberoscambista s'impone a livello internazionale, più si constata una contrazione della produzione mondiale perché il consumo (la domanda) non regge.(9) Le economie nazionali sono distrutte, le capacita' di produzione nazionali sono liquidate, sacrificate sull'altare della produttività, gli abbassamenti dei salari e le riduzioni dei costi, gli impieghi sono distrutti, esportati nei paesi emergenti del Sud dove la manodopera sottopagata non può compensare i mercati persi del Nord.

La ricetta proposta dagli economisti ben pensanti: ridurre i deficit budgetari comprimendo le spese governative porterà più sospensione dal lavoro, meno ritorni nelle tasche dei lavoratori- consumatori e dunque meno rientri per lo stato (tasse al consumo in ribasso, diminuzione delle entrate della TVA e delle imposte sui salari, ecc.) e maggiori costi sociali per il sostegno alle famiglie indigenti. In breve, la soluzione proposta allontana ancora di più i governi dalla possibilità di raggiungere l'equilibrio budgetario.

E' per sfuggire a questo tragico sistema che porta tutte le economie nazionali al fallimento che alcuni paesi hanno cercato di immaginare, non una nuova moneta universale, inutile, ma un nuovo sistema di conversione delle monete le une in rapporto alle altre, un paniere di alcune valute forti tra cui yen, euro, real, yuan, real, calcolato sull'oro, un bene rifugio, tallone di conversione, fluttuante in funzione del mercato.

Un tale sistema perfettamente concepibile e praticabile, permetterebbe un'uscita temporanea dalla crisi monetaria e dalla dipendenza dell'economia mondiale nei confronti del dollaro americano piombato dal più titanico debito a lungo termine e il più gigantesco deficit budgetario corrente e dal più colossale deficit commerciale della storia.

I grandi e piccoli speculatori di Borsa non cercano di distruggere l'euro ma di metterlo sotto tallone, a parità con il dollaro di modo che l'euro non aspiri più a presentarsi come l'alternativa al dollaro decadente. Dopo questa operazione la Cina, il Giappone, la Russia, il Venezuela e l'Iran saranno messi al pari così come tutti coloro che sperano di far uscire la loro economia dall'influenza del libero scambio.

Questi paesi che cercano di uscire dalla dominazione del dollaro purtroppo non risolvono la contraddizione fondamentale dell'economia mondiale tra l'offerta crescente e la domanda solvibile decrescente. Non fanno che applicare una soluzione “dollaro” senza dollaro.

Gli analisti non hanno del tutto torto nell'affermare che: “ i mondialisti, incluso DSK ( Dominique Strauss-Khan) vogliono sfruttare la crisi economica che hanno sapientemente orchestrato con i loro cambi nel mondo della finanza e della speculazione e che continuano ad esacerbare, per centralizzare ancora più a livello mondiale la potenza regolatrice finanziaria nelle mani di alcuni a detrimento di popoli e nazioni sovrane”.(10)

Si sbagliano semplicemente di data, la sovranità delle nazioni non esiste praticamente più, è stata largamente sacrificata al momento della loro adesione agli accordi del GATT e di altri, e per l'Europa, al momento della sua adesione a Maastricht e al trattato di Lisbona.

I popoli e le nazioni d'Europa devono oggi riconquistare la loro sovranità e allora forse riusciranno a rendere nuovamente dinamica la loro economia nazionale e a sviluppare gli scambi bilaterali tra paesi sovrani e commercianti, fuori dal libero- scambio distruttore.


