E così un'altra legge creata solo per ostacolare le indagini di polizia e magistratura e imbavagliare l'informazione - altro che il ridicolo specchietto della privacy - andrà ad accumularsi in quella pattumiera legislativa che ormai, dopo circa 10 anni di governi Berlusconi, è già stracolma.
Ma Napolitano la firmerà??
Il Quirinale non offre coperture al Pdl. Si riserva il giudizio sul testo finale
di Liana Milella - La Repubblica - 9 Giugno 2010
"Mission impossible" quella di Angelino Alfano. Con grandissimo scorno di Berlusconi che s'aspettava esito ben diverso. Salito al Quirinale lunedì, con gli emendamenti sulle intercettazioni sotto il braccio, il Guardasigilli era convinto di poter ottenere l'immediato e pieno via libera dal capo dello Stato.
Colloquio informale per carità, come tanti ne avvengono tra un ministro e il presidente quando in ballo c'è una legge delicata. Incontro che premeva assai a Berlusconi per evitare altre brutte figure su un testo per cui ha già pagato un prezzo al co-fondatore Fini.
E invece niente. Non poteva andare peggio di così. Per riassumere in una battuta un ragionamento più complesso e articolato possiamo dire che Napolitano ha gentilmente accompagnato Alfano alla porta congedandolo così: lei faccia pure il ministro della Giustizia che io faccio il presidente della Repubblica.
Passate 24 ore, ufficializzati gli emendamenti al Senato dopo ulteriori modifiche, rimasti tuttora in piedi almeno tre nodi che Napolitano avrebbe voluto veder sciolti (durata, norma transitoria, multe agli editori), al Quirinale preme mettere in chiaro due questioni. Che non ci sono state trattative di alcun genere e che il giudizio sarà finale.
La freddezza non potrebbe essere maggiore quando dal Colle fanno sapere che "il capo dello Stato valuterà solo alla fine del percorso parlamentare qual è il risultato legislativo e in quel momento darà il responso". Napolitano, se dovesse restare come oggi l'hanno scritta i berluscones, firmerà o no la legge? Il dubbio è sul tavolo.
Prospettiva a dir poco terribile per Berlusconi. Che già si premunisce uno scudo politico. Eccolo astenersi nel voto che lui stesso ha preteso nell'ufficio di presidenza. Fini resta basito. I suoi se ne chiedono il perché. Pesano le possibili ragioni: "È un messaggio a quelli cui ha promesso la mannaia sugli ascolti e di fronte ai quali deve giustificare il compromesso dovuto a noi finiani? È un modo per dire a tutti che questa legge non gli piace?".
Ma la doppia faccia del Cavaliere - pressare per approvare una legge che cambia comunque il destino dei processi in corso e della cronaca giudiziaria e poi prenderne platealmente le distanze - si spiega con le preoccupazioni di Napolitano.
Se il presidente, in piena estate, non controfirmerà il testo, lui potrà rivalersi su Fini. Gli addosserà le colpe dei due anni perduti invano, potrà sparlare dell'inutile compromesso, ricorderà che nell'ufficio di presidenza si è astenuto. Ma non è detto che i conti del premier alla fine tornino. Per capirlo ieri bastava spigolare tra i finiani, sentire i loro commenti.
Sul metodo e nel merito. Sul tavolo di Giulia Bongiono, il consigliere giuridico di Fini, gli emendamenti sono arrivati poco prima delle nove, quando l'ufficio di presidenza cominciava mezz'ora dopo.
Lei li ha sdoganati per quello che sono, un compromesso. In aula, durante una lunga giornata parlamentare, l'hanno sentita dire con gli altri finiani: "Una legge così noi non l'avremmo scritta, ma almeno adesso è un testo ben diverso rispetto a quello che due anni fa è arrivato da palazzo Chigi alla Camera".
Puntigliosamente, com'è nel suo stile, elenca con i suoi le migliorie: "Numero uno, via gli indizi di colpevolezza; numero due, via la lista dei reati; numero tre, dentro la salva-cronaca; numero quattro, cambiata e ricambiata la norma transitoria".
E poi gli ultimi, frenetici tentativi di Niccolò Ghedini, il suo alter ego con Berlusconi, per modificare il comma Ghedini, la durata-tagliola degli ascolti fissata a 75 giorni con le proroghe che da 48 sono passate a 72 ore.
