martedì 22 giugno 2010

Afghanistan: update

Dall'Afghanistan giungono notizie sempre più preoccupanti per le forze occupanti della Forza internazionale Nato e dei suoi alleati (Isaf). Ieri infatti è stata veramente una giornataccia per loro, con 10 soldati morti in totale.

Quattro dei quali morti nel sud del Paese a bordo di un elicottero Isaf che è precipitato. Naturalmente il portavoce dell'Isaf si è subito affrettato a dire che si esclude un attacco dei talebani e che è stata aperta un'inchiesta sull'incidente.

Ieri poi è stato anche attaccato dai talebani l'aereo che trasportava in Afghanistan Richard Holbrooke, rappresentante speciale della Casa Bianca per Afghanistan e Pakistan. A bordo del velivolo c'era anche l'ambasciatore americano a Kabul Karl Elkenberry.

L'attacco è avvenuto nella fase di atterraggio a Marjah. Alcuni guerriglieri hanno sparato contro l'aereo e n'è seguita una sparatoria di una decina di minuti fra talebani e forze armate afghane, secondo quanto riportato da Abc online.

Con i 10 soldati morti ieri, i militari stranieri che hanno perso la vita dall'inizio dell'anno sono 285 e 65 dal primo giugno. E sempre ieri il Regno Unito conta la sua vittima numero 300 dall'inizio del conflitto nel 2001, mentre fino al 2008 aveva perso "solo" 100 soldati. Un'ulteriore conferma dell'intensificarsi degli scontri negli ultimi due anni.

Il ministero dell'Interno afghano ha inoltre comunicato che ieri a Marjah, nella provincia meridionale di Helmand, sono morti tre uomini che volevano compiere un attentato suicida, mentre tentavano di indossare i giubbotti esplosivi. Mentre nel distretto di Nad Ali, l'esplosione di una mina ha provocato la morte di due agenti di polizia e il ferimento di altri due.

Ma ieri sono morti anche nove civili nell'esplosione di due ordigni nelle province afghane di Herat e Ghor, secondo quanto scrive l'agenzia di stampa afghana Pajhwok.

Questo è quanto sul fronte di guerra.

Però sono arrivate anche altre notizie inquietanti come quella che, attraverso i suoi contractor logistici afghani, l'esercito Usa sta indirettamente finanziando i talebani al ritmo di circa due milioni di dollari a settimana. A denunciarlo è il Rapporto presentato al Congresso Usa dalla Sottocommissione sulla sicurezza nazionale e gli affari esteri, presieduta dal senatore repubblicano John Tierney.

La relazione, risultato di mesi di indagine, spiega come la Host Nation Trucking (Hnt) - la compagnia di trasporti afghana che per conto del Pentagono rifornisce quasi tutte le basi e i più sperduti avamposti militari Usa - versi decine di milioni di dollari al mese a signori della guerra, funzionari pubblici corrotti e agli stessi comandanti talebani allo scopo di garantire la sicurezza del passaggio dei suoi convogli di camion.
Una situazione che dura da anni e che, secondo il rapporto, è ben nota al Pentagono.

Intanto si viene a sapere oggi che una forza mista afghana e internazionale ha scoperto oltre 3 tonnellate di oppio e 10 kg di eroina in 2 veicoli nella provincia meridionale di Helmand.

Non è che magari c'è una relazione tra quest'ultima notizia e quanto scritto nel rapporto di cui sopra - 'Signori della Guerra Inc.: estorsione e corruzione lungo la catena di rifornimento Usa in Afghanistan'???.......


P.S. Dimenticavo di dire che ieri 14 talebani che si trovavano in carcere (12 erano detenuti nel centro di detenzione Usa all'interno della base di Bagram) sono stati liberati come parte dell'impegno assunto dal presidente Hamid Karzai durante la Loya Jirga della pace. Karzai sta quindi cercando di mettere in pratica il suo piano di riconciliazione coi talebani.

E, dulcis in fundo, la Spagna ha confermato il piano di rientro che prevede il ritiro dall'Afghanistan di tutte le sue truppe per l'estate del 2011.
L'ha dichiarato il ministro della Difesa spagnolo Carme Chacon in un'intervista rilasciata all'emittente tv Telecinco.

Si attende un'analoga dichiarazione ufficiale del nostro La Russa, magari in un'intervista a Canale 5...


Afghanistan, la rivincita dei falchi
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 22 Giugno 2010

Pentagono e vertici militari Usa mettono in dubbio la data d'inizio del ritiro annunciata da Obama

Lo scorso dicembre Obama aveva annunciato l'inizio del ritiro dall'Afghanistan nel luglio 2011. Ora però le cose sembrano cambiate.

''Sul ritiro non è stato deciso assolutamente nulla'', ha dichiarato domenica a Fox News il segretario alla Difesa, Robert Gates.
''Quella data si riferiva solo alle 30 mila truppe di rinforzo'', ha precisato il capo di gabinetto della Casa Bianca, Rahm Emmanuel, intervistato dalla Abc.

Il generale David Petreus, responsabile delle operazioni militari Usa, ha spiegato durante una recente audizione al Senato che sarà suo dovere ''raccomandare un rinvio del ritiro se lo riterrà necessario''.

Nella stessa occasione, il sottosegretario alla Difesa, Michelle Flournoy, ha aggiunto che tutto dipenderà dall'evoluzione della situazione sul terreno, la quale sarà valutata esclusivamente dal comandante delle forze sul campo, generale David McChrystal, in base a quante province saranno pronte per essere trasferite alle autorità afgane e alla capacità di combattimento raggiunta dalle forze militari afgane.