Note:

(1) et (8) Franck Nouchi http://www.lemonde.fr/opinions/article/2010/05/03/le-temps-du-bancor-par-franck-nouchi_1345954_3232.html
(2) http://fr.wikipedia.org/wiki/Trait%C3%A9_sur_l'Union_europ%C3%A9enne
(3)http://www.marianne2.fr/Les-Irlandais-ont-rejete-le-traite-de-Lisbonne-So-what_a88166.html
(4) http://fr.wikipedia.org/wiki/Bancor
(5 http://www.planetenonviolence.org/DSK-Appelle-A-La-Creation-D-Une-Monnaie-Mondiale-D-une-Banque-Centrale-Mondiale-Bref-D-une-Dictature-Mondiale_a2192.html
(6)http://fr.wikipedia.org/wiki/R%C3%A9serve_f%C3%A9d%C3%A9rale_des_%C3%89tats-Unis
(7) http://www.planetenonviolence.org/
(9) A titolo esemplificativo la produzione di automobili e' passata da 35 milioni di unita' nel 1990 à 32 milioni nel 1993.
(10) http://www.planetenonviolence.org/ 



La Svizzera vs la Banca d'Italia: chi ci fa guadagnare di più?
di Giovanni Passali - www.ilsussidiario.net - 23 Giugno 2010

“La turbolenza in corso è peggiore di quella della Grande Depressione”. Questa è l’agghiacciante analisi di Soros risalente al febbraio 2009, ripresa dalla Reuters. Sempre secondo Soros, la bancarotta di Lehman Brothers ha segnato un punto di non ritorno: “Siamo testimoni del collasso del sistema finanziario, non vi sono segnali che siamo vicini a toccare il fondo”.

E queste sono le dichiarazioni di Volker (attuale consigliere di Obama) nello stesso articolo: “Non ricordo un momento, neanche durante la Grande Depressione, in cui tutto è andato giù così rapidamente e così uniformemente in tutto il mondo”.

E ora, a che punto siamo dopo un anno? Un’idea precisa ce la può dare la recente “Rassegna trimestrale Bri (“Banca dei Regolamenti Internazionali”, una sorta di banca delle Banche Centrali).

“La Rassegna trimestrale BRI del giugno 2010, pubblicata oggi, attribuisce la recente impennata della volatilità nei mercati finanziari internazionali alla perdita di fiducia degli investitori di fronte ai timori per i conti pubblici e al rischio di un indebolimento della crescita. Il pacchetto di salvataggio europeo ha arrestato temporaneamente il contagio nei mercati del debito sovrano in euro, ma le prospettive economiche restano fonte di preoccupazione.” In altre parole, ancora non si vede il fondo.

Un altro dato agghiacciante viene dai bilanci internazionali delle banche, che sono un indicatore delle attività internazionali. Tali bilanci si sono contratti per il quinto trimestre consecutivo, portando il valore attuale a 5.024 miliardi di dollari, cioè pari al 12% del valore massimo registrato nel mese di marzo 2008, pari a 40.383 milliardi di dollari.

Secondo lo stesso documento, i “sistemi bancari dell’area dell’euro risultavano particolarmente esposti verso i residenti di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, detenendo quasi due terzi degli impieghi totali nei confronti di tali economie.

Fra di essi, quelli di Francia e Germania presentavano l’esposizione più elevata (rispettivamente pari a 493 e 465 miliardi di dollari) [...] mentre gli istituti spagnoli detenevano la posizione creditoria più elevata nei confronti dei residenti del Portogallo (110 miliardi)”. In altre parole, se fallisce il Portogallo crolla l’intero sistema bancario europeo.

Questo è quello che ha portato un sistema monetario fondato unicamente sulla moneta debito. Che il sistema moderno sia strutturalmente percorso da crisi bancarie è anche la conclusione del lavoro di Gery Gorton “Slapped in the Face by the Invisible Hand: Banking and the Panic of 2007” presentato alla Federal Reserve Bank di Atlanta per una conferenza del maggio 2009.

Nel paragonare l’attuale crisi finanziaria con quelle precedenti, in cui la gente correva in banca per prelevare i propri risparmi (definite come bank panic, a cominciare dal quella catastrofica del 1907) si afferma che la differenza consiste nel fatto che, data la complessità dell’attuale sistema bancario e finanziario, ora sono le stesse banche che si rincorrono l’un l’altra, nel tentativo di ritirare la liquidità. E anche queste trovano la porta sbarrata.