Una previsione che non piace ancora ai finiani, e soprattutto non piace al Quirinale, e poi fa orrore al Pd. Quando la raccontano ad Anna Finocchiaro, la presidente dei senatori reagisce così: "Mi pare un obbrobrio, continuo a ritenerlo un assoluto obbrobrio".
Ma ormai Ghedini rischia di impiccarsi al comma Ghedini perché se anche spostasse l'asticella oltre le 72 ore l'anomalia di una durata imposta per legge, di per sé manifestamente irragionevole, non cambierebbe. Com'è diventato un labirinto impossibile la norma transitoria.
I tecnici del Quirinale non la condividono per la disparità di trattamento tra gli indagati dello stesso processo. Loro la pretendono per applicare subito la durata breve ai processi in corso. L'ultimo ginepraio sono le multe agli editori.
Dice la Finocchiaro: "Io non capisco come si costituisca questa responsabilità degli editori, nel senso che si attribuisce loro un onere di vigilanza sui contenuti dei giornali che è comprensibile per i piccoli, ma non per i grandi giornali".
Ma ormai anche la multa è data, i berluscones non possono smentire tutta la legge bavaglio, ma il premier lascia la barca prima che Napolitano la affondi: "Su questo ddl che rischia di saltare io non ci metto più la faccia".
Divieti irrazionali
di Luigi Ferrarella - Il Corriere della Sera - 9 Giugno 2010
Credibile che arrivi l’Italia a impartire lezioni di privacy agli americani? Appena l’altro giorno a Chicago è cominciato il processo al governatore dell’Illinois, Rod Blagojevic, arrestato 18 mesi fa mentre cercava di vendere all’asta il seggio senatoriale lasciato dal presidente Obama, eppure già all’indomani dell’arresto il 9 dicembre 2008 i giornali pubblicavano le intercettazioni che lo incriminavano: provenienti non da chissà quale suburra, ma da un documento ufficiale della Procura al Tribunale Federale, accessibile ai giornalisti in maniera trasparente, al pari dei successivi documenti prodotti dalla difesa.
Con la legge «blindata» ieri dal vertice del Pdl, invece, in Italia un caso-Blagojevic non si ripeterà perché mai le intercettazioni saranno pubblicabili (nemmeno per riassunto) fino al processo, anche se ormai depositate e non più coperte da segreto, anche se penalmente rilevanti e su fatti non privati ma di interesse pubblico.
Il giornale che si azzarderà a violare questo irrazionale divieto, ben diverso dal divieto invece ragionevole di pubblicare telefonate private o irrilevanti di cui il giudice abbia ordinato la distruzione, verrà seppellito da sanzioni pecuniarie fino a 309.000 euro a notizia, agganciate alla responsabilità amministrativa oggettiva dell’editore: norma che costringerà l’editore ad adottare modelli organizzativi e organi di vigilanza che impediscano ai giornalisti di commettere questo reato, e esproprierà direttore e redazioni della scelta su notizie suscettibili di determinare vita o morte economica di una testata.
Nel guazzabuglio di emendamenti presentati-ritirati- modificati, non mutano poi assurdità difficili da ritenere «un punto di equilibrio »: l’estensione, già giudicata irragionevole dalla Corte Costituzionale, delle più rigide regole delle intercettazioni anche ai meno invasivi tabulati; o il rischio di paralisi dei piccoli tribunali di capoluogo, a causa della nuova competenza collegiale sulle intercettazioni di un intero distretto (con il risultato che ci vorranno tre giudici per decidere se acquisire un pezzo di carta indicativo di chi-ha-telefonato-a-chi, mentre uno solo darà l’ergastolo in abbreviato).
Sfocia in presa in giro il recupero delle intercettazioni ambientali, da autorizzare di 3 giorni in 3 giorni; diventa telenovela oraria la proroga di quelle telefoniche dopo i 75 giorni; e cala la tagliola dell’inutilizzabilità delle intercettazioni se a fine processo il fatto risulta diverso da quello per cui erano iniziate.
