lunedì 14 giugno 2010

Afghanistan: 2 + 2 fa sempre 4...

E così, dopo aver occupato il territorio afghano per controllare/gestire il traffico di oppio e gli oleodotti/gasdotti che lo attraverseranno in futuro (talebani permettendo, of course...), ecco un'altra "valida" ragione per cui gli Usa e la Nato sono in Afghanistan da quasi 9 anni e chissà per quanto altro tempo ancora.

Nel sottosuolo dell’Afghanistan ci sono minerali - ferro, rame, cobalto, oro e litio - per un valore che potrebbe superare i mille miliardi di dollari.
L'ha rivelato ieri il New York Times e le autorità statunitensi l'hanno confermato.

Infatti, secondo un documento interno del Pentagono, l'Afghanistan potrebbe diventare "l’Arabia Saudita del litio", un metallo sempre più prezioso per via della sua crescente domanda per la produzione delle batterie dei computer portatili e telefoni cellulari.
Mentre le riserve di rame e ferro potrebbero trasformare l'Afghanistan in uno dei principali produttori mondiali.

Il generale David Petraeus, comandante del Central Command (Centcom) ha già dichiarato raggiante che "Il potenziale è enorme. Ci sono molti se, ma in ogni caso è una scoperta significativa".

Ma sicuramente si tratta di dati che il Pentagono conosce fin dagli anni '80 e che "per sbaglio" sono filtrati solo ieri, anche se ovviamente viene detto che la scoperta è stata fatta da un piccolo gruppo di geologi e responsabili del Pentagono sulla base di alcuni documenti e dati raccolti dagli esperti minerari sovietici durante l'occupazione sovietica negli anni '80 e che i geologi afghani li avevano nascosti dopo il ritiro delle truppe sovietiche per poi tirarli fuori solo nel 2001 dopo la caduta dei talebani, "a causa di 30-35 anni di guerra" come ha dichiarato Ahmad Hujabre, l'ingegnere afghano che lavorava al ministero delle Miniere negli anni '70.

Comunque sia, anche in questo caso la matematica non è un'opinione: 2 più 2 fa sempre 4...


Afghanistan, la fabbrica delle bufale e i dintorni silenziati
di Miguel Martinez - http://kelebek.splinder.com - 13 Giugno 2010

Wikileaks ha da poco pubblicato un breve documento riservato della "cellula rossa" della CIA, convocata per affrontare un grave problema. Finora, l'opinione pubblica europea era stata piuttosto indifferente alla guerra in Afghanistan.

Dopo nove anni, gli europei iniziano invece a stancarsene e l'80% dei francesi e dei tedeschi sono contrari ad aumentare le truppe.

Occorre organizzare una controffensiva mediatica.

Il documento è intitolato Afghanistan: Sustaining West European Support for the NATO-led Mission—Why Counting on Apathy Might Not Be Enough.

Il concetto viene riassunto in una frase di difficile traduzione: "Tailoring Messaging Could Forestall or At Least Contain Backlash". Al costo di far perdere alla frase il suo fondamentale carattere americano - cioè militar-pubblicitario-economico - possiamo dire che significa, all'incirca, "personalizzare il messaggio per il pubblico potrebbe prevenire o comunque limitare le ricadute", rendendolo "più propensoi a tollerare una primavera e un'estate con maggiori perdite militari e civili".

Ed ecco le proposte:
- focalizzare sul presunto sostegno degli afghani all'ISAF;

- "la trasmissione di un messaggio che drammatizzi le potenziali conseguenze negative di una sconfitta ISAF per i civili afghani potrebbe far leva sui sensi di colpa francesi (e di altri europei) per averli abbandonati. La prospettiva che i taliban potrebbero far regredire il porgresso, conquistato con tanta difficoltà, nel campo dell'istruzione femminile potrebbe provocare lo sdegno francese e diventare un punto di mobilitazione per il pubblico francese, largamente laico."

- "messaggi che illustrino in che modo una sconfitta in Afghanistan potrebbe aumentare l'esposizione della Germania al terrorismo, all'oppio e ai profughi potrebbero rendere la guerra più significativa per gli scettici";

- sfruttare l'immagine di Obama, molto amato dal pubblico europeo.