In questo caos finanziario, una situazione particolare sta vivendo la Svizzera. La peculiarità di questo paese è quella di essere una meta ambita di tanti capitali stranieri, di provenienza più o meno lecita, garantiti da una sicurezza e segretezza ormai storici (anche se la segretezza ultimamente sta vacillando).

Ma un tale afflusso di capitali non vuol dire altro che acquisto di moneta locale, e quindi reddito da signoraggio di gran lunga eccedente le necessità dell’economia reale svizzera. E gli effetti si vedono.

L’utile della BNS (Banca Nazionale Svizzera) per il 2009 è di 10 miliardi di franchi (circa 8 miliardi di euro); questo dato è da paragonare con il miliardo di utile della Banca d’Italia. Ma occorre una ulteriore precisazione.

L’utile di un miliardo è un evento straordinario. Quello del 2008, per fare un paragone, è stato pari a circa 95 milioni, una cifra simile al 2007. In Svizzera, invece, gli utili della Banca Centrale vengono distribuiti per un terzo alla Confederazione e per due terzi ai Cantoni.

Siccome tale utile può avere una forte oscillazione di anno in anno, si è stabilito che per il periodo 2008-2017 la ridistreibuzione sarà di 2,5 miliardi di franchi per ogni anno (circa 2 miliardi di euro).

Ma gli abitanti della Svizzera sono appena 7,6 milioni. Questo vuol dire che il reddito da signoraggio è circa di 250 euro a testa, ogni anno. Mentre in Italia, con il reddito straordinario di 1 miliardo del 2009 diviso per 60 milioni di abitanti, siamo a 16 euro a testa.

Ma se stiamo al reddito incassato dallo stato per il 2008, pari a 57 milioni di euro, non abbiamo nemmeno un misero euro. Nemmeno un euro, contro 250 euro ogni anno, già pianificati per dieci anni, dal 2008 al 2017. E non basta: le riserve attualmente accantonate per le future ridistribuzioni sono pari a 19 miliardi.

Questo è il reddito da signoraggio, dovuto in massima parte per l’afflusso di capitali stranieri. Per fare un paragone, con 60 milioni di abitanti, a 250 euro ad abitante, se fossimo svizzeri lo stato riceverebbe 15 miliardi di euro dalla Banca d’Italia, ogni anno.

A chiarirci le conseguenze della perdita di sovranità monetaria c’è anche un interessante intervento di Jean-Pierre Roth, ex Governatore della SNB, avvenuto nel novembre del 2004 e tuttora pubblicato sul sito della Banca dei Regolamenti Internazionali.

“More than national pride would be hurt by such an ‘euroization’ of the Swiss economy. For one thing, such a development would entail the loss of seigniorage income. With a monetary base of about 40 billion francs (26 billion euros), that is about 5’700 francs (3’700 euros) per person, seigniorage in our case is far from trivial. But even more seriously, the loss of monetary autonomy caused by a displacement of the Swiss franc by the euro would prevent the SNB from creating liquidity in case of need.”

Ecco la conseguenza della perdita della sovranità monetaria: non un mero sentimento di orgoglio nazionalistico, ma tremilasettecento euro a persona. Ma, proprio come diceva Roth, ancora più seriamente, la perdita dell’autonomia monetaria comporta la perdita della possibilità di creare liquidità in caso di necessità. Proprio quello che sarebbe servito alla Grecia e che avrebbe evitato l’assalto speculativo.

Anche gli speculatori, infatti, non avrebbero avuto un margine tanto ampio, di fronte ad un potere statale capace di intervenire e di svalutare la moneta, rendendo così più appetibile gli investimenti in valuta locale.

Visto che invece a pagare il conto è la Bce, che emette fiumi di denaro solo a debito, gli speculatori hanno dato l’assalto alla diligenza. Tanto tutta la moneta stampata è a debito, cioè alla fine pagheremo noi, attraverso lo stato, cioè attraverso maggiori tagli o maggiori tasse.