Un eventualità assai remota visti l'esito fallimentare dell'offensiva di Marja, i dubbi sull'operazione a Kandahar (continuamente rinviata e rimodulata al ribasso), l'esasperante lentezza con cui procede l'addestramento delle truppe afgane e la velocità con cui invece i talebani avanzano. ''La verità incontrovertibile è che i talebani stanno avanzando e che il conflitto è in metastasi'', ha dichiarato nei giorni scorsi il presidente della Commissione intelligence del Senato Usa, Diane Feinstein.

In vista del prolungamento della campagna militare afgana, il Pentagono deve però affrontare un problema non da poco: quello di vincere le crescenti perplessità dell'opinione pubblica e dei governi alleati sulla continuazione della guerra.

Il 54 per cento degli americani è contrario al proseguimento della missione, il 70 per cento dei tedeschi chiede il ritiro, canadesi e olandesi se ne andranno entro la fine del prossimo anno, spagnoli e polacchi hanno annunciato di voler fare lo stesso, e anche i governi britannico e turco mostrano segnali di insofferenza.

Da qui l'esigenza di rafforzare la macchina della propaganda bellica, o, come dicono gli esperti di comunicazione militare Usa, di ''riprendere il controllo della narrativa della guerra''.

Durante il summit dei ministri della Difesa della Nato a Bruxelles, Gates si era detto ''insofferente'' su come i media coprono il conflitto afgano. Giovedì scorso l'addetto stampa del Pentagono, Geoff Morrel, si è lamentato di come la stampa americana e occidentale in generale stiano dando ''un'immagine negativa'' della missione afgana, fornendo resoconti che evidenziano le difficoltà ''mettendo in ombra'' i progressi. ''Non si può dire che le cose vanno male solo perché l'unità militare che il giornalista segue ha avuto una brutta giornata. Come non si può affermare che l'offensiva di Marjah è stata un fallimento, perché prima lì c'erano i talebani e ora ci siamo noi''.

Un primo assaggio di come il Pentagono vuole ricreare consenso ed entusiasmo attorno all'Afghanistan lo si è potuto avere con la campagna stampa sulla 'scoperta' di risorse minerarie afgane (in realtà note da decenni) che ''rischiano di cadere in mano ai cinesi se gli Stati Uniti e la Nato si ritireranno dall'Afghanistan''.


Nella valle di Elah
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 18 Giugno 2010

Cinque soldati Usa finiscono davanti alla corte marziale: in Afghanistan uccidevano civili a sangue freddo

Per i soldati americani della compagnia 'Bravo' del 2° battaglione, 1° reggimento, l'ultima missione in Afghanistan è stata un vero inferno. Da quando lo sorso luglio hanno lasciato con la loro compagnia (la quinta della 2^ divisione di fanteria 'Testa d'indiano') la base di Lewis-McChord a Tacoma, nello stato di Washington, per essere schierati a difesa dell'avamposto 'Ramrod', sul fronte di Kandahar, non hanno mai smesso di combattere.

Una serie ininterrotta di imboscate, attacchi notturni e violenti scontri a fuoco nei quali hanno visto molti loro compagni perdere la vita, altri la testa. Molti di loro hanno iniziato ad abusare di alcol e droga, e a sfogare le proprie angosce con la violenza, sia contro i compagni che contro gli afgani.

Il soldato semplice Jeremy Morlock, 22 anni, originario di una sperduta cittadina dell'Alaska, era un tipo difficile già prima di arrivare in Afghanistan: coinvolto in un omicidio a soli 15 anni, un passato da picchiatore nella squadra di hockey su ghiaccio al college, una condanna per violenze domestiche e numerose punizioni per insubordinazione sotto le armi. La guerra ha tirato fuori il peggio di lui.

Lo scorso gennaio, lui e altri due soldati della 'Bravo', Calvin Gibbs, 25 anni, originario del Montana, e Andrew Holmes, 19 anni, dell'Idaho, sotto l'effetto di droghe hanno preso Gul Mudin, un civile afgano, forse un prigioniero, e lo hanno ammazzato scaricandogli addosso interi caricatori di mitra e lanciandogli contro delle bombe a mano.

Il 22 febbraio, Morlock e Gibbs hanno ripetuto l'impresa, stavolta insieme a un altro soldato, Michael Wagnon, 29 anni, di Las Vegas. La tecnica usata è stata la stessa: raffiche di mitra e granate. La vittima prescelta, sempre un civile afgano, si chiamava Marach Agha.

La coppia è tornata a colpire di nuovo il 2 maggio. In questo caso con loro c'era il soldato Adam Winfield, 21 anni, originario della Florida, e la vittima sacrificale rispondeva al nome di Mullah Abdallah.

Tre giorni dopo, Morlock e Gibbs hanno tirato giù dalla branda un loro commilitone e lo hanno picchiato selvaggiamente fino a ridurlo in fin di vita. La sua colpa era quella di aver denunciato ai superiori che diversi soldati della compagnia facevano uso di droga. In ospedale, dopo aver ripreso coscienza, il soldato ha deciso di raccontare anche degli omicidi.

Così è partita l'inchiesta militare che ha portato al rimpatrio immediato dei cinque soldati, che ora rischiano l'ergastolo o la pena di morte.