Ma soprattutto, bisogna usare le donne:
"Le donne afghane potrebbero servire come messaggere ideali per umanizzare il ruolo dell'ISAF nel combattere i Taliban"

La cellula rossa chiarisce che c'è un motivo preciso per cui occorre utilizzare l'immagine-donna: i sondaggi dimostrano che le donne europee sono molto meno favorevoli alla guerra degli uomini.

- "Eventi mediatici che riportino le testimonianze di donne afghane sarebbero probabilmente più efficaci se trasmessi da programmi rivolti a un vasto pubblico prevalentemente femminile".

Più o meno contemporaneamente, leggiamo nei media italiani che i taliban "hanno impiccato un bambino di sette anni accusato di fare la spia".

Pesco alcune reazioni in un forum a caso:

"secondo me la bomba atomica non basta!"

"eh, so io cosa gli farei a questi porci"

"sempre detto che gli integralisti islamici non sono esseri umani....sono dei mostri reali da sconfiggere con le cattive"

"sarebbe meglio che la missione di pace si trasformasse in un salvare il salvabile e fare un bel parcheggio ....."

"ora più che mai FALLACI DOCET!!!
"
Qualche buonista accenna al fatto che al mondo ci sono anche altre cose brutte.

Ma nessuno si chiede una cosa elementare: la notizia è vera o no?

In realtà, la notizia esatta che un certo Daoud Ahmadi, portavoce del governatore di Helmand, cioè di quelli che stanno combattendo contro i taliban, dice che i taliban hanno impiccato un bambino di sette anni.

Daoud Ahmadi?

Certo, Daoud Ahmadi, portavoce del governo Karzai per la provincia di Helmand. Come dimenticarlo? Qualche mese fa, leggevamo infatti:

"“Tutte le persone arrestate hanno confessato”: il portavoce del governatorato di Helmand, Daoud Ahmadi, ha confermato il coinvolgimento di tre medici italiani dell’ong Emergency in un complotto che aveva come obbiettivo il governatore della provincia, Gulab Mangal, secondo quanto riporta il quotidiano britannico The Times."

Cioè Daoud Ahmadi è un signore che affermava che tre medici italiani avevano confessato di volersi imbottire di tritolo e morire uccidendo uno sconosciuto potentato afghano. Daoud Ahmadi aveva anche detto al Times di Londra che i medici di Emergency erano "legati" ad al-Qaida, per smentirsi precipitosamente dopo.

In una prima versione per i media, Daoud Ahmadi aveva anche accusato gli italiani "di aver deliberatamente amputato e ucciso decine di soldati afgani ricoverati nell'ospedale di Emergency". Qui vi potete divertire a osservare il signor Daoud Ahmadi in veloce e spudorata retromarcia, mentre si rimangia tutto.

Ora, nessuno esclude che questa volta Daoud Ahmadi abbia raccontato la verità. Ma non è esattamente una garanzia.

A questo, ci sono arrivato semplicemente grazie a Google. I giornalisti appositamente pagati, sanno almeno che esiste questo utile strumento?

Non dimentichiamo poi che l'Afghanistan confina direttamente con la costellazione di regimi dell'Asia Centrale, tutti impegnati nel fare la guerra al terrorismo e soprattutto ai propri cittadini. Regimi in cui potentati poststalinisti, diventati improvvisamente ammiratori dell'Occidente ma pronti sempre ad allearsi con la Russia, si reggono in piedi partecipando loro al carcere planetario.

Come documenta questo video, che riprendiamo dal sito di Craig Murray: un diplomatico inglese che un giorno non volle più essere testimone sorridente e silenzioso di sparizioni, massacri e torture.


Pentagono a caccia dell'uomo degli scoop

di Paolo Valentino - Il Corriere della Sera - 13 Giugno 2010

Il fondatore di WikiLeaks potrebbe mettere online migliaia di file top secret

Migliaia di documenti segreti della diplomazia americana potrebbero entro breve fare la loro apparizione sulla rete e mettere in serio pericolo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. I servizi del Pentagono stanno freneticamente cercando di rintracciare l'australiano Julian Assange, fondatore del sito Internet Wikileaks, specializzato nella pubblicazione di carte top secret, in un disperato tentativo di convincerlo a non far uscire il materiale apparentemente in suo possesso, la cui pubblicazione metterebbe in grave imbarazzo Washington, rivelando analisi, giudizi riservati e orientamenti strategici degli Usa sull'intera regione mediorientale.