Il recupero della sovranità monetaria è solo il primo tassello. Il secondo è quello di generare moneta non più a debito, in modo da rendere sostenibile la possibilità di pagare i debiti. Una moneta a favore delle necessità fondamentali della popolazione, cioè utilizzata dallo stato quanto meno per i servizi sociali e sanitari di base e per l’istruzione obbligatoria.

Questo dovrebbe essere l’argomento di discussione di tutti i giorni: il valore della moneta, la definizione della moneta. E di questo problema ciascuno di noi deve farsi portavoce con tutti quelli che conosciamo. Dobbiamo segnare veramente un punto di svolta per la società del futuro, italiana ed europea.


La "lite" Berlusconi-Merkel fa gioire gli speculatori

di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 22 Giugno 2010

La Banca Centrale Europea è un’istituzione straordinaria: riesce a mascherare la verità anche quando questa è palese e chiara come la luce del sole. Ma anche gli affabulatori migliori, alla fine, inciampano. O, in questo caso, sono costretti a passare dalle bugie alle mezze verità. Ammissioni, in questo caso.

Nell’ultimo bollettino mensile, infatti, la Bce è stata costretta ad ammettere ai mercati che il suo “systemic risk indicator”, un indicatore che si basa sui derivati Euribor e sullo stress sul mercato degli swaps EONIA, ha superato il livello toccato nel settembre 2008, i giorni del crollo di Lehman Brothers.

«La probabilità di un default simultaneo di due o più grandi e complessi gruppi bancari dell’eurozona è cresciuta molto in fretta», questa la realtà certificata nero su bianco dal bollettino ufficiale di Francoforte. Evviva, alla faccia della ripresa dietro l’angolo e delle banche ben capitalizzate.

Un’ammissione, ammetterete, sconvolgente. Quali sono i due o più «grandi e complessi gruppi bancari» sull’orlo del collasso? Silenzio totale, ovviamente. Forse - e speriamo vada davvero così - dovremo aspettare fino a fine luglio, quando verranno resi noti i risultati degli stress tests imposti dall’Ue, una decisione che il numero uno di Deutsche Bank, Josef Ackermann, ha definito «molto, molto pericolosa». Perché mai la verità e la trasparenza dovrebbero essere pericolose? Lo sapete benissimo da soli.

Se a questo uniamo il completo fallimento del piano monstre dell’Ue e della sua speranza di calmare i mercati in fibrillazione per la crisi del debito, capirete da soli perché la scorsa settimana l’oro abbia toccato il suo massimo di tutti i tempi a 1.258 dollari l’oncia.

Il World Gold Council venerdì scorso ha reso noto che Russia, Filippine, Kazakistan e Venezuela hanno comprato pesantemente oro mentre le autorità dell’Arabia Saudita hanno riportato le riserve a 323 milioni di tonnellate da 143 milioni.

Qui non ci troviamo di fronte alla classica corsa al bene rifugio: l’oro sta reclamando il suo ruolo di benchmark monetario globale. Questo rally aureo più che ricordare l’era Nixon-Carter, ci riporta direttamente agli anni Trenta.

E l’America ha paura: la massa monetaria M3 si è contratta negli ultimi tre mesi a un tasso annuale pari al 7,6%, mentre il rendimento di Treasury notes a due anni è allo 0,71%: segnali di un’economia che rischia, seriamente, la distruzione a causa del debito.

L’ECRI, indice principale dell’economia Usa, è crollato a livelli che non si conoscevano da mezzo secolo, toccando un minimo da quarantacinque settimane. Siamo a quota -5,70, il livello toccato alla fine del 2007 prima che Wall Street precipitasse nella crisi portando con sé tutto il mondo: l’America è ufficialmente in recessione, ma non ditelo a Treasury e Fed.

I quali, poveretti, dopo aver gioito per pochi istanti, ora devo fare i conti con la realtà: l’annunciata rivalutazione dello yuan cinese sarà, per bocca delle autorità di Pechino, «molto graduale». E per il guru Nouriel Roubini, questa mossa potrebbe paradossalmente danneggiare e non aiutare il dollaro e quindi l’economia statunitense.