Mettere a punto la legge a casa propria, e poi annunciare che Senato e Camera dovranno votarla a scatola chiusa—come ha fatto ieri il premier, tornato anche ad attaccare la Consulta «dalla quale i pm vanno a farsi abrogare le leggi che non gli piacciono» —, sembra frustrare ogni residua speranza di resipiscenza.
Ma dove dispera la logica, chissà faccia breccia almeno la paura del paradosso: ad esempio di votare una legge che, sui tabulati, direbbe il contrario di un’altra legge (l’articolo 132 del Codice della privacy) approvata nel 2003 dalla medesima maggioranza.
Legge bavaglio. Editori e magistrati nel mirino
di Antonella Mascali - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 9 Giugno 2010
Nel ddl sulle intercettazioni restano le misure "salva cricca" e gli aiutini a parlamentari e clero.
Le modifiche delle modifiche di alcuni punti del ddl anti-intercettazioni lasciano intatta la natura del testo: contro le indagini e la libera informazione. I pm sono trattati come dei giocatori di un poker da poveri. Per poter proseguire le intercettazioni, già rese quasi impossibili, devono chiedere, sempre al Tribunale distrettuale, dopo i 75 giorni (previsti in casi eccezionali), una proroga “di non più di tre giorni”, sempre che abbiano raccolto elementi nuovi. E una mannaia definitiva è arrivata sulle “ambientali”, infatti le cimici non potranno registrare per più di 3 giorni, eventualmente prorogabili.
Resta anche la possibilità per un indagato di scegliere il pm. Basterà una denuncia per supposta fuga di notizie. Un’unica concessione: spetterà al procuratore capo decidere se sostituire il magistrato denunciato.
Per ostacolare le indagini, per esempio quelle sulla “cricca”, confermata la norma che prevede l’applicazione della legge anche alle inchieste in corso. Quindi vale anche “l’aiutino” ai parlamentari e ai membri del clero, che devono essere avvisati se intercettati.
Inoltre, se le registrazioni sono già state autorizzate in base alla vecchia legge, e il pm intende proseguirle, per quelle nuove dovrà attenersi al limite indicato dal ddl. Non ci sarà neppure la “vacatio legis”, cioè un periodo di sospensione della legge per l’organizzazione degli uffici giudiziari. Nemmeno i paventati 30 giorni.
Confermato il divieto di riprese audio e televisive di un processo, se solo una parte si oppone. Introdotta una deroga, soltanto se la corte d’Appello competente (con conseguente aggravio di lavoro), le autorizzerà perché “sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento”.
Sulla norma “salva-pedofili” il Pdl preannuncia una marcia indietro di cui Alessandra Mussolini si prende il merito e definita un pasticcio dall’opposizione. E veniamo all’attacco all’informazione. Niente più sconticino ma nuove punizioni per gli editori. Multe da un minimo di 25.800 a un massimo di 464.700 nel caso di pubblicazione di intercettazioni destinate alla distruzione.
Se, invece, sono atti giudiziari di cui la pubblicazione è vietata, comprese intercettazioni attinenti alle indagini, multe da 25.800 a 309.800 euro. Restano valide le sanzioni (carcere e multe) per i giornalisti che potranno scrivere solo per “riassunto” atti processuali depositati. Mai intercettazioni, fino alla conclusione dell’udienza preliminare, anche quelle già finite sui giornali. Vedi, ad esempio, alla voce Trani.
Il bavaglio blindato
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 8 Giugno 2010
E’ ormai un bulldozer pronto a sbaragliare gli avversari, il ddl sulle intercettazioni, altresì noto come legge bavaglio, che dopo anni di annunci e minacce approda in questi giorni al Senato, dopo l’approvazione all’unanimità ricevuta dall’ufficio di presidenza del Pdl.
Giornalisti, magistrati, società civile: sono tantissimi quelli che vedono le nuove disposizioni come un mastodontico regalo alla criminalità organizzata e un’utile pezza alle disastrose figure che nomi importanti del governo e delle élites istituzionali hanno fatto dinanzi al Paese.
Quello del Governo Berlusconi è in effetti un colpo di spugna magistrale sulla prassi consolidata della clientela e del malaffare, e in più ha l’ineguagliabile merito di ferire a morte l’operato quotidiano di magistrati e giornalisti.