Secondo il Daily Beast, il quotidiano online diretto da Tina Brown, le autorità americane sono convinte che Assange abbia ricevuto in tutto o in parte i 260 mila fascicoli riservati del Dipartimento di Stato, che un analista dello spionaggio militare, Bradley Manning, ha scaricato dai computer governativi e trasmesso al fondatore di Wikileaks per farli pubblicare.

Manning, 22 anni, era di stanza in Iraq ed è ora agli arresti in Kuwait, in attesa che un’indagine chiarisca l'entità dell'infrazione. «E' una cosa che prendiamo molto sul serio. Il danno potenziale ai nostri interessi è molto alto», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, P. J. Crowley.

Manning avrebbe avuto accesso ai cable, anche vecchi di alcuni anni, preparati dai diplomatici americani in tutto il Medio Oriente, riguardanti il lavoro dei governi arabi e dei loro leader. Le memorie fisse dei computer da cui ha scaricato i file sono attualmente all'esame degli specialisti del Pentagono.

«A Hillary Clinton e ai suoi ambasciatori verrà un infarto, quando una mattina scopriranno che un intero archivio riservato di politica estera è a disposizione del pubblico» avrebbe detto Manning a Adrian Lamo, l'ex hacker che lo ha denunciato al Pentagono, dopo una serie di conversazioni online, durante le quali l'analista si era vantato delle sue imprese.

Fra le altre cose, Manning avrebbe anche ammesso di essere stato lui a fornire a Wikileaks il video del 2007, mandato in rete da Assange nello scorso marzo, dove si vede l'attacco di un elicottero americano a Bagdad nel quale vennero uccisi 12 civili, compresi due dipendenti dell'agenzia Reuters.

L'uscita del video mandò in bestia i comandi militari Usa. Ma anche se coronata da successo, la caccia del Pentagono ad Assange potrebbe non servire a nulla. Gli stessi inquirenti coinvolti nella ricerca dell'australiano ammettono che non sia affatto chiaro cosa potrebbero legalmente fare per bloccare la pubblicazione dei documenti sul suo sito. Cerchiamo la sua cooperazione», ha detto al Daily Beast uno dei funzionari coinvolti nell'inchiesta.

Assange non ha una dimora fissa. In marzo ha trascorso alcune settimane a Reykjavik, in Islanda, dove aveva organizzato il lancio del video dell'elicottero, titolato «Collateral Murder », assassinio collaterale.

In aprile era stato negli Usa, dove aveva rilasciato alcune interviste. Ma la scorsa settimana, atteso a New York al Personal Democracy Forum, si era collegato via Skype dall'Australia, dicendo che i suoi avvocati gli avevano raccomandato di non tornare in America.

Venerdì mattina infine Assange doveva parlare a una conferenza internazionale di giornalisti investigativi a Las Vegas, ma all'ultimo momento ha cancellato per email l'impegno, invocando «problemi di sicurezza».

Nel frattempo, Wikileaks mantiene un atteggiamento di ambiguità sulle sue intenzioni. Dapprima ha definito «non corrette », ma non le ha smentite del tutto, le informazioni secondo cui il sito avrebbe ricevuto i 260 mila cable di Manning.

Poi, ieri mattina, ha messo le mani avanti, annunciando via Twitter che «ogni segno di comportamento inaccettabile da parte del Pentagono o dei suoi agenti verso di noi sarà condannato».

Secondo gli inquirenti federali, il sito fa dei «giochetti semantici », mentre si prepara alla pubblicazione del materiale top-secret: «Forse non hanno tutti i 260 cablogrammi, ma ne hanno abbastanza per combinare guai», ha commentato un analista della Difesa.


Il Pentagono da la caccia al fondatore di WikiLeaks
di Anna Kosetas - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 13 Giugno 2010

Le autorità americane temono che Julian Assange sia in possesso di 260mila documenti riservati, dispacci diplomatici e di intelligence.

Il nuovo nemico del Pentagono si chiama Julian Assange. Non si nasconde sulle montagne al confine tra Pakistan e Afghanistan e non pianifica attentati sul territorio americano. Eppure, rischia di recare danni incalcolabili alla Difesa e alla Diplomazia degli Stati Uniti.

Assange, passaporto australiano ma di fatto cittadino del mondo, è il fondatore di Wikileaks, il sito che, secondo Time Magazine, “potrebbe diventare uno strumento giornalistico importante almeno quanto il Freedom of Information Act”.