Ma, come potete immaginare da soli, se l’America piange, l’Europa non ha proprio nulla di cui sorridere. La scorsa settimana, per non vedere andare deserta l’asta dei propri titoli di Stato, la Spagna ha dovuto pagare uno spread record di 220 punti base rispetto al Bund tedesco, più o meno quanto era costretta a pagare la Grecia in marzo.

Un dirigente della Banca centrale ha dovuto ammettere di fronte a una commissione parlamentare che le aziende spagnole sono staste completamente tagliate fuori dal mercato di capitale almeno da Pasqua: Stato, regioni, banche e aziende, tutti insieme, hanno creato debiti estero per 1,5 trilioni di euro, il 146% del Pil, 600 miliardi dei quali da ripagare entro la fine di quest’anno. Auguri Zapatero, ne hai bisogno.

Per Fitch Ratings «occorrerà l’acquisto di centinaia di miliardi di bond da parte della Bce per evitare un’escalation della crisi». Ma visto che il capo della Bundesbank - e futuro capo proprio della Bce -, Alex Weber, ha definito la prima tranche di acquisto di bond da parte di Francoforte «una minaccia alla stabilità», appare chiaro che la Germania, dopo aver dovuto ingoiare la pubblicazione degli stress tests bancari, combatterà con le unghie e con i denti per evitare quello che appare come una colossale operazione di quantitative easing.

Inoltre, la politica di tagli salariali e alla spesa pubblica imposta da metà degli Stati europei ai propri cittadini sta facendo ingolosire i mercati: una scelta simile, infatti, rischia di portare con sé una pericolosa contrazione del gettito fiscale e il rischio di una spirale debito-deflazione, qualcosa molto simile a quanto accaduto negli anni Trenta: peccato che nessuno abbia imparato la lezione che quegli anni hanno cercato di insegnarci.

Grazie al piano imposto alla Grecia da Ue e Fmi, il debito pubblico ellenico crescerà dal 120 al 150% del Pil: per il ministro delle Finanze russo, Alexei Kudrin, «un mini-default della Grecia ormai è divenuto inevitabile». E di fronte a una situazione simile cosa fa l’Europa? Propone idiozie e, come se questo non bastasse, unisce al danno anche la beffa della “litigata” postuma.

Come definire altrimenti il botta e risposta tra il governo tedesco e il premier italiano Silvio Berlusconi, oggetto del contendere la proposta di una tassa sulle transazioni finanziarie fatta propria dal Consiglio europeo: «Credo di aver reso un buon servizio al mio Paese e anche all’Europa con il veto sulla tassa sulle transazioni finanziarie», ha dichiarato il premier italiano nel corso di una telefonata durante il convegno dell’associazione Liberamente, definendo la stessa «ridicola».

A giudizio del premier questa imposizione «se fosse stata approntata solo dall’Unione Europea e non dagli altri grandi Paesi avrebbe spostato negli Usa e in altri Paesi» la mole delle transazioni finanziarie internazionali, principio di buon senso che Bruxelles stenta a capire.

Immediata la replica di Berlino, secondo cui «le conclusioni sono state approvate da tutti i capi di Stato e di governo del Consiglio europeo», ovvero unanimità per la proposta e quindi voto a favore anche di Silvio Berlusconi a nome dell’Italia.

Ma nonostante la precisazione tedesca, a Palazzo Chigi si ribadisce che il presidente Silvio Berlusconi al vertice di Bruxelles di giovedì scorso ha davvero posto il veto dell’Italia alla proposta di una tassa europea sulle transazioni finanziarie: tanto è vero che il vertice ha previsto la possibilità di un’imposizione sulle banche e non sulle operazioni finanziarie.

La comune casa europea brucia e loro non solo litigano ma non sanno nemmeno dirci come stanno le cose, sempre pronti ad attaccarsi a cavilli procedurali e altri maneggi da Consiglio europeo: attenzione, tenetevi forte perché l’auto dell’Ue sta correndo a folle velocità contro un muro e l’autista è completamente ubriaco. Il prossimo G20 ci riserverà amare sorprese.