Un capolavoro di azzecca-garbuglismo che in soli 5 articoli e 9 commi riesce a blindare la pratica e il ricorso all’intercettazione, limitandone i termini giuridici ed impedendone la pubblicazione con la minaccia di multe salatissime agli editori.
Se, al principio, l’opposizione del presidente della Camera Fini rappresentava una flebile speranza di modifica, ieri, con l’approvazione dell’innalzamento di proroga delle intercettazioni ogni 72 ore (anziché ogni 48), anche i fedelissimi di Gianfranco hanno mestamente capitolato.
E’ bastato poco, insomma, per accontentare i “fratellastri” del Pdl, rintuzzati da Padron’Silvio sul fatto che le modifiche apportate sono ora definitive e che in sede di votazione alla Camera non saranno tollerati dissensi di alcun genere o sorta.
Una votazione che già nelle premesse pare sarà blindata dalla doppia fiducia, ma che potrebbe trovare uno scoglio in Napolitano: nel corso del weekend, il Quirinale ha passato di nuovo al setaccio la legge, ha confermato i suoi dubbi e li ha prontamente segnalati ai berluscones, paventando il rischio che, se il testo rimane così com’è, potrebbe anche non essere firmato.
Al di là delle dialettiche politiche che fanno da corollario a questo scempio legislativo, è importante valutare quelle che saranno le effettive conseguenze delle nuove norme. Per prima cosa le intercettazioni dovranno essere disposte da un tribunale collegiale composto da almeno 3 membri e avranno una durata massima di 75 giorni; solo in casi decretati come straordinari i pm potranno fare ricorso a 72 ore di proroga.
Si è poi deciso che nel caso in cui le intercettazioni provassero reati estranei a quelli dell’inchiesta, queste non possano essere utilizzate ai fini della dimostrazione di colpa, nemmeno nel caso in cui i reati accertati dall’ascolto siano più gravi di quelli dell’imputazione.
Più volte l’Associazione Nazionale Magistrati ha tentato di denunciare che, con questi paletti, rischia di diventare impossibile scoprire i colpevoli di reati gravissimi come omicidi, rapine, estorsioni, usura, bancarotte milionarie e corruzioni, ma per Berlusconi la privacy è sacra: “Finora se avevi 15 fidanzate - ironizza il premier - finivano tutte intercettate per un tempo indeterminato” e poco importa se in nome della sacra privacy soggetti come quelli della “cricca” o delle équipes mediche del Santa Rita sarebbero ora liberi di continuare nei loro misfatti.
Ma i limiti imposti dalla legge bavaglio non interessano solo le intercettazioni telefoniche: secondo il testo infatti, le forze dell’ordine non potranno più servirsi di microspie da piazzare in ambienti privati; d’ora in poi gli indagati potranno essere video-registrati solo in flagranza di reato.
Con questo punto si disintegrano quindi le basi di tutte le inchieste anti-mafia, operazioni imperniate proprio sull’ascolto delle conversazioni in luoghi in cui i malavitosi credono di essere al sicuro: interventi magistrali come quelli svolti in casa Guttadauro, con un presidente di regione (Totò Cuffaro) che personalmente informa il boss sulle indagini a suo carico, saranno quindi cancellate dagli annali della magistratura.
Dopo aver disarmato la giustizia ci si concentra poi sull’informazione non gradita: si sancisce il carcere fino a tre anni per i giornalisti “colpevoli” di pubblicare stralci di conversazioni penalmente irrilevanti nel nome del pubblico interesse, e si comminano multe fino a 775.000 euro agli editori, i quali dovrebbero, in seno al pareggio di bilancio, evitare che si verifichino le condizioni per tali ammanchi.
Affinché poi la stampa capisca che la sua funzione è obsoleta nel regno dell’etere di Padron’ Silvio, il ddl Alfano impedisce l’uscita di qualsiasi atto giudiziario fino alla fine delle indagini e dell’udienza preliminare.
Grazie a questa misura un giornale come Il fatto quotidiano dovrebbe immediatamente chiudere i battenti, mentre l’opinione pubblica sarebbe informata con anni di ritardo su fatti di scottante attualità come furono le scalate bancarie dei “furbetti del quartierino” o le liason coattate da Giampi Tarantini.