Che Wikileaks potesse costituire una pericolosa spina nel fianco per l’Amministrazione americana (e non solo) lo si è capito chiaramente quando ha diffuso in rete un video del 2007 di proprietà dell’esercito Usa, ribattezzato su Youtube “Collateral Murder”, in cui soldati americani su elicotteri Apache aprivano il fuoco e ammazzavano un gruppo di civili iracheni senza darsi pensiero di verificare un po’ più accuratamente la loro effettiva pericolosità.

Di più, dalle frasi scambiate e chiaramente udibili si percepiva il desiderio, meglio, l’urgenza, di aprire il fuoco. Dodici erano state in tutto le vittime, tra cui due dipendenti della Reuters.

Un episodio che aveva creato fortissimi imbarazzi al Pentagono e alla Casa Bianca e che potrebbe non rimanere un caso isolato. Per quel video è stato sbattuto in cella un militare di 22 anni, Bradley Manning, che aveva lavorato come Intelligence Analyst per l’Esercito.

Ora il Pentagono teme che il ragazzo, genio del computer, possa aver passato ad Assange qualcosa come 260mila dispacci diplomatici e di intelligence (chiamati tecnicamente “cables”) etichettati come confidenziali.

Le autorità americane hanno paura che la diffusione di queste notizie possa arrecare serio danno alla sicurezza nazionale, come riporta anche il sito "Daily Beast" di Tina Brown, ex direttore di Vanity Fair e del New Yorker.

Manning, originario di Potomac, nel Maryland, si trova da un mese in una prigione del Kuwait, dopo essersi vantato con un hacker residente in California di essere stato lui a passare il video girato in Iraq a Wikileaks.

In qualità del lavoro svolto per l’esercito, il ragazzo, nonostante la giovane età, ha avuto per diverso tempo accesso a rapporti provenienti dai campi di battaglia, sia in Afghanistan che in Iraq, così come a resoconti di natura diplomatica sui governi del Medio Oriente.

Sempre confidandosi con l’hacker, aveva commentato poco prima dell’arresto: “A Hillary Clinton e a diverse migliaia di diplomatici intorno al mondo verrà un colpo quando un giorno si sveglieranno e troveranno che una miniera di informazioni classificate sulla politica estera americana sono alla portata di tutti”.

Difficile che Manning abbia millantato. Una cosa è certa: il Pentagono deve aver preso queste affermazioni molto seriamente se ora sta cercando Assange in ogni angolo del pianeta. “Vorremmo sapere dove si trova e contare sulla sua collaborazione in questa faccenda”, ha dichiarato un ufficiale al Daily Beast con un tono che sembrava più una preghiera che una minaccia.

Non sfugge infatti alle autorità a stelle e strisce che, per quanto Wikileaks possa aver infranto leggi americane, difficilmente si potranno fermare le sue pubblicazioni online. I server del sito si trovano in Paesi diversi, e in modo particolare in Svezia, nazione conosciuta per essere particolarmente protettiva nei confronti di siti di questo tipo.

Per adesso Wikileaks si è limitata a rispondere al fatto che le autorità sono sulle tracce di Assange con un messaggio su Twitter. “Ogni segno di comportamento inaccettabile da parte del Pentagono e dei suoi agenti verso questo organo di stampa sarà giudicato un segno di debolezza”.

Sempre tramite Twitter, Wikileaks ha bollato come “incorrette” le affermazioni secondo le quali sarebbero giunti al sito 260mila “cable” ancora classificati provenienti dalle ambasciate americane sparse per il Medio Oriente.

Informazioni “incorrette”, ma non astruse. Per il Dipartimento di Stato americano è difficile immaginare un incubo peggiore.

Secondo Daniel Ellsberg, l’autore dei “Pentagon Papers”, Assange potrebbe essere in pericolo. I due si sarebbero dovuti incontrare la settimana scorsa a New York al “Personal Democracy Forum”. Assange, su consiglio dei suoi avvocati, ha preferito invece prendere parte all’incontro via Skype rimanendosene comodamente in Australia.

Venerdì scorso avrebbe dovuto prendere parte a una conferenza internazionale sul giornalismo investigativo a Las Vegas, ma ha scelto di disertare l’incontro sulla base di non meglio specificate “ragioni di sicurezza”.