Scampata invece la possibilità di allargare a piacimento il segreto di Stato: un comma rimosso all’ultimo momento prevedeva infatti che gli uomini dei servizi potessero opporsi davanti ai giudici, anche quelli anti-mafia, in nome della riservatezza istituzionale.
Questi in sintesi i cambiamenti che entreranno in vigore subito dopo l’approvazione del ddl Alfano, modifiche blindate e che blinderanno l’impunità dei molti, troppi, che per giustizia e libertà intendono solo quella personale.
Anche i poliziotti contro il ddl Alfano
di Silvia D'Onghia - http://antefatto.ilcannocchiale.it - 9 Giugno 2010
Secondo il sindacato delle forze dell'ordine Silp-Cgil, stiamo perdendo un pezzo di legalità e la mafia brinderà. Ieri la protesta insieme ai giornalisti sotto Palazzo Madama
Vedere poliziotti e giornalisti che vanno a braccetto non è certo usuale. Eppure ieri pomeriggio chi passava davanti a Palazzo Madama poteva assistere all’insolito spettacolo: la Federazione nazionale della Stampa ha infatti raccolto l’invito lanciato dai poliziotti del Silp-Cgil e insieme hanno protestato contro il ddl intercettazioni, tra il passaggio noncurante del traffico romano e la curiosità dei turisti, che non capivano il motivo del contendere.
Una manifestazione che si voleva confinare oltre le transenne di piazza Navona e che invece è riuscita a strappare qualche metro verso il Senato e qualche “visita” di parlamentari del centrosinistra. I giornalisti, che protestano ormai da settimane contro il disegno di legge, sarebbero da esso tra i più penalizzati.
Ieri mattina la Conferenza nazionale dei Comitati di redazione (gli organismi sindacali interni) hanno stilato un documento unitario nel quale si dicono pronti alla “resistenza civile”: “Non accetteremo mai di sottostare a una legge che limita il diritto dei cittadini ad essere informati e il nostro diritto-dovere di informarli”, si legge nel documento.
“Siamo come nel '23, quando qualcuno (che ancora non aveva instaurato un regime) voleva introdurre una legge per limitare la libertà di stampa – le parole del segretario della Fnsi, Franco Siddi – Ci sarebbe riuscito nel giro di due anni ma, anche se il Paese vive una fase molto delicata, oggi abbiamo molti più strumenti di allora per opporci”.
Posizione che nel pomeriggio Siddi, ha ribadito – armato di megafono – davanti a Palazzo Madama. Ma i poliziotti che c’entrano con tutto questo? “Il diritto all’informazione e l’interesse dello Stato sono fattori fondamentali in uno Stato di diritto – ha spiegato il segretario generale Silp, Claudio Giardullo – Anche gli ultimi emendamenti non modificano l’impianto della legge. Le intercettazioni verrano svuotate di contenuto, con il limite dei 75 giorni e delle 72 ore non potremo più investigare”.
Anche perché, dicono i poliziotti, dovranno essere loro a portare materialmente la richiesta di proroga al Tribunale del capoluogo del Distretto: “Facciamo un esempio – semplifica Gianni Ciotti, segretario provinciale di Roma – se a Formia si sta indagando su un camorrista, una volta scaduti i 75 giorni, ogni 72 ore una pattuglia dovrà perdere un giorno per venire a Roma a chiedere la proroga”.
Ma come, non sono esclusi i reati di mafia? “Tutti sanno – rispondono all’unisono i due sindacalisti – che le indagini di mafia nascono da contesti diversi: reati finanziari, minacce, estorsioni, usura. Indebolire quest’attività investigativa significa indebolire la lotta alla mafia”.
“Se dovesse passare questo testo, le organizzazioni criminali brinderanno ogni giorno”, spiega ancora Ciotti, che poi si schiera al fianco dei giornalisti: “L’arresto di un giornalista ci fa precipitare in uno Stato di polizia. Tutto ciò che serve a far chiarezza deve essere pubblicato, soprattutto quando si parla di politici”.
I giornalisti hanno già annunciato la resistenza civile contro il bavaglio, ma i poliziotti che possono fare: “Siamo servitori dello Stato – conclude Ciotti – ci atterremo alla legge. Ma tra due anni vedremo se i reati di mafia saranno aumentati o diminuiti. Nel frattempo avremo perso un pezzo di legalità”.